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N. 70 - Ottobre 2013 (CI)

APPARIRE PER ESSERE
POLITICA ESTERA EUROPEA E AVVENTURA AFRICANA DI FRANCESCO CRISPI

di Davide Galluzzi

 

La politica estera di Francesco Crispi fu caratterizzata dalla continua volontà del Primo Ministro di trasformare l’Italia in una grande potenza europea, come egli stesso confermò nella sua risposta al discorso della Corona del novembre 1887.

 

Fino ad allora la linea comune era stata quella di evitare una guerra in Europa, il che aveva portato la diplomazia italiana ad una certa forma di sudditanza e aveva visto frustrate molte aspirazioni italiane (si veda, ad esempio, l’occupazione francese della Tunisia).

 

Francesco Crispi, appoggiato dai settori emergenti della borghesia nazionale (che, aiutati dal protezionismo, cominciavano ad avere caratteri aggressivi verso l’esterno), entrò in rotta di collisione con la tattica seguita fino ad allora. La politica estera crispina seguì quindi due linee principali: l’avversione nei confronti della Francia e l’avvicinamento alla Germania bismarckiana.

 

Come è noto l’Italia, nel 1882, firmò un trattato di alleanza con la Germania e con l’Impero Austro-Ungarico, l’antico nemico risorgimentale. Era l’estremo tentativo (riuscito) di uscire da quell’isolamento che aveva portato alla frustrazione delle pretese italiane in Tunisia, occupata dalle truppe francesi. Crispi rafforzò ulteriormente questa alleanza.

 

Il 1° ottobre 1887, infatti, fece visita a Bismarck. Sette mesi prima venne firmato il rinnovo della Triplice, ora, invece, nasceva una convenzione militare italo-tedesca.

 

Questo comportò un grande onere finanziario per adeguare l’esercito del Regno e renderlo degno dei nuovi impegni militari assunti. L’altra caratteristica del nuovo patto fu quella di diventare il punto di rottura con la Francia.

 

La situazione, già tesa, sfociò nella chiusura di ogni trattativa in corso col vicino d’Oltralpe e diede inizio alla guerra commerciale. Ben presto si iniziò a temere che la guerra commerciale divenisse guerra calda, con la paura che la flotta francese attaccasse La Spezia.

 

Proprio allora il Primo Ministro inglese Salisbury inviò una flotta nella città ligure, per prevenire qualsiasi colpo di testa. Non che la Gran Bretagna amasse particolarmente Crispi, ma Sua Maestà britannica credeva fosse meglio mantenere una certa benevolenza verso la Triplice Alleanza, poiché essa contribuiva a contenere l’influenza e la minaccia dell’Impero dei Romanov.

 

In questo contesto emerse l’altro tratto caratterizzante della politica di Crispi: l’anticlericalismo. Secondo il presidente del Consiglio, infatti, il Vaticano sosteneva la politica estera francese e, quindi, era in atto un vero e proprio complotto franco-vaticano. Tramite la nuova ondata anticlericale e la tattica del “nemico interno” Crispi riuscì a ricompattare la Sinistra, ma l’analisi di questi avvenimenti esula dagli scopi dell’articolo.

 

Passiamo ora all’analisi della politica estera in terra africana, tema caratterizzante dell’epoca crispina. Contrariamente al comune sentire non fu il ministro di Ribera ad avviare la politica coloniale italiana, ma essa iniziò nel 1885. Inizialmente, tra l’altro, Crispi votò contro al Governo in carica.

 

Per il futuro Primo Ministro, infatti, non ci si doveva concentrare sulle coste del Mar Rosso, ma si doveva accettare la proposta avanzata tre anni prima dagli inglesi e co-partecipare alla spedizione in Egitto.

 

L’occasione era stata persa, quindi era inevitabile esprimere la propria contrarietà all’espansione in Eritrea. Giunto al potere Crispi rimase fedele alle sue convinzioni ed espresse anche in ambito coloniale la sua volontà di avviare una politica di potenza.

 

Nonostante la sua attività e la sua volontà ferrea il primo ministro non riuscì a minare il sistema di alleanze e garanzie europeo, così lo sguardo italiano fu costretto a tornare sulle coste del Mar Rosso, con la complicità tutt’altro che disinteressata della Gran Bretagna.

 

Subito i sostenitori italiani del colonialismo si divisero in due fazioni: il primo raggruppamento prese il nome di “tigrino”, il secondo quello di “scioano”. In cosa si differenziavano queste due tendenze interne?

 

È molto semplice. Il primo raggruppamento desiderava mantenere buoni rapporti col confinante Tigrè e voleva sfruttare le divisioni interne alle varie tribù per estendere l’occupazione, direttamente o tramite la creazione di vassalli. “Portavoce” di questa tendenza era il generale Baldissera.

 

La seconda tendenza, invece, voleva ampliare le colonie italiane sostenendo il re dello Scioa, Menelik, contro l’imperatore etiopico Giovanni. “Portavoce” di questo secondo raggruppamento era il conte Antonelli, rappresentante ufficioso del governo italiano presso Menelik.

 

In effetti quest’ultimo, alla morte di Giovanni, divenne Re dei re d’Etiopia. Dopo quest’ultimo fatto Crispi iniziò a pensare ad una grande politica imperiale, ma venne frenato dal Consiglio dei Ministri, non disposto a chiedere al Parlamento i fondi in danaro e uomini necessari alla politica espansionistica crispina.

 

Si preferì proseguire sul terreno diplomatico per valorizzare i rapporti privilegiati tra Italia ed Etiopia. Il 2 maggio 1889 venne firmato il Trattato di Uccialli. Esso sottolineava i rapporti amichevoli ed economici dei due paesi, sanciva i confini italiani ed etiopi e, soprattutto, determinava lo status di protettorato per l’Etiopia.

 

Quest’ultimo punto, tuttavia, fu prontamente contrastato dal negus. Nella versione amarica del testo, infatti, si leggeva che l’imperatore poteva trattare mediante l’aiuto dell’Italia, ma non era obbligato a farlo, cosa invece sottolineata nella versione italiana.

Ad ogni modo la politica coloniale crispina portò all’occupazione anche di buona parte della costa somala sull’oceano Indiano.

 

Fu così che, il 5 gennaio 1890, venne proclamata la creazione della colonia d’Eritrea. Essa fu affidata ad un governatore che gestiva un bilancio autonomo, tuttavia dipendeva dal Ministero degli Esteri e da quello della Guerra.

 

La facciata umanistica dell’impresa coloniale serviva solo a mascherare il tentativo di Crispi di utilizzare le colonie africane per inserirsi nelle grandi potenze europee.

 

La politica coloniale generò diversi entusiasmi, ma non eliminò le perplessità della Camera (che giunse addirittura ad un conflitto costituzionale col Primo Ministro). Il malumore era dovuto al crescente disavanzo dei conti pubblici e alla guerra doganale con la Francia, che non faceva altro che accrescere il problema.

 

Questa unione esplosiva alimentò i dubbi sull’effettiva praticità della politica coloniale e costituì terreno fertile per l’opposizione crispina facilitando la caduta del ministro di Ribera.



 

 

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