N. 35 - Novembre 2010
(LXVI)
Piegaro
Parte II - Storia del vetro e della vetreria nel borgo umbro
di Michele Broccoletti
Stabilire
con
esattezza
l’inizio
dell’attività
vetraria
a
Piegaro
non
è
possibile.
Con
qualche
approssimazione
si
può
collocare
tale
evento,
verso
la
fine
del
XIII
secolo.
Nel
1292
infatti,
il
governo
della
Serenissima
Repubblica
di
Venezia,
con
un
famoso
decreto,
ordinò
di
trasferire
tutte
le
fornaci
al
di
fuori
della
città,
per
evitare
il
pericolo
di
incendi
ed
esplosioni.
Di
conseguenza
le
fornaci
furono
trasportate
nell’isola
di
Murano
e
successivamente
vennero
create
delle
corporazioni
e
degli
statuti
ferrei,
per
garantire
i
segreti
della
lavorazione
del
vetro
e
per
impedire
che
fornaci
veneziane
fossero
aperte
all’estero.
Qualche
artigiano
muranese
però,
fuggì
da
Venezia
ignorando
le
regole
degli
statuti
della
corporazione:
alcuni
si
rifugiarono
all’estero,
altri
furono
accolti
con
entusiasmo
nelle
corti
medicee
ed
altri
ancora
raggiunsero
Piegaro.
Le
maestranze
che
arrivarono
a
Piegaro,
furono
attirate,
oltre
che
dalle
prosperose
condizioni
politico–economiche
della
cittadina,
sia
dalla
facilità
di
procurarsi
materiale
da
combustione
nei
tanti
boschi
cedui
che
circondano
Piegaro,
sia
dalla
ricchezza
idrica
presente
nel
territorio
circostante.
Probabilmente
però,
la
nascita
della
lavorazione
del
vetro
a
Piegaro
deriva
anche
da
altri
motivi
meno
evidenti.
Piegaro
era
infatti
una
realtà
urbana
di
dimensioni
significative
nel
contado
perugino,
vicino
ad
un’altra
grande
realtà
comunale
come
quella
di
Orvieto.
Il
castello
piegarese
aveva
facili
sbocchi
commerciali
sui
mercati
limitrofi,
in
quanto
era
localizzato
lungo
un
crocevia
di
traffici,
inserito
in
un
fitto
reticolo
di
vie
di
comunicazione,
che
congiungevano
il
Tirreno
all’Adriatico.
Per
ultimo
ricordiamo
anche
che
Piegaro
aveva
una
discreta
autonomia
da
Perugia,
città
alla
quale
sottostava.
Fu
l’insieme
di
tutti
questi
fattori
a
determinare
il
sorgere
ed
il
rapido
sviluppo
dell’industria
vetraria
piegarese,
che
pochi
decenni
dopo
era
già
parecchio
nota
in
Italia
ed
era
in
grado
di
sfornare
anche
pregevoli
lavori
artistici,
grazie
alla
bravura
delle
maestranze
che
vi
operavano.
Tutti
i
vetrai
veneti,
che
giunsero
a
Piegaro,
furono
inoltre
omaggiati
del
titolo
nobiliare,
per
cui
poterono
stringere
rapporti
di
parentela
con
i
patrizi
del
paese.
Ciò
sta
a
dimostrare
il
prestigio
dell’arte
vetraria,
che
anche
dai
piegaresi
del
XIII
secolo
era
considerata
un’arte
nobile,
quasi
magica,
che
andava
oltre
i
confini
del
reale.
In
origine
la
vetreria
era
situata
sul
lato
ovest
del
paese,
proprio
alle
spalle
dell’attuale
palazzo
municipale,
sul
lato
opposto
a
quello
dove
verrà
costruita
la
nuova
vetreria,
che
attualmente
dismessa,
dovrebbe
ospitare
il
futuro
Museo
del
Vetro
di
Piegaro.
La
lavorazione
iniziale
del
vetro
riguardava
essenzialmente
la
produzione
di
vetrate
colorate,
che
erano
richieste
da
chiese
e
complessi
monastici.
Solo
dopo
la
distruzione
di
Piegaro
da
parte
di
Ciarpellone,
nel
1443,
si
provvide
a
differenziare
la
produzione
ed
iniziarono
ad
essere
realizzati
oggetti
d’uso
comune,
come
bicchieri
e
vasellame
vario.
È
importante
ricordare
in
quest’ambito
le
relazioni
che
la
vetreria
di
Piegaro
ebbe,
proprio
nei
primi
anni
della
sua
esistenza,
con
altre
due
vetrerie
limitrofe.
Infatti
anche
a
Monteleone
d’Orvieto,
castello
distante
otto
chilometri
da
Piegaro,
era
sorta
verso
il
1310
una
fabbrica
di
vetro.
Ad
essa
si
rivolse
nel
1320
Lorenzo
Maitani,
architetto
costruttore
del
Duomo
di
Orvieto,
quando
si
accorse
che
era
giunto
il
momento
di
ordinare
le
tessere
musive
per
la
realizzazione
dei
mosaici
della
facciata
dell’edificio.
Ma
quando
Lorenzo
Maitani
si
accorse
che
il
materiale
fornito
dalla
suddetta
fornace
era
insufficiente
per
qualità
e
quantità,
ricorse
nel
1321,
alla
vetreria
di
Piegaro,
la
quale
si
impegnò
con
regolare
contratto,
che
costituisce
il
più
antico
documento
in
cui
il
nome
di
Piegaro
appare
legato
ad
un
episodio
riguardante
la
lavorazione
del
vetro,
a
fornire
mosaici
di
prima
qualità,
per
qualunque
quantitativo
e
periodo
di
tempo.
Poco
dopo
però
Lorenzo
Maitani,
forse
per
difficoltà
di
trasporto,
suggerì
di
erigere
proprio
ad
Orvieto,
una
piccola
fornace
da
mosaici
e
lastre
comuni
a
servizio
del
Duomo.
La
fornace
in
effetti
venne
costruita
con
blocchi
di
pietra
refrattaria
e
venne
fornita
di
tutti
gli
attrezzi
e le
materie
prime
necessarie.
I
rapporti
con
Piegaro
però
non
si
interruppero,
in
quanto
lo
stesso
architetto
giunse
in
paese
per
ingaggiare
personalmente
delle
maestranze
che
sapessero
lavorare
il
vetro
colorato.
Con
ogni
probabilità
la
vetreria
che
sorse
ad
Orvieto,
non
espletava
l’intero
ciclo
produttivo,
ma
si
procurava
le
masse
vitree
già
sufficientemente
depurate
nelle
officine
madri
dislocate
proprio
a
Monteleone
e
nella
stessa
Piegaro.
La
vetreria
di
Orvieto,
sorta
in
funzione
delle
necessità
della
Chiesa,
cessò
ogni
attività
verso
il
1335
e
non
fu
più
riaperta
malgrado
le
varie
proposte
di
riattivazione,
che
prevedevano
la
ripresa
delle
attività,
per
realizzare
oggetti
in
vetro
finalizzati
all’uso
domestico
e
quotidiano.
Anche
la
vetreria
di
Monteleone,
che
sarebbe
stata
una
temibile
concorrente,
ebbe
un’esistenza
brevissima,
per
cui
la
produzione
del
vetro
a
Piegaro,
unica
nei
dintorni,
poté
continuare
la
propria
ascesa
ed
iniziò
a
sfornare
prodotti
di
prima
qualità.
Per
riassumere
possiamo
dire
che
la
produzione
del
vetro
a
Piegaro,
nacque
per
motivi
fortuiti.
Come
abbiamo
detto,
ad
una
produzione
finalizzata
all’uso
ecclesiastico,
si
aggiunse
in
breve
tempo
una
produzione
di
oggetti
quotidiani.
Potremo
affermare
che
probabilmente,
nei
primi
secoli
di
attività,
la
vetreria
di
Piegaro
produceva
oggetti
partendo
da
materiali
semilavorati.
È
sicuro
invece
che,
all’incirca
dal
XVI
secolo,
all’interno
della
vetreria
era
espletato
l’intero
ciclo
produttivo:
si
partiva
dalle
materie
prime
per
ottenere
il
prodotto
finito.
È
importante
fare
anche
una
precisazione
riguardante
le
categorie
di
prodotti
che
uscirono
dalla
vetreria.
Mentre
nei
primi
periodi
di
attività
la
produzione
era
solo
ed
esclusivamente
concentrata
sulle
vetrate
artistiche,
nei
secoli
a
venire
si
produssero
solamente
oggetti
destinati
all’uso
quotidiano.
Questo
significa
che
nel
cercare
canoni
di
paragone
con
la
vetreria
piegarese,
è
quasi
obbligatorio
tralasciare
la
lavorazione
artistica
del
vetro,
che
in
Italia
e
soprattutto
a
Murano,
si è
sviluppata
molto
fin
dal
Rinascimento.
È
invece
importante
e
più
utile
confrontare
gli
oggetti
prodotti
a
Piegaro,
con
oggetti
inerenti
in
particolare
la
produzione
altarese
ed
in
secondo
luogo
quella
toscana.
La
storia
della
vetreria
di
Piegaro
è
anche
la
storia
dei
piegaresi.
Sono
esistite
a
Piegaro
tre
vetrerie:
in
realtà
si
tratta
sempre
della
solita
fabbrica,
che
nel
corso
dei
secoli
ha
cambiato
ubicazione
per
ben
tre
volte.
Dalle
origini
fino
al
1934
l’officina
vetraria
era
collocata
sul
lato
ovest
del
paese,
proprio
alle
spalle
dell’attuale
palazzo
municipale:
di
questo
edificio
rimangono
attualmente
pochissimi
resti.
Nel
1941
invece
venne
costruito
un
nuovo
complesso,
sempre
all’interno
delle
antiche
mura,
mentre
nel
1968
iniziò
la
costruzione
della
nuova
fabbrica,
a
valle
di
Piegaro,
che
è
l’industria
attualmente
in
funzione.
Nel
ricostruire
la
storia
di
queste
tre
vetrerie
è
quasi
d’obbligo
raccontare
gli
eventi
del
passato
come
se a
Piegaro
fosse
esistita
una
sola
ed
unica
vetreria,
in
quanto
tutte
e
tre
le
fabbriche
hanno
dei
legami
inscindibili,
che
creano
tra
di
loro
una
strettissima
continuità
nel
corso
dei
secoli.
La
lavorazione
del
vetro
iniziò,
attorno
alla
fine
del
1200.
Inizialmente
erano
prodotte
solamente
vetrate
artistiche,
richieste
da
varie
chiese
italiane.
Fin
dai
primi
decenni,
grazie
all’abilità
delle
sue
maestranze
la
vetreria
riuscì
ad
acquistare
una
fama
notevole
in
tutta
Italia.
Le
prime
difficoltà
si
presentarono
già
nel
1392,
quando
a
causa
di
alcuni
eventi
bellici,
la
stessa
vetreria
ebbe
una
vita
stentata.
Comunque
verso
il
1420
,
durante
la
signoria
di
Braccio
Fortebraccio,
vi
fu
un
rapido
ritorno
ai
livelli
produttivi
iniziali.
Nel
1443
però
si
verificò
una
crisi
ancora
più
grave,
nel
momento
in
cui
Piegaro
fu
saccheggiato,
e
distrutto,
dalla
compagnia
di
ventura
guidata
da
Ciarpellone.
Dall’immane
disastro
i
piegaresi
si
risollevarono
con
sorprendente
rapidità,
ma
le
condizioni
economiche
della
comunità
tornarono
alla
primitiva
floridezza,
soltanto
quando
la
vetreria,
dopo
aver
raggiunto
la
massima
efficienza,
poté
lanciare
sui
mercati
italiani
la
numerosa
serie
dei
suoi
inimitabili
prodotti.
Nel
1480,
la
fama
degli
artigiani
piegaresi
era
arrivata
a
tal
punto,
che
molte
maestranze
erano
chiamate
dai
signori
dei
paesi
limitrofi,
per
produrre
arredi
da
tavola,
in
particolare
bicchieri
e
stoviglie.
Un
caso
noto
è
quello
del
duca
Federico
da
Montefeltro,
che
per
molti
anni
ricorse
alla
vetreria
di
Piegaro
per
arricchire
la
propria
corte
di
oggetti
artistici
in
vetro.
Negli
ultimi
anni
del
XV
secolo
e
nei
primi
XVI,
la
vetreria
subì
alcuni
perfezionamenti
tecnici,
che
portarono
ad
un
notevole
aumento
della
produttività,
tale
da
soddisfare
qualsiasi
richiesta.
Le
case
signorili,
chiare
e
luminose
grazie
alle
grandi
finestre,
i
palazzi
e le
chiese,
che
stavano
sorgendo
ovunque
in
Italia,
per
volontà
di
signori
e
principi
e
per
il
felice
e
quasi
miracoloso
intervento
di
una
numerosa
schiera
di
grandi
artisti,
assicuravano
ai
prodotti
della
vetreria
un
grandissimo
smercio.
Numerosi
documenti
e
molte
lettere
di
ringraziamento
testimoniano
e
confermano
che
la
qualità
degli
articoli
soddisfaceva
il
fine
gusto
dei
committenti
nobili,
i
quali
lodavano
i
puri
effetti
di
bellezza
e di
grazia
che
erano
espressi
dagli
oggetti
prodotti
a
Piegaro.
Verso
la
fine
del
XVI
secolo,
e
precisamente
nel
1581,
come
era
avvenuto
nei
primi
anni
del
1300,
fu
ancora
l’Opera
del
Duomo
di
Orvieto
a
rivolgersi
alla
vetreria
piegarese,
dovendo
eseguire
urgenti
e
delicati
lavori
di
restauro
alla
facciata
della
cattedrale.
Venne
per
questo
ordinata
a
Giovanni
Pignattelli,
l’allora
proprietario
della
vetreria,
la
produzione
degli
smalti
occorrenti,
sia
dorati
che
di
altri
colori.
Per
tutto
il
1600
l’attività
della
vetreria,
salvo
brevissimi
periodi,
non
subì
nessun
rallentamento.
I
maestri
vetrai,
adattandosi
ai
gusti
del
tempo,
crearono
coppe,
tazze,
bicchieri
e
vasellame
vario,
dalle
strane
forme
e
con
le
riproduzioni
di
stemmi,
figurazioni
ed
iscrizioni
dedicatorie,
le
quali
ebbero
grandissimo
smercio
commerciale,
con
notevole
vantaggio
economico
per
la
comunità.
Verso
la
fine
del
XVII
secolo,
la
vetreria
passò
in
proprietà
alla
famiglia
Cocchi,
una
delle
più
antiche
e
ricche
di
Piegaro,
e la
produzione
continuò
per
vari
decenni
la
propria
ascesa,
favorita
dalla
fastosa
arte
barocca.
Dopo
il
1750,
per
varie
cause,
ma
principalmente
per
la
concorrenza
straniera,
soprattutto
boema,
che
invase
tutti
i
mercati,
iniziò
una
fase
di
declino
della
vetreria,
che
tra
l’altro
coincise
con
una
crisi
generale
del
vetro
italiano.
L’affermarsi
dei
metodi
industriali,
che
permettevano
la
fabbricazione
in
serie
di
oggetti
per
uso
comune,
stravolse
i
metodi
di
produzione,
ma i
dirigenti
della
vetreria
piegarese
non
furono
sensibili
a
tutte
queste
innovazioni,
che
rappresentavano
l’unico
metodo
per
poter
salvare
la
vetreria
dalla
decadenza.
Si
giunse
così
alla
crisi
che
causò
un
massiccio
esodo
delle
migliori
maestranze
del
paese,
le
quali
portarono
in
altri
luoghi,
tutto
il
bagaglio
tecnico
che
per
molti
secoli
era
stato
a
retaggio
dei
piegaresi,
ai
quali
aveva
dato
fama
e
ricchezza.
Intorno
al
1820,
il
marchese
Geremia
Misciattelli
sposò
l’ultima
discendente
della
famiglia
Cocchi,
una
certa
Cunegonda,
che
tra
l’altro
gli
portò
in
dote
anche
la
vetreria.
Volendo
riattivare
l’industria,
il
marchese
ebbe
il
grande
merito
di
scegliere
maestranze
esclusivamente
piegaresi.
Vennero
così
ingaggiati
validi
ed
insigni
artisti,
che
tennero
alto
il
nome
della
vetreria
con
il
loro
ingegno
e la
loro
fantasia.
Dopo
la
morte
del
marchese
Geremia
Misciattelli,
la
direzione
della
fabbrica
fu
affidata
a
dei
fiduciari,
primo
dei
quali
fu
Cesare
Pesciarelli,
sostituito,
dal
1875
al
1880
da
Giacomo
Cordoni.
A
quest’ultimo
subentrò
nel
1881
Pietro
Cordoni,
che
ebbe
il
merito
di
aumentare
la
produttività
ed
estendere
le
esportazioni.
Durante
la
sua
direzione
fu
anche
inaugurata
la
roteria
di
cristalli
con
macchina
a
vapore.
Nel
1895,
l’ingegnere
Giuseppe
Zannini,
prese
le
redini
della
vetreria,
che
raggiunse
la
massima
produttività,
grazie
alla
creazione
di
un’estesa
gamma
di
articoli
in
vetro
e
cristallo.
Breve
però
fu
la
sua
gestione
perché
nel
1898
fu
costretto
a
chiudere
i
battenti
per
una
grave
crisi
causata
dalla
sovrapproduzione.
Il
marchese
Mario
Misciattelli,
non
potendo
controllare
la
fabbrica
personalmente,
diede
in
affitto
la
vetreria
a
Severino
Rossi,
che
la
tenne
fino
al
1932.
Durante
tale
periodo,
ma
specialmente
dopo
la
prima
Guerra
Mondiale,
vi
fu
una
significativa
ripresa
delle
attività,
che
fece
ben
sperare
per
l’avvenire.
Purtroppo
però
le
aspettative
durarono
poco,
perché
la
direzione
non
osò
abbandonare
i
vecchi
metodi
di
lavorazione
artigianale,
per
passare
alla
fase
industriale,
come
la
maggior
parte
delle
vetrerie
avevano
fatto
e
come
anche
i
piegaresi
speravano.
La
conseguenza
di
tutto
ciò
fu
un’ennesima
chiusura
dello
stabilimento.
Nel
1934
si
fece
avanti
un’anonima
società
costituita
da
cinque
membri
che,
dopo
aver
prelevato
la
fabbrica
dalla
marchesa
Maria
Carolina
Misciattelli,
compirono
un
estremo
tentativo
per
rilanciare
la
vecchia
industria
e
migliorare
l’economia
del
paese.
La
coraggiosa
iniziativa
purtroppo
fallì
e
con
essa
cessò
definitivamente
l’attività
della
prima
fornace,
collocata
alle
spalle
dell’attuale
Municipio.
Tutt’oggi
rimangono
pochissimi
resti
a
testimonianza
dell’esistenza
di
questa
prima
vetreria
piegarese.
È
curioso
ricordare
alcune
testimonianze,
secondo
le
quali,
le
condizioni
di
lavoro
in
questa
vetreria
erano
parecchio
dure
e
disagevoli,
soprattutto
a
causa
della
presenza
di
numerosi
cunicoli
molto
angusti
e
ristretti,
che
rendevano
notevolmente
difficoltoso
il
passaggio
agli
stessi
operai
che
vi
lavoravano.
È
invece
nel
1941
che,
per
iniziativa
della
Principessa
Pallavicini,
nuora
della
marchesa
Misciattelli,
iniziarono
i
lavori
per
la
costruzione
di
una
nuova
vetreria,
che
per
il
fatto
di
essere
ubicata
sempre
all’interno
delle
mura
paesane,
sorgeva
già
limitata
nelle
strutture,
anche
se i
locali
erano
molto
più
ampi
e
funzionali.
Gli
stessi
locali
vennero
anche
usati
per
alcuni
anni,
come
depositi
e
magazini
agricoli,
in
quanto
le
famiglie
Pallavicini
e
Misciattelli
erano
proprietarie
di
molti
appezzamenti
e
terreni
destinati
alla
coltivazione.
La
nuova
fornace,
che
era
rispondente
ai
più
moderni
requisiti
tecnici,
aveva
il
doppio
vantaggio
di
un
elevato
rendimento
e di
un
minor
consumo
di
combustibile.
A
pieno
regime
sfornava
circa
20.000
fiaschi
al
giorno,
o
15.000
bottiglie,
assicurando
un
sicuro
posto
di
lavoro
a
circa
cento
operai.
Salvo
un
breve
periodo,
corrispondente
agli
eventi
bellici
del
1944,
la
nuova
vetreria
funzionò
quasi
ininterrottamente,
fino
al
1960.
Il
18
aprile
dello
stesso
anno
la
proprietà
fu
rilevata
da
una
“Cooperativa
di
soci-lavoratori”,
presieduta
dal
sindaco
di
Piegaro,
Leonida
Pedetti,
il
quale,
con
tale
iniziativa,
diede
una
diretta
occupazione
a
molti
piegaresi,
che
avrebbero
altrimenti
dovuto
cercare
altrove
miglior
fortuna.
Venne
in
questo
modo
rilanciata
anche
l’intera
economia
del
paese.
L’iniziativa
non
solo
sortì
effetti
positivi,
ma
creò
anche
le
premesse
per
la
realizzazione
del
progetto
dei
58
soci.
Era
infatti
prevista
la
costruzione
di
una
grande,
moderna
e
funzionale
vetreria,
in
una
posizione
più
favorevole,
fuori
dalle
mura
del
paese.
Mancava
però
il
terreno,
e
soprattutto
era
esiguo,
per
non
dire
irrisorio,
il
capitale
sociale
necessario
a
realizzare
l’opera.
Il
primo
ostacolo
venne
facilmente
superato,
in
quanto
il
Comune
di
Piegaro
acquistò
a
valle
del
paese,
un
appezzamento
di
terreno,
di
circa
28.000
mq2,
che
venne
ceduto
alla
cooperativa,
per
una
cifra
simbolica
di
diecimila
lire.
Invece
la
ricerca
dei
mezzi
finanziari
impegnò
severamente
e
per
molto
tempo
i
dirigenti
della
vetreria,
i
quali,
solamente
nel
1967,
riuscirono
ad
ottenere
dal
Medio
Credito
Regionale
Umbro,
un
mutuo
di
sessanta
milioni
di
lire,
che
sarà
poi
integrato
nel
1970,
con
altri
trentacinque
milioni
di
lire.
Poté
quindi
iniziare
nel
1968,
la
costruzione
della
nuova
fabbrica
e
nell’ottobre
dell’anno
successivo,
un
leggero
pennacchio
di
fumo
uscì
dall’alta
ciminiera,
annunciando
che
la
volontà
e la
capacità
realizzativa
di
pochi
individui,
aveva
superato
molte
avversità.
Il
sogno,
che
per
molto
tempo
era
rimasto
utopico,
si
trasformò,
dopo
molti
sforzi,
in
realtà.
Dal
giorno
dell’entrata
in
funzione
della
nuova
vetreria,
l’attività
non
ha
conosciuto
soste,
assicurando
un
lavoro
duraturo,
costante
e
redditizio,
a
più
di
cento
operai.
La
costruzione
di
questo
nuovo
impianto
ha
portato
la
fabbrica
su
posizioni
d’avanguardia,
e
con
l’istallazione
di
una
linea
totalmente
automatica,
è
riuscita
ad
esprimere
il
100%
della
sua
potenzialità.
Attualmente
dal
grande
forno
a
bacino,
della
capacità
di
cinquecento
quintali,
vengono
estratti
giornalmente
circa
quattrocento
quintali
di
vetro
verde
e
bianco,
sotto
forma
di
contenitori
per
vini,
acque
minerali
e
bevande
varie.
Anche
se
nei
nostri
giorni
vengono
studiati
e
realizzati
sempre
nuovi
materiali,
è
stato
ampliamente
dimostrato
da
numerose
ricerche
scientifiche,
che
i
contenitori
ideali
sono
di
vetro,
perché
inerti,
perfettamente
sterilizzabili
e
soprattutto
perché
non
alterano
i
caratteri
organolettici
delle
sostanze
alimentari,
sia
liquide
che
solide.
Considerando
inoltre
il
facile
riciclaggio
del
materiale
vetro,
le
prospettive
della
Vetreria
di
Piegaro,
per
l’immediato
futuro,
dovrebbero
essere
più
che
buone.