N. 47 - Novembre 2011
(LXXVIII)
dopo gheddafi
l'incerto futuro della libia
di Francesca Zamboni
Sono circa le 8 del mattino, quando i lealisti tentano di sfuggire agli insorti che hanno accerchiato Sirte.
Niente
da
fare,
il
convoglio
che
trasporta
Gheddafi
viene
intercettato
dalla
Nato
e
dai
caccia
francesi
che
si
contendono
il
primato
della
cattura.
Per
il
leader,
a
prescindere
da
chi
l’abbia
braccato,
è la
fine.
Ma
morire
non
piace
a
nessuno,
neanche
a
uno
come
Gheddafi,
che
ha
sempre
sostenuto
di
voler
morire
in
guerra
guardando
in
faccia
i
propri
assassini.
Quindi
tenta
di
fuggire,
ha
paura,
si
nasconde
in
un
condotto
che
passa
sotto
la
strada,
ma è
tardi.
Il
leader
è
ferito
gravemente.
A
colpirlo
un
ragazzo
ventenne,
Mohammed
Al
Bibi
che,
dopo
avergli
sottratto
la
pistola
d’oro,
invoca
Allah
in
segno
di
vittoria.
Il
colonnello
viene
caricato
su
un
convoglio,
è
ancora
vivo,
cerca
di
capire
dove
sia
stato
colpito,
si
tocca
la
ferita
alla
testa
mentre
tenta
di
dire
qualche
parola.
Intanto
gli
insorti
gridano
Allah
akbar,
ovvero
Dio
è il
più
grande.
Ma
adesso
che
tutto
è
finito,
viene
da
chiedersi
che
ne
sarà
di
questo
paese
che
tenta
di
avviarsi
verso
la
normalità,
nonostante
i
postumi
che
una
simile
rivolta
ha
comportato.
Adesso
il
leader
riposa
in
una
zona
segreta
del
deserto,
ma i
familiari
chiedono
giustizia.
Non
si
arrendono
di
fronte
al
corpo
martoriato
del
proprio
congiunto.
Rifugiatasi
in
Sudafrica,
la
famiglia
del
leader
ha
comunicato,
attraverso
l’avvocato
Marcel
Ceccaldi,
di
voler
presentare
una
formale
denuncia
per
crimini
di
guerra
alla
Corte
penale
internazionale
dell'Aja.
L'avvocato
del
colonnello,
ha
infatti
accusato
il
Cnt
(
Consiglio
nazionale
di
transizione
libico)
di
aver
abbandonato
Gheddafi
in
condizioni
disumane
dopo
esser
stato
ferito
e la
Nato
di
averlo
colpito
senza
giustificazione.
Gheddafi,
secondo
quanto
riportato
dal
suo
legale,
stava
viaggiando
su
un
convoglio,
che
non
presentava
alcun
pericolo
per
la
popolazione.
Si
tratterebbe
dunque
di
“un
omicidio
programmato
della
Nato”.
Ma
nonostante
il
ricorso
dei
familiari
di
Gheddafi,
il
Cnt
non
desiste:
“il
Rais
non
è
stato
giustiziato”;
anzi
il
Consiglio
ha
chiesto
alla
Nato
di
prolungare
la
missione
in
Libia
di
un
mese,
sebbene
il
ritiro
definitivo
sia
stato
fissato
entro
la
sera
del
31
ottobre.
La
Nato
tuttavia
conferma
che
la
sua
missione
è
finita
e
che
lo
spazio
aereo
passerà
sotto
la
responsabilità
del
Cnt
per
la
data
prevista.
Nel
frattempo
Saif
al
Islam
Gheddafi,
figlio
del
rais
libico,
è
ricercato
dalla
Corte
penale
internazionale
e
sembra
stia
trattando
con
una
paese
sudafricano
per
consegnarsi
ad
esso.
Ma
aldilà
delle
richieste
della
famiglia
dell’ex
dittatore,
a
Bengasi
c’è
un
popolo
che
sta
chiedendo
l’applicazione
della
Sharia
come
base
della
nuova
legislazione
libica.
Per
i
libici
il
Corano
deve
essere
la
nuova
Costituzione.
Una
legge
che,
sebbene
praticata
all’interno
delle
famiglie,
non
è
mai
stata
applicata
realmente
in
quarantadue
anni
di
dittatura.