N. 131 - Novembre 2018
(CLXII)
sull’ERUZIONE DEL vesuvio del 79
le
date
della
distruzione
di
pompei
di
Chiara
Tangredi
Il
breve
principato
dell’imperatore
romano
Tito
Flavio
Vespasiano
(79-81
d.C.)
è
stato
turbato
da
gravi
calamità
naturali.
Nell’anno
79
d.C.,
qualche
tempo
dopo
l’ascesa
di
Tito
alla
dignità
imperiale,
giunge
inattesa
l’eruzione
del
Vesuvio.
Il
vulcano
si
attiva
dopo
evidenti
segni
prodromici.
Negli
anni
precedenti
l’area
vesuviana
è
colpita
da
scosse
telluriche
e
sciami
sismici.
Nel
62/63
d.C.
in
Campania
è un
violento
terremoto
con
epicentro
Pompei.
Probabilmente
il
sisma
è un
primo
indizio
del
successivo
risveglio
del
Vesuvio.
Nei
giorni
precedenti
l’eruzione
si
verificano
reiterati
sciami
sismici.
A
Pompei
si
prosciugano
le
sorgenti
d’acqua.
Nonostante
i
sintomi
prodromici,
i
più
non
sembrano
sospettare
l’avvicinarsi
di
un’eruzione.
L’eruzione
del
Vesuvio
ha
modificato
la
morfologia
stessa
del
vulcano
e
dei
territori
circostanti.
Distrutte
e
sepolte
sotto
uno
strato
di
cenere
e
lapilli
le
città
vesuviane:
Pompei,
Ercolano,
Stabia,
Oplontis.
Innumerevoli
le
vittime.
Il
naturalista
Plinio
il
Vecchio
(23-79
d.C.),
comandante
della
flotta
di
Miseno,
muore
mentre
cerca
di
soccorrere
le
città
devastate.
La
vicenda
eruttiva
è
stata
ricostruita
mediante
le
testimonianze
da
un
lato
tramandate
dalle
fonti
antiche
e
dall’altro
riscoperte
nel
corso
degli
scavi
archeologici.
Tra
le
fonti
antiche
la
principale
è
Plinio
il
Giovane
(circa
61-114
d.C.).
Al
momento
dell’eruzione
Plinio
si
trova
a
capo
Miseno,
assieme
allo
zio
materno
Plinio
il
Vecchio.
è
testimone
della
sciagura.
Ne
ha
fornito
una
descrizione
in
due
lettere
(Epist.
VI,
16 e
20)
indirizzate
all’amico
e
storico
Publio
Cornelio
Tacito,
scritte
intorno
al
106/107
d.C.,
all’incirca
27/28
anni
dopo
l’eruzione.
Dalle
epistole
pliniane
si
desumono
informazioni
importanti
alla
ricostruzione
scientifica
e
storica
del
fenomeno
eruttivo.
Tant’è
che
l’eruzione
vesuviana
è
stata
definita
dagli
studiosi
moderni
di
tipo
pliniano.
Le
indagini
archeologiche
susseguitesi
a
partire
dal
Settecento
(e
tutt’ora
in
corso)
hanno
progressivamente
restituito
dati
significativi.
La
questione
dell’esatta
data
dell’eruzione
è
stata
a
lungo
dibattuta
e
non
risolta.
Ha
essa
stessa
una
sua
storia.
La
data
generalmente
accolta
è
quella
riferita
da
Plinio:
«nonum
kal.
Septembres»
(nove
giorni
dalle
calende
di
Settembre)
corrispondente
al
24
Agosto
79
d.C.
La
datazione
è
tutt’altro
che
certa.
Il
primo
problema
è
filologico.
In
un’epoca
precedente
all’invenzione
della
stampa,
i
testi
antichi
sono
sopravvissuti,
se
lo
sono,
attraverso
la
trasmissione
manoscritta.
Assai
pochi
sono
i
testi
antichi
di
cui
restano
esemplari
copiati
in
età
antica.
Per
un
numero
limitato
si
dispone
di
codici
e
palinsesti
di
età
tardoantica.
Gran
parte
dei
testi
antichi
è
stata
tramandata
da
codici
di
età
medievale
e
umanistica.
In
qualche
caso
su
edizioni
a
stampa
effettuate
sulla
base
di
codici
in
seguito
perduti.
Il
testo
pliniano
si è
conservato
in
manoscritti
d’età
medievale.
Nei
diversi
manoscritti
la
data
dell’eruzione
indicata
non
è
sempre
identica:
- «nonum
kal.
septembres» (nove
giorni
dalle
calende
di
Settembre)
= 24
Agosto.
è
la
data
indicata
nella
versione
riconosciuta
del
testo
pliniano.
- «kal.
novembres»
(calende
di
Novembre)
= 1°
Novembre.
- «III
kal.
novembres»
(tre
giorni
prima
delle
calende
di
Novembre)
= 30
Ottobre.
-
«non.
kal.
novembres»
(nove
giorni
dalle
calende
di
Novembre)
= 24
Ottobre.
I
testi
copiati
a
mano
sono
facilmente
soggetti
a
corruttele.
Le
copie
ottenute
con
la
riproduzione
manoscritta
non
sono
mai
identiche.
Presentano
ciascuna
delle
innovazioni.
La
presenza
di
varianti
in
un
manoscritto
è
dovuta
a
errori
di
trascrizione
involontari
o
modifiche
apportate
volontariamente
dal
copista.
Tali
innovazioni
si
conservano
e si
moltiplicano
nel
corso
della
trasmissione.
Sicché
ogni
copia
eredita
le
innovazioni
introdotte
nelle
copie
precedenti
da
cui
dipende,
e
aggiunge
le
proprie.
La
versione
corretta
di
un
testo
non
è
necessariamente
la
variante
numericamente
più
attestata.
Neanche
la
variante
più
antica
può
considerarsi
immune
da
errori.
Altra
difformità
si
rivela
attraverso
il
confronto
delle
fonti
antiche.
Nel
datare
l’eruzione
gli
autori
antichi
convergono
sull’anno
(79
d.C.).
Quanto
al
mese
discordano.
Cassio
Dione
Cocceiano
(Storia
romana,
LXVI,
21-24)
riferisce:
«non.
kal.
dec.»
(nove
giorni
dalle
calende
di
Dicembre)
corrispondente
al
23
Novembre.
Riporta
quindi
una
data
diversa
da
quella
pliniana.
Dubbi
e
perplessità
provengono
dalla
stessa
ricerca
archeologica.
Alcune
evidenze
archeologiche
sembrano
mal
accordarsi
con
una
data
estiva
e
lasciano
supporre
che
l’eruzione
sia
avvenuta
in
autunno.
Si
tratta
tuttavia
di
rinvenimenti
sporadici,
non
sistematici,
e
comunque
suscettibili
di
interpretazione
non
univoca.
Nel
Settecento
lo
studioso
Carlo
Maria
Rosini
(1748-1836)
è
stato
tra
i
primi
a
sospettare
che
la
data
estiva
pliniana
(del
24
Agosto)
fosse
inesatta.
Più
propenso
ad
accettare
la
data
autunnale
riportata
da
Cassio
Dione
(23
Novembre),
che
meglio
si
conciliava
con
il
dato
archeologico.
Nello
scavo
dell’area
vesuviana,
infatti,
sono
stati
ritrovati
resti
di
frutta
tipicamente
autunnale
(melagrane,
castagne,
fichi
secchi,
uva
e
noci),
bracieri
all’interno
delle
domus
(così
nella
Casa
del
Menandro)
utilizzati
per
il
riscaldamento.
Gli
studiosi
moderni
grossomodo
si
sono
disgiunti
tra
quanti
sostengono
la
tesi
dell’eruzione
estiva
di
ascendenza
pliniana
(quanto
meno
la
data
indicata
nella
versione
riconosciuta
del
testo
pliniano)
e i
sostenitori
della
tesi
dell’eruzione
autunnale
(avvalorata
dalle
discordanze
delle
fonti
antiche
e da
alcune
evidenze
archeologiche).
Diversi
studiosi
come
l’archeologo
e
architetto
Michele
Ruggiero
(1811-1900),
direttore
degli
scavi
di
Pompei
(1875-1893),
hanno
portato
prove
a
conferma
della
teoria
di
Rosini.
Il 7
Giugno
1974
a
Pompei,
nella
Casa
del
bracciale
d’oro
dell’Insula
Occidentalis,
in
un
contesto
certo
e
documentato,
è
stata
ritrovata
una
moneta,
un
denario
(denarius)
d’argento,
parte
di
un
gruzzolo
composto
da
180
monete
d’argento,
40
aurei,
un
anello
e
una
gemma,
portato
con
sé
da
un
gruppo
di
fuggitivi.
Il
denario
presenta
sul
diritto
il
ritratto
dell’imperatore
con
l’iscrizione:
«IMP
TITVS
CAES
VESPASIAN
AVG
P M»
(IMPERATORE
TITO
CESARE
VESPASIANO
AUGUSTO
PONTEFICE
MASSIMO).
Sul
rovescio
è
raffigurato
un
capricorno
sul
globo
e
reca
il
resto
della
titolazione
imperiale:
«TR
P
VIIII
IMP
XV
COS
VII
PP»
(NONA
VOLTA
CON
LA
POTESTÀ
TRIBUNICIA,
IMPERATORE
PER
LA
QUINDICESIMA,
CONSOLE
PER
LA
SETTIMA,
PADRE
DELLA
PATRIA).
.
Fig.
1
Denario
di
Tito
del
79
d.C.,
proveniente
dalla
Casa
del
bracciale
d’oro
(Pompei).
Il
ritrovamento
permette
di
affermare
che
l’eruzione
è
avvenuta
dopo
l’emissione
di
questa
moneta.
Quindi
nell’anno
in
cui
l’imperatore
Tito
ricopre
il
settimo
consolato
(cioè
79
d.C.),
dopo
l’assunzione
per
la
nona
volta
della
potestà
tribunizia
(avvenuta
il
1°
Luglio
79
d.C.)
e
dopo
la
quindicesima
acclamazione
di
Tito
a
imperatore.
Relativamente
all’acclamazione
a
imperatore
(salutatio
imperatoria)
due
testimonianze
epigrafiche
forniscono
un
terminus
post
quem.
Si
tratta
di
una
lettera
dell’imperatore
Tito
agli
amministratori
della
città
spagnola
di
Munigua
(odierna
Villanueva
del
Rio),
datata
al 7
Settembre
79
d.C.
(e
conservata
al
Museo
Archeologico
di
Siviglia)
e di
un
diploma
di
congedo
militare
rinvenuto
a
Fayyum
in
Egitto,
datato
8
Settembre
79
d.C.
(e
conservato
al
British
Museum).
In
entrambi
i
documenti
Tito
ha
ancora
la
XIV
acclamazione
imperiale.
Sicché
solo
dopo
queste
date
riceve
la
XV
acclamazione
e la
moneta
viene
emessa.
La
presenza
a
Pompei
di
una
moneta
posteriore
all’8
Settembre
79
d.C.
sembra
confermare
la
tesi
dell’eruzione
autunnale.
Purtroppo
la
moneta
è
ossidata
e
rovinata.
Di
conseguenza
la
lettura
non
è
chiara
e
inequivocabile.
Non
rappresenta
un
indizio
inconfutabile.
Nel
1990
l’archeologo
Umberto
Pappalardo
ha
reso
ulteriori
elementi
a
sostegno
della
datazione
autunnale.
A
seguire
le
ricerche
della
studiosa
Grete
Stefani
e
dell’archeobotanico
Michele
Borgongino.
I
dati
raccolti
sembrano
confermare
l’ipotesi
autunnale
dell’eruzione.
In
magazzini
e
botteghe
a
Pompei,
Ercolano
e
Oplontis
si
sono
rinvenuti,
carbonizzati
o
tramite
indagini
archeobotaniche,
reperti
organici
tipicamente
autunnali
(melagrane,
noci;
fichi
secchi,
datteri,
susine).
In
una
villa
di
Oplontis
sono
stati
trovati
10
quintali
di
melagrane,
messe
a
seccare
tra
quattro
strati
di
stuoia
intrecciate
(probabilmente
la
raccolta
avveniva
tra
Settembre-Ottobre,
prima
della
stagione
delle
piogge
e il
frutto
era
messo
a
maturare
in
un
ambiente
protetto).
Sono
emersi
indizi
sulla
conclusione
della
raccolta
della
canapa
da
semina
(solitamente
effettuata
a
Settembre).
A
Villa
Regina
(Boscoreale)
sono
stati
riscontrati
i
segni
della
conclusione
della
vendemmia
(generalmente
eseguita
tra
Settembre-Ottobre).
Nel
cortile
interno
della
villa
sono
stati
trovati
un
gran
numero
di
dolia
(grandi
contenitori),
utilizzati
per
l’invecchiamento
del
mosto,
interrati
e
chiusi
con
coperchi
sigillati.
La
tesi
estiva
ha
continuato
ad
avere
sostenitori.
Ha
fornito
argomenti
altrettanto
plausibili.
I
bracieri
ritrovati
all’interno
delle
domus
sono
stati
spiegati
con
ragioni
rituali.
I
dolia
interrati
e
sigillati
avrebbero
potuto
contenere
vino
a
lungo
invecchiamento.
è
anche
possibile
che
la
vendemmia
sia
stata
anticipata
quindi
effettuata
in
estate.
Quanto
alla
frutta
secca
e
autunnale
potrebbe
trattarsi
di
giacenze.
Le
melagrane
è
possibile
venissero
raccolte
precocemente
in
modo
da
rallentarne
la
maturazione
e
consentirne
il
disseccamento
sulle
stuoie.
Nell’Ottobre
2018
scavi
condotti
nella
Regio
V di
Pompei
hanno
portato
alla
luce
nella
Casa
con
giardino
un’iscrizione
in
carboncino.
.
Fig.
2
Iscrizione
in
carboncino,
proveniente
dalla
Casa
con
giardino
(Pompei)
La
trascrizione
(nell’interpretazione
dell’archeologo
ed
epigrafista
Antonio
Varone
e
resa
nota
sul
sito
internet
dalla
direzione
del
Parco
archeologico
di
Pompei
in
data
16
Ottobre
2018)
è la
seguente:
«XVI
(ante)
K(alendas)
Nov(embres)
in[d]ulsit
pro
masumis
esurit[ioni]»
(Il
sedicesimo
giorno
prima
delle
calende
di
Novembre,
ovvero
il
17
Ottobre,
lui
indulse
al
cibo
in
modo
smodato).
Probabilmente
una
«Frase
scherzosa
di
un
operaio
buontempone»
ha
dichiarato
il
direttore
generale
del
parco
archeologico
Massimo
Osanna.
Non
è
riferito
l’anno.
Appare
probabile
trattarsi
dell’Ottobre
del
79
d.C.
(cioè
l’anno
dell’eruzione).
Innanzitutto
l’iscrizione
è
stata
ritrovata
in
un
ambiente
della
casa
(atrio)
ancora
in
ristrutturazione
al
momento
dell’eruzione,
a
differenza
di
altri
vani
già
rinnovati.
Inoltre
è in
carboncino,
un
pigmento
deperibile.
Difficilmente
avrebbe
potuto
conservarsi
nel
tempo.
Il
rinvenimento
rafforza
l’ipotesi
dell’eruzione
in
autunno,
avvenuta
verosimilmente
il
24
Ottobre.
Se
così
fosse,
l’iscrizione
(datata
17
Ottobre)
risalirebbe
a
una
settimana
prima
della
calamità.
Il
ritrovamento
già
fa
discutere
studiosi
ed
esperti
di
epigrafia.
Non
tutti
concordano
con
l’interpretazione
dell’archeologo
Antonio
Varone.
Giulia
Ammannati,
professoressa
di
paleografia
latina
della
Scuola
Normale
Superiore
di
Pisa,
ha
proposto
una
lettura
differente.
Vi
ha
trovato
segni
diversi:
«in
olearia/proma
sumserunt»
(hanno
preso
nella
dispensa
olearia).
Le
differenti
interpretazioni
dell’iscrizione
sono
imputabili
allo
stato
di
conservazione,
non
sempre
chiaro.
Alcune
lettere
sono
sbiadite
e
cancellate.
Intanto
negli
scavi
in
corso,
nella
Casa
con
giardino,
a
poca
distanza
dalla
parete
dove
è
stata
rinvenuta
l’iscrizione,
sono
riemersi
cinque
scheletri
(appartenenti
sembra
a
due
donne
e
tre
bambini).
Ivi
rifugiati
nell’estremo
tentativo
di
salvarsi.
Il
tetto
tuttavia
è
crollato
sulle
loro
teste
sotto
il
peso
delle
ceneri
accumulate
nelle
fasi
iniziali
dell’eruzione.
Non
sono
stati
risparmiati.
La
data
e la
storia
stessa
dell’eruzione
rimane
campo
di
indagine.
Il
prosieguo
della
ricerca
storica
e
archeologica
potrà
fornire
ulteriori
dettagli.
Historia
non
è
solo
magistra
vitae.
Historia
è
anche
work
in
progress.
La
Storia
non
è
una
registrazione
esatta
e
definitiva.
è
ricerca
del
passato,
conoscenza
acquisita
tramite
indagine.
Research
must
go
on!
La
ricerca
deve
continuare.
Dacché
si
riuscirà
forse
ad
avvicinarsi
con
buona
approssimazione
alla
realtà
di
quanto
accaduto.
Riferimenti
bibliografici:
Fabio
Stok,
I
classici
dal
papiro
a
Internet,
Carocci
editore,
2012.
Grete
Stefani,
La
vera
data
dell’eruzione,
in
Archeo
n.
260,
pp.
10 e
13.
Plinio
il
Giovane,
Epist.
VI,
16 e
20.