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storia & sport


N. 65 - Maggio 2013 (XCVI)

storia e origini del Polo
Lo sport dei re

di Francesco Agostini

 

Le ipotesi sulle origini del polo equestre sono molteplici e difformi ma tutte riconducibili a un’unica zona geografica, identificabile certamente con l’Asia. Una prima ipotesi consiste nel ricercarne le radici nella disciplina giapponese del Dakyu, di cui abbiamo notizie certe a partire dall’VIII secolo.

 

Proprio in questo periodo, infatti, nel 727 D.C., ritroviamo un antico scritto in cui è raccontata con particolari accurati una sfida di Dakyu svoltasi nella zona di Nara: come segno della sua inequivocabile popolarità vi è al riguardo un editto dell’imperatore in cui viene intimato l’ordine di vietare tutte le discipline equestri in quanto dannose per la cavalleria imperiale.

 

Le regole del Dakyu subiscono un’evoluzione progressiva che lo rendono sempre più simile all’odierno Polo: originariamente, il campo da gioco consisteva in uno spazio indefinito in cui i giocatori potevano muoversi liberamente e l’unico obiettivo si esauriva nel portare la palla nella zona avversaria.

 

Con l’andare del tempo però assistiamo a una sempre più rigida codificazione delle regole che portano a definire le dimensioni del campo in venti metri di larghezza e cinquanta di lunghezza e il numero dei giocatori, cinque per parte.

 

Anche la strumentazione subisce dei lievi cambiamenti: vengono sostituite le antiche stecche con bastoni che alla loro fine dispongono di una rete metallica la cui funzione è di prendere e smistare la palla, mentre lo scopo del gioco si fa più concreto, arrivando a determinare un punteggio finale (12 punti) al quale si arriva lanciando la palla dentro il cerchio avversario.

 

A tutto questo si aggiungono anche delle varianti sulle modalità del gioco: lo stile Kagemiryu nel quale le squadre sono composte da quattro cavalieri e non più cinque e lo stile Yamagata in cui l’ultima palla, quella che risulta essere determinante ai fini del gioco, acquista un nome proprio, ossia agemari. Una seconda ipotesi invece rintraccia le origini del Polo nella Mongolia, paese nomade in cui il cavallo ricopriva un ruolo centrale nella vita di tutti i giorni: secondo questa teoria infatti, le movenze e lo stile di gioco deriverebbero direttamente dalle battute di caccia nelle quali si inseguiva la preda a cavallo e la si colpiva a morte con un bastone.

 

Inoltre questa teoria, dà al Polo il titolo di uno degli sport più antichi del mondo: alcune fonti infatti fanno risalire al 600 A.C. la prima partita ufficiale, disputatasi fra persiani e turcomanni.

 

Anche le origini del nome comunque presentano teorie difformi: la più accreditata fa derivare il termine Polo dalla parola tibetana pulu, ossia palla, e quindi identifica il gioco con il mezzo tramite il quale si ottiene la vittoria; un’altra ipotesi invece interpreta lo stesso termine, pulu, come nome con il quale venivano chiamate le gare a cavallo in Persia. La terza e ultima invece, traduce lo stesso termine con salice, l’albero con il quale era formata la palla da gioco, anche se vi sono discordanti teorie al riguardo che indicano come materiale base per la creazione della palla da gioco della semplice pelle di animale.

 

A rafforzare l’idea che il Polo sia lo sport dei re è la leggenda secondo la quale anche il sovrano mongolo Gengis Khan amasse dilettarsi in questo gioco: è probabile, ma non sicuro, che la sua diffusione in Cina sia avvenuta proprio per merito suo a partire dal 1211. Il fatto poi che Gengis Khan basasse la sua organizzazione militare sui movimenti dei cavalli studiati nel minimo dettaglio non può far altro che accreditare ancora di più l’idea di una sua vera e propria passione per questo sport.

 

Dalla Cina il Polo si diffonde rapidamente, trovando nell’India la sua nuova patria: qui, infatti, viene praticato in larga misura, in particolar modo dai sovrani indiani, i Maharaja. Proprio grazie ai Maharaja il Polo riesce ad affermarsi in Europa e da lì in tutto il mondo: nel XIX secolo infatti i soldati britannici arrivati in India grazie alla spinta coloniale conoscono per la prima volta questo singolare sport e ne rimangono affascinati. Grazie a questo gioco la cavalleria britannica poteva tranquillamente unire l’utile al dilettevole: in tempo di pace infatti, il Polo fungeva da allenamento militare in quanto il movimento della mazza impugnata dal giocatore era propedeutico all’insegnamento dei colpi di sciabola. In breve tempo in India si formano i Polo club: il primo in ordine di tempo è datato 1859 e viene fondato dal generale Robert Stewart a Silchar e il secondo, che è ancora oggi uno dei più importanti del mondo, nasce nel 1862 a Calcutta.

 

Dall’Oriente il Polo si sposta finalmente in Occidente e la prima tappa di avvicinamento alla Gran Bretagna è la piccola Malta: da quest’isola gli Inglesi partivano e tornavano dai numerosi viaggi in Oriente e qui, nel 1868, nasce il primo Polo club in Occidente. Nel frattempo le regole del gioco continuano a essere codificate e ridefinite, dando vita a un processo abbastanza lungo che inizia ufficialmente nel 1870 con John Watson e termina nel 1874 grazie all’Hurlingham Club: da questo momento in poi il Polo assume una sua identità definitiva.

 

Dopo una discreta diffusione europea, sempre grazie agli inglesi, il Polo viene esportato in un territorio consono ai cavalli e al gioco stesso: l’Argentina. Qui il gioco viene facilitato principalmente da tre fattori: Il primo consiste nel fattore ambientale determinato dalle pampas, le tipiche pianure sconfinate che si estendono per gran parte dell’Argentina e che rappresentano l’ambiente ideale per un gioco equestre. Un secondo fattore è la presenza nel territorio dei famosi Gauchos, ossia i mandriani argentini (l’equivalente americano del cow boy) abilissimi nell’addestramento e nella cura dei cavalli. Il terzo consiste nella particolare qualità dei cavalli stessi, essendo diffusissimi in Argentina esemplari eccellenti come la razza Criollo che fu importata in Sudamerica dai conquistadores spagnoli e che vanta una buona predisposizione all’addestramento e una resistenza elevatissima alla fatica.

 

In poco tempo vengono fondati numerosi club Polo, il più famoso dei quali è l’Associacion Argentina de Polo e il gioco diventa sport nazionale, costituendo una valida alternativa all’onnipresente calcio. L’Argentina diventa così la nazione ufficiale del Polo e può fregiarsi di ospitare uno dei tornei più importanti a livello mondiale di questo sport: il Campeonato Argentino Abierto de Polo che si disputa nella capitale Buenos Aires.

 

Oramai la scalata del Polo è inarrestabile e nel Novecento diventa ufficialmente sport olimpico: viene ammesso alle Olimpiadi di Parigi nel 1900, di Londra nel 1908, di Anversa nel 1920, ancora a Parigi nel 1924 e a Berlino nel 1936, data che ne segna la sua ultima apparizione.

 

I campionati mondiali invece vedono la luce solo molto tempo dopo e la prima edizione si gioca sempre in Argentina, a Buenos Aires, nel 1987. Inutile dire che il Polo, essendo un gioco equestre, è ed è sempre stato uno sport riservato alla fetta più nobile della popolazione e quindi non propriamente un gioco per tutti. Fra i suoi più sinceri ammiratori si possono annoverare, oltre al già citato Gengis Kahn, il politico e storico Winston Churchill che ne coltivò l’amore per tutta la vita.

 

Nell’epoca moderna l’appassionato di Polo più conosciuto al mondo è sicuramente l’ex batterista dei Police Stewart Copeland, che ne è addirittura proprietario di un’intera squadra e che utilizza l’immagine di un giocatore di Polo come logo per il proprio sito internet. Anche la moda però ha deciso di strizzare l’occhio a questo nobile sport, rendendolo facilmente visibile su magliette e T-shirt: emblematico è in tal senso il caso del colosso Polo Ralph Lauren che utilizza l’icona di un giocatore di Polo come marchio, evidenziando così speciali peculiarità di eleganza e discrezione.

 

Il Polo quindi, nei tempi moderni, sta cercando un buon compromesso ponendosi, di fatto, a metà fra sport elitario e accessibilità alle masse: in tal modo ne viene preservata la nobile origine che lo ha sempre caratterizzato e allo stesso tempo permette di farsi conoscere ai più, togliendolo quindi da una sorta di isolamento dorato. Appropriatamente quindi, il Polo non sarà più solamente lo sport dei re, da Gengis Kahn ai Maharaja, ma certamente, per le sue antichissime origini, continuerà a essere il re degli sport.



 

 

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