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N. 43 - Luglio 2011 (LXXIV)

la politica del personalismo

dalla costituzione alla seconda Repubblica
di Giovanni Piglialarmi & Roberto Rota

 

Siamo arrivati davvero alla fine di un’era politica denominata “berlusconismo”? Cosa si sta muovendo sulla scena politica italiana? Quale differenza intercorre tra l’operazione “mani pulite”, che portò al crollo definitivo della DC e di tutti i partiti annessi alla “Prima Repubblica”, e il proselitismo giudiziario che ruota intorno a Berlusconi?

 

Questa successione infantile tra prima e seconda repubblica in realtà non è mai esistita. La scansione è puramente di carattere giornalistico. Giuridicamente parlando, non ha motivo di reggere poiché non ne è stato mai modificato l’assetto costituzionale, sotto il profilo della forma di stato e di governo. La nostra è ancora una repubblica parlamentare e non presidenziale.

 

“L’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul Lavoro” (Art. 1 Cost.). L’espressione del primo articolo è un concetto che va preso con le molle. Nell'esperienza francese, diversamente da quella italiana, alla IV Repubblica Parlamentare (1946-1958), che ricalcava il modello attuale italiano verosimilmente, si sostituì una V Repubblica di carattere presidenziale.

 

De Gaulle preferisce il semipresidenzialismo poiché abbraccia i programmi del suo movimento “Francia Libera” e le sue aspirazioni personali, di una Francia moderna e che allo stesso tempo conservi un forte carattere nazionalista.

 

In Italia, come sostiene il Prof. Pietro Scoppa in un suo autorevole saggio, con il riferimento alla caduta della I Repubblica, ci si riferisce alla scomparsa di alcuni partiti che sono stati i principali protagonisti di un’Italia neo-repubblicana, appena uscita dal dominio incontrastato del Fascismo mussoliniano coinvolto nel secondo catastrofico Conflitto Mondiale.

 

Ci sono degli elementi che ci fanno capire come in realtà sia cambiato l’assetto dei partiti tra la I e la II Repubblica e che ruolo abbia assunto l’ideologia all’interno di uno stato che si è aperto alla globalizzazione.

 

Tra 1994 e il 1998, la legge maggioritaria aveva cambiato il rapporto tra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio. Quest’ultimo non era nominato tra gli eletti al Parlamento, ma coincideva perfettamente con il leader del partito (o della coalizione) che aveva ottenuto la maggioranza alle elezioni. Ci si è avviati dunque verso un presidenzialismo di fatto.

 

Scalfaro ricordò che la nostra era una Repubblica Parlamentare. Quindi dal punto di vista scientifico non poteva considerarsi “costituzionale” una tale procedura. Ma tantomeno comparivano elementi di incostituzionalità.

 

Chi, infatti, avrebbe messo in discussione la titolarità e la legittimità alla carica di Presidente del Consiglio di Silvio Berlusconi che aveva raccolto i residui del vecchio mondo politico e volti nuovi che avrebbero assicurato la tanto attesa rivoluzione liberale? Praticamente nessuno.

 

Il sistema partitico che si sviluppa a partire dal 1943, anno in cui inizia l’attività partigiana coincidente col declino del Fascismo, è basato sul “Comitato di Liberazione Nazionale”.

 

I 6 partiti che ne fanno parte (comunisti (PCI), democristiani (DC), azionisti (PdA), liberali (PLI), socialisti (PSIUP) e demolaburisti (PDL)) combattono l'occupazione nazifascista della penisola. Dal 1943 vengono gettate le basi del sistema partitico italiano.

 

Questi avrebbero avuto un ruolo determinante nella storia dei primi sessant’anni della Repubblica. Un sistema, dunque, nato nello spirito della liberazione. Ironicamente, la formazione egemonica di tali partiti veniva definita la “cittadella esantica”, quasi a voler indicare un circolo chiuso dove si custodiva gelosamente la vittoria della liberal-democrazia sul fascismo.

 

Dal 1947, al posto della collaborazione che c’era stata fino a quel momento tra i partiti perché accomunati dal nemico, subentra una netta cesura. Era già preannunciata. I sei partiti erano diametralmente opposti. Quest’unione era stata funzionale alla comune lotta contro il nazifascismo.

 

La contrapposizione tra USA e URSS, infatti, fa già crescere la diffidenza tra la DC e il PCI. Questo determina una situazione di forte e netta contrapposizione all’interno dello Stato Italiano. La tensione è fortissima.

 

Si creano delle vere e proprie scuole di partito, dove l’indottrinamento rappresenta la linfa che alimenta i giovani militanti per impegnarli nella lotta dell’affermazione dell’ “idea”, sfociando spesso e volentieri in dei specifici movimenti settari. Già questa è una differenza forte con la vita e l’organizzazione dei partiti di oggi. La vita di sezione era il primo approccio che la gioventù politica riceveva.

 

Dal 1962, la DC inizia a valutare un’apertura a sinistra (PSI). Giovanni Orsina sottolinea che non è una necessità ma una scelta. È la dirigenza del 54 che decide di dialogare con il PSI, e chiude con la destra politica ed economica. Perché?

 

Nel 1961, in un tentativo di dialogo tra DC e MSI (Governo Tambroni) si scatenano furibonde proteste che bocciano totalmente tale mossa politica. La destra monarchica, però, gioca un ruolo importante in quanto stringe una serie di alleanze locali come quella di Napoli, Lecce, l’ operazione Sturzo a Roma etc.

 

A partire dal governo Tambroni, qualsiasi apertura a destra si rivela un fallimento. Questo sistema politico, pertanto, si sviluppa verso sinistra, aprendo al PSI, col governo Moro (62-63) fino agli anni 70 con l'attenzione verso il centro sinistra aprendo al PCI. Le vicende del fallimento sono note e drammatiche: il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro.

 

Gli anni 79-80 rappresentano la fine di qualsiasi possibilità di rinnovamento partitico. Il fallimento della solidarietà nazionale (cioè della collaborazione di tutti i partiti al di là delle ideologie per lo sviluppo del paese) fa capire che il sistema politico è bloccato. Non si riesce più a trovare una causa per rilanciare la posizione del centrismo. Si comincia a parlare di crisi politica dovuta alla mancanza di proposte, di progettualità.

 

Evidentemente non si può più andare oltre. A questa immobilità risponde Bettino Craxi che intercetta la modernità degli anni 80 (come sostiene Gervasoni) e la fa propria.

 

C'è un'idea del PSI liberistica che però si rende troppo spesso partecipe e complice di una nuova società corrotta e senza scrupoli, quella degli affare e del miracolo degli anni 80. I due vecchi partiti di massa fortemente ideologizzati si rivelano incapaci di leggere i tempi e di farli propri.

 

Da un lato, infatti, abbiamo la DC che sta sulla difensiva mantenendo posizioni radicali contro l'aborto, il divorzio etc. quindi, una parte della società italiana si allontana dal mondo cattolico e dall'impronta de-gasperiana; dall’altra parte abbiamo Berlinguer, propagatore dell'eurocomunismo, che non ha colto la modernità che intanto penetrava all’interno della società e che, d'altronde, è in molti casi ostaggio della sinistra estrema che fa fallire i suoi tentativi di avvicinarsi al governo (come per il caso Moro o per il caso del sequestro del giudice D'Urso ).

 

Gli avvenimenti del 94 non avvengono all'improvviso. I fenomeni di scandalo, di corruzione e della famosa “tangente” risalgono agli anni 70, si pensi allo “scandalo dei petroli”.

 

C'è un sistema di corruzione che non nasce negli anni 90 ma che è precedente, che si perde nei finanziamenti dati ai partiti nei primi anni 50.

 

Un altro elemento importante è il crollo del comunismo: la DC in questo contesto riesce ad essere il contenitore, blocco moderato conservatore, tratto distintivo della società italiana. Nel momento in cui il comunismo viene meno, questo collante che aveva convogliato i voti sulla DC non c'è più.

 

Crollati i due massimi sistemi partitici, venuto a mancare il blocco moderato e il blocco comunista, manca l’alternativa: una destra moderata italiana. Negli anni che precedono il 94, si riesce ad intendere che il potere lottizzato dalla politica sta crollando.

 

Ma il berlusconismo è un'anomalia italiana o un fenomeno rivoluzionario?

 

Nel 94, per far fronte allo scandalo che aveva travolto il mondo della politica, Berlusconi si presenta al popolo con un progetto innovativo, come la speranza, come l'anti-politica di un tempo. Recupera l'idea di partito leggero, post-ideologico, mediatico figlio dei mass-media e di Publitalia.

 

In quella fase sembra intercettare anche lui un elemento di modernità, è lui l’erede del visionario Craxi, troppo in anticipo suoi tempi per questo costretto a fuggire ad Hammamet. Berlusconi diventa il punto di qualcosa di più liberale che ci sia.

 

Tutt'ora lo si crede. In realtà Berlusconi illude il paese con l'idea di una rivoluzione liberale. Il fenomeno dell’imprenditore che si è fatto da se e che diventa “leader di un partito” sta a dimostrare che ormai i tempi stanno cambiando.

 

Il partito non è più il centro ideologico di adesione. Ma si configura come una pubblica impresa che offre determinati beni e servizi dove l’elettore, che in questo caso diventa consumatore, sceglie liberamente. O quasi.

 

Per pilotare le scelte, è tipico di una politica di stampo imprenditoriale manipolare l’informazione a proprio favore per mostrare “l’universo” della propria offerta.

 

Nella Catalogna, nella Croazia, è accaduto lo stesso, quasi nello stesso periodo. È stata un'anomalia e una risoluzione allo stesso tempo che ha creato proseliti. Il sostanziale cambiamento è stato quello di far politica diversamente, accentuando molto di più, come in Francia e in Spagna, la figura del leader rispetto al partito, facendola soprattutto prevalere come criterio di scelta dell’elettore, diversamente dai primi anni 50 quando il partito era visto come un soggetto al di sopra del leader, anzi dove questi ultimi erano scelti dai partiti e quasi sempre dopo le elezioni. Si seguiva l’idea, e quest’ultima poteva essere “amministrata” da qualsiasi esponente del partito.

 

La visione del mondo era diversa durante gli anni 50-80, era una realtà che potremmo definire a trazione ideologica. I tratti che si chiedono ad un candidato oggi sono rigorosamente diversi: anzitutto una forte base economica e la capacità di manifestare un carisma mediatico che colpisca ogni tipo di platea.

 

Tutto fuorché un minimo di cultura politica affiancata da una buona preparazione tecnica, gli specialisti annoiano gli “showman” trascinano le folle.

 

Berlusconi è diventato l'asse su cui si è polarizzato il discorso politico. Il modo di ragionare esclude i ragionamenti di tipo politico (si è caduti nel bipolarismo infantile Odio-Amo). Non avrà fatto la rivoluzione istituzionale, ma il modo di concepire la politica stessa lo ha cambiato, almeno nella sensazione comune.

 

Il fenomeno “Berlusconi” non è nient’altro che un contenitore di un blocco moderato sommerso come lo è stata la DC e come al suo tempo il Fascismo.

 

Parte degli esponenti della cultura politica democristiana sostengono che il personalismo ha determinato una profonda modifica dei partiti.

 

L’Italia è l’unico paese in Europa che ha soppresso per sempre le quattro correnti politiche che sono state protagoniste della nascita della Comunità stessa: DC, PC, Liberali e Ambientalisti.

 

Il pensiero democristiano, però, diversamente da quello comunista rappresenta ancora la speranza in quanto non ideologizzato. Molti credono che la politica s’identifichi nel programma (è questa la “politica del fare”). I partiti si organizzano sui modelli che ritengono opportuni di inserire nelle istituzioni.

 

Dunque il programma potrebbe essere definito come l’azione politica del governo. Il finto liberismo partitico, che ha liberato la politica italiana da ogni ideologia, ha determinato un'anomalia: né una repubblica presidenziale nè parlamentare.

 

L’inesistenza di una repubblica presidenziale, facendo riferimento alla Costituzione, svuota il parlamento della decisione, della sua stessa natura. I decreti del governo e la semplice approvazione parlamentare (basata su di una maggioranza fedele al leader) bastano per governare il paese.

 

Il voto del parlamento, si dice, è diventato superfluo in quanto è la figura del leader ad avere molto più potere contrattuale rispetto agli eletti stessi.

 

Il parlamento dovrebbe avere la capacità di imporsi come organo istituzionale, costituzionalmente tutelato e non come burattino, nelle mani di una maggioranza accentrata sulla monografia di un leader.

 

Cambiano i partiti, cambiano le istituzioni, ma bisogna avere una cultura politica di riferimento?

 

Sì, perché è un codice di lettura che bisogna avere, per affrontare i bisogni diversi nelle differenti stagioni, facendo appello alla propria chiave di lettura acquisita attraverso lo studio. La mancanza del codice di lettura da’ vita al personalismo, un'involuzione democratica drammatica che svuotano le istituzioni parlamentari e democratiche trasformandole in “fantasmi istituzionali”.

 

Il terreno della democrazia dove lo si trova? Nel partito personale? Dal leader di Turno?

 

Il personalismo non dà più la capacità di avere gruppi dirigenti. Il partito basato sul personalismo privo di ogni dirigenza pluralista è la peggiore arma democratica mai esistita.

 

Oggi c'è un totalitarismo nel mondo della politica che è un circuito basato su finanza e informazione. L’altro tratto distintivo che accompagna il personalismo, è il genericismo.

 

Molti politici di esperienza ventennale, invece, hanno visto in questo presidenzialismo di fatto una traccia di stabilizzazione dei governi.

 

L'elettorato vota sapendo di stabilizzare il governo, vedendo nella figura del leader la sicurezza, la certezza ma non la coscienza. Con l’esperienza della prima repubblica invece abbiamo visto come il voto al partito, e non al leader, era una delega in bianco ad operare nel migliore dei modi possibili.

 

Il PCI ha sempre avuto una funzione anomala. Messo continuamente fuori dal governo, esercitava pressione con un grande sindacato di massa quale la CGIL. Soprattutto, condeterminava l'azione di governo ma era fuori “la stanza dei bottoni”, influenzava e dialogava con i governi sebbene non avesse ministri. Giorgio Galli lo definì il bipartitismo imperfetto in quanto solo la DC governò effettivamente.

 

Ma la leadership allora era condivisa?

 

Certamente no. La vera lotta era all'interno della DC. I veri partiti erano le correnti.

 

E cosa ha fatto oggi Berlusconi per riprendere le correnti? Che cos'è oggi la seconda repubblica?

 

Il PDL in qualche modo è rappresentato come il partito di Silvio Berlusconi che ha riassemblato culture politiche sotterrate nella prima repubblica. Erano culture estromesse e bandite.

 

La Destra era una cultura estromessa, definito il partito depositario. Il socialismo autonomista in alternativa alla DC era escluso, la cultura laico - risorgimentale, la cultura Cattolica - liberale, tutte soppresse.

 

Il PDL ha restituto agibilità e forse dignità a queste culture. Ma il problema rimane tale.

 

Il leader oggi è il centro di compromessi e interessi che tiene lontane le correnti, magari a lottare per qualcosa che è svanita da tempo: l’ideologia.

 

Dopo questo viaggio nella cultura politica, possiamo ben dire che la struttura economica di Karl Marx ha prevalso sul mondo della politica.

 

L’ideologia è stata inglobata dal mercato, forse facendo smarrire quelle tracce di dignità e di appartenenza che ritroviamo solo in qualche vecchio libro pieno di polvere.



 

 

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