[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

199 / LUGLIO 2024 (CCXXX)


contemporanea

SULLA POLVERIERA BALCANICa
A PROPOSITO DEGLI ACCORDI DI DAYTON

di Riccardo Renzi

 

In questo articolo ragioneremo sugli accordi di Dayton e sulla loro reale portata dopo la conclusione del conflitto nei Balcani. A distanza di trent’anni lo stato della Bosnia-Erzegovina si presenta ancora come una vera e propria polveriera pronta ad esplodere. Questa zona, storicamente parlando, a partire dal Medioevo sino alla recentissima contemporaneità si è sempre connotata per una forte instabilità, che si è andata accentuando nel 1990 con lo scioglimento della Jugoslavia e nel 1991 con lo scoppio della guerra balcanica. Alla base del conflitto c’è soprattutto una forte instabilità politica, economica e sociale, che portò alla formazione di movimenti nazionalisti.

 

Il dirigente della Lega dei Comunisti di Serbia, Slobodan Milošević, fu molto abile a manovrare tali movimenti facendo leva sull’idea di Grande Serbia. Milošević, per ottenere ciò che voleva, utilizzò le frange violente delle tifoserie da stadio organizzate in milizie paramilitari, l’Esercito regolare della Jugoslavia socialista (l’Esercito Popolare Jugoslavo, JNA) e i dirigenti serbi dell’Alleanza Socialista di Jugoslavia (comunisti jugoslavi). In tale contesto, sostenne lo psichiatra e poeta Radovan Karadžić, criminale di guerra arrestato dopo lunga latitanza e condannato per crimini di guerra e di genocidio dal TPIY, il Tribunale ONU a L’Aia, e il lungamente Ratko Mladić, anch’egli condannato per crimini di guerra e di genocidio. Nel frattempo, Milošević nel giugno 1991 promosse prima la guerra in Slovenia e poi la guerra in Croazia, cercando di fare in tutti i modi e in tutti i sensi “terra bruciata”.

 

La Bosnia ed Erzegovina fu coinvolta involontariamente in tale furia bellica per vari motivi e a vari titoli. La guerra divampò subito dopo il referendum sull’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina dalla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e la conseguente dichiarazione di indipendenza. Gli attori principali del conflitto furono le forze armate della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina e delle formazioni militari delle autoproclamate Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina e Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosnia. Al conflitto parteciparono anche formazioni paramilitari, e in esso furono coinvolti anche la forza di protezione delle Nazioni Unite UNPROFOR e la NATO. Durante la guerra furono commessi molteplici crimini di guerra e atroci massacri nell’ambito di vere e proprie operazioni di pulizia etnica. Alla sua fine diede un contributo la NATO con una decisa azione militare aerea repressiva, denominata Operazione Deliberate Force, che indusse le forze serbe ad accettare la cessazione delle ostilità e partecipare alle trattative di pace a Dayton. Giungiamo dunque ora alla pace di Dayton. Nel presente articolo ci andremmo però concentrare solo sulla situazione della Bosnia-Erzegovina, andando a tralasciare la deriva nazionalista Serba e la questione Kossovara che verranno affrontati in futuri articoli in questa rivista.


Gli accordi di Dayton furono firmati nel novembre del 1995. Gli accordi furono siglati dai presidenti Alija Izetbegovic per la Bosnia-Erzegovina, Franjo Tuđman per la Croazia e Slobodan Milošević per la Repubblica Federale Jugoslava. Gli accordi sono andati a cristallizzare il fronte di guerra, questo lo si evince chiaramente esaminando una cartina politica della Bosnia-Erzegovina.
La maggioranza è composta dalla Republika Srpska, poi abbiamo la Federazione di Bosnia-Erzegovina suddivisa in dieci cantoni. I cantoni sono organizzati in dieci governi autonomi, mentre la Republika Srpska funziona come un vero e proprio stato. Con gli accordi di Dayton si stabilì che la comunità internazionale fosse sempre presente all’interno dello stato con l’istaurazione dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante. Tale figura ha il compito di monitorare il processo di pace ed eventuali violazioni degli accordi di Dayton.

 

Tali accordi consegnano alla Bosnia-Erzegovina un complesso sistema di rappresentanza etnico-nazionale, che spesso va a contraddire sé stesso e i propri principi. Gli accordi avevano previsto la rappresentanza dei tre popoli costituenti bosniakitia (bosniaco-musulmani), i serbi e i croati. Ogni gruppo elegge un presidente, dunque quella della Bosnia-Erzegovina è una presidenza tripartita, dove ogni otto mesi uno dei tre ricopre come primus inter pares la carica di presidente, garantendo così un’eguale rappresentanza delle tre componenti dello stato. Gli accordi di Dayton indirettamente andarono però a sancire la supremazia dei partiti nazionalistici su quelli civici. In tal modo la rappresentanza non è mai civica e trasversale, ma sempre etnica. Il potere politico è sempre inteso come espressione dei tre popoli costituenti. La presidenza e la Camera dei popoli sono eletti secondo la suddivisione delle due entità: dieci cantoni e Republika Srpska. Gli accordi di Dayton sono una continuazione delle teorie di pulizia etnica portate avanti durante la guerra.


Tutto ciò ha condotto il paese in questi ultimi anni ad una fortissima instabilità e crisi istituzionale. Quest’ultima è iniziata a fine luglio 2021, quando l’Alto Rappresentante impose un emendamento ai bosniaci, il quale puniva il negazionismo del genocidio di Serebrenica, ove nel 1995 vennero massacrati più di 8000 musulmani-bosniaci in età militare. Il rappresentante serbo-bosniaco, Milorad Dodik, da questo momento ha iniziato a boicottare le istituzioni centrale dello Stato della Bosnia-Erzegovina. Una delle minacce è quella di ritirare l’esercito serbo-bosniaco e andare a costituire un proprio esercito, così proprio come era successo con lo scoppio della guerra. Tali minacce hanno allertato la Comunità internazionale.

 

A ciò va aggiunto che nel 2016 si decise di istituire un giorno per la Republika Srpska. Ciò si fece attraverso un referendum, poi definito incostituzionale. Il giorno scelto fu il 9 gennaio, stesso giorno, non a caso, che nel 1992 portò alla creazione della Republika Srpska.e allo scoppio della guerra. L’incostituzionalità sta nel fatto che venne scelto il giorno di Santo Stefano. Tale giorno, per costituzione, proprio stando agli accordi di Dayton, non poteva essere stabilito. Dal 2016 in poi le istituzioni locali serbo-bosniache sono sempre più attrito con quelle nazionali. A oggi non risulta esserci un punto di svolta e nessuna delle due entità è pronta a fare un passo indietro.

 


Riferimenti bibliografici:


C. M. Daclon, Bosnia, Rimini, Maggioli, 1997, pp. 27-42.
F. Guida, Dayton dieci anni dopo: guerra e pace nella ex Jugoslavia: atti del convegno, Roma 21-23 novembre 2005, Roma, Carocci, 2007.
F. Maniscalco, Sarajevo. Itinerari artistici perduti, Napoli, 1997, p. 13.
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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]