N. 11 - Novembre 2008
(XLII)
POITIERS
L’arresto
dell’avanzata e la
nascita della
dinastia
di Cristiano Zepponi
L’espansione inarrestabile
delle forze musulmane lungo le coste del Mediterraneo
orientale, nel corso degli ultimi anni del VII sec. d.C.,
lì portò fatalmente a posare lo sguardo sull’altra
sponda dello stretto di Gibilterra. L’affermazione di
una guida centralizzata - la dinastia omayyade,
stabilitasi a Damasco – consentì infatti di organizzare
attacchi pianificati in regioni lontane, dopo un
indispensabile periodo d’integrazione dei conquistati:
favorito, in modo particolare, dalle numero delle
conversioni all’Islam – che garantivano l’esenzione
fiscale, oltre che l’assorbimento nell’elìte dominante –
dalla diffusione della lingua araba e dalla progressiva
perdita di valore del “principio di separazione” sancito
dai primi califfi.
Nel 710, dunque, Musa ibn Nusair, il governatore
musulmano della regione, decise di attraversare lo
stretto per saccheggiare la Spagna; lo sostenne
nell’impresa Giuliano, un funzionario bizantino capace
di reperire le quattro navi necessarie a traghettare
qualche centinaio di soldati nelle terre del re visigoto
Roderigo.
Il bottino razziato dovette essere abbondante al punto
da consigliare il bis: l’anno seguente, infatti,
un'altra spedizione – guidata da Tarik ibn Ziyad – aprì
le porte ad una massiccia invasione della penisola
iberica. Fu così che Musa e poi il suo successore, Hurr,
poterono occupare la Spagna, per spingersi addirittura
fino all’Aquitania ed alla Francia meridionale tra il
717 ed il 718 d.C.
In Aquitania, frattanto, Oddone aveva approfittato della
morte di Pipino II (714 d.C.), e delle conseguenti lotte
dinastiche che ne seguirono, per sottrarsi al controllo
franco.
Il figlio illegittimo del vecchio “maggiordomo di
Palazzo di Neustria e Austrasia dei re merovingi”
(titolo che in realtà corrispondeva al rango reale,
tanto era screditata la figura regia), Carlo Martello,
dovette superare l’ostilità della moglie di Pipino,
Plectrude, che fece di tutto per proteggere l'avvenire
del nipotino Teodobaldo; ma alfine riuscì ad assumere le
funzioni paterne nel corso del 719, prima di
confrontarsi con le velleità autonomistiche di Oddone;
una volta sconfitto il primo avversario, infine, dovette
volgere lo sguardo ad oriente, dove Sassoni, Germani e
Svevi minacciavano la frontiera franca.
Oddone, che si trovava in quella che definiremmo una
pessima situazione – stretto com’era tra gli aggressivi
musulmani ed i sospettosi franchi – strinse allora
alleanza con Othman ben abi Neza, un rinnegato arabo che
controllava un settore dei Pirenei settentrionali.
La sua, però, non si rivelò una grande idea: Abd
al-Raḥmān al-Ghāfiqī, il governatore dell’ al-Andalus,
mostrò subito di non apprezzare granchè l’accordo, e nel
731 marciò contro Othman, che sconfisse facilmente.
Invece di arrestare l’armata, il governatore decise poi
di penetrare in Francia, presumibilmente allo scopo di
razziare le campagne ed allargare l’influenza islamica.
Già che c’era, comunque, rifilò una dura sconfitta ad
Oddone in quel di Bordeaux, prima di volgersi a nord,
dove si stagliava l’abbazia di San Martino di Tours che
si diceva fosse stipata d’immense ricchezze.
L’esercito arabo, la cui entità numerica è (al solito)
dubbia, fu diviso in più colonne per spargere il
terrore, ed aumentare la superficie saccheggiabile; al
povero Oddone, invece, non rimase che correre a Parigi,
da Carlo, giurargli fedeltà ed invocarne l’aiuto.
Carlo riuscì a racimolare alla svelta un esercito che
doveva aggirarsi sui 30.000 uomini, formato in gran
parte da fanteria pesante con asce e spade, e si lanciò
verso l’avversario.
Per alcuni, gli arabi vantavano un’armata che andava dai
20.000 agli 80.000 uomini: ma probabilmente, lo scontro
dovette accontentarsi di cifre alquanto modeste.
I due schieramenti, nel corso dei primi di ottobre
dell’anno 732, si fronteggiarono per giorni, impiegati
dagli uni per garantire l’afflusso di milizie di
riserva, e dagli altri per mettere al sicuro il bottino
delle precedenti scorrerie.
Purtroppo, una cronaca particolareggiata è resa
impossibile dalla scarsità di fonti: sappiamo solo che i
musulmani, dopo aver effettuato alcuni attacchi
esplorativi, schierarono i loro ranghi di cavalleria per
la consueta carica massiccia che li caratterizzava.
Secondo alcuni (Perret), ciò avvenne il 10 del mese.
I franchi si schierarono in un quadrato immoto e
compatto, capace di assorbire senza disunirsi gli
assalti avversari. “Gli uomini del nord erano immobili
come un muro; sembravano saldati insieme in un baluardo
di ghiaccio impossibile da sciogliere, mentre
trucidavano gli Arabi con le spade. Gli Austrasiani
(Franchi della frontiera germanica), dagli enormi arti e
le mani di ferro, colpivano coraggiosamente nel cuore
della battaglia”, riferì Isidoro Pacense.
Carlo stesso combatteva insieme agli altri:
“..il sangue del principe del Moro arrossano il ciniero
d'identico color...”
Oddone, che si trovava sul campo, trovò il modo per
riscattare il suo passato inglorioso aggirando il fianco
dei musulmani che allora, d’un colpo, cominciarono a
retrocedere.
“Molti musulmani temettero per la sicurezza delle
spoglie che avevano ammassato nelle tende, e tra i loro
ranghi cominciò a circolare la falsa voce che il nemico
stava saccheggiando l’accampamento; perciò, numerosi
squadroni di cavalleria si precipitarono a difenderlo”,
come riporta una fonte araba riportata da Creasy.
Nessuno sa a che cifra ammontassero le perdite dei due
schieramenti, quando a sera si spensero gli ultimi
fuochi dello scontro: quel ch’è certo è che gli
islamici, venuti a sapere che nella furia della
battaglia era caduto anche il loro comandante, decisero
di levare le tende per tornare in Spagna.
Secondo alcuni autori fu a seguito di questa vittoria
che Carlo fu soprannominato Martello, come a
rappresentare la violenza dimostrata dai colpi inferti
ai musulmani avanzanti; secondo altri, egli avrebbe già
goduto del soprannome fin dalle campagne in Aquitania;
qualcuno, infine, lo fa risalire all’epiteto “piccolo
Marte”, di romana tradizione.
Comunque sia l’esercito franco, che s’attendeva una
seconda giornata di battaglia, dovette constatare la
fuga degli arabi e fare ritorno in patria:
“Re Carlo tornava dalla guerra lo accoglie la sua terra
cingendolo d'allor, al sol della calda primavera
lampeggia l'armatura del sire vincitor...”
Non sapeva di essersi meritato – in uno scontro davvero
limitato – la riconoscenza perpetua di tutti quelli che
nel tempo l’hanno considerato la salvezza
(contemporaneamente, dell’Europa e del cristianesimo)
dalla minaccia musulmana e infedele.
Carlo Martello visse ancora nove anni prima di
spegnersi, il 22 ottobre del 741, mentre il tempo della
storia si decideva per il passaggio ad un periodo
profondamente dissimile.
Proprio allora, infatti, si apriva l’età feudale:
un’epoca che avrebbe visto la nascita di un altro
leggendario Carlo. |