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N. 31 - Luglio 2010 (LXII)

COLONIE EBRaiche in POLONIA
Dalla Crociata del 1096 alla carta di Boleslao V (1264)

di Leila Tavi

 

I primi insediamenti di gruppi di religione ebraica in Polonia risalgono al periodo successivo alle Crociate, quando molti ebrei che abitavano nei territori tedeschi furono costretti a scappare a seguito delle persecuzioni nei loro confronti. L’elemento occidentale nelle colonie ebree in Polonia è perciò predominante rispetto ad altre minoranze provenienti dall’area dell’ex Khanato di Khazaria, dalla Crimea e da altre parti dell’Oriente.

 

Tra le ipotesi formulate dagli storici possiamo riassumere le due maggiori scuole di pensiero: quella che asserisce che gli ebrei di Polonia provengano dal nord del Mar Nero o dal sud della Russia e quella invece che sostiene la veridicità della provenienza dall’occidente. Secondo Semen M. Dubnov la seconda teoria sarebbe quella con maggiore fondamento.


Nel Medioevo i territori polacchi erano considerati una sorta di colonia commerciale del Sacro Romano Impero; con la diffusione della religione cattolica nel 966 la regione non fu solo controllata dall’imperatore tedesco, ma anche dai vescovi. Lo scambio commerciale tra le due aree europee fu notevolmente incrementato e anche la presenza degli ebrei in terra polacca aumentò sensibilmente. Gli ebrei tedeschi s’insediarono inizialmente tra i fiumi Varta e Vistola, zona considerata d’importanza strategica per il commercio verso Est.


Il vero e proprio esodo verso la Polonia si ebbe però dopo la prima Crociata nel 1096, che diede il via a una violenta persecuzione degli ebrei di Praga, costretti a convertirsi al Cristianesimo. Gli ebrei di Boemia cercarono una via di fuga verso la Polonia, ma durante il tragitto furono depredati dai soldati di Bretislao II, dal 1092 duca di Boemia; figlio del re Vratislao II e Adelaide, figlia di Andrea I d’Ungheria.


Da quel momento in poi l’immigrazione dalle province del Reno e del Danubio verso la Polonia fu costante e aumentò ancora una volta in concomitanza delle Crociate del 1146-1147 e del 1196 e delle successive persecuzioni contro gli ebrei tedeschi, che si stanziarono nelle province più vicine al confine austro-tedesco: Cracovia, Poznań, Kalush, nell’attuale Ucraina, e la Slesia. In una fonte proveniente dalla Slesia polacca di datazione incerta (le ipotesi sono il 1150 o il 1200) si trova la notizia di un proprietario terriero, o forse di un fattore, di un villaggio vicino a Breslavia (in polacco Wroclaw).

 

Un altro documento fa riferimento a due ebrei, Joseph e Chaskel, residenti in Sokolniki, un villaggio vicino a Breslavia, mentre la più antica tomba ebraica in Polonia risale al 1203 e fu ritrovata nel 1917, sempre a Breslavia. Gli ebrei giunti in Polonia furono sotto la protezione di duchi e principi polacchi nel periodo delle Rozbicie dzielnicowe, da Casimiro il Giusto a Mieszko III Stary e Leszek Bialy, durante i cui regni gli ebrei gestirono il conio delle monete, in un’epoca in cui coniare le monete non era ancora centralizzato: nella sola Slesia del XIII secolo si contavano ben trentacinque zecche.

 

Sulle origini dei gruppi di religione ebraica in Polonia le fonti scritte sono però esigue; per esempio i due viaggiatori ebrei della seconda metà del XIII secolo, sia Beniamino di Tutela, un geografo ed esploratore spagnolo attivo tra il 1175 e il 1190, che il rabbino Petachiah di Ratisbona (anche conosciuto come Petachiah ben Yakos), i cui viaggi risalgono al 1175 e il 1190, non fanno nessuna menzione di colonie di ebrei in Polonia.

 

La tradizione orale ha tramandato invece numerose leggende, tra cui quella di Abraham Prokhovnik come successore del principe Popiel, l’ultimo a regnare per i Popielidzi, che la legenda dice aver declinato l’onore per lasciare il posto a un altro degno ebreo della casata dei Piast. Un’altra leggenda narra che, alla fine del IX secolo, una delegazione di ebrei dalla Germania si recò in visita dal principe polacco Lestko (o Lestek), figlio di Siemowit, per pregarlo di accogliere gli ebrei in Polonia; sempre secondo la leggenda un alto numero di ebrei tedeschi arrivò in Polonia e nel 905 furono loro concessi ampi privilegi scritti, successivamente andati perduti.

 

Una terza leggenda, probabilmente diffusasi tra il IX e il XIX secolo, fa risalire l’inizio degli insediamenti ebraici in Polonia con l’espulsione dalla Spagna degli ebrei nel 1492. Secondo Bernard Dov Weinryb le leggende sull’origine degli stanziamenti degli ebrei in Polonia avrebbero un’origine recente e non possono che essere state create nel tardo Medioevo; lo stesso nome Prochownik, nominato nella prima storia, ha il significato di mercante di polvere da sparo; ciò significa che la leggenda non può essere precedente al XIII o al XIV secolo, quando la polvere da sparo fu conosciuta in Europa. Anche la storia dei cinque rabbini tedeschi cacciati dalla loro terra dovrebbe avere origine dall’espulsione del 1492, anno in cui i Sefarditi arrivarono in Polonia.

 

Se ci atteniamo solamente alle fonti scritte dobbiamo far risalire l’inizio dell’attività degli ebrei in Polonia tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. Dal carteggio tra il rabbino Eliezer di Praga e il noto rabbino Yehuda Hassid di Ratisbona si evince l’esistenza di colonie di ebrei in Polonia, in Russia e in Ungheria all’inizio del XIII secolo. Dopo l’incursione dei Mongoli in Polonia del 1241 si ebbe una nuova ondata d’immigrazioni dalla Germania, chiamata “colonizzazione tedesca”, anche se i migranti provenivano, oltre che dai territori tedeschi, dalla Vallonia, dalle Fiandre e dall’Olanda, e s’insediarono nelle zone sottosviluppate fondando villaggi, borghi e vere e proprie città.

 

Le nuove città sorte godevano di un’ampia autonomia: potevano essere amministrate secondo la legge tedesca, o più specificatamente secondo la “Legge di Magdeburgo”, o ius teutonicum, applicato in particolar modo dal principe Boleslao V, detto il Casto (o il Timido, o il Pio) di Cracovia, vissuto tra il 1243 e il 1279. Dalla madre patria tedesca gli ebrei polacchi portarono non solo la lingua, ma un dialetto che successivamente si sviluppò nello yiddish.

 

Tra il XIII e l’inizio del XIV secolo fonti in lingua ebraica provenienti dall’Europa occidentale fanno menzione di un gruppo di ebrei dalla Russia e dalla Polonia che si spinsero verso occidente: un certo Itchaq dalla Russia, un allievo del rabbino Yehuda Hassid; un certo Mosè Ben Hasdai dalla Polonia, citato da Nachmanides, e un allievo del rabbino Asher ben Yechiel, di origini russe.

 

Alla metà del XIII secolo risalgono numerosi documenti riguardanti problemi di convivenza tra cristiani ed ebrei in diverse parti della Polonia che, come abbiamo già accennato sopra, a quel tempo era governata da vari principi. Boleslao V garantì ai monaci circestensi della Malopolska, nel 1262, il privilegio di poter far stanziare nei loro territori gente di diversa nazionalità e provenienza, ad eccezione degli ebrei, ma possiamo far risalire le prime avvisaglie di disaccordo tra cristiani ed ebrei alla seconda metà del XII secolo, quando la Polonia era frammentata in principati feudali.

 

Nonostante i conflitti religiosi, l’importanza economica per la Polonia delle immigrazioni degli ebrei fu riconosciuta dai principi del XIII secolo, desiderosi di accrescere le attività commerciali nei loro domini. Sempre Boleslao V, che regnò sul territorio della Grande Polonia, promulgò per la prima volta nel 1264 uno statuto che regolamentava i diritti degli ebrei nelle sue terre. Tale carta dei privilegi, che ha delle similitudini con gli statuti di Federico d’Austria e di Ottocaro di Boemia, divenne il punto di riferimento normativo per gli ebrei di Polonia, soprattutto in termini di inviolabilità della persona e della proprietà.

 

Tali diritti individuali erano diritti programmatici, nella ragione in cui assicuravano agli ebrei la possibilità di un progresso economico e, allo stesso tempo, prescrittivi perché tutelavano i loro beni e la libertà di religione; in particolare agli ebrei era permesso di imporre ipoteche sulle terre dei nobili. Gli ebrei furono così sotto il patronato del re, erano servi camerœ, in modo più raffinato ed incisivo rispetto alle leggi tedesche.

 

Nonostante il tentativo della monarchia polacca nel Medioevo di integrare gli ebrei, il popolo nativo slavo non cambiò l’atteggiamento ostile nei confronti degli ebrei. I polacchi non furono pregiudicati da tali immigrazioni, che, al contrario, avevano in sé numerosi elementi di una civilizzazione più evoluta rispetto a quella presente sul territorio. In una terra dove era ancora prevalente un’economia rurale arretrata ed esistevano solo due classi sociali, i proprietari terrieri e coloro i quali coltivavano il terreno, con l’arrivo degli ebrei si formò una terza classe sociale, quella dei commercianti, che svilupparono altresì fitte reti finanziarie nel paese; insieme agli ebrei iniziò a circolare il capitale, utilizzato per acquistare o affittare la terra o finanziare imprese commerciali.

 

La religione cristiano-cattolica era basata su una società patriarcale agricola; l’affermazione quindi di una classe di commercianti in Polonia era mal vista dai vescovi locali; per questo motivo i decreti papali indirizzati alla Polonia erano permeati di disprezzo contro gli appartenenti alla religione ebraica. Le autorità ecclesiastiche, mosse dal disegno di una diffusione del cattolicesimo anche nell’Europa dell’Est, utilizzarono tutti i mezzi possibili per isolare gli ebrei dalla vita del paese: li allontanarono dai fedeli cristiani e nel fecero una casta inferiore.

 

Con il Concilio di Breslau del 1266 fu introdotto in Polonia il diritto canonico, nel cui preambolo era scritto: “cum adhuc terra Colonica sit in corpore Christianitatis nova plantatio”. Con il diritto canonico si cercò di ridurre al minimo quelle che la Chiesa cattolica additava come superstizioni e cattive abitudini praticate dagli ebrei. Nella Diocesi di Gnesen gli ebrei non potevano vivere fianco a fianco con i cristiani, ma in un’area separata dal resto della città o del villaggio attraverso una recinzione o un muro. Gli ebrei che avevano proprietà nei quartieri cristiani furono costretti a venderle nel più breve tempo possibile. Questi furono i primi esempi di ghetto.

 

La legge canonica prescriveva ancora che, in occasione delle processioni per le strade, gli ebrei dovessero restare chiusi in casa e che in ogni città non potesse esserci più di una Sinagoga; come segno di riconoscimento gli ebrei dovevano portare un copricapo particolare, detto Pileum cornutum. Non era possibile mostrarsi in pubblico senza tale copricapo, erano previste dure punizioni. Ai cristiani era proibito, pena la scomunica e pesanti sanzioni, invitare ebrei a desinare nelle loro dimore; era altresì proibito mangiare e bere con gli ebrei in luoghi pubblici, o ballare e festeggiare con loro in occasioni di matrimoni o altre celebrazioni.

 

Ai cristiani, inoltre, non era possibile acquistare carne o altri prodotti alimentari dagli ebrei, era credenza, infatti, che i venditori di religione ebraica avvelenassero il cibo acquistato dai cristiani. Un ebreo che aveva una relazione clandestina con una donna cristiana, se scoperto era multato e imprigionato, mentre la donna era frustata in pubblico o addirittura bandita dalla città a vita.

 

Nel 1279 un nuovo Consiglio ecclesiastico fu riunito a Buda, in Ungheria, a cui parteciparono gli alti ranghi della Chiesa polacca; in occasione di tale Consiglio fu ratificata la clausola in cui si stabiliva l’obbligo per tutti gli ebrei di entrambi i sessi di portare un anello di stoffa rossa cucito sulla parte sinistra dei vestiti all’altezza del petto. Chiunque non rispettasse tale regola era additato come vagabondo e nessun cristiano poteva trattare affari con ebrei privi del segno di riconoscimento.

 

Per i saraceni e gli israeliti, ovvero i seguaci di Maometto, era prescritto un segno di riconoscimento simile, solo di colore giallo zafferano. Agli ebrei non era permesso di tenere in casa servi o balie di religione cristiana; a loro era preclusa qualsiasi possibilità di ricoprire funzioni pubbliche.

 

In considerazione del trattamento riservato agli ebrei di Polonia nel XIII secolo, possiamo dedurre che era loro riconosciuto il semplice status di cittadini solo per commerciare e far funzionare, di conseguenza, l’economia, ma de facto, l’isolamento a cui la legge canonica li obbligava li escludeva completamente dalla vita civile.

 

L’unico tentativo di integrazione a favore degli ebrei nel Medioevo resta perciò la carta dei privilegi di Boleslao V, che Casimiro III riconfermò nel 1334 e che rappresentò per gli ebrei in terra polacca il picco massimo di tolleranza concessa durante tutto il periodo del Medioevo nell’Europa cristiana. Dobbiamo considerare però, come già spiegato in precedenza, che non fu una concessione vox populi, ma una sorta di salva condotto in una terra ostile; il re era infatti in grado di garantire le libertà personali agli ebrei, ma paradossalmente non era in grado di tutelare la loro libertà. Questa carta esprimeva formalmente dei diritti, ma racchiudeva in nuce le tensioni, i conflitti e le tragedie di quella che sarebbe divenuta la diaspora ebraica a seguito della peste del 1348.

 

 

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