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N. 111 - Marzo 2017 (CXLII)

PORTOPALO, O IL NAUFRAGIO DELLA VERITÀ
 
TRA FANTASMI (POCHI) E FALSITÀ (PARECCHIE)
di Sergio Taccone

 

“Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri;

sconosciuti, eppure siamo notissimi;

moribondi, ed ecco viviamo;

puniti, ma non messi a morte;

afflitti, ma sempre lieti”.

San Paolo, Seconda Lettera ai Corinzi

 

 

Dopo decine di servizi, articoli e interviste su giornali ma, soprattutto, dopo la messa in onda della fiction “I fantasmi di Portopalo”, andata in onda su Rai 1 lo scorso febbraio 2017, con l’attore Beppe Fiorello nella parte del protagonista, ricostruiamo i fatti del tragico naufragio del Natale 1996 tra Malta e la Sicilia. Un focus approfondito sugli aspetti di quella vicenda che la fiction ha omesso, travisato o, peggio ancora, inventato di sana pianta mettendo in atto una inopinata diffamazione collettiva di una comunità che si è sempre distinta nella prima accoglienza dei migranti.

 

Un naufragio mai stato “fantasma”

Già a gennaio del ’97, pochi giorni dopo il tragico naufragio di Natale, il quotidiano italiano il Manifesto descrisse nei minimi particolari l’intera vicenda. Tra aprile e maggio del ’97, la Procura della Repubblica di Siracusa aprì l’indagine che portò al rinvio a giudizio del comandante della Yiohan (la motonave dalla quale i migranti scesero sul barcone poi inabissatosi) e di alcuni membri del suo equipaggio.

 

Contraddizioni e ambiguità di un “eroe”

Il 6 giugno 2001, l’inchiesta giornalistica del quotidiano La Repubblica riaccende i riflettori mediatici sul naufragio del Natale ’96. Quali sono gli elementi nuovi posti da questa inchiesta?

 

Un pescatore di Portopalo, Salvatore Lupo, trova nelle sue reti da pesca una carta d’identità appartenente al giovane tamil Anpalagan Ganeshu. Il ritrovamento di questo documento identificativo, a detta del pescatore portopalese, risalirebbe a un periodo compreso tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001.

 

In un rapporto del Commissariato di Pachino del 2001 venne riportato quanto segue: “Questo ufficio ritiene altamente probabile che a rinvenire il documento sia stato proprio il Lupo Salvatore, non escludendosi che quest’ultimo possa essere stato uno dei pescatori che, subito dopo il naufragio, rinvennero i cadaveri. Ma viepiù, infatti il documento in questione risulta in ottimo stato di conservazione e appare improbabile che esso sia stato rinvenuto pochi mesi orsono. Quindi è verosimile che dopo il rinvenimento sia stato conservato, piuttosto che consegnato agli organi competenti nonostante vi fosse il fondato motivo di ritenere che esso potesse essere appartenuto a uno dei naufraghi del Natale 1996”.

 

Lo stesso pescatore ha affermato che agli inizi del 1997, pochi giorni dopo il naufragio, si recava a pescare, con la sua barca, nella zona di mare che i pescatori portopalesi chiamano Siccagno (secca), una vasta area in prossimità della quale sarebbe avvenuto il naufragio e dove sarebbero stati pescati i cadaveri, poi ributtati in mare da alcuni pescherecci di Portopalo (12-15 barche su un totale di circa 160 imbarcazioni che allora costituivano il compartimento marittimo locale).

 

È da ritenere un fatto eccezionale che, tra quanti all’epoca pescavano al Siccagno, proprio quel pescatore, che alla fine del 1996 ricopriva anche la carica di assessore al comune di Portopalo, non abbia mai avuto l’occasione di rinvenire resti delle vittime del naufragio né di avere avuto notizia, allora, sia lui sia i suoi colleghi di giunta, di macabri rinvenimenti da parte di altri marinai o di episodi analoghi.

 

Tuttavia, nel giugno 2001, il pescatore dichiarava di non aver pescato alcun cadavere e di aver ritrovato solo un tesserino di riconoscimento, tra l’altro nell’aprile del 2001. “Il mio ruolo in questa tragedia è stato solo quello di aver ritrovato una tessera di riconoscimento [...] Io ho trovato solo questa tessera che è stata quindi consegnata dal sottoscritto ad un mio amico di Roma che si è messo in contatto con il giornalista del quotidiano Repubblica, autore del reportage”. Altro punto controverso è se il pescatore si sia rivolto o no alle autorità, senza essere creduto. Quando gli fu chiesto il perché della sua scelta di rivolgersi ad un giornale e non alle forze dell’ordine, Lupo rispose: "Temevo di non essere creduto".

 

L’assessore Lupo

Tra la fine del 1996 e il 1998 (il periodo cruciale dell’inchiesta giudiziaria), anni in cui sarebbero dovute scattare le denunce da parte di chi sapeva o non poteva non sapere, il pescatore Lupo, l’unico, in ogni caso, della Giunta municipale portopalese a sapere (o a aver saputo) e a parlare, sebbene con anni di ritardo, ricopriva la carica di assessore.

 

Lupo, dunque, aveva a disposizione anche l’opzione istituzionale, essendo parte dell’amministrazione comunale, per portare a conoscenza dell’opinione pubblica la vicenda del naufragio del Natale ’96 poco tempo dopo la tragedia.

 

Pochi giorni dopo il naufragio, quando tra i pescatori del Siccagno cominciava a circolare la voce dei cadaveri impigliati nelle reti e ributtati in mare, l’assessore Lupo avrebbe potuto convocare un incontro in municipio, con i rappresentanti della marineria locale e il sindaco, magari per preparare un documento ufficiale da inoltrare alle autorità competenti.

 

Il peschereccio di Lupo

Ha fatto spesso capolino nei giorni scorsi, avvicinandosi la messa in onda della fiction su Rai 1, la circostanza che Lupo abbia dovuto vendere il peschereccio andandosene dal paese perché l’aria si era fatta pesante. Si parlò, allora, di silenzi che isolano e rappresaglie che non fanno più vivere [...] del testimone/eroe costretto a vendere il peschereccio. Dove sta la verità?

 

Il signor Salvatore Lupo già nel giugno 2001, in “tempi non sospetti”, aveva inoltrato la richiesta di demolizione del suo peschereccio, poco tempo dopo la riapertura dei termini per fruire dell’indennità di demolizione da parte del Ministero.

 

Il pescatore-armatore presentò, dunque, regolare richiesta all’ufficio locale marittimo: nessuna persecuzione ma, da parte di Lupo, semplici e legittime valutazioni di natura economica, scelte di opportunità o necessità che nulla avevano a che vedere con ritorsioni persecutorie, presunte o reali, da mettere in relazione a eventuali conseguenze dello scoop.

 

A Portopalo c’è tantissima gente onesta che dal giugno 2001 si è vista trasformare in “radicalmente omertosa”. Si dica che tanti portopalesi (che non hanno mai ricoperto cariche pubbliche a livello municipale) hanno fatto per gli immigrati più di quello che hanno fatto a loro tempo (dal 1996 al ‘99) gli ex amministratori di Portopalo di cui si è parlato troppo e troppo eroicamente.

 

E così, riconoscendo, ammettendo e confessando, si dica anche che non c’è stata alcuna persecuzione nei confronti del pescatore (testimone) mentre ve ne è stata una, interminabile e vergognosa, contro Portopalo, per le infinite vie dell’universo mass-mediatico nazionale e internazionale, con pochissime eccezioni.

 

Se non c’è stata – come non c’è stata, né c’è – alcuna persecuzione verso il signor Lupo, si ha tutto il diritto di pensare che si sia insistito nel creare un caso umano per mantenere desta una querelle su Portopalo che non ha alcun motivo di essere.

 

Di recente, infine, è apparsa sul web un’intervista a Salvo Lupo in cui parla del ragazzo della fiction Rai, Fortunato, come realmente esistente. Lupo riferisce di averlo anche sentito e che il ragazzo è tornato in Sri Lanka.

 

Beppe Fiorello, invece, ha più volte ribadito che quel ragazzo è pura invenzione della fiction. Oltretutto, non serviva Fiorello per sapere che quel ragazzo visto nelle due puntate della fiction Rai era un personaggio inventato per esigenze di copione.

 

Il parroco

Nel fare luce su quegli aspetti del naufragio del Natale ’96 tenuti nell’ombra se non travisati nella fiction di Rai 1, due parole le merita il parroco, quel don Calogero Palacino da Raddusa che ormai da alcuni anni non è più a Portopalo.

 

Un prete che si è sempre impegnato nell’accoglienza dei migranti, aiutando i sofferenti e i poveri che bussavano alla porta della parrocchia. Quali le colpe di don Palacino?

 

Palacino è stato un parroco sempre ostinatamente deciso a prendere sul serio la tonaca che porta [...] impegnandosi senza sosta per la sua comunità: per l’unità delle famiglie, per offrire agli adolescenti un percorso di crescita religiosa e umana, in stretta collaborazione con la scuola e le istituzioni locali.

 

“Ho sempre detto – afferma don Palacino – che bisognava rivolgersi a chi amministrava il paese in quegli anni, che bisognava chiedere a loro conto del silenzio che si era formato su quella tragedia [...] E mi sono battuto per il recupero del relitto e dei corpi di quel naufragio. Da Portopalo mi feci promotore di una raccolta di firme. Ne raccogliemmo circa 1.100, tantissime per una piccola comunità come la nostra. Firme che poi inviammo in Parlamento. Mi ero reso disponibile a destinare una parte del nostro territorio quale luogo di preghiera e di memoria perenne dei morti del naufragio del Natale ’96 e di tutte le vittime senza nome che hanno perso la vita durante la traversata del Mediterraneo”.

 

Ecco un breve riepilogo temporale degli eventi:

 

Notte di Natale del 1996 (mare forza sette-otto). In seguito a una collisione con la motonave Yioahn (comandata dal libanese Youssef El Hallal) quasi 300 immigrati restano intrappolati a bordo di un barcone di legno maltese che cola a picco. I pochi superstiti (una trentina) risalgono sulla Yioahn. La nave proveniva da Alessandria d'Egitto.

 

30 dicembre 1996. I sopravvissuti vengono sbarcati in Grecia, a Napflion. Gli stessi parlano dell’avvenuto naufragio di Natale, della dinamica del trasbordo sulla lancia maltese, della collisione e dell’affondamento della “carretta del mare” [...]

 

31 dicembre 1996. Primo dispaccio della Capitaneria di Porto di Catania a tutte le capitanerie della Sicilia Orientale riguardante “circa 300 immigrati finiti in mare durante un tentativo di sbarco”.

 

5 gennaio 1997. Lancio dell’agenzia di stampa Reuters sull’avvenuto naufragio. Il quotidiano italiano il Manifesto, il britannico The Observer e il giornale greco Ethnos mandano i loro inviati ad Atene.

 

Livio Quagliata (il Manifesto) pubblica una serie di servizi sulla tragedia di Natale. [...] In Sicilia, l’emittente televisiva Telecolor Catania si occupa della vicenda con un servizio del giornalista siracusano Massimo Leotta.

 

L’ammiraglio Renato Ferraro, intervistato allora dal Manifesto, dichiara: “Abbiamo informato tutte le autorità marittime e tutte le capitanerie della Bassa Italia, che stanno svolgendo attività di pattugliamento. Abbiamo molti dubbi sulla fondatezza della notizia del naufragio perché non si è trovato tuttora alcun riscontro”. L’ufficiale conferma, indirettamente, che le ricerche sono in corso. Nessun silenzio dalle autorità, quindi, nessuna distrazione da parte degli organi d’informazione.

 

9 gennaio 1997. Il Senato del Pakistan, venuto a conoscenza della tragedia tra Malta e la Sicilia, approva un documento in cui si impegna l’Esecutivo pakistano a chiedere, in via ufficiale, chiarimenti al Governo italiano sul naufragio.

 

Lo stesso giorno, Livio Quagliata (Manifesto) intervista uno dei pochi superstiti, un tamil di 38 anni che racconta i passaggi salienti dell’ultima parte del viaggio. Riferisce di luci che vedevano a distanza, della sosta della Yiohan, all’una di notte circa del 24 dicembre e a circa 30 chilometri dalle coste italiane (poco più di 16 miglia marine).

 

Descrive il momento del trasferimento nel barcone, che poi è tornato indietro perché imbarcava acqua da una falla determinata dall’urto con la nave. La barca, carica fino all’inverosimile, mette la prua verso la Sicilia. L’acqua continua però ad appesantirla a tal punto che il capitano del F-174 chiama via radio la Yiohan per chiedere aiuto.

 

La motonave torna indietro, raggiunge il barcone ma durante l’accostamento c’è un’altra collisione: questa volta la carretta di legno si spezza, mantenendo integra la poppa. Dalla Yiohan vengono buttate delle corde in mare per tentare di salvare qualcuno. La stragrande maggioranza di coloro che erano stati fatti salire sul peschereccio non riescono ad uscire e vanno a fondo. La Yiohan, con i pochi scampati al naufragio, fa rotta verso la Grecia ed è qui che verranno fatti sbarcare i superstiti che verranno interrogati dalla polizia ellenica [...].

 

10 gennaio 1997. “La prima lista di naufraghi”: è il titolo di un pezzo pubblicato dal quotidiano il Manifesto, firmato da Massimo Giannetti. Si fa riferimento ad un elenco di dispersi, stilato dall’ambasciata pachistana di Atene, in un naufragio verificatosi nel Mediterraneo la notte di Natale. L’elenco circola anche alla stazione Termini di Roma, luogo d’incontro degli immigrati che vivono nella capitale. Scrive Giannetti: «Due fogli pieni di nomi, cognomi e città di provenienza di 68 delle circa 300 persone (tra indiani, pachistani e tamil dello Sri Lanka) naufragati nel canale di Sicilia: tra i cittadini del Pakistan 31 sono i dispersi, 37 i superstiti (questi ultimi trattenuti in Grecia)».

 

13 Gennaio 1997. Secondo dispaccio dalla Capitaneria di Porto di Catania a tutte le Capitanerie della Sicilia orientale: “Le ricerche sono ancora in corso.

 

Febbraio 1997. “Dopo la tragedia, la nave Yioahn finì la sua corsa in Calabria. Due funzionari della Polizia di Stato di Reggio Calabria dal febbraio 1997 si sono occupati del tragico naufragio: il dirigente della polizia marittima reggina, Castrense Militello, e l'ispettore capo della polizia scientifica Salvatore Gagliano [...] Nel momento di ispezionare la motonave, i poliziotti scoprivano che sulla fiancata erano stampigliate tre lettere “oah”, per cui, dopo aver rimosso la vernice bianca, accertavano uno strato di vernice blu e le restanti lettere per formare il nome Yioahn [...].

 

Aprile-Maggio 1997. Dopo il ritrovamento di un cadavere a largo di Augusta (Siracusa), “compatibile” con la tragedia di Natale, la Procura della Repubblica di Siracusa apre l’inchiesta su un naufragio di vaste dimensioni che potrebbe essersi verificato nelle acque territoriali italiane.

 

La Procura siracusana chiederà (e otterrà) il rinvio a giudizio per il capitano Youssef El Hallal e dodici membri dell’equipaggio della Yiohan per omicidio colposo plurimo aggravato. 

 

Giugno 2001. Viene trovato un relitto a largo di Capo Passero, in seguito all'inchiesta giornalistica del quotidiano La Repubblica su indicazioni del pescatore portopalese Salvo Lupo (assessore municipale a Portopalo tra il 1996 e il ’98). Il relitto, filmato con l’ausilio di un Rov, viene localizzato a 19 miglia e a 108 metri di profondità. Per Repubblica è il relitto del ferry boat maltese affondato nel naufragio del Natale ‘96.

 

Il Procuratore Capo della Repubblica di Siracusa, Roberto Campisi, dichiara agli organi di stampa, nei giorni immediatamente seguenti il ritrovamento del relitto da parte del quotidiano La Repubblica: “Vorrei capire il perché di tutto questo clamore su una tragedia sulla quale stiamo indagando da quattro anni e che non è mai stata nascosta”.

 

 

I misteri sul relitto

Quello mostrato dal Rov è il relitto del F-174 naufragato alla fine del 1996?

Qualche dubbio, basato su elementi non trascurabili, va posto, chiarendone le ragioni.

Le foto delle riprese effettuate da Repubblica con il Rov, pubblicate nell’edizione cartacea e inserite nel sito web del quotidiano romano non hanno mai mostrato il mascone di prua del relitto ovvero la parte dove si trova il nome identificativo della barca.

 

Una circostanza molto strana poiché non pochi subacquei professionisti alla domanda “come si fa a dimostrare in modo inoppugnabile che ci si trovi in un determinato relitto?”, hanno risposto: “Si fotografa il mascone di prua”. È in quel punto, infatti, che c’è la sigla identificativa del relitto.

 

Ma non sarebbe questa l’unica ragione di perplessità. I naufraghi sopravvissuti dichiararono che dal meeting-point, dove fu eseguito il trasbordo degli immigrati dalla ‘Yioahn’ al barcone di legno, si vedevano le luci della costa siciliana.

 

Per non pochi pescatori di Portopalo, molti dei quali con una buona esperienza marinara alle spalle, con il mare in burrasca (e nella notte del naufragio, ripetiamolo, le condizioni atmosferiche erano pessime) è molto difficile, quasi impossibile, vedere da 19 miglia a largo le luci della costa siciliana.

 

C’è, infine, la testimonianza, rilasciata al processo di Siracusa, di uno dei sopravvissuti di quel naufragio, il pakistano Ahmad Shakoor. Nell’udienza del 17 novembre 2004 Shakoor parla dell’attimo esatto della collisione tra la Yiohan e la carretta maltese che, in seguito all’urto, si spezza in due tronconi [...] Il relitto mostrato da Repubblica sembrerebbe, invece, intero. Che si tratti di un altro relitto, collegato ad un altro naufragio?

 

L’eventualità non sarebbe da scartare, anzi. Quelli appena elencati e descritti sono dubbi scaturiti da diversi indizi convergenti.

L’omertà di quel ristretto numero di pescatori portopalesi che hanno rinvenuto resti di corpi c’è stata. È importante, allora, individuarne le ragioni e pazienza se esse potranno deludere le attese del sensazionalismo, amplificato dalla fiction Rai, che in maniera un po’ contraddittoria si basa su stereotipi e schemi interpretativi preconfezionati.

 

 

La presente inchiesta, pubblicata in versione estesa su gazzettadelmediterraneo.it, è basata sul libro di Sergio Taccone, Dossier Portopalo. Verità a confronto (GB EditoriA 2008).



 

 

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