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ANTICA


N. 79 - Luglio 2014 (CX)

Porta Tiburtina
IL VARCO DI “quelli ke gessiano grassi de roma”

di Federica Campanelli

 

Porta Tiburtina – detta anche, a partire dal periodo post costantiniano, porta San Lorenzo – è un varco a singolo fornice collocato a est della cinta muraria edificata da Lucio Domizio Aureliano e Marco Aurelio Probo nella seconda metà del III secolo, laddove la consolare Tiburtina Valeria usciva dall’urbe per dirigere il cammino verso Tibur (Tivoli). Circa 100 metri oltre la porta, dalla via Tiburtina si separava la via Collatina, collegamento tra Roma e Collatia, nei pressi dell’attuale frazione di Lunghezza.

 

Com’è evidente, gli antichi tracciati suburbani di queste strade non corrispondono più alle omonime odierne: sappiamo che il primo tratto della l’antica Collatina oggi corrisponde al tragitto composto da via dei Falisci, largo degli Osci e via degli Apuli, lo stesso percorso che venne a coincidere, in epoca altomedievale, con il vicolo Malabarba (dal toponimo mola Barbara in riferimento al fondo situato fuori porta San Lorenzo).

 

Più immediata risulta l’identificazione della tratta iniziale della via per Tibur al momento della costruzione delle mura aureliane: essa è concorde con l’attuale via Tiburtina Antica, sita pochi metri più a nord rispetto al piazzale dove ha origine la via Tiburtina moderna.

 

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Porta Tiburtina, versante interno

(visibile da via di porta San Lorenzo)

 

Il fornice, realizzato con blocchi di travertino, non fu inizialmente concepito come porta urbica. Porta Tiburtina vanta, infatti, una storia personale ben più antica dell’importante recinto difensivo del III secolo. La sua costruzione risale all’anno 5 a.C. quando l’imperatore Ottaviano Augusto volle realizzare un arco monumentale a sostegno del triplo acquedotto che in quel periodo fu oggetto d’interventi di risanamento e che comprendeva i condotti delle Aquae Marcia (144 a.C.), Tepula (125 a.C.) e Iulia (33 a.C.). La preziosa testimonianza di questa prima fase costruttiva del fornice, incisa a livello dello speco dell’Aqua Iulia, è visibile sul versante interno (rispetto alle mura):

 


IMP(erator) · CAESAR · DIVI · IULI · F(ilius) · AUGUSTUS

PONTIFEX · MAXIMUS · CO(n)S(ul) · XII

TRIBUNIC(ia) · POTESTAT(e) · XIX · IMP(erator) · XIIII

RIVOS · AQUARUM · OMNIUM · REFECIT

 

L’imperatore Cesare Augusto, figlio del divino Giulio

Pontefice massimo, Console per la XII volta

con il potere tribunizio per la XIX volta, Imperatore per la XIV volta

rifece le condutture di tutti gli acquedotti


 

L’arco augusteo è realizzato con blocchi di roccia travertino e conserva ancora intatti – nonostante l’incuria – apprezzabili elementi strutturali originali come i piedritti di ordine tuscanico, le chiavi di volta con i tipici bucrani nonché l’attico a due piani contenente le condutture degli antichi acquedotti. Sullo stesso, inoltre, sono leggibili le incisioni poste a commemorazione dei successivi interventi promossi dagli imperatori Tito nel 79 e Caracalla nel 212.

L’ordine con cui si presentano le epigrafi non rispetta quello cronologico. L’iscrizione di Caracalla, è infatti posta inferiormente a quella augustea, e si riferisce al processo di potenziamento dell’Aqua Marcia che portò alla diramazione nota come Aqua Antoniana:

 


IMP(erator) · CAES(ar) · M(arcus) · AURELLIUS · ANTONINUS

PIUS · FELIX · AUG(ustus) · PARTH(icus) · MAXIM(us) · BRIT(annicus) · MAXIMUS  PONTIFEX · MAXIMUS · AQUAM · MARCIAM · VARIIS · KASIBUS · IMPEDITAM  PURGATO · FONTE · EXCISIS  ET · PERFORATIS · MONTIBUS · RESTITUTA · FORMA  ADQUISITO · ETIAM · FONTE  NOVO · ANTONINIANO · IN · SACRAM · URBEM · SUAM  PERDUCENDAM · CURAVIT

 

L’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Pio Felice Augusto

Partico Massimo, Britannico Massimo, Pontefice massimo

condusse nella sua sacra città l’acquedotto Marcio, bloccato da diversi incidenti,

dopo aver ripulito la sorgente, tagliato e perforato le montagne

restaurato il tracciato e dopo aver anche messo a disposizione

la nuova sorgente Antoniniana


 

Sullo speco dell’Aqua Marcia, corrispondente alla fascia più bassa dell’attico, è invece incisa l’epigrafe di Tito, qui ricordato per aver riabilitato la funzione dell’acquedotto:

 


IMP(erator) · TITUS · CAESAR · DIVI · F(ilius) · VESPASIANUS 

AUG(ustus) · PONTIF(ex) · MAX(imus)

TRIBUNICIAE · POTESTAT(is) · IX · IMP(erator) · XV · CENS(or) · CO(n)S(ul) · VII  DESIG(natus) · IIX P(ater) · P(atriae) · RIVOM · AQUAE · MARCIAE · VETUSTATE  DILAPSUM · REFECIT · ET · AQUAM QUAE · IN · USU · ESSE · DESIERAT · REDUXIT

 

L’imperatore Tito Cesare Vespasiano Augusto, figlio dell’imperatore divinizzato, pontefice massimo con il potere tribunizio per la IX volta, imperatore per la XV volta, censore, console per la VII volta, designato per la VIII volta, padre della patria, rifece le condutture dell’acquedotto Marcio distrutte dal tempo e ricondusse

l’acqua che aveva cessato di essere in uso


 

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Porta Tiburtina in un'incisione a bulino del 1566

 

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Speco del sistema d'acquedotti sulla sommità dell'arco

 

Da quel momento, la storia dell’arco augusteo seguirà di pari passo le diverse fasi evolutive della nuova cinta muraria aureliana, costruita oltre il vecchio perimetro delle mura serviane. Indotto dalle progressive incursioni delle popolazioni germaniche in territorio italico, l’imperatore Aureliano avviò i lavori di fortificazione di Roma nel 271. Dall’epoca in cui furono innalzate le precedenti mura, lo sviluppo urbanistico di Roma – contraddistinto anche da quel processo di monumentalizzazione in periodo augusteo – fu difatti enorme e la città si era largamente sviluppata oltre la vecchia cinta muraria.

 

Con la nuova fortificazione, lunga circa 19 chilometri e alta dai 6,50 agli 8 metri, Aureliano volle concretamente e in maniera decisiva delimitare l’estensione della città. L’urgente messa in opera del nuovo circuito difensivo doveva rispondere anche ad esigenze principalmente di carattere economico e strategico: per sopperire a tali necessità, il percorso delle mura, quando possibile, attraversava e includeva preesistenti edifici pubblici e beni immobili di proprietà imperiale, riducendo così gli oneri d’esproprio per le proprietà private e risparmiando in termini di tempo e materiale da costruzione. Le mura aureliane inglobarono un gran numero abitazioni, sepolcri e diversi altri monumenti, alcuni dei quali subirono modifiche indispensabili all’adattamento architettonico.

 

Con l’annessione alle mura aureliane, l’arco di augusto fu fornito di due torri di guardia semicircolari, inglobando oltretutto un sepolcro di età repubblicana (è nota la presenza di vaste aree funerarie sul tragitto delle vie consolari) e cambiò definitivamente destinazione d’uso, assumendo il ruolo di porta urbica, la porta Tiburtina. L’aspetto di allora non doveva discostarsi molto da quanto è visibile oggi da via di Porta San Lorenzo, il versante interno delle mura.

 

Al contrario, il prospetto rivolto esternamente le mura, mostra chiaramente alcuni dei più importanti rimaneggiamenti successivi al periodo aureliano. Tra il 401 e il 403, sotto l’imperatore Onorio e il magister militum Flavio Stilicone, l’intero circuito delle mura subì un marcato stravolgimento in risposta al rinnovato pericolo d’incursione da parte dei barbari. Le altezze delle torri e delle cinta furono perciò incrementate fino a superare i 10 metri, comportando la formazione di un doppio camminamento di ronda situato a livelli differenti. Così come le mura e le torri aureliane, pure le sue porte furono restaurate, o meglio, rinforzate principalmente mediante cortine lapidee a singolo fornice edificate all’esterno.

 

Ciò è quanto accadde anche per porta Tiburtina e ancor oggi, sul versante ovest, è presente la controporta in opera quadrata di travertino innalzata nel V secolo. Questa è dotata di quattro merli di protezione nella parte sommitale della struttura e cinque monofore a tutto sesto che davano luce alla camera di manovra della saracinesca.

 

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Porta onoriana, versante esterno

(visibile da via di porta Tiburtina)

 

A memoria dell’opera di Onorio, l’iscrizione – che riporta anche i nomi del fratello, nonché imperatore romano d’Oriente, Arcadio, e del prefetto Macrobio Longiniano, curatore del restauro – visibile sulla facciata di via di Porta Tiburtina recita:

 


S(enatus) · P(opulus)Q(ue) · R(omanus)


IMPP · CAESS · DD · NN · INVICTISSIMIS · PRINCIPIB(us) · ARCADIO · ET · HONORIO VICTORIB(us)
· AC · TRIUMPHATORIB(us) · SEMPER · AUGG · OB · INSTAURATOS 

URBI(s) · AETERNAE · MUROS PORTAS · AC · TURRES · EGESTIS  

[INMENSIS · RUDERIBUS · [EX · SUGGESTIONE · V(iri) · C(larissimi) · ET · INLUSTRIS  COMITIS · ET · MAGISTRI] UTRIUSQ(ue) · MILITIAE · STILICHONIS] · AD  PERPETUITATEM · NOMINIS · EORUM · SIMULACRA · CONSTITUIT · [CURANTE 

FL(avio) · MACROBIO · LONGINIANO] · V(iro) · C(larissimo) · PRAEF(ecto) · URBIS 

D(evotus) · N(umini) · M(aiestati)Q(ue) · EORUM

 

Il Senato e il Popolo di Roma

 

appose per gli Imperatori Cesari Nostri Signori e Principi invittissimi Arcadio e Onorio vittoriosi e trionfanti, sempre augusti, per celebrare la restaurazione delle mura

porte e torri della Città Eterna, dopo la rimozioni di grandi quantità di detriti.

Dietro suggerimento del distinto e illustre

soldato e comandante di entrambe le forze armate Flavio Stilicone,

le loro statue vennero erette a perpetuo ricordo del loro nome

Flavio Macrobio Longiniano, distino prefetto dell’Urbe devoto

alle loro maestà e ai divini numi curò il lavoro


 

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Porta onoriana, versante esterno

(dettaglio con l'iscrizione datata al 402)

 

L’avancorpo che avrebbe dovuto trovarsi sull’altro lato della porta, internamente alla città, scomparve nel corso del XIX secolo, principalmente per mano di papa Pio IX che nel 1869 iniziò la spoliazione del paramento in travertino onoriano, per ricavarne materiale da costruzione.

 

Per quanto riguarda le due torri ai lati di porta Tiburtina, è probabile che Onorio, nonostante l’incisivo intervento di fortificazione, abbia mantenuto l’originale andamento semicircolare delle stesse e che solo successivamente, nel 1586, queste assunsero la definitiva forma quadrangolare per volere del cardinale Alessandro Farnese. Sul prospetto est della torre sinistra, guardando la porta onoriana, è riconoscibile il suo stemma cardinalizio, posto a pochi centimetri di distanza da quello del cardinale Gian Pietro Carafa (papa Paolo IV dal 1555) evidentemente anch’egli protagonista di un precedente risanamento della struttura.

 

 

Stemmi cardinalizi di G.P. Carafa (a sinistra) e A. Farnese (a destra)

 

Durante il periodo medievale, la porta Tiburtina era riconosciuta prevalentemente con un altro appellativo, quello associato al diacono Lorenzo, martirizzato il 258 sotto l’imperatore Valeriano. Al di là della porta sorge, infatti, l’affascinante basilica patriarcale di San Lorenzo fuori le mura, edificata dalla fusione delle antiche chiese erette dai papi Pelagio II (VI secolo) e Onorio III (XIII secolo) nell’area dell’ager Veranus, dove furono deposte le reliquie del Santo.

 

Importante meta di pellegrinaggio, i fedeli dovevano varcare la porta Tiburtina, quindi di San Lorenzo, per raggiungere l’omonima basilica f.l.m. È plausibile che parallelamente alla nascita del titolo di porta San Lorenzo, sia nato anche il più folcloristico nome di porta Taurina, che non è riconducibile a una qualche corruzione linguistica della parola Tiburtina, ma più semplicemente alla presenza dei due teste bovine, disposti a ornamento delle chiavi di volta dell’antico arco augusteo. A voler essere più precisi, l’altorilievo situato sulla porta esterna alla città rappresenta un bucranio (letteralmente “cranio di bue”), a differenza del lato opposto, dove la chiave di volta è decorata un bucefalo (alla lettera “testa di bue”).

 

 

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Dettagli dell'arco augusteo con il bucefalo (in alto) e il bucranio (in basso)

 

Su quest’ultima impressione popolare, la più efficace citazione è senza dubbio quella ereditata da Le Miracole de Roma (XIII secolo), la prima vera guida della Città Eterna redatta in volgare, ricca di itinerari e descrizioni delle cose notabili dell’urbe, non priva di fantasie e qualche errore d’interpretazione. Le Miracole è, di fatto, la volgarizzazione del più antico e celebre Mirabilia Urbis Romae (XII secolo), un trattato latino sulle “meraviglie” cristiane e pagane di Roma, arricchita dai racconti di episodi leggendari sorti sulle sue incantevoli vestigia.

 

[...] porta Tarina, inperzò ke b’ ene scolpito uno capo de bove dopplo secco et verde; lo secco ene de fore et significa quelle ke macri intravano in Roma; lo verde oi lo grasso de dentro significa quelli ke gessiano grassi de Roma; et questa porta Tarina se dice porta Santo Laurentio uoi Tiburtina [...]”.

 

“[...] porta Taurina, poiché v’è scolpita una testa di bue doppia, ossuta e florida; quella ossuta si trova fuori e rappresenta coloro che magri entravano a Roma; quella florida o grassa al’interno, rappresenta coloro che uscivano ingrassati da Roma; e questa porta Taurina è detta porta San Lorenzo o Tiburtina [...]”.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Le miracole de Roma, adespoto, manoscritto, Firenze, Biblioteca Mediceo-Laurenziana, cod. Gaddiano Rel. CXLVIII, ed. E. MONACI, in “Archivio della Regia Società Romana di Storia Patria”, 39 (1916), pp. 557-581.



 

 

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