antica
SULLE POPOLAZIONI GERMANICHE
LE DIFFERENZE IN CESARE E IN TACITO
di Luigi De Palo
Gaio Giulio Cesare nacque probabilmente
il 12-13 luglio del 100 a.C. La Gens
Iulia era di antica aristocrazia tant’è
che si diceva che il capostipite fosse
Iulo figlio di Enea. La zia paterna
aveva inoltre sposato l’eroe Gaio Mario
e avevano avuto un figlio, Mario, cugino
di Cesare, che continuerà l’opera del
padre.
Al tempo della nascita di Cesare le
tribù germaniche cominciarono a muoversi
verso occidente alla ricerca di nuove
terre, con le incursioni dei Cimbri e
dei Teutoni, i quali arrivarono fino
alla provincia romana della Gallia
Narbonense. Qui discesero il Rodano
sollevando le tribù celtiche appena
assoggettate a Roma sconfiggendo più
volte le legioni romane.
I Cimbri penetrarono poi in Iberia, e i
Teutoni nella Gallia settentrionale,
minacciando la Gallia cisalpina. Fu Gaio
Mario che in due battaglie sconfisse
entrambi i popoli: i Teutoni ad Aquae
Sextiae nel 102 a.C., i Cimbri ai Campi
Raudii nel 101 a.C.
All’epoca di Cesare la questione
germanica era ben lungi dall’essere
risolta: tribù suebiche comandate da
Ariovisto passarono il Reno e
penetrarono in Gallia contro i Galli
sequani, alleati di Roma. Cesare fu
dunque obbligato ad affrontarli e, una
volta sconfitto Ariovisto, li costrinse
a ripassare il fiume (58 a.C.), il quale
divenne il nuovo confine tra i germani e
i romani.
Cesare però non affrontò i germani senza
timori: le voci che giravano su questo
popolo ancora in gran parte misterioso,
che arrivavano soprattutto dai galli,
parlavano di uomini possenti, abili
nelle armi ed esperti guerrieri: tali
dicerie ebbero l’effetto di creare il
panico tra le file dei soldati di
Cesare, tant’è che alcuni tribuni e
prefetti, nonostante fossero alleati di
Cesare stesso, chiesero addirittura di
ritornare a Roma.
Visto quindi il grande turbamento,
Cesare decise di studiare meglio questa
popolazione così particolare e si rese
subito conto che erano molto diversi dai
Galli, senza druidi e sacrifici, ma
costantemente impegnati in guerre e
razzie.
Nella cultura latina è possibile trovare
esempi di analisi approfondite di
civiltà con le quali i romani si
trovarono a confrontarsi ed è quello che
fece Cesare nella sua opera Commentarii
de bello Gallico, descrivendo i germani
come uomini dal fisico imponente,
valorosi e avvezzi al combattimento. Un
popolo terribile, che incuteva solo con
lo sguardo un timore tale da sconvolgere
l’animo di chiunque osasse sfidarli.
Il futuro dittatore rimane impressionato
dalla loro fierezza e dall’educazione
simil spartana dei giovani, focalizzata
sulla caccia e la milizia, addestrati
fin da piccoli alla fatica, alla guerra
e alle razzie.
Essi inoltre non conoscono l’agricoltura
e neanche il concetto di proprietà,
perché, ci dice Cesare, ritengono che
una fissa dimora con troppe comodità e
l’agricoltura possano renderli meno
inclini alla guerra. Per i germani non
c’è niente di meglio
che devastare terre ed
eliminare i loro vicini; quando sono in
guerra scelgono magistrati che siano
signori della guerra, con diritto di
vita e di morte.
L’obiettivo di Cesare è quello di
mostrare la brutalità dei popoli che
osavano opporsi alla gloria di Roma, non
accettando quegli aspetti della cultura
barbara che erano molto, forse troppo,
lontani dagli ideali latini. E con i
germani non fa distinzioni.
In maniera diversa rispetto alla
ideologia cesariana si pone Publio
Cornelio Tacito (55 d.C.-117 d.C.). Di
Tacito sappiamo ben poco, neanche dove è
nato, ma siamo sicuri che fu un
senatore, un oratore e probabilmente lo
storiografo più importante della
letteratura latina.
Abbiamo notizie certe che nell’88 lo
storiografo lasciò Roma per un incarico
in Germania. Questa esperienza gli fornì
il materiale necessario per la stesura
della sua opera De origine et situ
Germanorum (più comunemente nota come
Germania), pubblicata nel 98.
Dopo Cesare, l’Imperatore Augusto decise
di passare a una politica offensiva, con
l’intento di conquistare militarmente la
Germania al fine di spostare i confini
del regno dal Reno all’Elba. Nonostante
gli avvenimenti storici degli ultimi
anni avevano reso i popoli di lingua
germanica nemici giurati dei latini,
Tacito ebbe la bravura di descriverne le
usanze e i costumi in modo imparziale.
Inoltre l’opera di Tacito mirava a
soddisfare l’esigenza dei romani di
conoscere il nord del mondo conosciuto:
Quando lo storiografo scrisse infatti la
sua monografia sui Germani, Traiano
veniva acclamato imperatore a Colonia,
dove si trovava come governatore della
Germania superior. Prima di lui
Domiziano nell’83 e nell’89 d.C.
combattè contro i Catti, i Marcomanni e
i Quadi. La propaganda imperiale tendeva
a presentare i successi di Domiziano e
la presenza di Traiano come le soluzioni
definitive della questione germanica, ma
la realtà, come ci dice lo stesso
Tacito, era molto diversa: i germani non
erano mai stati del tutto piegati e
continuavano a essere una minaccia.
Nell’opera di Tacito i primi 5 paragrafi
trattano del territorio e delle razze
che vi abitano, dal sesto al 27
paragrafo degli usi e dei costumi comuni
a tutti i Germani, dal 28 al 45esimo
abbiamo una disamina delle svariate
tribù e nel 46esimo e ultimo paragrafo
tratta degli ignoti confini a nord del
paese.
La popolazione germanica viene
presentata come una civiltà ingenua e
primordiale, non ancora corrotta dai
vizi raffinati di una società decadente
come quella romana: come vedremo a
breve, c’è un forte e continuo confronto
tra l’Impero romano, ormai prossima alla
fine, e la società germanica dalle virtù
civili ancora incontaminate.
Lo storiografo concorda con Cesare
quando parla dell’economia presso i
Germani, che è inesistente (tutto viene
gestito tramite il baratto), ma sempre
con la finalità di sottolineare le
differenze con i romani, corrotti invece
dall’avarizia. Riprendendo sempre
Cesare, Tacito conferma che i Germani
maschi amano la guerra e la razzia, che
per loro sono i modi più onorevoli per
poter vivere e che non praticano
l’agricoltura: il loro cibo è costituito
perlopiù da selvaggina, frutti selvatici
e latte cagliato.
In generale in Tacito i Germani escono
“migliori” dei romani, ma non è questo
il suo intento: l’opera si pone come
obiettivo non quello di idealizzare i
germani e neanche vuole essere oggettiva
(avrebbe potuto esserlo, riprendendo ad
esempio i racconti dei mercanti che in
quell’epoca commerciavano con i popoli
del Nord, sui resoconti dei soldati
impegnati nelle campagne militari al di
là del Reno, sulla testimonianza dei
Germani che vivevano all’interno
dell’impero ecc.), ma vuole essere una
sorta di monito ai costumi decadenti
della società a cui egli appartiene (e
che gli interessa) e di indicare una
possibile soluzione, che potrebbe essere
quella di non rifiutare ma, al
contrario, di accettare e comprendere
gli ideali e gli usi più puri delle
popolazioni ritenute, erroneamente,
inferiori.
Tacito è dunque consapevole che la
cultura dei germani è totalmente diversa
e non paragonabile a quella dell’Impero,
ma può comunque offrire degli spunti di
riflessione utili per migliorare la
società romana stessa. Descrivendo le
popolazioni germaniche, Tacito offre ai
suoi concittadini una rappresentazione
di sé stessi e del potere che li
governa: parlando dei barbari, lo
storiografo parla in realtà ai Romani
del suo tempo, li vuole far riflettere
sulla propria decadenza, far comprendere
che Roma è avviata verso la fine del
proprio ciclo vitale.
È in questo contesto che la primitività
dei Germani si carica di tratti
positivi, rappresenta lo stato di natura
a cui si collegano innocenza, integrità
morale e forza fisica. Tacito
attribuisce ai barbari le virtù tipiche
della Roma arcaica, repubblicana: la
fides, la libertas, la simplicitas,
valori in cui qualsiasi romano si
riconosce e capisce quanto essi siano
lontani nella società attuali, quegli
stessi valori che hanno reso una volta
Roma grande ora stanno inevitabilmente
sparendo.
Da un lato abbiamo dunque Cesare, che
vede nelle campagne militari un modo per
dimostrare la superiorità dei Romani
sugli altri popoli. Dall’altro invece
Tacito, che percepisce la decadenza
dell’impero e quindi ricerca modelli di
comportamento nei popoli incontaminati
del nord Europa. Ma perché queste
visioni così diverse? Per rispondere a
questa domanda dobbiamo tenere presente
che Tacito e Cesare vivono in due epoche
storiche molto diverse da loro.
Cesare vedeva l’inizio dell’espansione
romana, il declino della repubblica che
avrebbe dato il via all’impero romano;
era, quindi, un periodo di grande
cambiamento e fiducia. Tacito invece
vive in un periodo in cui l’espansione
dell’impero, nonostante le ultime
offensive, si sta arrestando. Un’epoca
in cui i Romani hanno già conosciuto il
lusso e si sono adagiati su di esso.
Sono, infatti, ormai lontani gli anni
delle grandi campagne militari in cui
era vissuto Gaio Giulio Cesare e l’opera
di Tacito ne è la piena dimostrazione. |