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N. 57 - Settembre 2012 (LXXXVIII)

Lo scenario europeo dal secondo dopoguerra alla fine degli anni ’80
IL RAGGIUNGIMENTO DI NUOVI EQUILIBRI

di Eleonora Stefanelli

 

Dalla fine della seconda guerra mondiale, l’Europa ha subito una sconvolgente trasformazione che ha coinvolto molti campi e che, al contempo, ha dato all’uomo la certezza delle proprie potenzialità.

 

Infatti, le grandi potenze mondiali compresero il valore dell’evoluzione, valore che non lo si otteneva soltanto rincorrendo obiettivi espansionistici raggiungibili tramite azioni a carattere bellico, ma ottimizzando le risorse ed i mezzi in ogni settore.

 

Per tali ragioni, si può affermare che il genere umano, a seguito del secondo dopoguerra, è stato catapultato in una realtà del tutto nuova, che non ha rispettato quella naturale e costante gradualità che, diversamente, ha caratterizzato i periodi storici precedenti.

 

Difatti, la seconda guerra mondiale lascia come strascico gravi contrasti ideologici, che unitamente a quelli di potenza resero più difficile una pace stabile.

 

Tuttavia la crescita e lo sviluppo dell’Europa sono stati condizionati da molteplici fattori riferibili allo scenario internazionale.

 

In particolar modo, meritano di essere evidenziate tre fasi principali che hanno caratterizzato la storia del dopoguerra:

 

1) una prima fase, che va dal 1945 al 1946, ove si cercò di elaborare i trattati di pace;

 

2) un secondo periodo, che corrisponde agli anni che vanno dal 1956 al 1963, in cui si scatenò la “guerra fredda” tra Stati Uniti e U.R.S.S.;

 

3) una terza ed ultima fase, che riguarda il periodo che va dal 1963 in poi, in cui si assiste ad uno sforzo di graduale attuazione della coesistenza competitiva tra le due maggiori Potenze, mentre cresceva il peso della Cina e dei Paesi del Terzo Mondo.

 

Del resto, la stessa Europa usciva dalla guerra in grave crisi, perdendo definitivamente il primato nel mondo.

 

Fu proprio a partire dalla metà del 1947 che l’Urss trasformò in dominio il proprio controllo politico ed economico sull’Europa orientale, mediante il ricorso a vari sistemi,dai brogli elettorali alle intimidazioni, dagli arresti ai colpi di stato.

 

Ogni forma di pluralismo venne abolita, i governi di coalizione vennero liquidati e si crearono regimi a partito unico, in genere risultanti da una fusione tra comunisti e socialisti.

 

Nel 1947 fu creato il Cominform, un organismo di informazione e collaborazione fra i partiti comunisti europei. Fu il suddetto organismo a pronunciare la condanna dello jugoslavo Tito.

 

Successivamente, nel 1955 l’Urss e suoi satelliti diedero vita al Patto di Varsavia, meglio noto come “Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza”, un’alleanza militare analoga e contrapposta alla NATO.

 

Da questa scissione, nacque il diverso percorso che condusse alla formazione di due blocchi europei, un iter separato che portò a totali divergenze e che andò a condizionare gli eventi, i programmi e persino gli stili di vita dei “nuovi” europei.

 

Inoltre, conseguenza della seconda guerra mondiale e della guerra fredda fu la divisione, nel 1949, della Germania.

 

Sul versante economico, la Germania occidentale visse negli anni ’50 un fortissimo boom, difatti erano gli anni del cosiddetto “Wirtschaftswunder” (miracolo economico).

 

Grazie all’iniziale sostegno dell’America, la Germania federale riuscì in breve tempo a diventare nuovamente una nazione rispettata per la sua forza economica.

 

La parte orientale, invece, faceva molta più fatica a riprendersi: era svantaggiata fin dall’inizio sia per le pesanti richieste economiche avanzate dall’Unione Sovietica col fine di riparare i danni subiti nel corso della guerra sia per la mancanza di aiuti paragonabili a quelli che riceveva la parte occidentale e sia, infine, per una rigida struttura di pianificazione nazionale dell’economia.

 

In quegli anni, il confine tra est ed ovest non era ancora insuperabile e per tutti gli anni ’50 centinaia di migliaia di persone fuggivano ogni anno dall’est all’ovest, per la maggior parte erano giovani con meno di 30 anni e spesso persone con una buona formazione professionale, laureati, operai specializzati e artigiani, che all’ovest si aspettavano un futuro più redditizio e più libero.

 

Successivamente, due fattori portarono ad un concreto percorso di riunificazione europea: l’arrivo di Gorbaciov, come leader dell’Unione Sovietica e le crescenti difficoltà politiche ed economiche dei paesi dell’est e specialmente della Repubblica democratica tedesca.

 

Tuttavia, azioni prodromiche a quelle di Gorbaciov furono avviate già precedentemente nel resto del mondo da personaggi di spessore, che operarono in ambito politico ed anche spirituale.

 

In tal senso, meritano di essere citati Martin Luther King, Nelson Mandela, Papa Giovanni XXIII, il presidente americano John F. Kennedy ed altri, che si impegnarono professando il superamento di quei preconcetti e di quegli odi razziali, i quali rappresentano tutt’ora il fondamento di ogni divisione tra popoli.

 

Gli anni ’80, inoltre, furono caratterizzati da moltissimi incontri tra il presidente americano Reagan e il segretario del Soviet Gorbaciov, i quali essendo a capo delle due più grandi potenze mondiali, si erano resi conto che le tensioni internazionali non avrebbero mai contribuito allo sviluppo dell’umanità.

 

In quest’ottica, si dava sempre più spazio alle spinte rivoluzionarie positive, ovvero a quelle proteste e movimenti volti all’ottenimento di obiettivi comuni e alla realizzazione di un sogno di libertà e unità continentale.

 

Con la “Perestrojka”, volta all’attuazione di una radicale ricostruzione dello scenario politico ed economico e , al contempo, attraverso una maggiore trasparenza politica, definita “Glasnost”, Gorbaciov attuò un processo di svecchiamento dell’Unione Sovietica.

 

I dirigenti della Repubblica democratica tedesca guardarono a tale processo dapprima con un certo imbarazzo e poi con crescente resistenza.

 

Ma è proprio nel corso degli anni ’80 che qualcosa cominciò a cambiare: manifestazioni popolari sorsero in maniera spontanea nei vari Paesi comunisti, si verificarono cambiamenti democratici, piccole rivoluzioni toccarono il sistema economico e il sistema politico in Polonia, in Ungheria e nell’Unione Sovietica e riempivano quotidianamente i giornali in tutta Europa.

 

Solo nella Repubblica democratica tedesca il tempo sembrava essersi fermato, ma molta gente divenne impaziente e cominciò a protestare e manifestare apertamente.

 

Ogni tentativo di lasciare la Repubblica tedesca democratica in direzione ovest equivaleva ancora ad un suicidio, ma fu nell’estate del 1989 che la gente della Germania dell’est riuscì a trovare un’altra via di fuga: erano le ambasciate della Germania Federale a Praga, Varsavia e Budapest il territorio occidentale ove si poteva arrivare molto più facilmente.

 

Cominciò un vero e proprio assalto in massa verso queste tre ambasciate, le quali finirono con l’ospitare migliaia di persone ormai stanche di vivere nella parte democratica.

 

Ma il colpo decisivo arrivò quando l’Ungheria, l’11 settembre, aprì i suoi confini all’Austria.

 

Ora la strada della Germania dell’est verso l’ovest (attraverso l’Ungheria e l’Austria) era libera!

 

La valanga di fuga stava divenendo inarrestabile. Anche l’ultimo tentativo da parte del governo della Repubblica democratica tedesca di salvare il salvabile, attraverso un cambiamento dei vertici del partito comunista e del governo, non servì a nulla.

 

Quando la sera del 9 novembre un portavoce del governo della DDR (Repubblica democratica tedesca) annunciò una riforma molto ampia della legge sui viaggi all’estero, la gente di Berlino est lo interpretò a modo suo: il muro doveva sparire.

 

Migliaia di persone si riunirono ad est davanti al muro, ancora sorvegliato dai soldati, ma migliaia di persone stavano anche aspettando dall’altra parte del muro, ad ovest, con ansia e preoccupazione.

 

Nell’incredibile confusione di quella notte, qualcuno e, purtroppo, ancora oggi non si sa esattamente chi sia stato, dette l’ordine ai soldati di ritirarsi e, tra lacrime ed abbracci, una moltitudine di persone, scavalcando il muro, si incontrava per la prima volta dopo ben 29 anni.

 

Il muro, simbolo della contrapposizione ideologica tra Democrazia e Comunismo, aveva avuto la presunzione di dividere in due oltre alla città di Berlino anche uno stato e, quel che è peggio, una intera popolazione finendo con l’assumere caratteri strettamente politici.

 

Superare quella costruzione voleva dire passare il confine tra due mondi completamente diversi e in contrapposizione tra loro.

 

Ebbene fu proprio nel novembre del 1989, a seguito della caduta del muro di Berlino, che l’Europa, per troppo tempo scacchiera degli interessi russi e americani, tornava ad essere simbolo di speranza per tutti i cittadini del Vecchio continente.

 

Dunque la fine degli anni ’80 portò a delle svolte significative, frutto di un preparatorio cammino socio-culturale che aveva dipinto il desiderio dei popoli di abbattere tutte le frontiere e superare i tanti limiti imposti da una storia che non sempre aveva dato loro quello che avrebbero meritato.



 

 

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