Nel 1548 Cosimo I Medici iniziò la fondazione
di Cosmopoli,
l’odierna
Portoferraio.
Camerini, Bellucci, Buontalenti furono
architetti militari che hanno legato il nome alla
fortificazione della città. La fortificazione avrebbero
dovuto rendere sicuro il canale di Piombino da cui
passavano i mercantili diretti in nord Europa (via delle
Fiandre) e far fronte ad ogni eventuale invasione
nemica, soprattutto da parte dei corsari saraceni che
all’Elba erano soliti far scalo per devastare, da qui,
la costa e le altre isole.
Carlo I, re di Spagna e delle Fiandre,
imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Carlo V
era preoccupato dei commerci marittimi verso le Fiandre
e delle incursioni saracene. Il canale di Piombino
rappresentava con tutto l’alto tirreno un punto di snodo
fondamentale per questi commerci.
L’imperatore aveva più volte sollecitato
l’intervento degli Appiani a rendere sicuro questo mare
ma invano, perché le finanze degli Appiani languivano.
Cosimo I con una intensa ed intelligente attività
diplomatica si presentò agli occhi dell’imperatore come
il personaggio capace di rendere sicuro l’alto tirreno
e, tramite, l’imperatore ottenne un territorio all’Elba
per fortificare Ferrajo.
Nel 1557 (Trattato di Londra) Cosimo fu
investito signore di Siena e di Portoferraio: questo
comune fu staccato dallo stato di Piombino- con le
proteste dei genovesi e degli Appiani - e fu annesso ai
territori della casa medicea. Tutte le altre zone
dell’Elba erano sotto il governo di Giacomo VI Appiani,
signore di Piombino: nel 1595 Rio fu proclamato
capoluogo di tutti i possedimenti dei signori Appiani
sull’Elba.
Nel 1553, dopo pochi anni dall’inizio dei
lavori, le fabbriche piene di scalpellini, muratori,
artigiani che Cosimo aveva fatto venire da ogni parte
dei territori da lui governati riuscirono, in mezzo ai
pericoli incombenti di incursioni saracene, a tirare su
i bastioni essenziali delle fortificazioni di Cosmopoli,
che poi nel corso degli anni successivi furono
continuamente modernizzate in rapporto allo sviluppo
delle tecniche belliche.
Al Signore di Firenze costarono un forte
impegno organizzativo e finanziario, tanto più che Elena
Salviati, signora di Piombino, aveva proibito ai suoi
sudditi di prestare qualsiasi forma di aiuto ai ministri
di Cosimo. Tutto il personale, come sopra accennato, dai
tecnici ai manovali doveva essere inviato sull’isola dai
territori circostanti: si rese necessario mobilitare
città come Pisa, Livorno, Campiglia.
I problemi non erano legati solo al campo
strettamente edilizio ma anche all’approvvigionamento
del personale e al governo della popolazione di Fearrajo.
Era intenzione di Cosimo dar vita ad una città
fortificata, che avrebbe dovuto chiamarsi Cosmopoli –
questo nome non riuscì mai a soppiantare quello più
comune di “Ferrajo”.
Il Duca fiorentino, nel 1556, emanò un decreto
in cui concedeva privilegi e concessioni speciali a chi
andava ad abitare in Ferrajo.
V’era 1) la libera franchigia di beni e di
persone, nonostante qualsivoglia crimine o delitto
altrove anteriormente commesso con esclusione della
condanna a morte, 2) il diritto di trasportare all’isola
grani e biade, 3) l’immunità per gabelle e dazio per
qualunque mercanzia entrasse o uscisse da Ferrajo, 4)
erano dichiarate libere tutte le barche che portavano
mercanzia, insieme ai padroni di esse e ai marinai, ad
eccezione dei casi in cui questi ultimi avessero
contratto debiti con i cittadini di Firenze o sudditi
del duca residente fuori di Firenze, 5) tutte le navi
costruite a Ferrajo erano immuni da tasse quando
facevano scalo nel territori del Duca, 6) a chi voleva
costruire una casa in Ferrajo era concesso gratis il
suolo edificabile.
Nel giro di pochi anni questo provvedimento
ottenne i risultati che il Cosimo desiderava: forte
impulso economico e sociale di Ferrajo, dove vi fu un
massiccio incremento demografico, ancor più evidente se
paragonato agli altri paesi dell’isola sotto il dominio
dei signori di Piombino.
Vi fu una richiesta imponente di suppliche da
parte di questi nuovi abitanti a Suo Eccellentissimo e
Reverendissimo il Duca di Fiorenza. Queste suppliche
conservate nell’archivio storico di Portoferraio
rappresentano i più antichi documenti contemporanei agli
anni di fondazione o immediatamente successivi (1550 in
poi). Ce ne sono anche altre più posteriori indirizzate
ai successori di Cosimo Tutte manoscritte ad inchiostro
nero su carta pergamena da Lidio T. erano indirizzate al
Duca -solo una alla Duchessa-sempre con la stessa
rispettosa formula, come sopra accennato. Del
supplicante riportano nome e cognome, paternità, luogo
di nascita, provenienza, esposizione della situazione in
cui si trova, esposizione dei motivi della supplica ,
supplica vera e propria, saluti, anno e spesso giorno e
mese.
Talvolta non erano indirizzate direttamente
alla persona di Cosimo ma al commissario dell’Elba (Agnolo
Guicciardini) perché informi il Duca. La lettura non è
facile per le frequenti abbreviazioni come, per esempio:
Ecc. za (Eccellenza) , E. V. (Eccellenza Vostra) , E. V.
I. (Eccellenza Vostra Illustrissima) , Vra Eccell.
(Vostra Eccellenza) , Vra E. Ill. ma (Vostra eccellenza
Illustrissima) . V. A. S. (Vostra Altezza Serenissima) e
moltissime altre riferite alle parole più comuni. Gli
argomenti di queste suppliche erano richieste di case e
botteghe, con esenzione della pigione o condizioni
favorevoli al pagamento, domande di grazia da pene
pecuniarie, carcerarie, di confino, da condanne a morte,
richieste di prestiti, denaro, condizioni favorevoli nel
riscatto dei debiti, sospensioni di debiti e di condanne
a pene fisiche e pecuniarie, richieste di salvacondotti,
di concessioni a portare armi.
Dalla lettura di queste suppliche ci si rende
conto come Farrajo stesse diventando un centro di
richiamo ricco di attività.
Molti dei suoi abitanti erano ex forzati
graziati perché stabiliti all’Elba, la concessione delle
case era tale da favorire chi avesse famiglia numerosa e
chi , oltre la casa, desiderava aprire una bottega dove
svolgere mestieri di pubblica utilità, come calzolaio,
fabbro, falegname ecc.
La frequenza inoltre con cui compare il
patrionimico “da Marciana”, ”da Rio”, ”da Poggio”, ”da
Capoliveri” rivela come moltissimi vassalli dello stato
di Piombino fossero affluiti in Ferrajo, richiamati
dalle possibilità di lavoro che vi erano assicurate. Ben
presto le case cominciarono a scarseggiare , talchè nel
1574 il commissario Vincenzo del Benino faceva sapere al
Granduca Cosimo che non ce ne erano più abbastanza per
soddisfare tutte le richieste. Nel 1566 un censimento
del commissario Giovanbattista de’ Medici evidenziava
che la maggior parte dei nuovi abitanti provenivano da
zone dell’Elba sotto il dominio Appiani, i quali
preoccupati di questa emigrazione avevano proibito ai
loro sudditi di andare a vivere a Ferrajo senza il loro
permesso.
I rapporti tra Cosimo I e gli Appiani erano
sempre tesi. Il Granduca tentò diplomaticamente di
impadronirsi dello stato di Piombino, ma non riuscì mai
a perseguire lo scopo anche perché lo stesso Carlo V
aveva timori per il suo continuo potere in ascesa,
timori che ai primi del 600 si concretizzarono con
l’occupazione del porto di Longone da parte degli
spagnoli e l’edificazione del forte di S. Giacomo.
Continuo oggetto di litigi era la questione dei
confini che dovevano dividere il distretto di Ferrajo
dai territori elbani dello stato di Piombino. Con il
trattato di Londra del 1557 era stato stabilito che
Cosimo avrebbe assunto l’investitura di Ferrajo con due
miglia di territorio intorno che comprendevano i luoghi
di Bagnaia, Monte castello, strada di Rio, Belvedere,
Felciajo, Monte Orello, Ceppete e Acquaviva , ma i
confini non furono mai chiaramente tracciati se non con
la presenza di pietre miliari indicative.
Nonostante questi rapporti difficili gli
Appiani vuoi per il loro scarso potere politico vuoi per
le loro finanze disastrate dovettero accettare la
protezione e l’aiuto di Cosimo contro il nemico comune
rappresentato dalle invasioni dei turchi mussulmani.
E’ proprio dalla lettura delle suppliche, di
cui sopra, che risulta questa situazione: distruzione
insieme col dramma delle popolazioni elbane alla mercè
dei pirati mussulmani.
”Ritrovandosi Agnese di Mannuccio da Rio de
l’Elba povera e priva del suo marito qual è nelle mani
dei turchi e però molto bisognosa d’aiuto di S. Ec. ma
essendo che le sue facoltà per le ruine in quell’isola
fatte dall’armata turchesca sono ridotte a tale che ci
porta ad abbandonare per non poter sostenere sé i suoi e
i suoi figlioli che sono cinque con multa suplica farle
elemosina di una casetta nel porto di Ferrajo dove finch’ella
vivrà sarà sua” (supplica del 1556) .
”Dimitri di Damiano ungano cascato in mano ai
turchi stette sulle loro galere per 7 anni poi fuggì in
Farrajo quando i turchi passarono di qui. Preso fu messo
alla catena nella galeotta. Supplica la libertà. Risp:
come le galere ritornano sia ricordato a Sua Ecc. ma”
(supplica del 1556) .
”Nicolò di Matteo da Marciana umilmente
supplica e si raccomanda essere contenta la S. V. far
opera di misericordia per li poveri prigionieri che si
ritrovano in mano ai Turchi. Pertanto supplica SV mi
voglia accordar di venti visti per riscattar una mia
sorella che si trova in Costantinopoli”.
Accanto a suppliche di singoli cittadini ce ne
sono altre di intere comunità isolane nel dramma delle
scorrerie dei pirati turchi.
“Isola di Pianosa. Gli abitanti di Pianosa
ora all’Elba chiedono che l’isola , ora casa di corsali,
sia fortificata perché solo così potranno abitarla e
difendersi dai corsali”.
”La devotissima e umilissima Comunità di campo
nell’Elba di Vs Ecc. mo, ricorre ai benigni piedi di
quella supplicandola coma da Inghilasco Calafati
tesoriere a pagar buona somma di denari per causa delle
fortezze di com’era solita pagar qual quattro anni in
qua non si ha pagata tutto causato dalla estrema povertà
e miseria di quel meschino popolo che per li Turchi è
quasi rimasta priva di persone e dovendo pagar 90 scudi
ad oggi non arriva aquaranta che quelli si trovano del
tutto denudati prega la SV di far grazia di detta somma
. Risp: per adesso non sieno molestati dal pagar”.
“Gli uomini e la comunità di Rio suppl. S. a
Ecc. si degni osservarli col benigno occhio della sua
innata clemenza. desiderano tutti viver sicuri dalle
furie dei turchi che li hanno condotti ormai a tanta
miseria e povertà che poco manca che muioano di fame. Ci
hanno distrutto la nostra Chiesa che era un poco di
rifugio dai Corsali la quale desideriamo rasettar e fare
un recinto di muraper una spesa di trecento-quattrocento
scudi. Essendo la nostra forza debole riccorriamo a S.
Ecc. ma e la preghiamo per l’amor di Dio si voglia
degnar porgerci il suo aiuto così siamo sicuri già sin
da ora di non andar in mano agli infedeli noi e i nostri
figli come spesso accadde in passato. Con molta umiltà
ci raccomandiamo e la preghiamo si degni mostrarci
quella sua pietà che è solita mostrar a tutti gli
bisognosi che altrimenti teniamo per cosa certa che una
notte all’improvviso saremo tutti preda della rabbia
turchesca tanto inimica alla vostra felice patria e di
nuovo si raccomandano di liberarli da certi pagamenti e
gravezze all’Auditor di Piombino e tali denari si
potranno mettere alla fortificazione di ditta chiesa”.
(supplica del 1556) .
C’è una supplica del 1566 dove gli abitanti di
Grassera si rivolgono a Cosimo I definendosi
“Comunità e uomini di Grassola” dove con lo stesso
tenore e stile degli abitanti di Rio chiedono aiuto e
soccorso: fu proprio in seguito alla “rabbia turchesca”
che gli abitanti di Grassera cominciarono gradualmente a
unirsi a quelli di Rio, finchè, col trascorrere del
tempo, di Grassera non si ebbe più notizia.
Chi erano questi “corsali turchi”?
Perché si trovavano nell’alto tirreno e
devastavano, predavano le terre di Toscana nel 1500?
Perché la devastazione avveniva con “rabbia
turchesca”?
Nel XVI secolo i Turchi rappresentano i
continuatori del “progetto” politico ed imperiale per
cui, quasi un millennio prima, gli Arabi, avevano già
tentato di conquistar l’Europa secondo i dettami del
Profeta verso gli “infedeli”.
Il Mussulmano (Muslim in arabo significa
seguace dell’Islam) crede nell’Islam (la parola
Islam significa la vera religione presso Dio, anche se
nell’uso più antico del Corano significa la
sottomissione incondizionata alla volontà di Dio).
Infedeli - in arabo Kafir=che rinnegano la
verità- sono tutti coloro che non credono e/o si
oppongono alla vera religione.
Nei confronti di questi, i Kafir, il
Profeta indica nelle Sure (capitoli del Corano)
la via da seguire. Essa si riassume nelle parole
jihad (combattere nella via di Dio) e dhimma
(pace e sicurezza per i kafir in cambio dei loro
territori e della loro sottomissione).
Da qui dar-al-islam (territorio
dell’islam) , dar-al-harb (territorio della
guerra popolato dagli infedeli) , dar-al-suhl
(territorio della dhimma dove gli infedeli in cambio del
pagamento dei tributi ottengono la
cessazione-provvisoria- delle ostilità impegnandosi a
non ostacolare l’ Islam). Gli Arabi soggiogarono
dapprima la Masopotamia e l’Asia Minore poi, dopo avere
conquistato tutta l’Africa settentrionale, varcarono le
Colonne d’Ercole a cui diedero il nome di nome di
Gibilterra (Ghebel el Tarik) e conquistarono la Spagna
penetrando nel territorio francese, dove furono fermati
a Poitiers da Carlo Martello, nel 732.
I Turchi, l’impero ottomano, nel XVI secolo non
fanno che riprendere l’antico progetto del Profeta,
tentando nuovamente la conquista dell’Europa ma con una
nuova direttrice per la Penisola Balcanica invece che
per la Penisola Iberica. Nel 1453 comincia l’offensiva
turca con la conquista di Costantinopoli che col nome di
Istanbul divenne subito la capitale dell’impero
ottomano, cominciò cioè con l’annientamento dell’Impero
Romano d’Oriente che gli Arabi, nel millennio
precedente, non avevano eliminato forse di proposito,
consapevoli di non riuscirvi in quel particolare periodo
storico L’espansione turca ha protagonisti i sovrani
Maometto II, Bajesid II, Selim I, ma è soprattutto con
Solimano II detto “il Magnifico” o anche “il
Legislatore” che l’impero ottomano raggiunse la massima
espansione verso l’occidente giungendo a minacciare
Vienna (1529).
I Turchi dunque, fin dagli inizi del XVI secolo
si presentano alla ribalta della storia europea come un
popolo in espansione, in grado di recitare un ruolo di
protagonista importante al pari delle grandi potenze
occidentali europee.
Sotto questo profilo i Turchi entrano a far parte anche
nella nostra storia in Toscana e cominciano a solcare il
mar Tirreno nel 1500 Solimano II si rivela un abile
diplomatico alleandosi con Francesco I, re di Francia.
L’alleanza trovò le basi nel fatto che Francesco I
voleva controbilanciare la potenza della Spagna di Carlo
V e Solimano II aveva bisogno di rompere il fronte degli
“infedeli” dopo l’insuccesso del primo assalto condotto
contro Vienna.
Fu alleanza definita
scellerata
, perché avvenuta aldisopra di ogni professione
religiosa ma che offre un importante elemento di
valutazione storica per chi vuole e sappia indagare i
rapporti intercorrenti tra ideologia e politica, tra
diplomazia e guerra.
Con la loro potente flotta navale, alleati di Francesco
I contro Carlo V, i Turchi mussulmani iniziano a solcare
il mar Tirreno, con due autentici condottieri-pirati:
Khair-ad-din
(Cairedino
o
Ariadeno,
secondo i cronisti nostrani) “il bene della religione”,
detto il
Barbarossa
(dal colore della sua barba rossa o per aver ereditato
l’appellativo da un suo valoroso fratello, morto in
combattimento), e
Dorghout
(Dargut
o
Dorgutte
o
Dragut
secondo la nostra più antica trascrizione).
Il Barbarossa fu il primo, più famoso pirata ed
ammiraglio della flotta ottomana turca tra il 1533 e il
1546. Sin da giovane dedito alla pirateria, fu anche
prigioniero dei cavalieri di Rodi. Suo fratello Oroush
nel 1516 detronizzò e uccise il sovrano d’Algeri
Salem-ibn-Temi, ma , nel 1518, egli stesso fu ucciso.
Il Barbarossa gli successe nel dominio di Algeri.
Protetto da Solimano II , nel 1533 ottenne la carica di
“capitano del mare” cioè il comando supremo della flotta
turca. Recatosi ad Istanbul allestì numerose galere e
nel 1534 occupò Tunisi e cominciò a devastare e
depredare le coste dell’Italia partendo dal porto
tunisino di Goletta.
Nel 1534 si presentò per la prima volta sulle coste
tirreniche e all’isola d’Elba distrusse Rio e Grassera i
cui abitanti, superstiti, furono portati prigionieri A
Tunisi ed Algeri. Furono liberati l’anno successivo, nel
1535, quando Carlo V guidò personalmente una spedizione
navale contro Tunisi che conquistò e scacciò il
Barbarossa, il quale però continuò a depredare Port
Mahon nelle Baleari partendo dalla sua base in Algeri.
E’ di questo periodo la
“scellerata”
alleanza tra Francesco I di Francia e Solimano II.
Il Barbarossa inizia una strategia di saccheggio e
devastazione delle coste italiane sia nell’Adriatico che
nel Tirreno, dove le galee turchesche praticano la
tecnica corsara navale di combattimento. Nel 1543 , la
flotta di Solimano II guidata dal Barbarossa solca il
Tirreno vicino alle coste toscane. Cosimo I , d’accordo
con Carlo V, invia truppe in difesa dello stato di
Piombino.
I Turchi, dopo essere sbarcati nel porto di Longone
all’Elba, inviano una galera a Piombino per chiedere a
Giacomo V la restituzione di un fanciullo (figlio di una
donna di Rio e di Sinam Bassà, detto “il giudeo”
luogotenente del Barbarossa) che era stato catturato da
una galeotta piombinese e dal 1539 viveva presso Giacomo
V che lo aveva battezzato e istruito alla religione
cattolica. Mentì Giacomo V dicendo che il fanciullo non
si trovava né a Piombino né all’Elba ma, si sarebbe
impegnato a ritrovarlo per consegnarlo a suo padre.
Barbarossa con la flotta si diresse allora in Provenza
ma l’anno dopo nel 1544 insieme ad alcune galere
francesi tornò in Toscana, facendo scalo all’Elba, in
Ferrajo. Di qui in cambio della restituzione di alcuni
prigionieri che aveva con sé, rinnovò la sua richiesta a
Giacomo V che ancora una volta rispose negativamente.
La reazione fu immediata : risalendo da Ferrajo
devastano e distruggono il castello di Luceri e poi il
paese di Capoliveri, dopo aver tentato invano di
conquistare il forte del Volterraio.
Si stavano dirigendo verso Rio quando Giacomo V
sottoscrisse un accordo alle condizioni del Barbarossa:
il figlio fu riconsegnato al padre Sinam Bassà.
Kahir-ad-in, detto il Barbarossa, muore il 5 luglio
1546. Fu sepolto sulla riva europea del Bosforo e la sua
tomba è ancora oggi venerata.
Dorghout, in italiano Dragut, era nato in Anatolia.
Nella marina ottomana divenne in breve capitano.
Barbarossa gli diede il comando di una galera e con
questa depredò le coste di Spagna, Sicilia. In Corsica
nel 1540 venne catturato da Giannettino, nipote di
Andrea Doria e fu condotto prigioniero a Genova. Fu
liberato per intervento dello stesso Barbarossa che pagò
tremila scudi.
Da allora si legò al Barbarossa di cui divenne braccio
destro in tante imprese corsare. Aveva il suo quartier
generale a Mehedia e invano Andrea Doria ne fece un
obiettivo particolare per le sue imprese navali.
L’ammiraglio-corsaro Dragut Rais riuscì sempre ad
evitare la cattura. A capo di una flotta franco-turca
dopo aver saccheggiato le terre di Rapallo piombò il 7
agosto 1553 sulle coste tirreniche con una flotta di
sessanta galee e ventidue galeotte. Fece scalo all’isola
di Montecristo, probabilmente distruggendo il monastero
dell’isola. Quindi si diresse all’Elba dove sbarcò a
Longone e da qui si diresse all’interno distruggendo i l
paese di Rio, la torre del Giove, i paesi di Campo,
Poggio, Marciana, Capoliveri, S. Piero, S. Ilario. A
Portoferraio i Turchi cercarono invano di attaccare le
fortificazioni medicee perché furono respinti.
Dopo dieci giorni abbandonarono l’Elba dirigendosi verso
l’isola di Pianosa, forse passando ancora per
Montecristo, e da qui in Corsica. Tutte queste isole non
ebbero sorte migliore dell’Elba: devastazione,
saccheggio, deportazione degli abitanti.
Dragut Rais tentò altre due volte di espugnare Ferrajo,
nel 1555 e nel 1558, ma le nuove fortificazioni di
Cosimo I rappresentarono un baluardo insuperabile: i
poveri paesi dell’Elba, indifesi, furono però di nuovo
depredati. Nel 1560, all’indomani della pace di
Cateau-Cambrise si ritirò a Tripoli. Morì il 25 giugno
1565 durante un assalto ai cavalieri di Malta nella
omonima isola. Fu sepolto a Tripoli vicino alla moschea
che porta il suo nome e ancora oggi dai Turchi è
ricordato come eroe della loro storia.
Dopo Dragut le cronache storiche non tramandano altri
pirati e corsari sulle coste tirreniche nel cinquecento.
Nel 1571 la battaglia di Lepanto pose momentaneamente
fine al pericolo dei turchi mussulmani.
Il Duca fiorentino, nel 1556, emanò un decreto
in cui concedeva privilegi e concessioni speciali a chi
andava ad abitare in Ferrajo. V’era 1) la libera
franchigia di beni e di persone, nonostante qualsivoglia
crimine o delitto altrove anteriormente commesso con
esclusione della condanna a morte, 2) il diritto di
trasportare all’isola grani e biade, 3)l’immunità per
gabelle e dazio per qualunque mercanzia entrasse o
uscisse da Ferrajo, 4) erano dichiarate libere tutte le
barche che portavano mercanzia, insieme ai padroni di
esse e ai marinai, ad eccezione dei casi in cui questi
ultimi avessero contratto debiti con i cittadini di
Firenze o sudditi del duca residente fuori di Firenze,
5) tutte le navi costruite a Ferrajo erano immuni da
tasse quando facevano scalo nel territori del Duca, 6) a
chi voleva costruire una casa in Ferrajo era concesso
gratis il suolo edificabile.
Nel giro di pochi anni questo provvedimento
ottenne i risultati che il Cosimo desiderava: forte
impulso economico e sociale di Ferrajo, dove vi fu un
massiccio incremento demografico, ancor più evidente se
paragonato agli altri paesi dell’isola sotto il dominio
dei signori di Piombino. Vi fu una richiesta imponente
di suppliche da parte di questi nuovi abitanti a Suo
Eccellentissimo e Reverendissimo il Duca di Fiorenza.
Queste suppliche conservate nell’archivio
storico di Portoferraio rappresentano i più antichi
documenti contemporanei agli anni di fondazione o
immediatamente successivi (1550 in poi). Ce ne sono
anche altre più posteriori indirizzate ai successori di
Cosimo Tutte manoscritte ad inchiostro nero su carta
pergamena da Lidio T. erano indirizzate al Duca -solo
una alla Duchessa-sempre con la stessa rispettosa
formula, come sopra accennato.
Del supplicante riportano nome e cognome,
paternità, luogo di nascita, provenienza, esposizione
della situazione in cui si trova, esposizione dei motivi
della supplica , supplica vera e propria, saluti, anno e
spesso giorno e mese. Talvolta non erano indirizzate
direttamente alla persona di Cosimo ma al commissario
dell’Elba (Agnolo Guicciardini) perché informi il Duca.
La lettura non è facile per le frequenti
abbreviazioni come, per esempio: Ecc. za(Eccellenza), E.
V. (Eccellenza Vostra), E. V. I. (Eccellenza Vostra
Illustrissima), Vra Eccell. (Vostra Eccellenza), Vra E.
Ill. ma(Vostra eccellenza Illustrissima). V. A. S.
(Vostra Altezza Serenissima) e moltissime altre riferite
alle parole più comuni.
Gli argomenti di queste suppliche erano
richieste di case e botteghe, con esenzione della
pigione o condizioni favorevoli al pagamento, domande di
grazia da pene pecuniarie, carcerarie, di confino, da
condanne a morte, richieste di prestiti, denaro,
condizioni favorevoli nel riscatto dei debiti,
sospensioni di debiti e di condanne a pene fisiche e
pecuniarie, richieste di salvacondotti, di concessioni a
portare armi.
Dalla lettura di queste suppliche ci si rende
conto come Farrajo stesse diventando un centro di
richiamo ricco di attività. Molti dei suoi abitanti
erano ex forzati graziati perché stabiliti all’Elba, la
concessione delle case era tale da favorire chi avesse
famiglia numerosa e chi , oltre la casa, desiderava
aprire una bottega dove svolgere mestieri di pubblica
utilità, come calzolaio, fabbro, falegname ecc.
La frequenza inoltre con cui compare il
patrionimico “da Marciana”, ”da Rio”, ”da Poggio”, ”da
Capoliveri” rivela come moltissimi vassalli dello stato
di Piombino fossero affluiti in Ferrajo, richiamati
dalle possibilità di lavoro che vi erano assicurate. Ben
presto le case cominciarono a scarseggiare, talchè nel
1574 il commissario Vincenzo del Benino faceva sapere al
Granduca Cosimo che non ce ne erano più abbastanza per
soddisfare tutte le richieste.
Nel 1566 un censimento del commissario
Giovanbattista de’ Medici evidenziava che la maggior
parte dei nuovi abitanti provenivano da zone dell’Elba
sotto il dominio Appiani, i quali preoccupati di questa
emigrazione avevano proibito ai loro sudditi di andare a
vivere a Ferrajo senza il loro permesso.
I rapporti tra Cosimo I e gli Appiani erano
sempre tesi. Il Granduca tentò diplomaticamente di
impadronirsi dello stato di Piombino, ma non riuscì mai
a perseguire lo scopo anche perché lo stesso Carlo V
aveva timori per il suo continuo potere in ascesa,
timori che ai primi del 600 si concretizzarono con
l’occupazione del porto di Longone da parte degli
spagnoli e l’edificazione del forte di S. Giacomo.
Continuo oggetto di litigi era la questione dei
confini che dovevano dividere il distretto di Ferrajo
dai territori elbani dello stato di Piombino. Con il
trattato di Londra del 1557 era stato stabilito che
Cosimo avrebbe assunto l’investitura di Ferrajo con due
miglia di territorio intorno che comprendevano i luoghi
di Bagnaia, Monte castello, strada di Rio, Belvedere,
Felciajo, Monte Orello, Ceppete e Acquaviva , ma i
confini non furono mai chiaramente tracciati se non con
la presenza di pietre miliari indicative.
Nonostante questi rapporti difficili gli
Appiani vuoi per il loro scarso potere politico vuoi per
le loro finanze disastrate dovettero accettare la
protezione e l’aiuto di Cosimo contro il nemico comune
rappresentato dalle invasioni dei turchi mussulmani.