[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

168 / DICEMBRE 2021 (CXCIX)


antica

SULLE POPOLAZIONI GERMANICHE

LE DIFFERENZE IN CESARE E IN TACITO

di Luigi De Palo

 

Gaio Giulio Cesare nacque probabilmente il 12-13 luglio del 100 a.C. La Gens Iulia era di antica aristocrazia tant’è che si diceva che il capostipite fosse Iulo figlio di Enea. La zia paterna aveva inoltre sposato l’eroe Gaio Mario e avevano avuto un figlio, Mario, cugino di Cesare, che continuerà l’opera del padre.

 

Al tempo della nascita di Cesare le tribù germaniche cominciarono a muoversi verso occidente alla ricerca di nuove terre, con le incursioni dei Cimbri e dei Teutoni, i quali arrivarono fino alla provincia romana della Gallia Narbonense. Qui discesero il Rodano sollevando le tribù celtiche appena assoggettate a Roma sconfiggendo più volte le legioni romane.

 

I Cimbri penetrarono poi in Iberia, e i Teutoni nella Gallia settentrionale, minacciando la Gallia cisalpina. Fu Gaio Mario che in due battaglie sconfisse entrambi i popoli: i Teutoni ad Aquae Sextiae nel 102 a.C., i Cimbri ai Campi Raudii nel 101 a.C.

 

All’epoca di Cesare la questione germanica era ben lungi dall’essere risolta: tribù suebiche comandate da Ariovisto passarono il Reno e penetrarono in Gallia contro i Galli sequani, alleati di Roma. Cesare fu dunque obbligato ad affrontarli e, una volta sconfitto Ariovisto, li costrinse a ripassare il fiume (58 a.C.), il quale divenne il nuovo confine tra i germani e i romani.

 

Cesare però non affrontò i germani senza timori: le voci che giravano su questo popolo ancora in gran parte misterioso, che arrivavano soprattutto dai galli, parlavano di uomini possenti, abili nelle armi ed esperti guerrieri: tali dicerie ebbero l’effetto di creare il panico tra le file dei soldati di Cesare, tant’è che alcuni tribuni e prefetti, nonostante fossero alleati di Cesare stesso, chiesero addirittura di ritornare a Roma.

 

Visto quindi il grande turbamento, Cesare decise di studiare meglio questa popolazione così particolare e si rese subito conto che erano molto diversi dai Galli, senza druidi e sacrifici, ma costantemente impegnati in guerre e razzie.

 

Nella cultura latina è possibile trovare esempi di analisi approfondite di civiltà con le quali i romani si trovarono a confrontarsi ed è quello che fece Cesare nella sua opera Commentarii de bello Gallico, descrivendo i germani come uomini dal fisico imponente, valorosi e avvezzi al combattimento. Un popolo terribile, che incuteva solo con lo sguardo un timore tale da sconvolgere l’animo di chiunque osasse sfidarli.

 

Il futuro dittatore rimane impressionato dalla loro fierezza e dall’educazione simil spartana dei giovani, focalizzata sulla caccia e la milizia, addestrati fin da piccoli alla fatica, alla guerra e alle razzie.

 

Essi inoltre non conoscono l’agricoltura e neanche il concetto di proprietà, perché, ci dice Cesare, ritengono che una fissa dimora con troppe comodità e l’agricoltura possano renderli meno inclini alla guerra. Per i germani non c’è niente di meglio che devastare terre ed eliminare i loro vicini; quando sono in guerra scelgono magistrati che siano signori della guerra, con diritto di vita e di morte.

 

L’obiettivo di Cesare è quello di mostrare la brutalità dei popoli che osavano opporsi alla gloria di Roma, non accettando quegli aspetti della cultura barbara che erano molto, forse troppo, lontani dagli ideali latini. E con i germani non fa distinzioni.

 

In maniera diversa rispetto alla ideologia cesariana si pone Publio Cornelio Tacito (55 d.C.-117 d.C.). Di Tacito sappiamo ben poco, neanche dove è nato, ma siamo sicuri che fu un senatore, un oratore e probabilmente lo storiografo più importante della letteratura latina.

 

Abbiamo notizie certe che nell’88 lo storiografo lasciò Roma per un incarico in Germania. Questa esperienza gli fornì il materiale necessario per la stesura della sua opera De origine et situ Germanorum (più comunemente nota come Germania), pubblicata nel 98.

 

Dopo Cesare, l’Imperatore Augusto decise di passare a una politica offensiva, con l’intento di conquistare militarmente la Germania al fine di spostare i confini del regno dal Reno all’Elba. Nonostante gli avvenimenti storici degli ultimi anni avevano reso i popoli di lingua germanica nemici giurati dei latini, Tacito ebbe la bravura di descriverne le usanze e i costumi in modo imparziale.

 

Inoltre l’opera di Tacito mirava a soddisfare l’esigenza dei romani di conoscere il nord del mondo conosciuto: Quando lo storiografo scrisse infatti la sua monografia sui Germani, Traiano veniva acclamato imperatore a Colonia, dove si trovava come governatore della Germania superior. Prima di lui Domiziano nell’83 e nell’89 d.C. combattè contro i Catti, i Marcomanni e i Quadi. La propaganda imperiale tendeva a presentare i successi di Domiziano e la presenza di Traiano come le soluzioni definitive della questione germanica, ma la realtà, come ci dice lo stesso Tacito, era molto diversa: i germani non erano mai stati del tutto piegati e continuavano a essere una minaccia.

 

Nell’opera di Tacito i primi 5 paragrafi trattano del territorio e delle razze che vi abitano, dal sesto al 27 paragrafo degli usi e dei costumi comuni a tutti i Germani, dal 28 al 45esimo abbiamo una disamina delle svariate tribù e nel 46esimo e ultimo paragrafo tratta degli ignoti confini a nord del paese.

 

La popolazione germanica viene presentata come una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi raffinati di una società decadente come quella romana: come vedremo a breve, c’è un forte e continuo confronto tra l’Impero romano, ormai prossima alla fine, e la società germanica dalle virtù civili ancora incontaminate.

 

Lo storiografo concorda con Cesare quando parla dell’economia presso i Germani, che è inesistente (tutto viene gestito tramite il baratto), ma sempre con la finalità di sottolineare le differenze con i romani, corrotti invece dall’avarizia. Riprendendo sempre Cesare, Tacito conferma che i Germani maschi amano la guerra e la razzia, che per loro sono i modi più onorevoli per poter vivere e che non praticano l’agricoltura: il loro cibo è costituito perlopiù da selvaggina, frutti selvatici e latte cagliato.

 

In generale in Tacito i Germani escono “migliori” dei romani, ma non è questo il suo intento: l’opera si pone come obiettivo non quello di idealizzare i germani e neanche vuole essere oggettiva (avrebbe potuto esserlo, riprendendo ad esempio i racconti dei mercanti che in quell’epoca commerciavano con i popoli del Nord, sui resoconti dei soldati impegnati nelle campagne militari al di là del Reno, sulla testimonianza dei Germani che vivevano all’interno dell’impero ecc.), ma vuole essere una sorta di monito ai costumi decadenti della società a cui egli appartiene (e che gli interessa) e di indicare una possibile soluzione, che potrebbe essere quella di non rifiutare ma, al contrario, di accettare e comprendere gli ideali e gli usi più puri delle popolazioni ritenute, erroneamente, inferiori.

 

Tacito è dunque consapevole che la cultura dei germani è totalmente diversa e non paragonabile a quella dell’Impero, ma può comunque offrire degli spunti di riflessione utili per migliorare la società romana stessa. Descrivendo le popolazioni germaniche, Tacito offre ai suoi concittadini una rappresentazione di sé stessi e del potere che li governa: parlando dei barbari, lo storiografo parla in realtà ai Romani del suo tempo, li vuole far riflettere sulla propria decadenza, far comprendere che Roma è avviata verso la fine del proprio ciclo vitale.

 

È in questo contesto che la primitività dei Germani si carica di tratti positivi, rappresenta lo stato di natura a cui si collegano innocenza, integrità morale e forza fisica. Tacito attribuisce ai barbari le virtù tipiche della Roma arcaica, repubblicana: la fides, la libertas, la simplicitas, valori in cui qualsiasi romano si riconosce e capisce quanto essi siano lontani nella società attuali, quegli stessi valori che hanno reso una volta Roma grande ora stanno inevitabilmente sparendo.

 

Da un lato abbiamo dunque Cesare, che vede nelle campagne militari un modo per dimostrare la superiorità dei Romani sugli altri popoli. Dall’altro invece Tacito, che percepisce la decadenza dell’impero e quindi ricerca modelli di comportamento nei popoli incontaminati del nord Europa. Ma perché queste visioni così diverse? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tenere presente che Tacito e Cesare vivono in due epoche storiche molto diverse da loro.

 

Cesare vedeva l’inizio dell’espansione romana, il declino della repubblica che avrebbe dato il via all’impero romano; era, quindi, un periodo di grande cambiamento e fiducia. Tacito invece vive in un periodo in cui l’espansione dell’impero, nonostante le ultime offensive, si sta arrestando. Un’epoca in cui i Romani hanno già conosciuto il lusso e si sono adagiati su di esso. Sono, infatti, ormai lontani gli anni delle grandi campagne militari in cui era vissuto Gaio Giulio Cesare e l’opera di Tacito ne è la piena dimostrazione.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]