N. 136 - Aprile 2019
(CLXVII)
Pier Damiani: la tensione in seno alla contraddizione
L’afflato
riformista
dell’XI
secolo
di
Costanza
Marana
Il
personaggio
di
Pier
Damiani
(1007-1072)
si
configura
quale
espressione
delle
tensioni
e
delle
contraddizioni
che
connotano
l’XI
secolo.
Monaco,
cardinale
vescovo
sarà
parte
attiva
in
merito
ai
fermenti
riformisti
e
purificatori
del
comparto
clericale.
Il
suo
assetto
camaldolese,
d’imprinting
benedettino,
trova
il
suo
focus
nell’eremo
di
Santa
Croce
a
Fonte
Avellana,
ove
costui
si
recinge
nel
1035
a
praticare
il
suo
ideale
di
vita
ascetica.
La
sua
formazione
prende
corpo
attraverso
lo
studio
delle
arti
liberali
a
Ravenna,
Parma
e
Faenza,
strutturandosi
in
un’erma
che
collima
con
il
pensiero
originario
di
Romualdo
(952-1027).
Quest’ultimo
si
staglia
quale
iniziatore
dell’ordine
camaldolese,
abate
di
S.
Apollinare
in
Classe,
e
fondatore
del
monastero
di
Camaldoli
(primo
centro
propulsore).
Peculiarità
del
registro,
sebbene
cenobitico,
risulta
la
suddivisione
settaria
degli
ambienti
in
piccole
celle.
Pier
Damiani
nel
1043
diventa
priore
a
Fonte
Avellana.
In
loco
dimora
e
trova
la
sua
dimensione
intellettuale
e
spirituale.
Memore
degli
insegnamenti
di
Romualdo
si
prodigherà
per
la
causa
riformista
e
produrrà
in
merito
numerosi
scritti,
nei
quali
condannerà
l’anima
corrotta
del
clero
e in
particolare
la
pratica
della
simonia
(mens
dedita
carni).
La
sua
attività
si
rivela
il
motore
di
un
rinnovato
spiritualismo,
suffragato
da
organizzazioni
dedite
all’eremitaggio.
La
sua
missione
investe
i
costumi
disdicevoli
del
mondo
clericale
che
inficiano
il
credo
spirituale,
millantando
pratiche
secolari
in
cui
germogliano
soprusi
e
ignoranza.
Il
monaco
esemplifica
una
castità
morale
che
sebbene
trovi
il
suo
habitus
nell’eremo
non
lo
rende
esclusivo,
eludendo
il
contatto
con
il
mondo
circostante.
Pier
Damiani,
infatti,
indirizza
il
monachesimo
verso
un’apertura
(seppur
circostanziale)
alla
dialettica.
Costui
attivamente,
soprattutto
in
alcune
fasi
della
sua
vita,
scende
in
campo
visitando
città,
inviando
scritti
ai
vari
esponenti
del
mondo
religioso
(Ugo
di
Cluny,
Desiderio
di
Montecassino)
e
non,
per
ottenere
pragmaticamente
dei
risultati,
quale
ad
esempio
la
rimozione
da
incarichi
ottenuti
illecitamente.
Una
copiosa
corrispondenza
(l’Imperatrice
Agnese,
Goffredo
duca
e
marchese
di
Toscana,
il
prefetto
romano
Cencio)
che
manifesta
la
volontà
di
guidare
anche
il
comparto
laico
verso
una
buona
condotta,
monitorando
e
suggerendo
una
deontologia
spirituale.
La
sua
disposizione
a un
dialogo
con
l’impero
prende
concretezza
con
la
discesa
e
investitura
(1046)
di
Enrico
III
a
Sutri.
La
volontà
di
porre
fine
all’ingerenza
del
patriziato
romano
nella
coercizione
delle
cariche
ecclesiastiche
trova
un
punto
di
appoggio
in
questo
“avvicinamento”,
sebbene
sia
circostanziale.
In
verità
il
monaco
ha
delle
remore,
soprattutto
iniziali,
date
le
evidenti
difficoltà
insite
nelle
problematiche
contestuali
al
tempo.
La
ratio
di
Pier
Damiani
poggia
comunque
sulla
consapevolezza
che
il
suo
disegno
riformatore
debba
essere
approvato
dal
versante
laico
poiché
quest’ultimo,
insignito
di
titoli
e
poteri
da
parte
dell’impero,
è
sorgente
di
fondatori
di
ecclesiae
propriae
e di
donatori
a
enti
religiosi.
I
sermoni
costituiscono
la
veste
letteraria
con
cui
Pier
sedimenta
i
suoi
ideali.
La
sua
prosa
è
caratterizzata
da
una
complessità
che
crea
un’“idiosincrasia”
iniziale
con
il
purismo
agognato.
La
sua
rusticitas
rivela,
in
verità,
un’ampia
erudizione
che
attraverso
il
ritmo
forma
un
impianto
stilistico
“pretenzioso”.
L’uso
di
figure
retoriche,
di
ripetizioni,
acutizzano
la
suggestione
enfatica.
L’autorevolezza
delle
citazioni,
tratte
dalla
dottrina
patristica,
dona
un
rigore
ai
suoi
scritti,
connotandoli
di
un
universalismo.
La
chiarezza
con
cui
espone
la
sua
“poetica”
è
l’elemento
che
contraddistingue
il
suo
registro.
La
sua
fede
e il
suo
ardore
compongono
dei
versi
che
giungono
dritti
all’animo
del
lettore
che
intuisce
subitaneamente
l’intento
moralizzatore
e
purificatore.
Un
senso
dell’autentico
che
promana
dall’assetto
emozionale
di
Pier,
vivificato
dalla
sua
espressione:
“La
mia
grammatica
è
Cristo!”.
Costui
esula
dallo
schierarsi
con
lo
studio
delle
arti
liberali,
spesso
giudicate
vana
sapienza,
sebbene
si
riveli
egli
stesso
un
suo
prodotto,
consapevole
e
inconsapevole.
Secondo
la
sua
opinione,
la
dialettica
fa
mostra
di
farraginosi
sillogismi,
creando
così
solo
artifici
linguistici,
corrompendo
la
verità
degli
scritti
sacri,
e di
conseguenza,
il
credo
religioso.
Il
monaco
“assolve
in
pieno”
lo
studio
del
latino
per
il
settore
cardinalizio,
mentre
per
i
preti
stima
bastevole
la
piena
conoscenza
e
comprensione
delle
Sacre
Scritture.
Nel
1057
una
missiva
di
Pier
Damiani
documenta
la
sua
investitura
a
cardinale-vescovo
di
Ostia
da
parte
di
Stefano
IX.
Costui
espone
il
suo
programma
spirituale,
intriso
dell’intimismo
che
caratterizza
la
sua
persona
e
che
spesso
lo
rende
riluttante
verso
certe
cariche
ufficiali.
Una
rigenerazione
morale
in
cui
il
suo
impegno
individuale
è al
servizio
della
Chiesa
di
Roma,
adottando
un
codice
etico
che
rispetti
il
diritto
canonico.
Pier
Damiani
è
teso
a
inserire
il
suo
ideale
ascetico
in
un
ambito
vocazionale
in
parte
aperto
(sebbene
circostanziale)
a un
dialogo
esterno.
Animato
da
una
costante
tensione
tra
la
concezione
del
core
romano
quale
refugium
peccatorum
e la
volontà
di
purificare
i
costumi
clericali,
costui
propugna
una
riforma
partendo
dalla
cura
del
male
simoniaco.
La
contraddizione,
insita
nel
suo
approccio
critico,
farà
maturare
in
lui,
in
futuro,
una
polemica
verso
la
stessa
predicazione
monastica
e la
partecipazione
alla
vita
della
curia
(lettera
n.
165).
Individuerà
la
separazione
tra
le
competenze
dei
chierici
e
dei
monaci
(i
primi
deputati
alla
predicazione,
gli
altri
esonerati),
puntualizzando
in
tal
modo
su
un
monachesimo
lontano
dal
cenobitismo.
Un
pessimismo
originario
anima
il
pensiero
dell’Avellanita
che
costipa
la
sua
visione
del
mondo
in
un
registro
negativo,
ritirandosi
in
una
chiusura
contemplativa.
Sebbene,
come
si è
potuto
notare,
costui
sia
incline
a
contraddizioni
che
lo
portino
a
un’ottica
eterogenea
e di
più
ampio
respiro.
Una
concezione
composita
che
deve
essere
contestualizzata
nelle
varie
fasi
e
problematiche
di
Pier
Damiani.
Costui,
inizialmente,
contempla
un’apertura
nei
confronti
della
posizione
dei
laici
nello
spazio
vitale
religioso,
stimando
un
intervento
per
reinserirli
nella
dialettica
necessaria
alla
salvezza
comune
(Bultot).
Attraverso
le
sue
stesse
parole,
il
predicatore
confida
il
suo
intento
di
spe
lucrandi
animas,
in
merito
al
quale,
si
prodiga
personalmente
spostandosi
in
città,
al
fine
di
divulgare
il
messaggio
salvifico
cristiano.
Pier
Damiani
sostiene
l’inderogabilità
della
missione
predicatoria
poiché
le
Sacre
Scritture
sono
deputate
alla
rettitudine
degli
uomini.
Il
concetto
di
utilitas
viene
inteso
come
una
vocazione
che
risulti
funzionale
al
bene
comune,
superiore
a
quello
del
singolo;
un
onere
a
carico
del
religioso,
da
adempiersi
attraverso
l’attività
predicatoria.
Il
monaco
si
rivela
combattuto
tra
un’esigenza
interiore
di
ascesi
e un
pragmatismo
di
fondo
che
comporta
una
partecipazione
al
mondo
esteriore.
Il
contesto
storico-sociale
all’epoca,
soprattutto
nell’ex
Pentapoli,
è
caratterizzato
da
un
forte
esecutivo
nelle
mani
di
famiglie
nobili
alle
quali
sono
state
fatte
concessioni
dall’impero.
Ciò
le
rende
importanti
nel
ruolo
di
creatrici
di
ecclesiae
propriae
che
arricchiscono
il
patrimonio
religioso
locale.
Pier
Damiani
vive
le
criticità
del
momento
storico
e in
questa
fase
asseconda
una
fiducia
alla
collettività
laica.
Una
fase
che,
in
seguito,
verrà
sostituita
da
un
atteggiamento
ben
più
scettico
nei
confronti
della
comunità,
perseverante
nella
sua
mancanza
di
ravvedimento,
inefficace
come
strumento
di
raccolta
e
propaganda
spirituale.
Costui
si
schiererà,
infine,
verso
una
definitiva
chiusura
claustrale.
In
ciò
si
ravvede
la
sua
componente
originaria
di
misoneismo,
aspirante
a un
passato
ideale
dell’era
apostolica.
Pier
Damiani
riprende
direttamente
da
Romualdo
il
desiderio
panmonastico,
in
cui
l’assetto
monacale
viene
stimato
quale
unico
osservante
dei
principi
cristiani
puri,
non
contaminati
dalla
pratica
abituale
mondana
clericale
(mens
dedita
carni).
Una
volontà
di
recuperare
ciò
che
è
autentico
e
originario
che
si
spinge
oltre
il
confine
liturgico.
Nella
lettera
n.
28,
Dominus
vobiscum,
costui
espone
un
intenso
apparato
critico
a
suffragio
del
contributo
dei
laici
nella
Chiesa,
sublimando
il
limite
di
una
concezione
spirituale
ripiegata
su
sé
stessa.
Estende
il
senso
della
comunione
a
una
comunità
laica
in
un’ottica
che
riprenda
i
parametri
escatologici.
Pier
Damiani,
nelle
fasi
iniziali,
intende
diffondere
l’ideale
di
vita
monastico
nel
comparto
laico,
mutuandone
in
parte
alcune
pratiche
al
suo
interno;
nello
specifico,
ad
esempio,
divulgare
la
pratica
ascetica
nell’alveo
della
collettività.
Il
monaco
vuole
creare
un
processo
di
imitazione
e
esaltazione
della
vita
monastica
anche
da
parte
dei
laici.
Promuove
anche
una
partecipazione
al
Corpus
Christi
mysticum
attraverso
l’interiorizzazione
della
preghiera
da
parte
dell’individuo:
"Tutti
i
cristiani
devono
pregare
proprio
come
fanno
i
monaci"
(Lettera
a
Tegrimo
III
dei
conti
Guidi).
Nel
suo
sermone
n.
15
(1041-42),
De
sancto
Marco
evangelista,
il
predicatore
sostiene
quanto
l’ars
oratoria
sia
efficace
al
fine
di
purificare
l’animo
degli
individui,
rendendoli
casti
e
convertendoli.
Sebbene
questa
sia
la
sua
direzione
iniziale,
costui
è
ben
lungi
da
una
“monacalizzazione
del
laicato”
che
conferisca
obblighi
spirituali
(ad
esempio
l’officium
predicationis)
a
gente
comune,
investita
di
tal
ruolo
per
sopperire
a
mancanza
di
chierici,
stimati
indegni
e
concubinari.
Tale
approccio
di
Pier
Damiani
rimane
circoscritto
ad
una
fase
della
sua
attività
religiosa,
infatti
in
uno
scritto
postumo,
l’Apologeticum
de
contemptu
saeculi,
esemplifica
una
rottura
con
questo
pensiero.
Costui
bensì
alza
una
barriera
di
scetticismo
nei
confronti
dell’attività
predicatoria,
giudicandola
vana
ai
fini
dello
sviluppo
della
collettività;
inoltre
la
considera
un
ostacolo
alla
conduzione
di
una
vita
serena
ascetica.
Trionfa
un
pessimismo
sull’ideale
romualdino
di
poter
riabilitare
il
secolo
all’interno
“dell’economia
della
salvezza”
in
modo
esaustivo.
Pier
Damiani
ritrova
il
mondo
interiore
di
Romualdo
sui
sentieri
montani,
tosco-romagnoli.
Nonostante
le
delusioni
avute
dal
suo
predecessore,
in
merito
allo
svilupparsi
e
consolidarsi
di
un’identità
monastica,
alle
pendici
del
Fumaiolo
(tra
la
diocesi
di
Sarsina
e la
massa
di
Bagno),
costui
si
sobbarca
dell’onere
di
ricreare
un’istituzione
efficace
in
tal
luogo.
Devoto
all’imprinting
romualdino,
si
muove
nello
spazio
vitale
di
una
concezione
esistenziale
solitaria
e,
al
medesimo
tempo,
deputata
al
bene
comune.
Il
monastero
di
Ocri
si
staglia
quale
un
bardo
di
pietas
che
Leone
IX
decide
di
salvaguardare
nella
sua
integrità
e
indipendenza
spirituali.
Il
papa
suffraga
l’attività
in
loco
di
Pier
Damiani
tutelandone
l’autonomia
e
l’autorevolezza.
L’intervento
è
mirato
ad
allontanare
possibili
ingerenze
mondane
e
secolari
nell’amministrazione
del
posto.
Sono
presenti
esclusivamente
alcuni
laici
fedeli
nel
ruolo
di
patroni
che
si
adoperano
per
quel
luogo
di
preghiera.
L’intero
complesso
monastico
però,
a
parte
il
richiamo
leonino,
non
viene
menzionato
nei
riferimenti
scritti
di
Pier
Damiani,
a
meno
che
non
si
identifichi
tale
loco
con
la
fondazione
di
San
Giovanni
tra
le
due
Pare,
il
cui
priore
protagonista
è
Gebizo.
Attribuzioni
operate
dagli
interpreti
camaldolesi,
forzate
o
meno,
queste
hanno
il
doveroso
compito
di
mondare
la
memoria
di
Ocri
da
una
possibile
mancanza
in
merito
al
suo
trascorso.
Inoltre
ciò
avrebbe
macchiato
il
ricordo
anche
del
monaco
eremita
di
un
suo
possibile
fallimento.
A
parte
queste
supposizioni,
la
credibilità
dell’identificazione
suddetta
viene
avvalorata
da
un
composito
corpus
agiografico
delle
aree
appenniniche.
Significativo
in
questa
vicenda
di
Locri
è
comunque
il
messaggio
papale
di
Leone
IX
che
garantisce
la
solidità
spirituale
dell’istituzione
attraverso
l’effigie
damiana:
l’eremita
a
suggello
di
una
garanzia
estetico-formale
e
sostanziale
dal
conruptus
mondano.
A
costui
veniva
concesso
un
ampio
margine
di
discrezionalità
a
suffragio
del
suo
compito,
senza
un
impianto
giuridico
di
fatto.
Pier
Damiani,
come
scrive
egregiamente
Umberto
Longo,
è il
ritratto
di
una
continua
tensione
che
non
tende
a
risolversi,
anzi
ritrova
ispirazione
da
sé
stessa,
rigenerandosi.
La
sua
inquietudine
viene
nutrita
da
un
radicata
dialettica
interiore
tra
la
pulsione
verso
la
perfezione
individuale
e la
missione
per
il
bene
comune.
Un
assetto
emotivo
che
intride
la
sua
esistenza
di
un’alternanza
dovuta
agli
oneri
pastorali,
quali
la
predicazione,
e un
impulso
verso
un
individualismo
ascetico.
La
sua
intenzione
di
comporre
il
mondo
come
un
eremo,
cooptando
i
laici
nella
partecipazione
al
Corpus
Christi
mysticum,
convogliando
le
forze
nobiliari
in
un
disegno
spirituale,
si
smorza
nella
fase
finale
della
sua
vita.
Nonostante
adempia
gli
oneri
ufficiali
richiesti,
in
lui
prevale
il
suo
credo
originario
eremitico,
in
cui
l’allontanamento
dalla
vita
secolare
lo
avvolge
in
un
inesorabile
Contemptus
mundi.
Riferimenti
bibliografici:
L’eccezione
italiana.
L’intellettuale
laico
nel
Medioevo
e
l’origine
del
Rinascimento,
Ronald
G.
Witt
;
traduzione
di
Anna
Carocci,
Viella,
Roma
2017;
I
laici
nella
chiesa
e
nella
società
secondo
Pier
Damiani.
Ceti
dominanti
e
riforma
ecclesiastica
nel
secolo
XI
in
Nuovi
Studi
Storici
50,
Nicolangelo
d’Acunto,
tipografia
“La
Roccia”
Via
delle
Calasanziane,
64,
1999;
San
Pier
Damiani
: il
coraggio
di
un
riformatore
(e
altro),
Archetti
Giampaolini,
Elisabetta,
Viella,
Roma
2000;
Pier
Damiani
tra
esperienza
giuridica
e
tensione
spirituale
:
eremi
e
monasteri
di
Romagna,
Paola
Cavina
con
premessa
di
Carlo
Dolcini,
Stilgraf,
Cesena
2005;
Come
angeli
in
terra.
Pier
Damiani,
la
santità
e la
riforma
del
secolo
XI,
Umberto
Longo,
Viella,
Roma
2012;
Pier
Damiani
e il
secolo
decimoprimo:
saggio
filosofico,
Vincenzo
Poletti,
presentazione
di
Piero
Zama,
Fratelli
Lega,
Faenza
1972;
Saggi
su
San
Pier
Damiani,
Ernesto
Lomaglio,
Tipografia
Tinivella,
Borgomanero
1964.