[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

184 / APRILE 2023 (CCXV)


attualità

ARIA DI TEMPESTA IN MEDIO ORIENTE

UN NUOVO “AUTUNNO ARABO”

di Gian Marco Boellisi

 

Dopo un anno di conflitto in Ucraina un trend che si vede ripetersi nonostante il passare dei mesi è la monotematicità del dibattito nelle relazioni internazionali. Infatti, per quanto questo conflitto abbia sconvolto e sconvolgerà numerosi equilibri globali, sembra che nella maggior parte dei casi l’unico tema rilevante in politica estera siano i combattimenti in Ucraina e tutto ciò che riguarda le potenze che vi sono coinvolte, direttamente o indirettamente.

 

Questo ha portato a trascurare numerose dinamiche in corso in diverse aree del mondo altrettanto vitali per gli equilibri globali. Tra queste vi è senza dubbio la crisi profonda che stanno affrontando numerosi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, la quale potrebbe esplodere in maniera repentina analogamente a quanto accaduto nel 2011 con il fenomeno delle cosiddette “Primavere”. È quindi interessante analizzare quali Paesi siano coinvolti e quali importanti dinamiche siano in atto in quest’area del mondo.

 

In primis fra tutti, ad oggi l’Iran risulta essere ancora oggi sconvolto dall’interno da proteste in tutto il paese. Ciò ha avuto inizio il 16 settembre 2022 a seguito della morte della giovane Mahsa Amiri in circostanze ancora non del tutto chiarite da parte delle forze di sicurezza iraniane. Da allora l’intero paese è stato scosso da manifestazioni che hanno coinvolto ampie frange della popolazione, quali studenti, giovani di tutte le età e anche i gruppi etnici minoritari. Con il passare del tempo, l’apparato repressivo dello Stato iraniano si è fatto via via più forte, portando innumerevoli persone ad essere arrestate, giustiziate o semplicemente a scomparire.

 

Le proteste hanno fatto tremare così a fondo le fondamenta della Republica Islamica che molti analisti hanno visto questi movimenti come uno spartiacque nella storia recente iraniana, in cui lo stato stesso dell’Iran potrebbe mutare forma. Sebbene ora dopo tanti mesi le proteste siano leggermente scemate, è verosimile ritenere che i giochi non siano ancora finiti e che i Pasdaran, i cosiddetti “Guardiani della Rivoluzione”, abbiano colto l’occasione delle proteste per stringere ancora di più il proprio controllo sui vertici statali.

 

Non è un segreto infatti che i Pasdaran siano in possesso, direttamente o indirettamente, dei maggior apparati dell’economia iraniana e che questa situazione di estrema instabilità possa essere stata l’occasione per accelerare la loro scalata al potere. Si passerebbe così da un regime teocratico a uno militarista. È opportuno inoltre ricordare come questi enormi movimenti di protesta abbiano dimostrato una debolezza strutturale dello stato iraniano, motivo per cui il tempo per un “regime change” interno potrebbe essere più propizio di quanto si pensi.

 

Un’altra regione interessata da una crisi implacabile è quella di Israele e della Palestina. Il 2023 si aperto con l’entrata al governo dell’ennesimo Governo Netanyahu, il quale ha incluso come ormai è tradizione elementi di governi giudicati estremisti da svariati osservatori e non solo. Esempio cardine in questo senso è Itamar Ben Gvir, leader del partito Potere Ebraico, il quale ha avuto la brillante idea di effettuare una passeggiata i primi giorni di gennaio nella spianata delle moschee.

 

Ancora, il nuovo esecutivo è stato messo recentissimamente in grande difficoltà da proteste interne contro la riforma della giustizia, mostrando come la tenuta di questo nuovo governo non sia così salda come Netanyahu ha sempre cercato di mostrare. Oltre a queste novità politiche, vi sono stati anche svariati attentati in Israele dall’inizio del 2023, con conseguenti interventi delle forze armate israeliane in Cisgiordania a caccia di sospetti terroristi. Il solito mix esplosivo insomma.

 

Un esempio fra tutti è stato il blitz israeliano nel campo profughi di Jenin, dove sono morti dieci palestinesi (due di questi appartenevano a una cellula della Jihad Islamica ed erano i veri obiettivi dell’azione militare). Ovviamente Hamas e la stessa Jihad Islamica hanno subito giurato vendetta a Israele, portando così, nei primi tre mesi del 2023, ulteriore benzina su un fuoco che non si è mai spento da settantacinque anni a questa parte.

 

Al confine est di Israele la situazione non è certo migliore. In Giordania la crisi economica, dovuta in prima istanza al Covid-19 e poi alle conseguenze della guerra in Ucraina, stanno portando l’intero paese sull’orlo della rivolta. I prezzi dei principali beni di consumo hanno subito un aumento vertiginoso, provocando una povertà ormai estesa a quasi tutta la popolazione. Particolarità nazionale è il prezzo del petrolio, il quale mentre all’estero è tornato a salire o scendere in funzione dei mercati globali qui subisce solo aumenti senza mai abbassarsi. Unito a ciò il tasso di disoccupazione ha ormai raggiunto soglie a doppia cifra superando il 20%, per non parlare del debito pubblico che sta raggiungedo soglie critiche secondo il Fondo Monetario Internazionale.

 

Tutta questa situazione ha portato il paese da alcuni mesi a questa parte a scendere in piazza contro i regnanti al governo. Le manifestazioni sono partite dal sud del paese, regione storica piena di squilibri economici e non solo, per poi estendersi anche in altre regioni giordane. Ad oggi gli osservatori internazionali sono particolarmente preoccupati per l’estendersi delle proteste, essendo la situazione estremamente grave e capace di infettare numerosi Paesi dell’area, i quali soffrono degli stessi problemi.

 

Difficoltà analoghe infatti colpiscono anche l’Egitto, paese tra i più importanti in Medio Oriente e in generale nel concerto della comunità globale degli stati. Anche qui lo stallo socio-economico che si è raggiunto era sicuramente pre-esistente, ma tra pandemia e guerra di Ucraina la situazione è precipitata. Basti pensare che l’Egitto risultava essere uno dei più grandi importatori di grano ucraino, vista l’enorme popolazione in crescita e vista soprattutto l’incapacità di generare grano atto al proprio sostentamento. Proprio in funzione della sua posizione di estrema rilevanza all’interno del panorama politico internazionale, per evitare l’innescarsi di nuove tensioni sociali il Cairo ha ricevuto decine e decine di milioni di dollari da parte di molte monarchie dell’area, tra cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, nonché anche da enti internazionali come la Banca di Sviluppo Africana e l’FMI.

 

Nonostante i fondi, la situazione non è migliorata. I soldi sono stati spesi per lo più in progetti infrastrutturali e spese che non hanno avuto un diretto impatto sulla popolazione. Sono stati infatti costruite strade, ponti, palazzi nella nuova capitale amministrativa poco fuori il Cairo (è in costruzione il grattacielo più alto d’Africa) o dulcis in fundo un nuovo jet presidenziale da 500 milioni di dollari.

 

In tutto ciò la moneta egiziana si è svalutata esponenzialmente, tanto da essere cambiata con un dollaro a 29 sterline egiziane. Per questo motivo anche qui l’inflazione ha raggiunto circa il 20%, con grandissime fette della popolazione che hanno difficoltà ad acquisire il cibo giornalmente per poter mangiare. Ad oggi alcuni sintomi di malcontento popolare si sono fatti sentire, ma non sono sfociati in aperte proteste contro il governo, complice anche l’enorme efficienza dell’apparato di sicurezza egiziano.

 

Il presidente Al-Sisi è intervenuto recentemente appellandosi ai suoi cittadini, dichiarando di come il governo stia facendo sforzi straordinari per calmierare la crisi economica in atto e di come gran parte dei problemi esistenti sia stato ereditata dai decenni passati in cui lui non era al governo. Di particolare interesse il passaggio in cui Al-Sisi ha messo in guardia gli egiziani sullo sfociare del malcontento in proteste aperte, le quali potrebbero portare alla fine dell’Egitto per come lo si conosce oggi.

 

Visto che in politica è sempre valido il detto excusatio non petita, accusatio manifesta, è interessante dedurre come il governo egiziano stia temendo concretamente nuove manifestazioni contro gli apparati statali e stia cercando parallelamente di distrarre la popolazione dalle problematiche fondanti di questa epoca storica. Ovvio è che se il sistema Egitto dovesse fuoriuscire da quell’aura di pseudo stabilità che ha acquisito con Al-Sisi, tutto il Nord-Africa potrebbe seguire nell’arco di pochi mesi, e questo lo sa Al-Sisi, come lo sa Washington, o Mosca, o Pechino.

 

Situazione ben peggiore si vive in Tunisia, dove quella che è stata definita la miglior democrazia uscita fuori dalla Primavera Araba si sta dimostrando un altro fallimento su tutta la linea. Il paese sta attraversando una crisi economica, sociale e politica tra le più drammatiche di tutta l’area. Basti pensare che la sfiducia verso le istituzioni è tale che alle ultime elezioni si è recato alle urne solo l’11% degli aventi diritto al voto.

 

Il presidente Kais Saied, eletto nel 2019 come riformatore del sistema uscito dalla caduta del regime di Ben Alì nel 2011, è diventato ciò che egli stesso aveva giurato di distruggere. Accusando di blocco istituzionale i vari partiti di opposizione che si erano avvicendati in parlamento nel corso degli anni, Saied decise di sciogliere il Parlamento, cacciare via il Primo Ministro e accentrare sempre una maggior parte di poteri sulla sua persona. Già nel 2021 si registrarono settimane di proteste per la crisi sanitaria e l’imperante inflazione economica, ma con la pseudo presa al potere di Saied il tutto sembrò tranquillizzarsi per un breve periodo di tempo. Ad oggi le promesse di Saied non sono state mantenute, e tutti i partiti di opposizione hanno incitato i cittadini tunisini a scendere per strada per richiedere interventi tempestivi sull’economia nonché le dimissioni del presidente. Un ricorso divertente sta nel fatto che gli slogan di oggi dei manifestanti sono gli stessi di 12 anni fa contro Ben Alì.

 

L’economia tunisina è a pezzi, con il paese che ogni giorno si avvicina a una bancarotta disastrosa, quasi a voler imitare il cugino mediterraneo, il Libano. Il potere di acquisto dei ceti bassi e anche della classe media è stato annichilito, con una carenza di generi alimentari di prima necessità in tutto il paese. Le riserve di valuta estere diminuiscono di mese in mese e conseguentemente la Tunisia fatica sempre pù a importare beni necessari per sfamare il proprio popolo. Secondo alcune stime dell’FMI, l’inflazione dovrebbe essere oltre il 10% e le persone che sono al di sotto della soglia di povertà sono oltre 12 milioni. Con numeri similari è incerto quanto il regime di Saied possa durare ancora, ed è ancora più incerta quale strada prenderà la questione migratoria, tanto cara all’Italia nell’ultimo periodo.

 

Una partita che non si è mai chiusa è quella della Libia, nella quale la guerra non è mai veramente terminata dal 2011 a questa parte. Ad oggi vi sono ancora due governi nel paese, uno a Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale, guidato da Abdul Hamid Ddeibah. L’altro invece si trova a Sirte, guidato esso da Fathi Bashaga. Il territorio libico è un mosaico eterogeneo di milizie, frange estremiste e liberi mercenari, ognuno pronto a sfruttare il momento per accollarsi sul carro del vincitore.

 

Ad oggi vi sono numerosi giocatori esteri con grandi interessi in Libia e lo stallo che sembra essere stato raggiunto è dovuto a un accordo, seppur parziale, dei due maggiori giocatori presenti nel paese: Russia e Turchia. Quanto questo stallo durerà e verso dove andrà è molto difficile dirlo, specie considerando che gli stessi Russia e Turchia hanno agende molto più calde attualmente in corso che determineranno a cascata le agende in questo momento secondarie, come la Libia.

 

Un ultimo punto da analizzare è la recentissima notizia della ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, le quali hanno annunciato congiuntamente che le rispettive ambasciate verranno riaperte entro due mesi. Al contrario di quanto descritto finora per gli altri paesi dell’area, questo è un evento di unione e riassestamento non indifferente, visti i trascorsi. Infatti Iran e Arabia Saudita avevano interrotto i propri rapporti diplomatici dal 2016. Il tutto fu causato dall’esecuzione del leader sciita Nimr al-Nimr da parte di Riad, al quale si ebbe in risposta l’assalto dell’ambasciata saudita da parte di cittadini infuriati a Teheran. Ad oggi la promessa tra i due paesi è quella di rispettare le sovranità reciproche, senza intervenire direttamente negli affari interni l’uno dell’altro.

 

L’aspetto forse più importante dell’intera vicenda tuttavia non è tanto la ripresa dei rapporti tra Riad e Teheran, ma il fatto che a far da garante e da paciere tra le due nazioni sia stata la Cina. Per il dragone si tratta di un’enorme successo diplomatico, spendibile sia in Medio Oriente sia in altre aree del mondo. La catena di successi in questo senso è iniziata proprio a Riad, a seguito degli accordi commerciali ed energetici conseguiti tra Cina e Arabia Saudita. Proprio in questa sede re Salman ha firmato un accordo di partenariato strategico a tutto tondo con la Cina, lasciando fuori dalla porta i (non più) storici alleati statunitensi.

 

Questo a testimonianza di come i paesi mediorentali abbiano iniziato a considerare gli Stati Uniti come parner non affidabili, specie alla luce del loro burrascoso ritiro dall’Afghanistan del 2021. Ciò è stato dovuto soprattutto all’attitudine che Washington ha usato con i vari stati dell’area mediorientale, quasi imponendo a ogni nazione ivi presente un’esclusività di rapporti e di visione della politica estera. I rapporti che qui sono stati coltivati e portati avanti sono stati spesso e volontieri di subordinazione (politica, economica, militare), non di cooperazione.

 

Ed è qui che sta la differenza sostanziale tra Cina e Stati Uniti. La prima tratta, o dichiara di trattare, con gli Stati nel mondo da partner in affari, non da clientes. La perdita di influenza americana nell’area è dovuta inoltre anche a un riassestamento generale delle priorità di politica estera della Casa Bianca, sia a seguito del ritiro dal Medio Oriente sia alla luce del supporto a breve termine dell’Ucraina e di quello nel medio-lungo termine contro la Cina. Questa “distrazione” può portare Pechino a maturare importanti opportunità come quella conseguita tra Iran e Arabia Saudita. D’altronde si sa, in politica non è ammesso il vuoto.

 

In conclusione, il Medio Oriente risulta essere ancora oggi un’area tutt’altro che tranquilla. Le dinamiche di potere si stanno riassestando nuovamente, tuttavia è innegabile come alcuni eventi globali, come la pandemia di Covid e la guerra in Ucraina, abbiano portato al collasso economie di molti paesi mediorientali e nordafricani già in estrema difficoltà.

 

Alcuni analisti vedono la concreta possibilità che, se uno solo dei paesi sopra menzionati dovesse cadere analogamente a quanto successo nel 2011, si potrebbe assistere a una seconda ondata di Primavere Arabe, con un potenziale esito del tutto incerto. Questo tipo di scenari permettono a nuovi attori, come Cina e Turchia, di affacciarsi a scenari fino a poco prima a loro sconosciuti, sostituendo in parte i vecchi quanto ormai stantii partner occidentali.

 

Per quanto questo possa contribuire alla complessità delle dinamiche in atto, è innegabile che l’esperimento del 2011 delle Primavere si è dimostrato fallimentare su tutti i fronti, e ripeterlo con lo stesso modus operandi di 12 anni fa porterebbe a mostrarci, come ormai siamo troppo spesso abituati, come l’uomo non impari mai dalla storia e dai propri errori.

RUBRICHE


attualità

ambiente

arte

filosofia & religione

storia & sport

turismo storico

 

PERIODI


contemporanea

moderna

medievale

antica

 

ARCHIVIO

 

COLLABORA


scrivi per instoria

 

 

 

 

PUBBLICA CON GBE


Archeologia e Storia

Architettura

Edizioni d’Arte

Libri fotografici

Poesia

Ristampe Anastatiche

Saggi inediti

.

catalogo

pubblica con noi

 

 

 

CERCA NEL SITO


cerca e premi tasto "invio"

 


by FreeFind

 

 

 

 

 


 

 

 

[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]