N. 66 - Giugno 2013
(XCVII)
Pieter Bruegel il Vecchio
Un maestro dell’arte fiamminga
di Roberta Fameli
Pieter
Brueghel
il
Vecchio
nacque
a
Breda
(Paesi
Bassi)
tra
il
1525
e il
1530.
Poiché
all'epoca
non
vi
erano
registri
anagrafici
delle
nascite,
tale
data
è
stata
ricavata
dalla
prima
menzione
del
1551
fatta
per
iscritto
dalla
Corporazione
di
San
Luca
di
Anversa
alla
quale
era
possibile
accedere
non
prima
dei
21/25
anni
- e
morì
a
Bruxelles
il 5
settembre
1569.
Le
notizie
sulla
vita
di
questo
sommo
artista
sono
sempre
state
scarse
e
imprecise:
esse
derivano
per
lo
più
dallo
Schilderboek
di
Karel
van
Mander,
il
Vasari
fiammingo
(1604).
Solitamente
questo
artista
è
indicato
come
il
Vecchio
al
fine
di
distinguerlo
dal
figlio
primogenito,
Pieter
Brueghel
il
Giovane.
Il
pittore
mosse
i
suoi
primi
passi
nella
ricca
città
di
Anversa,
dove
realizzò
un
trittico
per
la
cattedrale
di
Malines,
realizzato
in
collaborazione
con
Peeter
Balten,
che
è
andato
perduto.
Determinante
fu
l’incontro
con
l'arte
di
Bosch
documentato
dall'incisione
I
pesci
grandi
mangiano
i
pesci
piccoli,
che
Brueghel
disegnò
e
l'editore
Cock
pubblicò
con
la
firma
di
Bosch,
utilizzando
una
tematica
che
poteva
garantire
una
facile
presa
commerciale.
Sebbene
Brueghel
attingesse
a
piene
mani
dal
repertorio
del
collega
più
affermato,
i
risultati
sono
diversi
e
innovativi:
basti
pensare
ai
"grilli"
mostruosi
di
Brueghel
inseriti
in
uno
spazio
in
cui
paesaggio
e
figure
si
dividono
equamente
la
superficie
pittorica
disponibile.
Secondo
alcuni
studiosi
– in
particolare
Karel
van
Mander
-
Brueghel
si
formò
a
Bruxelles
alla
scuola
di
Pieter
Coecke
van
Aelst,
pittore
di
corte
di
Carlo
V,
architetto,
disegnatore
di
arazzi,
persona
colta
e
autore
di
traduzioni
del
Vitruvio
e di
Sebastiano
Serlio.
Questa
ipotesi
tuttavia
non
è
condivisa
da
una
parte
della
critica,
che
non
individua
elementi
di
contiguità
tra
Bruegel
e
van
Aelst,
nonostante
Pieter
ne
avesse
sposato
la
figlia
Mayeken
Verhulst
Bessemers.
È
molto
più
probabile
semmai
che
Coecke
sia
stato
per
lui
un
amico
paterno
che
lo
iniziò
a
specifici
indirizzi
culturali,
piuttosto
che
un
vero
e
proprio
maestro
di
bottega.
Nel
1551,
forse
su
invito
dello
stesso
Cock,
Bruegel
era
pronto
per
partire
alla
volta
dell'Italia:
non
ci è
dato
conoscere
i
tempi
esatti
del
viaggio,
ma i
luoghi
visitati
sono
registrati
diligentemente
in
una
serie
di
disegni.
Prima
di
giungere
in
Italia
dovette
passare
da
Lione,
come
attesta
l'esistenza
di
due
guazzi
con
vedute
di
tale
città
(oggi
perduti),
già
inventariati
nel
1577.
Brueghel
attraversò
le
Alpi
(Paesaggio
alpino,
1551
circa)
e
visitò
il
Lago
Maggiore
dopodiché
proseguì
per
Roma,
dove
si
fermò
certamente
a
lungo
come
ricordano
un
gran
numero
di
opere,
solo
in
minima
parte
giunte
fino
a
noi.
Tra
di
essi
ricordiamo:
un
disegno
della
Ripa
Grande
a
Roma
(1551-1553
circa),
la
un
dipinto
menzionato
in
un
inventario
romano
seicentesco,
due
stampe
derivate
da
disegni
suoi
(Psiche
e
Mercurio
e
Dedalo
e
Icaro,
riferibili
al
1553
circa),
un'incisione
con
veduta
di
Tivoli
sulle
propaggini
dei
monti
Tiburtini
(Prospectus
tyburtinus).
Non
abbiamo
indizi
nemmeno
di
contatti
diretti
con
gli
artisti
appartenenti
ai
circoli
romani,
sebbene
appaia
impossibile
che
il
pittore
non
si
fosse
emozionato
di
fronte
ai
capolavori
di
Michelangelo
che
aveva
recentemente
realizzato
il
Giudizio
universale.
Dopo
Roma.
Si
recò
a
Napoli
(dipinto
con
Veduta
del
porto
di
Napoli,
data
imprecisata)
e
nel
1552
circa
rappresentò
Reggio
Calabria
in
un
disegno
in
cui
la
città
è in
fiamme
per
un
attacco
dei
Turchi.
Infine,
in
un'incisione
del
1561
di
Frans
Huys,
basata
su
un
suo
disegno
perduto,
è
raffigurata
una
battaglia
nello
Stretto
di
Messina
che
lascia
pensare
a
una
conoscenza
precisa
dei
luoghi
geografici.
Ulteriori
informazioni
le
possiamo
ricavare
dalle
lettere
indirizzate
dal
geografo
bolognese
Scipio
Fabus
all'amico
Abraham
Ortelius
nel
1561,
in
cui
si
ricorda
la
visita
del
maestro
fiammingo
nel
nostro
paese.
Altre
opere
in
cui
è
possibile
cogliere
reminiscenze
del
viaggio
in
Italia
si
colgono
nel
Trionfo
della
morte,
che
ricorda
il
paesaggio
di
Palermo
o la
Torre
di
Babele,
la
cui
architettura
ricorda
la
struttura
del
Colosseo.Tornato
in
patria
nel
1555,
durante
il
viaggio
ritrasse
la
valle
del
Ticino
ed
inserì
numerose
vedute
alpine
e
prealpine
negli
sfondi
di
molte
opere
note.
Brueghel
compose
anche
paesaggi
e
composizioni
satiriche
e
moralistiche
per
gli
incisori
di
Jeronymus
Cock
che
ebbe,
tra
l’altro,
il
merito
di
avvicinarlo
alle
opere
di
Hieronymus
Bosch
appartenente
alla
generazione
precedente,
da
usare
come
base
per
le
opere
incisorie.
Nell’atelier
di
Cock
si
ritrovavano
artisti,
letterati,
studiosi
e
amatori
legati
all'Umanesimo.
Negli
anni
successivi
Brueghel
continuò
a
occuparsi
di
disegni
da
tradurre
in
incisioni
e di
dipinti,
che
eseguì
in
maniera
continuativa
solo
a
partire
dal
1562.
Ad
Anversa
entrò
in
circoli
intellettuali
tra
i
cui
partecipanti
c'erano
il
cartografo
Ortelius,
il
filosofo
e
incisore
Coornhert,
il
tipografo
Plantin,
l'incisore
Goltzius.
Tali
circoli
erano
molti
utili
anche
per
favorire
l’incontro
degli
artisti
con
la
committenza:
in
quegli
anni
uno
dei
suoi
più
attivi
collezionisti
fu
il
cardinale
Antoine
Perrenot
de
Granvelle,
governatore
dei
Paesi
Bassi
e
amico
di
Filippo
II
di
Spagna.
Tra
le
opere
che
riconducibili
alla
sua
mano
e
classificabili
nella
pittura
di
paesaggio,
si
ricorda
Paesaggio
fluviale
con
la
parabola
del
seminatore
(prima
tavola
firmata
risalente
al
1557).
Sempre
nel
1557
realizzò
la
serie
calcografica
dei
Sette
peccati
capitali..Fino
al
1559
si
firmò
come
"Brueghel",
per
poi
passare,
non
si
sa
come
mai,
alla
firma
"Bruegel".
Nel
1562
probabilmente
compì
un
viaggio
ad
Amsterdam
e a
Besançon
e lo
stesso
anno
realizzò
il
Suicidio
di
Saul.Nell’estate
del
1563
si
trasferì
a
Bruxelles,
dove
l'ambiente
culturale
era
molto
diverso
da
Anversa:
mercantile
la
prima,
aristocratica
la
seconda.
In
quegli
anni
Bruxelles
era
una
città
ricca
ma
violenta,
funestata
da
condanne,
esecuzioni
ed
episodi
sanguinosi;
nonostante
ciò,
qui
Bruegel
trascorse
gli
anni
più
fecondi
della
sua
vita.
Nel
1563
vide
la
luce
una
delle
sue
opere
più
celebri:
la
Torre
di
Babele
a
cui
abbiamo
fatto
riferimento
precedentemente.
Nel
1564
venne
alla
luce
Pieter,
suo
primogenito,
nello
stesso
anno
dipinse
la
Salita
al
Calvario.
Il
periodo
compreso
tra
il
1565
ed
il
1568
fu
prolifico
e
vide
la
realizzazione
di
opere
quali
la
serie
dedicata
ai
Mesi.
Nel
1566
Nilaes
Jonghelinck
possedeva
ben
sedici
opere
di
Bruegel,
comprese
le
sei
tavole
dei
Mesi.
Nelle
opere
più
tarde
si
nota
un
grande
cambiamento
nello
stile
dell’artista
visto
che
l’umanità
di
cui
erano
sempre
state
affollate
le
sue
opere
giovanili
retrocede
fino
ad
arrivare
a
figure
in
primo
piano.
Le
opere
più
importanti
di
questo
periodo
sono:
il
Ladro
di
nidi,
il
Paese
della
cuccagna
noto
anche
come
il
Banchetto
nuziale.
Quest’ultima
opera,
in
particolare
mostra
la
partecipazione
emotiva
del
pittore
alla
gioia
dell'evento,
che
gli
fa
abbandonare
il
tradizionale
distacco:
tanto
è
vero
che
nell'ultima
figura
sulla
destra
ha
inserito
il
suo
autoritratto
nell'atto
di
confessarsi.
Nel
1568
nacque
il
secondogenito
Jan,
noto
come
“Jan
dei
Velluti”
e
dipinse
la
Parabola
dei
ciechi,
nella
quale
la
tragicità
del
soggetto
è
espresso
attraverso
una
colorazione
grottesca
e
drammatica.
Bruegel
morì
nel
1569:
le
circostanze
della
sua
sepoltura
sono
uno
dei
pochi
elementi
certi
nella
sua
biografia.
Essa
avvenne
nella
chiesa
di
Notre-Dame-de-la-Chapelle
a
Bruxelles
dove
esiste
ancora
la
lapide
con
un'iscrizione
fatta
apporre
nel
1676
da
un
suo
pronipote
e
che
riporta:
"OBIIT
ILLE
ANNO
MDLXIX"
("Morì
l'anno
1569").
A
testimonianza
dell'alta
considerazione
che
all'epoca
ancora
rivestiva
la
sua
figura,
la
sua
tomba
venne
adornata
da
un
dipinto
di
Rubens
ancora
in
loco.
Bruegel
non
decorò
chiese
o
luoghi
pubblici,
ma
la
sua
arte
fu
molto
apprezzata
da
amici
e
collezionisti.
Tra
i
suoi
migliori
committenti
ci
furono
il
cardinale
Perrenot
di
Granvelle
e
Niclaes
Jonghelinck
il
quale
-
nel
1566
-
possedeva
sedici
dipinti
dell'artista,
tra
cui
le
tavole
dei
Mesi,
che
in
seguito
sarebbero
state
donate
all'arciduca
Ernesto
d'Asburgo.
Anni
dopo
lo
stesso
nobile
austriaco
acquistò,
per
160
fiorini,
il
Banchetto
nuziale.
Nel
secolo
successivo,
tra
gli
amanti
della
sua
arte,
spiccò
specialmente
Rubens,
amico
di
suo
figlio
Jan
e
proprietario
di
dodici
suoi
dipinti,
come
risulta
dall'inventario
redatto
alla
sua
morte
nel
1640.
Nel
Settecento
Descamps
nella
sua
La
vie
des
peintres
Flamands,
(1753)
lo
definì
un
artista
secondario
che
si
mosse
nell’ambito
della
pittura
popolaresca
noto
con
il
soprannome
«Piet
den
Drol»,
cioè
Pietro
il
Buffo
e
ancora
nel
corso
dell'Ottocento
i
grandi
musei
non
acquistavano
le
sue
opere
tanto
è
vero
che
se i
musei
reali
di
Bruxelles
acquistarono
la
Caduta
degli
angeli
ribelli
fu
solo
perché
la
consideravano
un’opera
di
Bosch.
Fu
solo
la
critica
romantica
a
riscoprirne
la
potenza
espressiva
e la
vena
malinconica:nel
Novecento
gli
studi
di
Romdahl,
Van
Bastellaer
e
Hulin
de
Loo
dedicarono
a
Bruegel
uno
approfondito
studio
scientifico,
che
ebbe
come
apice
la
pubblicazione
di
un
catalogo
delle
sue
opere,
edito
nel
1907,
ricco
di
valutazioni
stilistiche
e
iconografiche.
Oggi
finalmente
Bruegel
ha
ottenuto
il
riconoscimento
che
meritava:
le
sue
opere
sono
molte
amate
dal
pubblico
ed è
ritenuto
un
pittore
vitale
e
moderno.
Riferimenti
bibliografici:
G.
Jedlicka,
Pieter
Bruegel,
Erlenbach-Zurigo-Lipsia,
1947;
F.
Grossmann,
Bruegel:
The
Paintings,
Londra,
1955;
L.
van
Puyvelde,
La
peinture
flamande
au
siècle
de
Bosch
et
de
Brueghel,
Parigi,
1962;
G.
Marlier,
G.
Bazin
in
Le
siècle
de
Bruegel,
Parigi,
1963;
G.
Vallese
(a
cura
di),
Vizi,
virtù
e
follia
nell'opera
grafica
di
Bruegel
il
Vecchio,
Milano,
1979.