N. 66 - Giugno 2013
(XCVII)
PIETRO LEOPOLDO
Vita di un riformatore
di Luigi De Palo
L'anno
era
il
1747,
la
terribile
guerra
di
successione
austriaca
stava
giungendo
al
termine
quando Maria
Teresa
diede
alla
luce
il
suo
terzo
figlio,
l’Arciduca
Pietro
Leopoldo.
Leopoldo
era
il
tradizionale
nome
asburgico
lorenese,
con
il
quale
l'Arciduca
sarà
solito
firmarsi
e
come
Imperatore
si
nominerà
Leopoldo
II.
Pietro
invece
derivava
dall'alleanza
con
la
Russia:
madrina
del
suo
battesimo
fu
la
Zarina
di
Russia,
Elisabetta,
e
Pietro
era
il
nome
di
suo
padre.
L'Arciduca
visse
la
sua
prima
giovinezza
a
corte,
nell'agio
ma
anche
nella
cultura.
Gli
imperatori
erano
illuministi
e
trasmisero
questa
passione
anche
ai
loro
figli.
Pietro
Leopoldo
si
avvicinò
subito
alle
opere
più
celebrate
dell'epoca,
lesse
il
Della
pubblica
felicità
del
Muratori,
si
appassionò
di
Rosseau
e
rimase
affascinato
dall'
encyclopédie
di
Diderot
e d'Alambert.
Importanti
furono
per
la
sua
formazione
i
suo
maestri,
uno
fra
tutti
il
Francesco
Thurn,
uomo
di
cultura
e
futuro
gran
ciambellano
di
Toscana.
Con
i
fratelli
ebbe
dei
rapporti
difficili,
soprattutto
con
Giuseppe
(Imperatore
dal
1765)
mentre
era
legato
al
secondogenito
della
coppia
imperiale,
Carlo.
Proprio
il
Granducato
di
Toscana
era
destinato
a
Carlo,
mentre
per
il
terzogenito
Pietro
Leopoldo
si
prospettava
un
governo
a
Modena.
La
morte
prematura
di
Carlo
però
cambiò
lo
scenario
politico
della
casa
d'Austria
e il
terzo
Arciduca
venne
quindi
destinato
al
Granducato
di
Toscana.
La
vita
trascorreva
relativamente
tranquilla
per
il
giovane
Pietro
Leopoldo,
viaggi
e
nuove
conoscenze
animavano
le
sue
giornate.
Nel
1762
furono
avviate
le
trattative
tra
Madrid
e
Vienna
per
il
fidanzamento
suo
e
della
figlia
del
Re
di
Spagna
Carlo
III,
Maria
Luisa.
Le
tanto
sospirate
nozze
politiche
furono
celebrate
il 5
agosto
1765
a
Innsbruck.
Maria
Luisa
non
era
una
bella
ragazza,
ma
le
fonti
ci
dicono
che
Pietro
Leopoldo
rimase
colpito
dalla
sua
intelligenza,
considerando
che
la
corte
borbonica
non
era
certo
celebrata
per
la
cultura
e
per
la
buona
educazione.
Pochi
giorni
dopo
morì
il
padre
di
Leopoldo,
Francesco
Stefano,
che
solo
qualche
mese
prima
scrisse
le
istruzioni
per
il
proprio
figlio,
su
come
si
doveva
comportare
politicamente,
moralmente
ed
economicamente
nella
sua
veste
di
Granduca.
Anche
l'Imperatrice,
dopo
le
nozze
dell’Arciduca,
scrisse
un
documento
analogo
per
il
figlio,
nel
quale
si
può
percepire
un
profondo
dolore
per
la
partenza
imminente
di
Pietro
Leopoldo
e la
morte
inaspettata
del
marito.
Entrambi
i
coniugi
si
erano
soffermati
sulla
necessità
di
fare
economia
sulla
vita
di
corte,
precetto
che
Pietro
Leopoldo
seguì
alla
lettera,
dando
in
rarissime
occasioni
feste
e
banchetti.
Dopo
il
matrimonio,
l'Arciduca
raggiunse
Firenze.
Era
il
13
settembre
1765.
Qui
conobbe
l'anziano
maresciallo
Botta,
capo
della
reggenza
toscana.
I
due,
nonostante
gli
inviti
della
madre
a
Leopoldo
ad
accettare
i
consigli
del
Botta,
si
scontrarono
subito,
in
quanto
entrambi
vedevano
nell'altro
una
limitazione
dei
propri
poteri.
Il
Granduca
fu
accolto
con
entusiasmo
dai
suoi
sudditi
e
ben
presto
entrò
in
contatto
con
le
menti
riformatrici
toscane,
come
Pompeo
Neri,
celebre
per
il
famoso
catasto
lombardo
e
discepolo
di
Sallustio
Bandini,
che
scrisse
un
libro
intitolato
Discorso
economico
sopra
la
maremma
di
Siena.
Con
il
Neri,
Angelo
Tavanti,
Giulio
Rucellai,
Francesco
Maria
Gianni
e
molti
altri
Pietro
Leopoldo
mise
da
parte
il
Botta
e
iniziò
subito
la
sua
opera
riformatrice,
iniziando
dall'agricoltura
e
dalla
carestia
che
aveva
colpito
la
Toscana
proprio
in
quegli
anni.
La
libera
circolazione
dei
grani
fu
una
delle
prime
grandi
riforme
dell'agricoltura
(nel
1781
saranno
aboliti
tutti
i
dazi
e
pedaggi)
e
decretò
la
fine
del
partito
conservatore,
ma
non
fu
l'unico
intervento
del
Granduca:
rifacendosi
alle
teorie
degli
economisti
fisiocratici
del
tempo,
Pietro
Leopoldo
riteneva
il
settore
dell'agricoltura
fondamentale
per
l'economia
e
portò
avanti
diverse
campagne
di
bonifica,
preoccupandosi
anche
dell'educazione
dei
contadini
che,
fortemente
legati
alla
tradizione,
come
quella
della
monocultura
del
grano,
non
avevano
fatto
nulla
per
evitare
la
carestia.
Per
tale
motivo
incoraggiò
i
preti
di
campagna
ad
istruire
le
persone
più
ignoranti
e
disagiate
e
appoggiò
l'Accademia
dei
Georgofoli,
per
sensibilizzare
e
informare
i
proprietari
terrieri.
L’opera
riformatrice
riforme
continuò
con
la
soppressione
della
proprietà
fondiaria
di
manomorta,
ossia
le
proprietà
improduttive
della
chiesa,
che
dovevano
essere
un
vero
e
proprio
pugno
nell'occhio
per
gli
economisti;
l'abolizione
dell'appalto
generale,
con
la
possibilità
per
lo
Stato
di
gestire
l'amministrazione
fiscale
e di
farsi
un'idea
della
vera
condizione
del
paese
e
l'introduzione
di
un'unica
unità
di
misura:
il
braccio
fiorentino
(1782).
I
primi
anni
di
governo
furono
segnati
anche
da
eventi
tragici:
la
morte
nel
1766
di
Francesco
Thurn
e lo
scontro
con
Giuseppe.
Giunto
a
Firenze
il
giovane
Granduca
scoprì
che
il
padre
aveva
lasciato
due
milioni
di
fiorini,
per
le
riforme
necessarie
per
la
regione.
Giuseppe,
saputa
la
notizia
di
una
tale
eredità
e
vista
anche
la
situazione
economica
allarmante
della
monarchia
austriaca,
pretese
che
quei
soldi
venissero
subito
inviati
a
Vienna,
essendo
stato
nominato,
nel
testamento
di
Francesco
Stefano,
unico
erede.
Lo
scontro
fra
i
due
fu
carico
di
tensione
ma
alla
fine
Pietro
Leopoldo,
anche
sotto
le
pressioni
materne,
dovette
cedere.
Questo
episodio
segnò
per
sempre
i
rapporti
tra
i
fratelli,
anche
dopo
l'incontro
di
Roma
nel
1769.
Intanto
Maria
Teresa
inviò
a
Firenze
un
suo
fidato
collaboratore,
il
Rosenberg,
per
controllare
meglio
il
figlio,
il
quale
diventò
negli
anni
a
seguire
un
grande
amico
e
sostenitore
di
Pietro
Leopoldo,
anche
dopo
la
sua
partenza
definitiva
dalla
Toscana
nel
1770.
Nel
1767
nacque
la
primogenita
di
Pietro
Leopoldo
e
Maria
Luisa,
Maria
Teresa,
e
nel
1768
un
altro
parente
di
Pietro
Leopoldo,
la
sorella
Maria
Carolina,
raggiunse
l'Italia
per
diventare
Regina
del
regno
di
Napoli
sposando
il
Re
Ferdinando
IV
(il
celebre
Re
lazzarone).
Difficili
erano
in
questo
periodo
i
rapporti
con
la
Chiesa,
per
vari
motivi.
Uno
di
questi
era
sicuramente
l'alleanza
con
i
Borboni,
i
quali
avevano
espulso
i
gesuiti
dalle
loro
terre,
ma
anche
le
idee
stesse
di
Leopoldo
erano
in
contrasto
con
le
istituzione
ecclesiastiche.
L'Arciduca
era
profondamente
religioso,
ma
allo
stesso
tempo
non
poteva
permettere
che
il
Papa
e i
Vescovi
interferissero
con
il
suo
governo.
Con
Giulio
Rucellai,
responsabile
dei
rapporti
tra
Stato
e
Chiesa,
mise
a
punto
tutte
le
sue
richieste
nei
confronti
della
Chiesa,
rivendicazioni
che
presentò
nel
1769
dopo
la
morte
di
Papa
Clemente
XIII,
come
la
richiesta
che
i
Vescovi
prestassero
giuramento
all'Arciduca
prima
della
loro
investitura,
la
soppressione
della
giurisdizione
ecclesiastica
e la
celebre
soppressione
del
diritto
d'asilo
nei
luoghi
pii.
L'obiettivo
del
Granduca
era
quello
di
rivoluzionare
tutto
il
sistema
toscano,
per
questo
non
si
soffermò
solo
sulle
questioni
religiose,
ma
anche
sull'organizzazione
cittadina.
Nel
1770
abolì
le
corporazioni
e
portò
avanti
un
nuovo
ordinamento
comunale.
Il
fine
di
queste
riforme
era
quello
di
eliminare
antiche
istituzioni
in
stridente
contrasto
con
la
nuova
politica,
dare
una
maggiore
autonomia
alle
rappresentanze
cittadine
ed
eliminare
le
antiche
divisioni.
Se
questo
fu
facile
da
raggiungere
nei
centri
più
piccoli,
più
complicata
fu
la
situazione
fiorentina,
dove
la
popolazione
non
accettò
di
perdere
la
propria
supremazia,
puramente
simbolica,
sulle
altre
città.
Tale
senso
di
smarrimento
raggiunse
il
suo
apice
nel
1774
con
lo
scoppio
dei
tumulti
di
Firenze,
scontri
che
divamparono
anche
a
causa
dei
difficili
rapporti
tra
esercito
e
polizia.
Pietro
Leopoldo
riuscì
con
la
sua
presenza
a
placare
gli
animi
dei
rivoltosi
e
portò
avanti
un
progetto
di
riforma
sia
per
la
polizia
che
per
l'esercito.
L'esercito
fu
praticamente
abolito,
con
l'istituzione
di
una
sorta
di
leva
obbligatoria,
mentre
per
la
polizia
nel
1776
fu
stabilito
un
commissariato
per
ognuno
dei
quartieri
di
Firenze.
Questi
si
dovevano
occupare
di
tutte
le
questione
inerenti
la
popolazione,
anche
quelle
di
minore
importanza.
A
capo
di
queste
era
previsto
un
capo
della
polizia
e
inizialmente
la
scelta
cadde
sul
Chelotti.
Fu
un
terribile
errore
da
parte
di
Pietro
Leopoldo,
il
Chelotti
infatti
si
rivelò
una
persona
assolutamente
inaffidabile,
amante
del
lusso
e
del
gioco.
Dopo
la
sua
caduta
la
riforma
fu
completata
con
l'uditore
Giuseppe
Giusti,
che
stabilì
una
netta
separazione
tra
polizia
e
potere
giudiziario.
Il
1774
fu
per
l'Arciduca
un
anno
molto
difficile,
non
solo
scoppiarono
i
tumulti
ma
morì
anche
il
quinto
figlio
maschio
della
coppia
granducale,
l'Arciduca
Albrecht,
probabilmente
di
vaiolo,
nonostante
il
vaccino
dei
medici
turchi
promosso
in
Toscana
da
un
grande
di
quel
periodo,
il
medico
botanico
e
scienziato
Giovanni
Targioni
Tozzetti,
che
oltre
ad
occuparsi
di
questioni
mediche,
scrisse
anche
diversi
resoconti
inerenti
alla
situazione
igienica
della
città
di
Firenze,
soffermandosi
sul
fetore
dei
sepolcri
all'interno
delle
chiese
e
come
questi
potevano
inquinare
le
falde
acquifere.
Negli
anni
successivi
Pietro
Leopoldo
seguì
i
consigli
del
Tozzetti
e
fece
costruire
il
cimitero
di
San
Trespiano,
vietando
la
sepoltura
all'interno
delle
chiese.
Inoltre
quello
fu
l'anno
in
cui
sua
sorella
Maria
Antonietta
divenne
regina
di
Francia
a
soli
diciotto
anni,
tutte
preoccupazioni
che
portarono
Pietro
Leopoldo
a
una
profonda
crisi
depressiva
dalla
quale
non
si
riprese
mai
del
tutto.
Nel
1775
alcuni
fratelli
e
Giuseppe
si
recarono
in
Italia
e
per
l'occasione
l'Imperatore
fu
ricevuto
a
corte
da
Pietro
Leopoldo.
I
due
affrontarono
il
problema
relativo
ai
figli,
il
loro
futuro
e la
loro
educazione.
Giuseppe
non
aveva
eredi
e
desiderava
che
il
fratello
lasciasse
partire
per
Vienna
i
suoi
figli
più
grandi.
Dopo
vari
tentennamenti,
nel
1784
il
Granduca
fu
costretto
a
cedere
alle
insistenze
del
fratello
e ad
accompagnare
il
figlio
Francesco
(il
futuro
Imperatore
Francesco
II)
a
Vienna.
In
questa
occasione
Giuseppe
abolì
anche
la
secondogenitura
toscana,
reintrodotta
poi
da
Leopoldo
dopo
la
morte
dell'Imperatore,
poiché
assolutamente
convinto
che
la
Toscana
avesse
bisogno
della
presenza
diretta
di
un
membro
della
casa
imperiale.
Di
grande
importanza
fu
il
soggiorno
dell'Arciduca
nel
1778
a
Vienna.
Il
Granduca
riformatore
descrisse
la
corte
viennese
e i
suoi
componenti,
non
risparmiando
a
nessuno
commenti
aspri
e
duri,
soprattutto
nei
confronti
del
fratello
Giuseppe.
Maria
Teresa
venne
invece
definita
una
persona
anziana
in
aperto
conflitto
con
il
figlio
imperatore
e
ancora
molto
influente
nei
rapporti
con
gli
stati
esteri.
Maria
Teresa
morì
due
anni
dopo,
nel
1780,
e
questo
fu
per
Pietro
Leopoldo
un
colpo
durissimo
anche
se
gli
permise
di
entrare
in
aperto
conflitto
con
la
Chiesa,
cosa
che
prima
non
gli
era
stato
possibile
visti
i
numerosi
scrupoli
religiosi
della
madre.
Tornato
in
Toscana,
Leopoldo
pensò
molto
a
ciò
che
aveva
potuto
osservare
della
monarchia,
per
questo
avviò
un
progetto
di
costituzione
con
il
quale
voleva
evitare
il
pericolo
di
un
dispotismo.
Obiettivo
dell'Arciduca
era
quello
di
dare
maggiori
responsabilità
ai
cittadini
e al
tempo
stesso
di
limitare
i
suoi
poteri.
Gli
stretti
collaboratori,
molti
erano
anziani
e il
più
importante
era
Francesco
Maria
Gianni,
non
riuscirono
a
concepire
il
suo
progetto
essendo
ancora
legati
al
principio
dell'assolutismo
illuminato,
progetto
che,
per
diversi
motivi
tra
cui
la
volontà
di
Giuseppe
di
abolire
la
secondogenitura
toscana,
fu
presto
accantonato
e
mai
più
ripreso.
Alla
morte
dell'Imperatrice
il
Granduca
riprese
dunque
la
sua
personale
lotta
contro
l'influenza
della
Chiesa.
Egli
fu
un
simpatizzante
giansenista,
per
quel
giansenismo
italiano
che
richiedeva
a
gran
voce
una
riforma
radicale
della
Chiesa
ormai
troppo
corrotta
dal
denaro
e
dal
potere.
Determinante
in
questo
senso
fu
Scipione
de'
Ricci,
un
giansenista
che
Pietro
Leopoldo
nominò
nel
1780
Vescovo
di
Prato
e
Pistoia
e
che
sostituì
di
fatto
il
Rucellai
(morto
nel
1778)
nelle
questioni
relative
ai
rapporti
con
la
Chiesa
e
alle
riforme
della
Chiesa
stessa.
Altra
figura
di
spicco
fu
l'Arcivescovo
riformista
Martini,
che
sostituì
il
defunto
Incontri.
L'Arciduca
approfittò
inoltre
dei
rapporti
tesi
tra
la
monarchia
austriaca
e
Papa
Pio
VI
il
quale,
per
non
perdere
l'appoggio
di
Giuseppe,
chiuse
più
volte
un
occhio
su
quello
che
avveniva
nel
Granducato.
Il
Granduca
era
membro
della
massoneria
e
nel
1782
abolì
il
Tribunale
dell'Inquisizione
che
aveva
condannato
a
morte
un
massone,
Tommaso
Crudeli.
Nel
1783
furono
aperte
le
prime
scuole
ecclesiastiche
per
la
formazione
di
parroci
capaci
e
successivamente
vennero
abolite
tutte
le
congregazioni
religiose
con
la
creazione
di
compagnie
di
carità,
che
venivano
ora
direttamente
gestite
dal
Granduca
e
che
avevano
il
compito
di
aiutare
i
più
bisognosi.
Pietro
Leopoldo
inoltre
si
avvicinò
anche
al
problema
dell'istruzione
femminile.
Le
uniche
donne
che
ricevevano
un'educazione
di
rilievo
erano
le
suore.
L'Arciduca
istituì
allora
delle
scuole
femminili
con
l'intenzione
di
portare
avanti
una
riforma
più
vasta
della
scuola,
ancora
troppo
legata
all'influenza
ecclesiastica,
ma
purtroppo
la
prematura
morte
di
Giuseppe
nel
1790
e la
nomina
di
Leopoldo
a
Imperatore
fermò
tutto
il
progetto.
Intanto
nel
1786
il
Vescovo
Scipione
de'
Ricci
convocò
il
sinodo
di
Pistoia,
dal
quale
furono
elaborati
i
punti
ecclesiastici
destinati
a
riformare
la
Chiesa.
Nel
1787
Leopoldo
convocò
un'assemblea
con
tutti
i
vescovi
toscani
in
cui
gli
uomini
di
Dio
dovevano
decidere
una
volta
per
tutte
se
stare
con
il
Granduca
o
con
Roma.
Pochissimi
tra
essi
giurarono
fedeltà
a
Leopoldo,
anche
a
causa
del
voltafaccia
dell'Arcivescovo
Martini
che
diede
la
sua
fiducia
al
Papa.
L'opera
riformatrice
di
Pietro
Leopoldo
non
fu
esente
da
critiche,
come
nel
1783
quando
fuse
le
tre
celebri
Accademie
fiorentine
(Accademia
della
Crusca,
Accademia
degli
Apatisti
e
Accademia
dei
fiorentini)
in
un'unica
Accademia,
ma
fu
celebrato
anche
per
molte
iniziative
culturali
(ricordiamo
la
fondazione
dell'Archivio
diplomatico
nel
1779)
e
umanitarie,
come
l'abolizione
della
pena
di
morte
e
l'introduzione
del
codice
penale
leopoldino
il
30
novembre
1786.
Nel
codice,
Pietro
Leopoldo
eliminò
la
tortura
giudiziaria
e
introdusse
altre
novità
che
si
ispiravano
direttamente
all'opera
di
Cesare
Beccaria,
il
Dei
delitti
e
delle
pene,
pubblicata
a
Livorno
nel
1764,
una
delle
poche
città
europee
dove
il
Tribunale
dell'Inquisizione
non
aveva
alcun
potere.
La
Toscana
fu
allora
il
primo
stato
ad
abolire
la
pena
di
morte,
nonostante
il
Beccaria
scrisse,
riprendendo
Voltaire,
che
tale
pena
era
stata
abolita
in
Russia
da
Elisabetta
(madrina
di
Pietro
Leopoldo)
ma
in
realtà
ciò
non
è
vero.
La
Zarina
infatti
la
sostituì
con
la
tortura
dello
knut,
crudeli
e
perpetrate
pene
corporali
che
potevano
essere
ben
peggiori
della
pena
capitale.
Pietro
Leopoldo
riprese
dall'illuminista
milanese
anche
la
proporzione
tra
pena
e
reato
e
una
concezione
umanitaristica
delle
pene.
Negli
ultimi
anni
di
governo
il
Granduca
indebolì
l'aristocrazia
con
l'abolizione
del
fide
commisso
e
del
maggiorascato,
ora
i
beni
ereditati
potevano
essere
vendibili
e
cercò
di
diminuire
il
debito
pubblico.
Con
una
manovra
del
Gianni
riuscì
nell'obiettivo
ma
il
forte
aumento
di
tasse,
soprattutto
nelle
città,
provocò
un
grande
malcontento
che,
dopo
la
partenza
di
Pietro
Leopoldo,
che
divenne
Imperatore
nel
1790
alla
morte
di
Giuseppe,
sfociò
in
una
terribile
rivolta.
Il
consiglio
di
reggenza,
che
il
Granduca
istituì
pochi
giorni
prima
di
essere
nominato
Imperatore,
non
riuscì
a
mantenere
l'ordine
e
dovette
cedere
alle
richieste
del
popolo.
Solo
nel
1791
l'ormai
Leopoldo
II
riuscì
a
riportare
l'ordine
e ad
accompagnare
a
Firenze
il
figlio
Ferdinando
III,
pronto
per
diventare
il
nuovo
Granduca.
Pietro
Leopoldo
era
convinto
che
suo
figlio
fosse
maturo
per
questa
responsabilità,
a
lui
aveva
lasciato
il
bilancio
degli
ultimi
25
anni
di
regno
(un'altra
copia
era
stata
resa
pubblica,
per
fini
propagandistici),
con
tutti
i
suoi
consigli
su
come
gestire
la
situazione
e su
quali
persone
fare
affidamento,
ma
tra
i
due
non
scorreva
buon
sangue.
Ferdinando
infatti
fu
costretto
dal
padre
a
sposare
la
cugina
(la
figlia
di
Maria
Carolina)
descritta
da
tutti
di
sgradevole
aspetto
e
inoltre
non
tollerava
la
vena
donnaiola
del
padre,
che
aveva
avuto
innumerevoli
amanti
nonostante
i
sedici
figli
con
Maria
Luisa.
Dopo
questa
breve
visita,
Pietro
Leopoldo
non
tornò
più
a
Firenze.
Colpito
da
una
polmonite
con
pleurite
suppurosa
(secondo
altri
fu
avvelenato
dalla
massoneria
o
dai
gesuiti,
ma
sembrano
ipotesi
poco
probabili),
pochi
giorni
prima
di
aver
firmato
la
pace
con
la
Turchia,
l'Imperatore
morì
il 1
marzo
1792
tra
le
braccia
di
Maria
Luisa,
che
morirà
il
15
maggio
dello
stesso
anno.
La
morte
improvvisa
privò
così
l'umanità
di
una
delle
menti
più
brillanti
di
fine
'700,
alla
vigilia
di
un
evento
che
avrebbe
sconvolto
l'Europa
intera,
la
rivoluzione
francese.
Nessuna
festività
gli
è
stata
dedicata
in
Austria
o in
Germania,
la
sua
tomba
è
priva
di
qualsiasi
decorazione,
ma
il
suo
ricordo
è
ancora
vivo
in
Toscana
e la
sua
saggezza
è
ancora
oggi
vista
con
una
velata
malinconia.
Riferimenti
bibliografici:
Adam
Wandruska,
Pietro
Leopoldo,
un
grande
riformatore,
Firenze,
Vallecchi
editore,
1968
Cesare
Beccaria,
Dei
delitti
e
delle
pene,
Milano,
Rizzoli,
2010
Giovanni
Targioni
Tozzetti,
Relazioni
forensi,
ambiente
igiene
e
sanità
nella
Firenze
dei
Lorena,
Firenze,
Le
lettere,
1998.