SULLA POLVERIERA BALCANICa
A PROPOSITO DEGLI ACCORDI DI DAYTON
di Riccardo Renzi
In questo articolo ragioneremo sugli
accordi di Dayton e sulla loro reale
portata dopo la conclusione del
conflitto nei Balcani. A distanza di
trent’anni lo stato della
Bosnia-Erzegovina si presenta ancora
come una vera e propria polveriera
pronta ad esplodere. Questa zona,
storicamente parlando, a partire dal
Medioevo sino alla recentissima
contemporaneità si è sempre
connotata per una forte instabilità,
che si è andata accentuando nel 1990
con lo scioglimento della Jugoslavia
e nel 1991 con lo scoppio della
guerra balcanica. Alla base del
conflitto c’è soprattutto una forte
instabilità politica, economica e
sociale, che portò alla formazione
di movimenti nazionalisti.
Il dirigente della Lega dei
Comunisti di Serbia, Slobodan
Milošević, fu molto abile a
manovrare tali movimenti facendo
leva sull’idea di Grande Serbia.
Milošević, per ottenere ciò che
voleva, utilizzò le frange violente
delle tifoserie da stadio
organizzate in milizie paramilitari,
l’Esercito regolare della Jugoslavia
socialista (l’Esercito Popolare
Jugoslavo, JNA) e i dirigenti serbi
dell’Alleanza Socialista di
Jugoslavia (comunisti jugoslavi). In
tale contesto, sostenne lo
psichiatra e poeta Radovan Karadžić,
criminale di guerra arrestato dopo
lunga latitanza e condannato per
crimini di guerra e di genocidio dal
TPIY, il Tribunale ONU a L’Aia, e il
lungamente Ratko Mladić, anch’egli
condannato per crimini di guerra e
di genocidio. Nel frattempo,
Milošević nel giugno 1991 promosse
prima la guerra in Slovenia e poi la
guerra in Croazia, cercando di fare
in tutti i modi e in tutti i sensi
“terra bruciata”.
La Bosnia ed Erzegovina fu coinvolta
involontariamente in tale furia
bellica per vari motivi e a vari
titoli. La guerra divampò subito
dopo il referendum sull’indipendenza
della Bosnia ed Erzegovina dalla
Repubblica Socialista Federale di
Jugoslavia e la conseguente
dichiarazione di indipendenza. Gli
attori principali del conflitto
furono le forze armate della
Repubblica di Bosnia ed Erzegovina e
delle formazioni militari delle
autoproclamate Repubblica Serba di
Bosnia ed Erzegovina e Repubblica
Croata dell’Erzeg-Bosnia. Al
conflitto parteciparono anche
formazioni paramilitari, e in esso
furono coinvolti anche la forza di
protezione delle Nazioni Unite
UNPROFOR e la NATO. Durante la
guerra furono commessi molteplici
crimini di guerra e atroci massacri
nell’ambito di vere e proprie
operazioni di pulizia etnica. Alla
sua fine diede un contributo la NATO
con una decisa azione militare aerea
repressiva, denominata Operazione
Deliberate Force, che indusse le
forze serbe ad accettare la
cessazione delle ostilità e
partecipare alle trattative di pace
a Dayton. Giungiamo dunque ora alla
pace di Dayton. Nel presente
articolo ci andremmo però
concentrare solo sulla situazione
della Bosnia-Erzegovina, andando a
tralasciare la deriva nazionalista
Serba e la questione Kossovara che
verranno affrontati in futuri
articoli in questa rivista.
Gli accordi di Dayton furono firmati
nel novembre del 1995. Gli accordi
furono siglati dai presidenti Alija
Izetbegovic per la
Bosnia-Erzegovina, Franjo Tuđman per
la Croazia e Slobodan Milošević per
la Repubblica Federale Jugoslava.
Gli accordi sono andati a
cristallizzare il fronte di guerra,
questo lo si evince chiaramente
esaminando una cartina politica
della Bosnia-Erzegovina.
La maggioranza è composta dalla
Republika Srpska, poi abbiamo la
Federazione di Bosnia-Erzegovina
suddivisa in dieci cantoni. I
cantoni sono organizzati in dieci
governi autonomi, mentre la
Republika Srpska funziona come un
vero e proprio stato. Con gli
accordi di Dayton si stabilì che la
comunità internazionale fosse sempre
presente all’interno dello stato con
l’istaurazione dell’Ufficio
dell’Alto Rappresentante. Tale
figura ha il compito di monitorare
il processo di pace ed eventuali
violazioni degli accordi di Dayton.
Tali accordi consegnano alla
Bosnia-Erzegovina un complesso
sistema di rappresentanza
etnico-nazionale, che spesso va a
contraddire sé stesso e i propri
principi. Gli accordi avevano
previsto la rappresentanza dei tre
popoli costituenti bosniakitia
(bosniaco-musulmani), i serbi e i
croati. Ogni gruppo elegge un
presidente, dunque quella della
Bosnia-Erzegovina è una presidenza
tripartita, dove ogni otto mesi uno
dei tre ricopre come primus inter
pares la carica di presidente,
garantendo così un’eguale
rappresentanza delle tre componenti
dello stato. Gli accordi di Dayton
indirettamente andarono però a
sancire la supremazia dei partiti
nazionalistici su quelli civici. In
tal modo la rappresentanza non è mai
civica e trasversale, ma sempre
etnica. Il potere politico è sempre
inteso come espressione dei tre
popoli costituenti. La presidenza e
la Camera dei popoli sono eletti
secondo la suddivisione delle due
entità: dieci cantoni e Republika
Srpska. Gli accordi di Dayton sono
una continuazione delle teorie di
pulizia etnica portate avanti
durante la guerra.
Tutto ciò ha condotto il paese in
questi ultimi anni ad una fortissima
instabilità e crisi istituzionale.
Quest’ultima è iniziata a fine
luglio 2021, quando l’Alto
Rappresentante impose un emendamento
ai bosniaci, il quale puniva il
negazionismo del genocidio di
Serebrenica, ove nel 1995 vennero
massacrati più di 8000
musulmani-bosniaci in età militare.
Il rappresentante serbo-bosniaco,
Milorad Dodik, da questo momento ha
iniziato a boicottare le istituzioni
centrale dello Stato della
Bosnia-Erzegovina. Una delle minacce
è quella di ritirare l’esercito
serbo-bosniaco e andare a costituire
un proprio esercito, così proprio
come era successo con lo scoppio
della guerra. Tali minacce hanno
allertato la Comunità
internazionale.
A ciò va aggiunto che nel 2016 si
decise di istituire un giorno per la
Republika Srpska. Ciò si fece
attraverso un referendum, poi
definito incostituzionale. Il giorno
scelto fu il 9 gennaio, stesso
giorno, non a caso, che nel 1992
portò alla creazione della Republika
Srpska.e allo scoppio della guerra.
L’incostituzionalità sta nel fatto
che venne scelto il giorno di Santo
Stefano. Tale giorno, per
costituzione, proprio stando agli
accordi di Dayton, non poteva essere
stabilito. Dal 2016 in poi le
istituzioni locali serbo-bosniache
sono sempre più attrito con quelle
nazionali. A oggi non risulta
esserci un punto di svolta e nessuna
delle due entità è pronta a fare un
passo indietro.
Riferimenti bibliografici:
C. M. Daclon, Bosnia, Rimini,
Maggioli, 1997, pp. 27-42.
F. Guida, Dayton dieci anni dopo:
guerra e pace nella ex Jugoslavia:
atti del convegno, Roma 21-23
novembre 2005, Roma, Carocci, 2007.
F. Maniscalco, Sarajevo.
Itinerari artistici perduti,
Napoli, 1997, p. 13.
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