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N. 71 - Novembre 2013 (CII)

LA POLITICA DEI GIRI DI VALZER
ITALIA ALLEATO INFIDO?

di Elena Birigozzi

 

Questa espressione è stata coniata dal cancelliere tedesco Von Bülow con riferimento al ruolo di “ago della bilancia” tra la Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e l’Italia stessa) e la Triplice Intesa (Inghilterra, Russia e Francia) fra la fine dell’800 e i primi del’900. Per capirne meglio le ragioni dobbiamo tornare indietro nel tempo e analizzare la politica estera italiana a partire dal 1870.

 

In quegli anni la necessità primaria del Regno era riconducibile al completamento dell’unità con l’annessione del Veneto e del Lazio.

 

Il primo obiettivo venne raggiunto nel 1866 con la III guerra d’indipendenza (conosciuta come guerra austro-prussiana o guerra delle sette settimane, i cui attori principali erano l’impero d’Austria da una parte e dall’altra la Prussia e il Regno d’Italia), mentre il secondo si concretizzò nel 1870 in occasione della guerra franco-prussiana.

 

L’Italia venne così riconosciuta come “ultima delle Grandi Potenze” ma dal Congresso di Berlino del 1878 l’Italia tornò con “le mani nette, ma vuote” e un ennesimo duro colpo fu sferrato dalla Francia quando dichiarò il suo protettorato sulla Tunisia (dove era presente una numerosa comunità italiana).

 

Venne così concluso nel 1882 il patto con la Triplice Alleanza a carattere difensivo nei confronti della Francia e della Russia. Il patto sarebbe stato rinnovato ogni 5 anni e solo nel 1887 l’Italia ottenne un primo riconoscimento dei suoi interessi in Africa Settentrionale e nei Balcani.

 

Questo non servì comunque a evitare nel 1896 la sconfitta di Adua (nella guerra contro l’Etiopia), tanto che l’Italia iniziò a considerare un graduale avvicinamento alla Francia.

 

L’inizio di questo processo va individuato nella crisi della politica di Crispi, triplicista ma soprattutto antifrancese. Per il nuovo governo Rudinì il problema più urgente era quello di porre termine alla guerra con l’Etiopia e così avvenne con la firma di un trattato che stabiliva un confine provvisorio con la colonia Eritrea.

 

Il nuovo ministro degli esteri Visconti Venosta (già al governo vent’anni prima) firmò il 30 settembre tre convenzioni fra l’Italia e la Tunisia per la tutela della posizione giuridica, economica e culturale della comunità italiana nel paese nordafricano e la regolazione dei rapporti commerciali con l’Italia.

 

Il governo di Roma intendeva comunque ottenere dalla Francia il benestare per la penetrazione italiana in Tripolitania Cirenaica. Questo avvenne in parte con la dichiarazione reciproca di disinteresse verso questa area da parte francese e verso il Marocco da parte dell’Italia.

 

Il ministro degli esteri italiano firmò il rinnovo della triplice alleanza nel 1902 a condizione che fosse aggiunta la dichiarazione dell’ambasciatore austro-ungarico a Roma che la Duplice Monarchia non avrebbe ostacolato un’azione italiana in Tripolitania Cirenaica. Stesso fece l’Inghilterra in uno scambio di note, a condizione che l’Italia si fosse impegnata in maniera non ostile nel Mediterraneo.

 

Il 10-11 luglio un nuovo scambio di note fra Italia e Francia riconosceva “nel caso che in seguito a provocazione diretta una di esse si trovasse indotta a prendere, per la difesa del suo onore o della sua sicurezza, l’iniziativa di una dichiarazione di guerra”, a comunicare preventivamente la propria intenzione all’altra parte così che questa potesse “constatare che si trattava veramente di un caso di provocazione diretta”. Inoltre, nel 1909 venne firmato il trattato di Racconigi con la Russia, il quale prevedeva il mantenimento dello status quo nei Balcani.

 

Fu un patto segreto firmato a insaputa della Triplice Alleanza, un’ennesima manifestazione di quanto l’Italia intendesse tenersi aperte più porte per poi scegliere quella più conveniente.

 

Tuttavia, come aveva già rivelato Gaetano Salvemini, “l’alleanza dell’Italia era un’alleanza condizionata in vista di determinate situazioni tassativamente indicate dal trattato della Triplice, mentre il legame fra la Germania e l’Austria si rivelava come un patto di solidarietà incondizionata, che si estendeva anche fuori dalle barriere definite nel trattato della Triplice Alleanza”.

 

Non a caso alla conferenza di Algesiras, Guglielmo II lodava il comportamento del ministro degli esteri austroungarico definendolo “degno di un fedele alleato”. Quando l’Austria-Ungheria decise di annettere la Bosnia Erzegovina nel 1908, il cancelliere Bülow convinse Guglielmo II che non si poteva lasciare sola l’alleata perché la situazione della stessa Germania in Europa sarebbe divenuta pericolosa se la Duplice Monarchia avesse perduto la fiducia nell’alleata.

 

Allo scoppio della prima guerra mondiale la situazione italiana era piuttosto controversa: da trentadue anni era legata alla Germania e all’Austria dal trattato della Triplice, ma l’alleanza aveva un carattere strettamente difensivo, mentre la guerra era stata provocata da un attacco offensivo dell’Austria.

 

Nel 1902 aveva preso verso la Francia l’impegno di non partecipare a una guerra offensiva contro di essa, quindi non aveva alcun obbligo di intervenire. Negli ultimi tempi la collaborazione diplomatica con l’Austria-Ungheria si era fatta più difficile, a causa della rivalità in Adriatico, in particolare per la gara d’influenza in Albania, tanto che il 2 agosto venne dichiarata ufficialmente la neutralità dell’Italia nel conflitto.

 

Qui iniziarono le trattative per spingere l’Italia a entrare nel conflitto mondiale e portarono alla dichiarazione del programma delle rivendicazioni italiane (i territori fino al displuvio delle Alpi fino al Quernero; Valona, in caso di spartizione dell’Albania; il Dodecanneso in caso di spartizione della Turchia, e la zona di Adalia in Asia Minore; partecipazione all’indennità di guerra; rettifica del confine libico-tunisino. Incerte erano le rivendicazioni in Dalmazia e sulle isole da richiedere).

 

Per il momento, però, si doveva rimandare ogni decisione, a causa dell’impreparazione militare e anche a causa del Paese che non era disposto né moralmente né economicamente alla guerra. Fu solo nel 1915 che venne firmato il patto di Londra con Francia, Inghilterra e Russia e prevedeva che l’Italia entrasse in guerra al fianco dell’Intesa entro un mese, e in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo meridionale, la Venezia Giulia, l’intera penisola istriana con l’esclusione di Fiume, una parte della Dalmazia, numerose isole dell’Adriatico, Valona e Saseno in Albania e il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, oltre alla conferma della sovranità su Libia e Dodecaneso.

 

Le ultime concessioni della triplice alleanza non arrivavano neanche lontanamente a eguagliare queste, perciò il 20 maggio la Camera accordava al governo i pieni poteri e il 23 maggio venne spedita a Vienna la dichiarazione che all’indomani l’Italia si considerava in stato di guerra con l’Austria Ungheria.

 

Questo dimostra quanto l’Italia anteponesse sempre i suoi interessi vitali a discapito della fama internazionale che ne ricavò.

 

Come sappiamo, tuttavia, alla fine non riuscì totalmente nel suo intento poiché l’ingresso degli Stati Uniti in guerra impedì di fatto l’applicazione totale del Patto di Londra, tanto che la vittoria dell’Italia fu definita “vittoria mutilata”.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

AA.VV, La politica estera italiana dal 1914 al 1943, 1963, Eri edizioni

Ottavio Barié, Dal sistema europeo alla Comunità mondiale, 1999, Celuc Libri



 

 

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