N. 61 - Gennaio 2013
(XCII)
La presa di Costantinopoli
Scacco all’impero
di Giovanni De Notaris
Nel
1195
l’imperatore
Alessio
III
Angelo
aveva
spodestato
il
fratello
Isacco
II
Angelo,
legittimo
imperatore
bizantino,
accordandogli
però
la
facoltà
di
potersi
muovere
liberamente
per
le
vie
di
Costantinopoli,
oltre
a
poter
ricevere
visite.
Alessio
risparmiò
il
carcere
anche
al
figlio
di
Isacco,
Alessio
IV,
che
però,
nel
1201,
riuscì
a
fuggire,
camuffato,
dalla
capitale
giungendo
fino
in
Sicilia,
dove
chiese
aiuto
al
cognato
Filippo
di
Svevia,
che
lo
presentò
a
Bonifacio
I di
Monferrato.
Ma
perché?
Per
comprenderne
i
motivi
è
necessario
fare
un
salto
indietro
nel
tempo.
Nel
1198
al
soglio
pontificio
sale
Innocenzo
III,
che
come
obiettivo
principale
del
suo
pontificato
ha
quello
di
liberare
Gerusalemme
dai
turchi,
minaccia
ormai
sempre
più
predominate
sia
per
l’occidente
romano
che
per
l’oriente
bizantino;
in
pratica
una
quarta
crociata.
Il
papa
aveva
avviato
proprio
con
l’usurpatore
Alessio
III
un
negoziato
per
riunire
le
due
chiese,
separate
dallo
scisma
del
1054,
oltre
poi
– ma
questo
sembrava
sottinteso-
unire
le
forze
per
salvare
la
Terra
Santa.
Innocenzo
si
fece
quindi
promotore
di
questa
necessità
tra
i
nobili
europei
e
riuscì
a
ottenere
un
consenso,
seppur
non
entusiasmante,
da
Luigi
di
Blois
e
Baldovino
di
Fiandra,
assieme
a
altri
nobili
italiani
e
tedeschi
sotto
la
guida
di
Bonifacio
I di
Monferrato,
che
ottenne
poi
il
comando
ufficiale
della
spedizione.
Poiché
nessuno
di
loro
possedeva
una
flotta
adeguata
all’impresa,
si
decise,
nel
1201,
di
intavolare
trattative
con
Venezia,
rappresentata
dal
doge
Enrico
Dandolo,
per
ottenere,
diciamo
così,
un
passaggio
per
la
Terra
Santa.
Il
problema
però
era
che
l’anziano
doge
non
era
in
buoni
rapporti
con
l’Impero
d’Oriente
a
causa
del
mancato
pagamento
di
alcuni
oneri
commerciali
che
l’imperatore
Manuele
I
Comneno
si
era
impegnato
a
versargli
nel
lontano
1171
e
che,
adesso,
Alessio
III
non
intendeva
onorare.
Si
trovò
però
un
accordo:
Venezia
avrebbe
fornito
la
flotta
in
cambio
del
50%
di
tutte
le
conquiste
effettuate
dalla
partenza.
E
qui
ritorniamo
al
momento
dell’incontro
tra
il
fuggitivo
Alessio
IV e
Bonifacio
di
Monferrato.
Alessio
chiedeva
infatti
ai
crociati
di
aiutarlo
a
rimettere
sul
trono
il
padre
Isacco.
Nella
primavera
del
1202,
intanto,
i
crociati
cominciarono
a
affluire
a
Venezia,
pronti
per
l’imbarco.
Purtroppo
però
la
somma
che
si
era
concordata
con
la
Serenissima
non
era
disponibile;
i
crociati
infatti
erano
in
numero
inferiore
a
quanto
si
era
inizialmente
previsto.
Tutto
sembrava
perduto
e,
con
grande
sconforto
del
papa
e
dei
nobili,
l’impresa
sembrava
proprio
non
dover
decollare.
Ma
fu
l’astuto
Dandolo
a
dipanare
il
bandolo
della
matassa.
Il
doge
chiese
di
aiutarlo
a
conquistare
la
città
di
Zara,
che
anni
prima
si
era
ribellata
al
dominio
veneziano
e si
era
schierata
con
il
re
d’Ungheria.
Dandolo
era
deciso
a
riportarla
sotto
il
suo
controllo.
Questo
però
non
era
l’obiettivo
della
crociata,
oltre
al
fatto
che
Zara
era
una
città
cristiana,
e
che
pure
il
re
d’Ungheria
partecipava
alla
crociata.
Seppur
dubbiosi
i
crociati
accettarono.
Alessio
IV
intanto
si
era
recato
a
Roma
per
incontrare
il
papa
a
cui
aveva
fatto
la
stessa
proposta
già
presentata
al
cognato
e a
Bonifacio,
ma
il
pontefice
mostrò
scarso
interesse
nello
spodestare
Alessio
III.
Mentre
però
si
accingeva
a
ritornare
in
Germania
dal
cognato,
Alessio
si
imbatté
a
Verona
in
un
gruppo
di
crociati
che
si
stavano
dirigendo
a
Venezia.
Inviò
allora
dei
messaggeri
a
Bonifacio
di
Monferrato
e a
altri
nobili
per
valutare
la
possibilità
di
usare
i
crociati
per
rimettere
sul
trono
il
padre.
Tornato
poi
in
Germania
ricevette,
insieme
al
cognato
Filippo,
dei
messaggeri
per
trovare
un’intesa.
Nell’autunno
del
1202
la
flotta
crociata
fece
rotta
per
Zara
che,
nonostante
il
divieto
più
che
prevedibile
del
papa,
fu
assediata
e
saccheggiata.
A
questo
punto
di
nuovo
la
crociata
sembrò
subire
un
arresto.
Innocenzo
scomunicò
difatti
tutti
i
crociati,
ma
avendo
poi
compreso
l’importanza
decisiva
che
la
flotta
veneziana
avrebbe
potuto
fornire
all’impresa,
decise
di
cambiare
opinione,
e
tolse
quindi
la
scomunica
ai
crociati,
ma
non
ai
veneziani.
Intanto
a
Zara
erano
giunti
gli
ambasciatori
di
Alessio
IV e
Filippo
chiedendo
ufficialmente
ai
crociati
di
deporre
Alessio
III,
in
cambio
il
giovane
Alessio
si
produsse
in
un
mare
di
promesse,
che,
come
si
vedrà,
non
avrebbe
potuto
mantenere:
avrebbe
risarcito
i
veneziani
in
seguito
alla
loro
cattura
effettuata
da
Manuele
I
Comneno,
che
all’epoca
aveva
sequestrato
i
loro
beni;
avrebbe
ripagato
con
oro
crociati
e
veneziani;
oltre
a
sottomettere
la
chiesa
di
Costantinopoli
a
quella
di
Roma.
La
flotta
dunque
partì
da
Zara
nella
primavera
del
1203
dirigendosi
prima
verso
Corfù,
assieme
al
giovane
Alessio.
Nel
maggio
del
1203
la
flotta
proseguì
per
Costantinopoli,
giungendovi
poi
a
fine
giugno,
e
gettando
l’ancora
dapprima
a
Calcedonia,
sulla
costa
asiatica,
senza
trovare
resistenza
alcuna
da
parte
bizantina,
poi
a
Scutari,
più
a
nord,
dove
fu
raggiunta
via
terra
dalla
cavalleria.
A
quel
punto
Alessio
III
inviò
i
soldati,
che
però
invece
di
contrastare
il
nemico
si
diedero
alla
fuga.
Alessio
tentò
allora
la
via
diplomatica,
promettendo
ai
crociati
viveri
e
denaro
se
si
fossero
allontanati,
ma i
cavalieri
risposero
che
erano
lì
per
rimettere
al
potere
il
legittimo
imperatore,
invitando
perciò
Alessio
III
alla
resa.
Nel
mese
di
luglio
assalirono
quindi
Galata,
il
quartiere
ebraico
a
nord
della
città,
permettendo
così
l’accesso
al
porto,
che
fu
invaso
dalle
navi
nemiche.
Cosicché,
dopo
qualche
giorno,
i
crociati
si
avvicinarono
alle
coste
e il
17
luglio
l’attacco
riprese
ancor
più
furiosamente.
All’interno
intanto
l’imperatore
Alessio
non
faceva
altro
che
pensare
alla
fuga,
ormai
in
preda
al
panico,
dato
che
anche
il
palazzo
imperiale
era
ormai
frequente
bersaglio
dei
colpi
di
catapulta.
L’assalto
al
palazzo
fu
respinto
solo
dopo
una
cruenta
battaglia,
e
grazie
all’intervento
dei
varieghi,
la
guardia
imperiale,
e
dei
pisani,
all’epoca
alleati
dei
bizantini.
Ma
tutta
l’area
che
andava
dal
palazzo
imperiale
delle
Blacherne
al
monastero
dell’Ευεργέτης
fu
divorata
dalle
fiamme.
A
quel
punto
l’imperatore,
messo
alle
strette,
dovette
controvoglia
imbracciare
le
armi
e
guidare
lui
stesso
le
operazioni
militari;
ai
cittadini
era
ormai
chiaro
che
la
sua
codardia
aumentava
velocemente
tanto
quanto
le
fiamme
e,
quindi,
rischiava
di
essere
spodestato.
Difatti
era
stata
proprio
la
sua
mancanza
di
prontezza
nell’approntare
con
largo
anticipo
la
difesa
della
città
che
rese
gioco
facile
ai
crociati.
Ma
purtroppo
la
paura
sottomise
decisamente
il
coraggio
lasciando
che
Alessio,
dopo
otto
anni
di
regno,
si
desse
alla
fuga,
con
il
popolo
e la
città
in
preda
al
caos
e ai
nemici.
A
quel
punto
agli
alti
funzionari
non
restò
altro
da
fare
se
non
rimettere
al
potere
il
cieco
e
vecchio
Isacco.
Immediatamente
l’imperatore
inviò
dei
messaggeri
al
figlio
Alessio
IV,
che
era
con
i
crociati,
informandolo
riguardo
gli
ultimi
avvenimenti,
e
chiedendogli
quindi
di
porre
fine
all’assedio
della
città.
Ma
ora
i
nodi
venivano
al
pettine.
Alessio,
ora
coreggente,
aveva
fatto
delle
promesse
ai
crociati
che
sapeva
non
poter
mantenere.
Del
tesoro
imperiale
era
ormai
rimasto
ben
poco,
dissipato
da
Isacco,
e
quindi
era
impossibile
ripagare
i
crociati,
e i
veneziani,
per
il
loro
supporto.
Si
decise
allora
di
prelevare
dai
templi
e
dalle
chiese
le
icone
sacre
e
tesori
vari,
che
sciolti
produssero
oro
da
dare
ai
crociati,
atto
che
fece
profondamente
infuriare
la
popolazione,
oltre
a un
aumento
sconsiderato
delle
tasse.
Isacco
inoltre
era,
sciaguratamente,
riuscito
nell’impresa
di
far
alleare
pisani
e
veneziani,
che
in
forze
congiunte
decisero
poi
con
i
crociati,
nell’agosto
del
1203,
di
distruggere
il
Μήτατων,
la
moschea
degli
Agareni,
provocando
una
reazione
da
parte
musulmana,
che
portò
a un
inspiegabile
secondo
incendio.
Il
fuoco
colpì
tutta
la
parte
nord-est
della
città,
mandando
in
fiamme
anche
la
basilica
di
Santa
Sofia
e il
foro
di
Costantino.
Isacco
e il
figlio
sembravano
quasi
disinteressarsi
a
quello
che
stava
accadendo,
e
nulla
fecero
per
sedare
le
fiamme,
anzi,
mentre
queste
sciagure
si
abbattevano
sulla
città,
la
depredazione
dei
tesori
dei
templi
e
delle
chiese
continuava
a
briglia
sciolta.
I
saccheggi
continuavano
infatti
speditamente,
come
nel
caso
dei
santuari
della
Propontide,
sul
mar
di
Marmara.
Ma,
se i
due
sovrani
vegetavano,
un
urlo
di
rivolta
si
sollevò
dalla
bocca
di
Alessio
V
Ducas,
detto
“Μούρτζουφλος”,
e
cioè
“dalle
sopracciglia
color
porpora”,
che
decise,
sostenuto
dal
popolo,
di
imbracciare
le
armi
contro
i
crociati.
Nel
1204
la
popolazione
di
Costantinopoli
si
sollevò
quindi
in
una
ribellione,
cosicché
riunitisi
nella
basilica
di
Santa
Sofia,
i
senatori
e i
sommi
sacerdoti
deposero
i
due
sovrani
e
elessero
loro
imperatore
lo
sconosciuto
Nicola
Canabos.
Canabos
però
non
poteva
esser
nominato
imperatore,
perché
mancava
la
ratifica
del
patriarca.
Alessio
V
intanto
si
presentò
nottetempo
dal
sovrano
Alessio
dicendogli
che
i
varieghi
volevano
ucciderlo
e
che
quindi
era
meglio
che
fuggisse
e si
nascondesse.
In
realtà
Alessio
V si
era
accordato
con
i
crociati,
e
dopo
aver
fatto
evadere
il
sovrano
lo
fece
poi
gettare
in
prigione.
In
città
si
erano
quindi
formati
due
schieramenti:
uno
favorevole
a
Alessio,
e
l’altro
a
Canabos,
che
di
lì a
poco
venne
arrestato
e,
dopo
l’omicidio
di
Alessio
IV,
Alessio
V
rimase
unico
e
incontrastato
imperatore.
Subito
allora
decise
di
liberarsi
degli
invasori.
Nella
battaglia
di
Filea,
sul
mar
Nero,
le
truppe
di
Baldovino
di
Fiandra
misero
in
fuga
l’esercito
bizantino
e,
miracolosamente,
lo
stesso
imperatore
si
salvò
perdendo
però
l’Οδηγήτρια,
icona
sacra
con
il
volto
della
Vergine
che
storicamente
tutti
gli
imperatori
bizantini
portavano
in
guerra.
Dal
canto
suo
Dandolo,
furbescamente,
chiese
un
incontro
a
Alessio
per
intavolare
trattative
di
pace,
ma
fu
in
realtà
un
tentativo
per
uccidere
il
sovrano
che
si
rifugiò
sul
monte
dove
aveva
sede
il
monastero
di
Παντεπόπτη,
da
dove
poteva
spiare
le
navi
nemiche.
Il
12
aprile
i
crociati
tornarono
alla
carica
e
diedero
fuoco
per
la
terza
volta
alla
città.
La
zona
orientale,
sede
del
Δρουγγάριον,
il
porto
militare
della
città,
cadde
nelle
mani
crociate,
come
il
campo
base
di
Alessio
V;
secondo
alcuni,
tra
l’altro,
fu
questo
il
momento
in
cui
venne
trafugata
la
Sacra
Sindone
che
si
trovava
nel
palazzo
delle
Blacherne.
A
questo
punto
l’imperatore
capì
che
per
lui
era
finita
e
fuggì
dopo
soli
due
mesi
di
regno.
A
contendersi
il
potere
rimasero
Costantino
Ducas
e
Costantino
Lascaris,
quest’ultimo
sarebbe
uscito
imperatore
dalla
basilica
di
Santa
Sofia
per
sorteggio,
e
subito
avrebbe
incoraggiato
il
popolo
alla
resistenza.
Ma
Costantinopoli
era
ormai
saldamente
nelle
mani
dei
crociati,
e
nessuno
avrebbe
più
potuto
opporsi
all’inarrestabile
saccheggio
della
città,
a
cui
sarebbe
seguita
la
creazione
del
fatuo
Impero
Latino
d’Oriente.