N. 20 - Agosto 2009
(LI)
pIERRE TEILHARD DE CHARDIN
IL GESUITA CHE CREDEVA IN DARWIN
di Lawrence M.F. Sudbury
Il
24
dicembre
1859
veniva
messo
in
commercio,
in
1250
copie,
Sull'Origine
delle
Specie
per
Mezzo
della
Selezione
Naturale
o la
Preservazione
delle
Razze
Favorite
nella
Lotta
per
la
Vita,
più
noto
semplicemente
come
L’Origine
delle
Specie,
di
Charles
Darwin.
In
un
solo
giorno
tutte
le
copie
furono
esaurite:
era
la
prima
prova
che
le
teorie
evoluzionistiche,
che
Darwin
aveva
già
anticipato
l’anno
precedente
in
una
conferenza
alla
“Società
Linneana”
di
Londra,
apparivano
ben
più
convincenti
della
fantasiosa
storia
biblica
della
creazione
di
Adamo
dal
fango
(teoria
“creazionista”).
In
estrema
sintesi,
le
idee
di
Darwin
si
basavano
su
cinque
osservazioni
fondamentali:
le
specie
sono
dotate
di
una
grande
fertilità
e
producono
numerosi
discendenti
che
possono
raggiungere
lo
stadio
adulto;
le
popolazioni
rimangono
grosso
modo
delle
stesse
dimensioni,
con
modeste
fluttuazioni;
le
risorse
di
cibo
sono
limitate
(anche
se
relativamente
costanti);
come
conseguenza
dei
tre
punti
precedenti,
è,
dunque,
possibile
dedurre
che
verosimilmente
in
ogni
ambiente
vi
tra
gli
individui
una
lotta
per
la
sopravvivenza;
con
la
riproduzione
sessuale
generalmente
non
vengono
prodotti
due
individui
identici,
ma,
al
contrario,
la
variazione
è
abbondante
e in
gran
parte
ereditabile.
A
partire
da
questi
presupposti,
Darwin
affermava
che
in
un
mondo
di
popolazioni
stabili,
dove
ogni
individuo
deve
lottare
per
sopravvivere,
quelli
con
le
“migliori”
caratteristiche
avranno
maggiori
possibilità
di
sopravvivenza
e
così
di
trasmettere
quei
tratti
favorevoli
ai
loro
discendenti.
Col
trascorrere
delle
generazioni,
le
caratteristiche
vantaggiose
diverranno
dominanti
nella
popolazione.
Lo
scienziato
britannico
definì
questo
processo
come
“selezione
naturale”.
Il
corollario
di
tutto
ciò
era
che
la
selezione
naturale,
se
portata
avanti
abbastanza
a
lungo,
producesse
dei
cambiamenti
in
una
popolazione,
conducendo
eventualmente
alla
formazione
di
nuove
specie
(“speciazione”).
Conseguentemente,
Darwin
immaginò
la
possibilità,
oggi
ampiamente
dimostrata
dalle
prove
del
DNA,
che
tutte
le
specie
viventi,
uomo
compreso,
discendessero
da
un
antico
progenitore
comune.
Naturalmente,
già
immediatamente
dopo
la
sua
pubblicazione,
il
testo
darwiniano
divenne
fonte
di
aspre
controversie,
soprattutto
dal
momento
che
esso
contraddiceva
le
allora
diffuse
teorie
"scientifiche"
di
un
intervento
divino
diretto
sulla
natura
e
contrastava
con
la
Creazione
vista
secondo
interpretazione
letterale
del
libro
della
Genesi.
Sebbene
Darwin
fosse
sostenuto
da
alcuni
scienziati
(tra
i
quali
Thomas
Henry
Huxley),
molti
esitarono
ad
accettare
la
sua
teoria
a
causa
della
scarsa
chiarezza
sul
modo
con
il
quale
gli
individui
potevano
trasmettere
le
loro
caratteristiche
alla
discendenza
(poi
spiegato
da
Mendel),
ma
le
critiche
più
dure
arrivarono
da
uomini
di
Chiesa:
nel
1874,
il
teologo
presbiteriano
Charles
Hodge
accusò
addirittura
Darwin
di
negare
l'esistenza
di
Dio
per
aver
definito
gli
esseri
umani
il
risultato
di
un
processo
naturale
piuttosto
che
una
creazione
concepita
da
Dio
stesso.
La
teoria
dell'evoluzione
si
trovava
in
completa
contraddizione
con
le
interpretazioni
letterarie
di
molte
leggende
o
storie
religiose
che
narravano
di
come
si
fosse
originata
la
vita
terrestre;
quindi,
coloro
che
avessero
accettato
questa
teoria
avrebbero
aumentato
il
loro
scetticismo
nei
confronti
della
Bibbia
o di
altre
fonti
religiose.
Come
indicò
Hodge,
l'evoluzione
non
poteva
essere
intesa
come
originata
da
una
sorgente
divina
e,
conseguentemente,
alcuni
avrebbero
considerato
Dio
una
forza
meno
potente
nell'universo.
La
Chiesa
Cattolica
attese
a
lungo
prima
di
pronunciarsi
sulle
tesi
darwiniane.
Di
fatto,
nonostante
i
molti
commenti
negativi
di
numerosi
vescovi
e
sacerdoti,
L’Origine
delle
Specie
non
fu
mai
posto
nell’Index
Librorum
Prohibitorum,
sebbene
la
tendenza
ecclesiastico
risultasse
chiaramente
dai
numerosi
attacchi
verso
chiunque
tentasse
di
far
sintesi
tra
teorie
evoluzioniste
e
teorie
creazioniste.
Le
paure
della
Chiesa
erano
evidentemente
legate
alle
possibili
implicazioni
della
teoria
per
quanto
riguardava
la
specie
umana
più
che
su
una
mancata
lettura
letterale
del
testo
biblico,
già
a
quel
tempo
ampiamente
inapplicabile
sulla
base
delle
risultanze
scientifiche.
Il
primo
testo
di
una
certa
importanza
in
questo
senso
apparve
già,
seppur
a
livello
locale,
nelle
conclusioni
di
un
convegno
della
Conferenza
Episcopale
Tedesca
del
1860,
in
cui
si
stabiliva
che:
“I
nostri
primi
progenitori
furono
plasmati
direttamente
da
Dio.
Di
conseguenza,
noi
dichiariamo
che
l’opinione
di
coloro
che
non
temono
di
asserire
che
questo
essere
umano,
l’uomo,
per
quanto
riguarda
il
suo
corpo
sia
in
definitiva
sorto
dal
continuo
e
spontaneo
cambiamento
della
natura
imperfetta
verso
stati
di
perfezionamento
sempre
maggiori,
si
pone
chiaramente
contro
le
Sacre
Scritture
e
contro
la
Fede”.
Per
il
momento,
il
Vaticano
non
si
espresse
minimamente
su
questa
proposizione,
il
che,
con
il
classico
meccanismo
del
“silenzio–assenso”,
stava
fondamentalmente
a
significare
che
era
d’accordo.
Per
altro,
tale
accordo,
per
quanto
velato
e
non
completamente
esplicitato,
emerse
anche
dalla
V
proposizione
riguardante
“Dio
Padre”
del
Concilio
Vaticano
I
(1869-70),
voluto
e
presieduto
da
papa
Pio
IX,
sotto
il
cui
regno
L’Origine
delle
Specie
era
stato
pubblicato,
che
recita:
“Se
qualcuno
non
confessa
che
il
mondo
e
tutte
le
cose
in
esso
contenute,
sia
spirituali
che
materiali,
sono
state
prodotte,
secondo
la
loro
singola
sostanza,
dal
nulla
da
Dio;
o
ritiene
che
Dio
non
abbia
creato,
per
sua
libera
volontà
libera
da
ogni
necessità,
così
come
Egli
necessariamente
ama
se
stesso;
o
nega
che
il
mondo
fu
creato
per
la
gloria
di
Dio:
sia
anatema
su
di
lui”.
Non
è,
dunque,
un
caso
che,
nei
decenni
seguenti
una
impressionate
e
aggressiva
campagna
anti-evoluzionista
venisse
intrapresa
dal
periodico
gesuita
La
Civiltà
Cattolica,
da
sempre,
ovviamente,
vicinissimo
alle
Santa
Sede,
facendo
della
“Compagnia
di
Gesù”
il
più
strenuo
assertore
del
creazionismo.
Nel
1894,
una
lettera
ricevuta
dal
Sant’Uffizio,
richiedeva
la
conferma
delle
posizioni
della
Chiesa
in
relazione
ad
un
testo
teologico
di
tono
vagamente
darwinista,
L’Évolution
Restreinte
aux
Espèces
Organiques
del
teologo
dominicano
francese
Léroy.
Dopo
ampi
dibattiti,
l’anno
seguente
l’Istituto
vaticano
diede
parere
contrario
al
testo
e
richiamo
Fra’
Leroy
a
Roma
per
spiegargli
che
la
sua
visione
era
inaccettabile:
il
frate
fece
atto
di
sottomissione
e il
libro
fu
posto
all’Indice.
Ancora
una
volta,
la
grande
paura
degli
esperti
vaticani
era
stata
quella
riguardante
l’evoluzione
umana:
Leroy
aveva
avanzato
l’ipotesi
di
una
“trasformazione
speciale”
della
scimmia,
che
avesse
instillato
nell’uomo
l’anima,
ma
il
Sant’Uffizio
non
poteva
concordare
con
l’idea
che
una
tale
evoluzione
avesse
potuto
avvenire
senza
un
intervento
diretto
divino
che
avesse
anche
plasmato
la
“forma”
dell’uomo.
L’anno
seguente,
John
Augustine
Zahm,
un
noto
prete
Americano
della
“Congregazione
della
Santa
Croce”,
già
professore
di
fisica
e
chimica
alla
Università
Cattolica
di
Notre
Dame,
in
Indiana,
e
Procuratore
Generale
del
suo
Ordine
a
Roma,
publicò
Evolution
and
Dogma,
in
cui
si
affermava
che
gli
insegnamenti
della
Chiesa,
la
Bibbia
e
l’evoluzionismo
non
erano
in
contraddizione:
anche
il
suo
testo
dovette
essere
“abiurato”
e
messo
all’Indice,
mentre
il
povero
Zahm
fu
rimandato
negli
Stati
Uniti,
“retrocesso”
a
Superiore
Provinciale
dell’Ordine.
Il
suo
testo,
però,
aveva
già
avuto
una
certa
diffusione:
Geremia
Bonomelli,
vescovo
di
Cremona,
arrivò
addirittura
a
scriverne
una
prefazione
per
l’edizione
italiana,
ma,
naturalmente,
anch’egli
dovette
ritrattare
le
sue
conclusione
nel
1889.
E’
in
questo
clima
che
si
pone
il
fondamentale
contributo
teologico
di
padre
Telhard
de
Chardin.
Chi
era
padre
Telhard?
Nato
in
Alvernia
nel
1881,
per
buona
parte
della
sua
vita,
nonostante
studi
teologici
compiuti
a
Hastings
nel
Sussex
(dal
1901
le
famigerate
Leggi
Waldeck-Rousseau
sul
controllo
statale
delle
proprietà
ecclesiastiche
avevano
obbligato
numerosi
religiosi
a
rifugiarsi
all’estero
per
studiare),
studi
che
mostrano
già
una
notevole
affinità
elettiva
con
il
pensiero
del
Bergson
di
L'Évolution
Créatrice,
potremmo
parlare
di
lui
più
che
altro
come
di
un
antropologo
dell’Ordine
Gesuita
(in
cui
era
entrato
nel
1899)
di
notevole
livello.
Dal
1912
al
1914,
infatti,
quello
che,
più
tardi,
verrà
definito
“il
gesita
proibito”,
lavorò
nel
laboratorio
paleontologico
del
“Musée
National
d'Histoire
Naturelle”
di
Parigi,
specializzandosi
nello
studio
dei
mammiferi
del
terziario,
poi,
lavorando
con
il
professor
Boule
sui
resti
del
cosiddetto
“Uomo
di
Piltdown”
(che
risultò
poi
non
essere,
come
sperato,
un
ominide),
passò
alla
paleontologia
umana,
che
lo
portò
a
condurre
con
Henri
Breuil
scavi
alla
caverna
del
Castillo
in
Spagna
e,
dal
1923,
dopo
la
parentesi
di
un
eroico
servizio
militare
durante
la I
Guerra
Mondiale,
a
studiare
in
Cina,
dove
fu
tra
gli
scopritori
dell’“Uomo
di
Pechino”.
Insomma,
un
geniale
scienziato,
più
attento
alla
storia
dell’evoluzione
che
alla
speculazione
su
Dio.
Eppure,
Teilhard
de
Chardin
passò
alla
storia
come
uno
dei
più
grandi
teologi
del
‘900,
grazie
soprattutto
ad
un’opera
piuttosto
tarda,
Il
Fenomeno
Umano
del
1938,
preceduta,
nel
1927,
dal
meno
noto
ma
non
meno
importante
testo
L’Ambiente
umano.
In
essi,
Teilhard
tenta
un’impresa
quasi
impossibile
per
i
tempi:
la
congiunzione
di
scientificità
e
riflessione
teologica
sulla
base
di
un
naturalismo
che
non
è
solo
osservazione
di
ciò
che
è il
dato
visibile
della
realtà
naturale,
ma è
anche
la
percezione
di
un
sensibile
che
nasconde
e
nello
stesso
tempo
rivela
la
divinità.
Scienza
e
fede,
così,
si
incontrano,
e
qui
sta
la
sua
grande
intuizione,
in
quello
che
il
gesuita
definisce
“Punto
Omega”,
uno
snodo
che
si
rintraccia
solo
a
partire
dalla
teoria
evolutiva,
principio
ermeneutico
di
tutta
la
filosofia
teologica
teilhardiana:
egli
è il
primo
che
interpreta
la
prospettiva
evoluzionistica
avanzata
da
Darwin
come
processo
non
già
privo
di
finalità
specifiche,
bensì
governato
da
Dio,
dando
vita
ad
una
specie
di
"evoluzionismo
finalistico".
Sostanzialmente,
dopo
aver
citato
le
opere
di
Eddington,
di
Huxley
e di
Darwin,
Teilhard
si
meravigliò
nel
notare
la
debolezza
delle
basi
su
cui
vengono
fatte
poggiare,
in
un
periodo
che
vede
la
fine
del
positivismo
e la
morte
delle
certezze
in
un
“futuro
progressivo”,
le
loro
anticipazioni
del
futuro.
Così,
alla
concezione
materialistica
del
darwinismo
e
del
positivismo,
egli
oppose
una
cosmologia
che
assumeva
sì
il
principio
dell'evoluzione,
anzi
lo
estendeva
alla
realtà
spirituale,
ma
non
sottoposta
al
puro
determinismo
e al
puro
materialismo.
La
storia
universale
è la
storia
di
un
movimento
globale,
ontologico,
del
cosmo,
un
movimento
che
perdura,
perché
la
natura
è
“divenire”,
è
“farsi”
e il
suo
movimento
passato
è
l'evoluzione
fin
qua,
ordinata
in
una
progressione
di
forme
sempre
più
complesse
e
perfezionate,
che
include
anche
l'anima
umana.
Ma
la
domanda
di
fondo
è
quale
possa
essere
il
motore
profondo
del
continuo
perfezionamento
delle
forme
di
vita:
Teilhard
nota
come
la
trasformazione
morfologica
degli
esseri
si
sia
rallentata
proprio
quando
sulla
Terra
si è
sviluppato
il
pensiero
e
ciò,
unito
all’osservazione
che
la
direzione
costante
dell'evoluzione
biologica
è
stata
quella
dello
sviluppo
cerebrale
e
della
conseguente
maggior
coscienza,
fa
sì
che
egli
risponda
ipotizzando
che
forse
il
motore
dell'evoluzione
è
stato
il
“bisogno”
di
pensare
e
che,
quindi,
l’evoluzione,
quanto
a
nuovi
esseri
e
nuove
forme,
si
sia
fermata
una
volta
raggiunto
il
proprio
scopo
di
creazione
del
cervello
pensante
e
che,
da
quel
momento
in
poi,
procederà
solo
se
la
coscienza
umana
si
svilupperà
fino
a
percepirsi
come
motore
di
un
movimento
che
non
sarà
più,
come
per
il
passato,
tutt'uno
con
la
trasformazione
delle
forme
materiali,
ma
tutt'uno
con
il
movimento
autocosciente
del
pensiero.
E’
l’uomo,
conseguentemente,
l’unico
che
può
far
proseguire
lo
sviluppo
evolutivo,
rendendosi
conto
del
valore
biologico
e
morfogenetico
dell'azione
morale
e
rilevando
la
natura
organica
dei
legami
interindividuali.
In
questo
può
esistere
fede
nell’avvenire:
l’uomo
è
l’erede
della
sua
stessa
evoluzione
e
ogni
uomo
che
agisca
alla
massima
coscienza
possibile,
sapendo
che
ogni
sua
scelta
ha
una
ripercussione
su
miriadi
di
secoli
e di
esseri
viventi,
sente
le
responsabilità
e la
forza
di
un
Universo
intero.
E vi
è
una
sorta
di
“azione
collettiva”
che
si
basa
sulla
moltitudine
degli
atti
individuali,
cosicché,
se
anche
la
monade
umana
è da
tempo
costituita,
ciò
che
continua
a
svilupparsi
è
l'assimilazione
dell'universo
da
parte
della
monade,
fino
a
creare
un
pensiero
umano
omogeneo
e
strutturato.
Rispetto
ai
suoi
antenati,
tra
l’altro,
l’uomo
può
oggi
più
facilmente
rendersi
conto
dei
legami
con
i
suoi
simili
e
con
la
natura
e
questa
presa
di
coscienza
allarga
la
sua
personalità
e il
suo
corpo
reale
con
innumerevoli
prolungamenti.
In
definitiva,
la
materia,
secondo
Teilhard,
porta
“ab
initio”
la
"coscienza"
come
principio
organizzativo
e
ciò
fa
sì
che
l'evoluzione
non
sia
processo
solo
deterministico,
ma
anche
fondamentalmente
teleologico:
l'evoluzione
dalla
pre-vita
(mondo
inorganico)
alla
vita
(“biosfera”)
tende
alla
produzione
del
mondo
dell'uomo
e
del
pensiero
(“noosfera”)
,
come
al
suo
fine
ultimo.
L'uomo
non
è
però
il
punto
finale:
l'universo
e
l'uomo
tendono
a
quello
che
viene
dal
gesuita
definito
come
punto
Omega,
costituito
dal
Cristo
cosmico,
punto
di
aggregazione
di
tutta
l'umanità.
Quali
sono
i
grandi
passi
avanti
di
tutta
la
teorizzazione
di
Teilhard?
Innanzitutto,
viene
superata
la
dicotomia
cartesiana
tra
spirito
e
corpo,
nel
momento
in
cui
il
reale
si
caratterizza
non
per
la
presenza
di
due
tipi
diversi
di
fenomeni,
la
mente
da
una
parte
e il
corpo
dall'altra,
ma
di
una
sola
sostanza.
Si
tratta
di
un
elemento
fondamentale:
secondo
Hans
Jonas,
ebreo,
allievo
di
Heidegger
e
autore
di
diverse
pubblicazioni
nell'ambito
dell'antropologia
filosofica,
con
la
rivoluzione
scientifica
e
l'impostazione
del
dualismo
cartesiano,
il
pensiero
occidentale
si
era
fin
qui
caratterizzato
per
la
separazione
tra
uomo
e
natura,
una
separazione
che
spiega
lo
scarso
interesse
che
si
avvertiva
per
il
mondo
circostante
e la
mancanza
di
un
impegno
etico
e
sociale,
mentre
finalmente,
con
Teilhard,
il
rapporto
tra
l'uomo
e la
natura
viene
ripensato
e
recuperato
studiando
biologicamente
gli
organismi,
comprendendo
sino
in
fondo,
come
mai
era
stato
fatto,
il
principio
della
vita,
che
si
manifesta
a
partire
dal
mondo
organico,
che
prefigura
lo
spirito
sin
dalle
sue
forme
più
elementari,
per
arrivare
alle
sue
manifestazioni
più
alte,
all'uomo,
cosicché
l’innaturale
disagio
nel
vedere
il
corpo
come
servo
dell'anima
viene
a
cessare
nel
momento
in
cui
si
scopre
il
valore
esaltante
ed
onnicomprensivo
dell'evoluzione.
In
secondo
luogo,
certamente
cruciale
è la
visione
dell’evoluzione
umana
all’interno
della
evoluzione
globale:
a
nulla
valgono,
sostiene
Teilhard,
e
qui
sta
la
sua
vera
e
convinta
adesione
al
programma
della
scienza,
i
tentativi
dei
“conservatori”
che
continuano
a
considerare
i
naturalisti
responsabili
di
una
“teoria
perversa”
come
quella
riguardante
l'evoluzione
quando
la
fisica
nucleare,
la
fisica
siderale,
la
chimica
“sono
adesso
e
sempre
maggiormente
evolutive,
a
loro
modo
s'intende.
E
almeno
altrettanto
lo è
l'intera
storia
della
civiltà
e
delle
idee”.
Ciò
che
fa
nascere
la
vita
è
l'organizzazione
delle
sostanze
in
modo
da
assumere
la
capacità
di
auto-esistere
nello
scambio
con
l'esterno
e
quella
del
vivente,
al
contrario
di
quella
del
non
vivente,
è
un'esistenza
aperta,
nel
senso
che
l'essere
vivente
è in
un
continuo
rapporto
con
l'esterno.
Così,
il
pensiero
autocosciente
dà
vita
alle
diverse
culture
umane,
da
cui
scaturisce
un'ulteriore
processo
evolutivo
che
conduce
alla
tappa
finale
dell’umanità,
quella
“Supervita”
rappresentata
dall'unione
dei
cervelli
che
porterà
ad
un
mondo
sempre
più
integrato:
come
le
cellule
che
unendosi
e
raggiungendo
un
certo
grado
di
complessità
hanno
dato
forma
e
vita
al
cervello,
così
le
persone,
organizzate
ed
integrate,
daranno
origine
ad
un
mondo
sempre
più
unito
ed
omogeneo,
capace
di
trasformarsi
nella
pienezza
dell'amore
di
Dio,
di
un
Dio
che
è
l'esito
finale
dell'evoluzione,
che
non
è
un'entità
impersonale
ma
una
“superpersona”,
che
“sintetizza
la
folla
degli
altri
amori
della
Terra”
e
che
Teilhard
pone
non
tanto
all'inizio
quanto
alla
fine
della
storia
dell'universo,
come
apice
di
attrazione
di
tutta
la
realtà.
Qui
sta,
probabilmente,
la
grande
apertura
intellettuale
del
Teilhard
teologo
che
sa
far
condividere
la
visione
evolutiva
laica
con
la
visione
teologica:
l’aspetto
centrale
di
tale
apertura
è
questa
“spiritualizzazione
progressiva
della
Materia»,
che
si
esplica
nella
prefigurazione
di
un
Punto
Omega
come
compimento
e
sintesi
di
tutti
gli
enti
del
mondo,
il
quale
progressivamente
si
unisce
con
Dio,
che
diventa
il “Dio
tutto
in
tutti”
L'ipotesi
della
presenza
di
“Dio
tutto
in
tutti”
non
poteva
non
provocargli
accuse
di
panteismo
sul
piano
dell'ortodossia
e
Teilhard,
rendendosene
conto,
in
una
delle
ultime
pagine
de
Il
Fenomeno
Umano
rilancia
affermando
che
si
tratta
di
un
panteismo
legittimo:
“Se,
in
fin
dei
conti,
i
centri
riflessi
del
mondo
non
costituiscono
effettivamente
altro
che
‘uno
con
Dio’,
tale
stato
si
ottiene
non
per
identificazione
(Dio
che
diventa
tutto),
ma
per
azione
differenziante
e
comunicante
dell'amore
(Dio
tutto
in
tutti),
il
che
è
essenzialmente
ortodosso
e
cristiano”.
Non
gli
basterà.
Già
nel
1925,
Teilhard
aveva
ricevuto
ordine
dal
Superiore
Generale
gesuita
Vladimir
Ledochowski
di
non
diffondere
le
sue
idee,
già
chiaramente
favorevoli
all’evoluzionismo,
attraverso
l’insegnamento
in
Francia
e di
firmare
un
documento
in
cui
“abiurava”
alcune
sui
idee
“negatrici”
del
peccato
originale.
Per
non
abbandonare
l’Ordine,
Teilhard
aveva
obbedito,
firmando
e
partendo
per
la
Cina.
Ma
molte
altre
condanne
da
parte
di
alte
cariche
ecclesiastiche
dovevano
seguire,
prolungandosi
anche
ben
oltre
la
morte
del
teologo
francese
(avventa
a
New
York
nel
1955),
fino
all’apice
raggiunto
nel
1962
con
un
“monitum”
di
denuncia
dei
suoi
lavori
da
parte
del
Sant’uffizio,
in
cui,
tra
l’altro,
si
legge:
“Le
summenzionate
opere
abbondano
di
tali
ambiguità
e,
in
verità,
persino
di
tali
seri
errori
così
da
offendere
la
dottrina
cattolica.
Per
questo,
gli
eminentissimi
e
reverendissimi
Padri
del
Sant’Uffizio
esortano
tutti
gli
Ordinati
e i
Superiori
degli
Istituti
religiosi,
i
Rettori
dei
Seminari
e i
Presidenti
delle
Università
a
proteggere
le
menti,
in
special
modo
dei
giovani,
contro
i
pericoli
rappresentati
dalle
opere
di
Fr.
Teilhard
de
Chardin
e
dei
suoi
seguaci.”
Gli
scritti
di
Teilhard
continuarono,
comunque,
a
circolare,
sebbene
non
pubblicamente
dal
momento
che
egli
aveva
fatto
immediatamente
atto
di
obbedienza
e
sottomissione
all’Ordine,
sia
negli
ambienti
gesuitici
che
tra
teologi
e
studiosi,
che
ne
fecero
ampio
argomento
di
discussione.
Con
il
passare
del
tempo,
parve
che
la
posizione
ecclesiastica
si
attenuasse,
tanto
che
il
10
giugno
1981
il
Cardinal
Agostino
Casaroli
scrisse,
a
proposito
di
Teilhard
de
Chardin,
sull’“Osservatore
Romano”:
“Ciò
che
i
nostri
contemporanei
certamente
ricorderanno,
al
di
là
delle
difficoltà
concettuali
e
delle
deficienze
espressive
di
questo
audace
tentativo
di
sintesi,
è la
testimonianza
della
coerenza
di
vita
di
un
uomo
posseduto
da
Cristo
nel
più
profondo
dell’anima.
Il
suo
interesse
era
quello
di
onorare
insieme
fede
e
ragione
e,
in
questo,
egli
anticipò
la
risposta
all’appello
di
Giovanni
Paolo
II:
‘Non
abbiate
paura,
aprite,
aprite
le
porte
a
Cristo
degli
immensi
domini
della
cultura,
della
civiltà
e
del
progresso”.
In
effetti,
però,
poco
dopo,
la
Santa
Sede,
rese
chiaro
che
le
recenti
affermazioni
di
alcuni
membri
della
Chiesa,
in
particolare
quelle
fatte
in
occasione
del
centenario
della
nascita
di
Teilhard,
non
dovevano
essere
intese
come
una
revisione
delle
posizioni
assunte
ufficialmente
dal
Sant’Uffizio,
cosicché
la
condanna
del
1962
ancora
sussiste
a
tutt’oggi
e,
sebbene
alcuni
intellettuali
cattolici,
quali
Henri
de
Lubac,
abbiano
difeso
le
idee
del
“gesuita
proibito”,
la
gran
parte
della
“intellighenzia”
legata
al
culto
romano
(da
Jacques
Maritain
a
Étienne
Gilson
e
Dietrich
von
Hildebrand)
ha
continuato
a
stigmatizzare
tali
idee
come
una
perversione
della
fede
cristiana.
Riferimenti
bibliografici:
L.
Barion,
P.
Leroy,
La
Carriera
Scientifica
di
Pierre
Teilhard
de
Chardin,
1964
H.
De
Lubac,
Teilhard
de
Chardin:
The
Man
and
his
Meaning,
Hawthorn
Books
1965
R.
Faracy,
Theilard
de
Chardin:
la
Dottrina
Spirituale,
Ed.
Ancora,
1981
H.
Jonas,
Organismo
e
libertà.
Verso
una
Biologia
Filosofica,
Einaudi,
Torino,
1999
D.
Lane,
The
Phenomenon
of
Teilhard:
Prophet
for
a
New
Age,
Mercer
University
Press
1996
B.
Razzotti,
Teilhard
de
Chardin.
Dalla
Materia
al
Verbo,
Edizioni
Messaggero
1999
Sacra
Congragazione
del
Sant'Uffizio,
Monito
Riguardo
agli
Scritti
di
Padre
Teilhard
de
Chardin,
Ed.
Vaticana
1962
P.
Teilhard
de
Chardin,
Il
Fenomeno
Umano,
Queriniana,
Brescia,
1995,
p.
83.
P.
Teilhard
de
Chardin,
L'avvenire
dell'Uomo,
Il
Saggiatore,
Milano,
1972,
p.
443.
G.
Vigorelli,
Il
Gesuita
Proibito.
Vita
e
Opere
di
Pierre
Teilhard
de
Chardin,
Matarò
1964