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N. 34 - Ottobre 2010 (LXV)

Piegaro
Parte I – Storia, territorio, società

di Michele Broccoletti

 

Piegaro è un comune dell’Italia centrale che si trova in Umbria sotto la provincia di Perugia. Vi sono varie tradizioni riguardanti la fondazione di Piegaro: secondo la mitologia, il paese venne fondato da Pico Gaio o Graio, divinità profetica latina, figlio di Saturno, sposo della ninfa Canente e padre di Fauno.

 

Le vicende storiche invece attribuiscono la fondazione di Piegaro ai romani, che vi si rifugiarono durante l’assedio di Chiusi attorno alla fine del III secolo avanti Cristo, per curarsi le ferite e ritemprarsi dalle fatiche della guerra. Il posto era salubre, sicuro, ricco di acqua e di selvaggina e i nomadi-pastori che l’abitavano non si dimostrarono ostili, ma piuttosto propensi a fraternizzare e perciò alla fine della guerra molti soldati sposarono le loro figlie ed assunsero stabile dimora a Piegaro. Sul punto più alto del colle, venne costruito un centro rurale circondato da solide mura ed il paese venne consacrato a Diana, dea della caccia e protettrice dei boschi.

 

Non è facile stabilire da cosa abbia tratto origine il nome del paese. In base ad un’antica tradizione, Piegaro avrebbe ricevuto il suo nome proprio da Pico Gaio (o Graio). Tralasciando la mitologia, sappiamo che la maggior parte degli storici sostiene che la primitiva denominazione sia stata Plagarium, trasformatasi poi in Plagario, Piegaio e infine Piegaro. Resta ora da stabilire quale sia l’etimologia di Plagarium. Secondo alcuni il nome Plagarium deriverebbe da “a plagis”, cioè dalle reti che servivano per la caccia di animali selvatici, occupazione a cui si dedicavano spesso gli abitanti del luogo. Altri invece hanno ritenuto che il termine derivi da “plaga”, oppure da “plagarius”, o addirittura da “plagearius o plagiarius”.

 

Nei primi decenni dopo la sua fondazione, nessun avvenimento di particolare rilievo storico turbò la vita della comunità che abitava il paese, per cui il piccolo villaggio poté ingrandirsi e fortificarsi, iniziando a governarsi in maniera autonoma, dandosi proprie leggi ed eleggendo i propri consoli. Nemmeno la seconda guerra punica (218 – 202 a.C.) coinvolse direttamente il paese che comunque rimanendo sempre fedele a Roma, dopo la disastrosa battaglia del Trasimeno (217 a.C.), diede rifugio ed aiuto a numerosi legionari.

 

Dopo la seconda guerra punica, per circa duecento anni Piegaro attraversò un periodo di pace e le lotte tra Mario e Silla, Cesare e Pompeo e Ottaviano e Antonio passarono senza lasciarvi traccia anche perché probabilmente Piegaro non parteggiò per nessuno dei contendenti, ma rimase quieto e silenzioso a godersi la sua autonomia.

 

Per quanto riguarda invece i primi quattro secoli trascorsi sotto l’Impero Romano, le antiche cronache storiche non ci hanno tramandato alcuna notizia fino al 455 d.C., anno in cui Piegaro fu saccheggiato e dato alle fiamme dai Vandali di Genserico. Altri danni furono causati dalle invasioni dei Goti e dei Longobardi e questi ultimi segnarono, nel 568 d.C., l’inizio del dominio barbarico vero e proprio.

 

I Longobardi divisero i territori conquistati in trentasei Ducati indipendenti, i cui confini coincisero quasi ovunque con quelli delle diocesi e per questo motivo Piegaro, che faceva parte della diocesi chiusina, si trovò automaticamente incluso in tale Ducato, sotto il quale rimase per circa duecento anni.

 

Durante il feudalesimo Piegaro rimase soggetto ai conti di Chiusi fino oltre il XII secolo: malgrado il malgoverno, durante tale periodo furono portate a termine o realizzate ex novo diverse opere, che rafforzarono il castello e ne accrebbero l’importanza.

 

Nel 1240, a causa delle continue ribellioni dei Piegaresi contro i loro signori, l’imperatore Federico II, strappando il forte castello di Piegaro ai conti di Chiusi, lo concesse a quelli di Marsciano, che però esercitarono il loro potere in maniera ancora più dispotica, facendo aumentare proteste e sollevazioni.

Il 10 Aprile 1251, a seguito di una violenta insurrezione, i conti furono costretti a sancire la quasi completa affrancazione della comunità, iniziando a cedere alle richieste dei Piegaresi, sia per trattenerli sui propri terreni, sia per trarne tributi e censi. Presto però si accorsero che la forza della comunità cominciava a farsi pericolosa e la situazione sfuggiva loro di mano. Per questo i conti opposero un resistenza accanita avvalendosi soprattutto delle armi.

 

Questa ennesima prepotenza scatenò un’insurrezione popolare che divampò in tutto il castello e nell’immediato contado: i Piegaresi sfogarono malcontento ed odio a lungo repressi, appiccando incendi e seminando distruzione. Guidati da un certo Cato, i Piegaresi, dopo estenuanti lotte con gli armigeri di guardia, ottennero la meglio e bruciarono e demolirono il castello dei conti, abbattendo definitivamente l’ultimo residuo del dispotismo e della tirannide feudale.

 

Nel 1295 venne così riconquistata la libertà e vennero creati degli ordinamenti giuridico-politici autonomi, che sancirono la nascita del comune, regolato da precise norme e limitato solamente dai poteri del sovrano.

 

Solo un anno dopo però, nel 1296, i Piegaresi decisero di sottomettersi all’autorità di Perugia per salvarsi da vicini e potenti comuni, le cui lotte per il potere minacciavano la stessa libertà di Piegaro. In cambio di obblighi e tributi, Piegaro ricevette da Perugia protezione e tutela contro qualunque nemico che non fosse il Papa o l’Imperatore. Inoltre a Piegaro venne riconosciuto il potere di promulgare leggi ed amministrarsi in maniera autonoma secondo gli Statuti Comunali.

 

Dopo tale sottomissione seguirono diversi decenni di magnifico sviluppo, durante i quali il progresso fu generale. Vi fu un incremento della produzione agricola, soprattutto di cereali, viti e olivi, grazie a nuovi metodi e strumenti per la coltivazione dei campi. Vennero anche bonificate vaste aree ed inseriti allevamenti razionali.

 

Nel campo industriale invece troviamo, per la prima volta in questi anni, la lavorazione del vetro, che con il conseguente avvio di attività commerciali e di traffici interregionali, fu una vera fonte di lucro per molti Piegaresi. La lavorazione del vetro fu impiantata a Piegaro da alcune maestranze venete, dopo il decreto del 1292, con il quale il governo della Serenissima Repubblica di Venezia bandì dalla città tutte le fornaci, le quali per la maggior parte furono trasferite a Murano.

 

La facilità di procurarsi il materiale da combustione, data la grande quantità di boschi esistenti nella zona, la ricchezza di risorse idriche, le prosperose condizioni politico-economiche della comunità ed infine la bravura delle maestranze venete ed i pregevoli lavori artistici realizzati, furono i principali fattori che determinarono il sorgere, il rapido sviluppo e la duratura fama della vetreria.

 

In generale i primi anni del 1300 videro un progressivo miglioramento delle condizioni economiche e del tenore di vita. Il paese si rinnovò, le case in muratura sostituirono quelle in legno ed acquistarono un maggiore comfort.

 

Questa repentina ascesa non fu bloccata dalla venuta in Italia dell’imperatore Enrico VII e neppure dalla carestia del 1328, ma con l’arrivo della “peste nera” del 1348, anche il territorio piegarese andò incontro ad una grave crisi demografica ed economica.

 

Un’ altra pericolosa minaccia sempre risalente al XIV secolo, fu costituita dalle compagnie di ventura, composte da soldati mercenari comandati da prestigiosi condottieri. Verso la metà di marzo del 1367, una delle compagnie che imperversavano più o meno in tutta Italia, si trovò nei pressi delle mura di Piegaro e non riuscendo a conquistare il castello, assaltò e saccheggiò il territorio circostante, portando ovunque distruzione e morte per circa quindici giorni.

 

Al 1367 seguirono una decina di anni in cui i territori dell’Italia centrale furono teatro di ribellioni e lotte contro il potere dello stato pontificio. Il primo gennaio 1376 però, i cittadini di Perugia riuscirono a scrollarsi di dosso il giogo di tale potere e sull’esempio dei perugini, negli anni successivi, altre ottanta città e castelli, tra cui anche Piegaro, si ribellarono alla Chiesa riconquistando la libertà.

 

Anche il 1386 fu un anno di grandi tensioni per Piegaro che venne saccheggiato e devastato dai Bretoni. Scampato il pericolo dei Bretoni, Piegaro, come tutta l’Umbria, fu coinvolto, nell’ultimo decennio del 1300, nella lotta tra nobili (Beccherini) e popolani (Raspanti) che causò tumulti e disordini più o meno gravi. Alla fine ebbe la meglio la parte democratica per la quale Piegaro aveva sempre parteggiato, ma tale governo durò solo fino al 1400, anno in cui Perugia ed il suo contado, per non cadere di nuovo sotto il dominio papale, si sottomisero all’autorità di Gia Galeazzo Visconti.

 

La signoria dei Visconti durò fino al 1402, anno in cui si ebbe l’improvvisa morte del Duca. Successivamente la moglie di Gian Galeazzo, Caterina, riconsegnò i territori all’autorità pontificia e tutti gli abitanti del territorio di Perugia, ormai impotenti contro il potere del Papa, decisero di firmare la pace con la Santa Sede nel 1403.

 

In seguito, nel giugno del 1408, per sottrarsi ai danni che procurava loro il partito dei nobili, i perugini decisero di sottomettersi a Ladislao, re di Napoli. Alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1414, Perugia rimase libera repubblica per due anni, durante i quali anche Piegaro godette di una relativa pace, per poi cadere sotto il dominio del famoso condottiero Braccio Fortebraccio.

 

L’immatura morte del grande condottiero, avvenuta a L’Aquila nel 1424, portò ad un vuoto di potere caratterizzato dalla lotte tra Oddi e Baglioni, che segnarono la vita Umbra fino al 1540.

 

Tuttavia a Piegaro la vita, dopo la morte di Braccio Fortebraccio, trascorse relativamente tranquilla, fino al 1443, quando accadde il fatto più triste della sua storia. In quell’anno infatti, un certo Antonio Colella da Parma, detto Ciarpellone, comandante di una compagnia di ventura, assalì Piegaro con un forte contingente di uomini armati. Tutti gli abitanti si ritirarono entro le mura decisi a difendersi fino all’ultimo ed opposero un’accanita resistenza, ma dopo alcuni giorni dovettero arrendersi alla furia degli assalitori. Quest’ultimi, dopo aver aperto un varco nelle mura perimetrali, riuscirono a penetrare all’interno e diedero alle fiamme il castello dopo averlo orrendamente saccheggiato. Come se non bastasse, i Piegaresi superstiti furono fatti prigionieri e trasferiti a Cortona in attesa del pagamento di riscatto da parte di Perugia, che avvenne nell’agosto del 1443.

 

Anche in seguito a tale tragico evento i Piegaresi non si arresero e soprattutto grazie alle agevolazioni ed ai contributi elargiti dalla città di Perugia, intrapresero una laboriosa opera di ricostruzione, che consentì a Piegaro di ritornare, in pochi decenni, centro prosperoso e fiorente.

 

A questa rinascita contribuì in maniera determinante la ripresa dell’attività vetraria, la quale, mediante l’uso di nuovi accorgimenti tecnici, non solo poté aumentare la produzione e far fronte alle accresciute richieste ma diede anche lavoro ad un gran numero di operai, incrementando il benessere interno e diffondendo la fama del castello.

 

Tale situazione si mantenne abbastanza stabile per vari decenni durante i quali le minacce, non molto pericolose per Piegaro, arrivarono da problemi generali che videro coinvolta l’intera Italia. Le tensioni furono causate in particolar modo dalla “congiura dei Pazzi” a Firenze (1478) e dalla forte instabilità politica che caratterizzava l’intero territorio italiano.

 

Gli eventi si evolsero poi, in seguito all’elezione di Papa Giulio II, il quale intraprese un’incisiva azione politica e militare contro le signorie della Romagna e dell’Umbria, strappando Perugia alla famiglia dei Baglioni.

 

Da ricordare sono le calamità che si abbatterono nel territorio di Perugia nel 1538, le quali misero in crisi l’intera economia della zona. Secondo i cronisti dell’epoca, il 7 luglio vi fu una terribile grandinata, con chicchi grossi come noci, che distrussero i raccolti di viti ed olivi. Il 26, 27 e 28 dicembre caddero oltre 60 centimetri di neve e l’intenso freddo che seguì seccò le piante ed i generi alimentari iniziarono a scarseggiare. Dopo la terribile gelata non piovve più fino al marzo successivo e poi, per oltre un mese, si ebbero piogge quasi ininterrotte.

 

La situazione si aggravò con l’elezione di papa Paolo III. Egli nel 1539, per coprire le ingenti spese militari dello Stato pontificio, aumentò le richieste fiscali nel territorio perugino, creando un generale malcontento che sfociò in quella che venne chiamata la “guerra del sale”, la quale vide la Santa Sede prevalere sui ribelli. In questi eventi, paradossalmente Piegaro ebbe dei risvolti più che positivi. Infatti Paolo III, durante il suo pontificato, per cinque volte si fermò a soggiornare a Piegaro e grato per le tante dimostrazioni di affetto e simpatia tributategli dagli abitanti, esentò lo stesso paese, per ben diciotto anni, dal pagamento di alcuni tributi.

 

A Paolo III successe poi Giulio III nel 1549, il quale restituì alla città di Perugia ed al suo contado, le vecchie magistrature e tutti i privilegi tolti dal pontefice precedente.

 

Le condizioni civili ed economiche migliorarono soprattutto con il pontificato di Sisto V, iniziato nell’aprile del 1585. Egli riportò l’ordine e la tranquillità nei territori della Chiesa, riorganizzando l’amministrazione della curia romana e reprimendo il brigantaggio. Di conseguenza migliorò anche il tenore di vita dei piegaresi. In particolare la vetreria raggiunse, verso la fine del 1500, la sua massima efficienza, sfornando non solo una vasta gamma di ordinari prodotti, in grado di soddisfare tutte le richieste, ma anche una serie di articoli, molto validi artisticamente, che andarono ad abbellire i palazzi e le chiese, frutto del mecenatismo rinascimentale di principi e papi. Lo sfarzo delle corti, le meravigliose basiliche e gli artistici palazzi comunali, che erano sorti numerosi nell’Italia centrale, diedero non poche occasioni alle maestranze piegaresi di esercitare la propria arte al servizio della religione e dei bisogni civili.

 

La pace durò poco più di mezzo secolo in quanto un nuovo conflitto, scoppiato nel 1642 tra il papa Urbano VIII e i principi di Parma, Modena e Toscana, sostenuti da Venezia, portò scompiglio nei territori dell’Italia centrale. Fortunatamente Piegaro subì danni minimi, anche perché provvide velocemente al pagamento del denaro richiesto dai nemici.

 

Lo Stato della Chiesa versava ormai in tristi condizioni e nonostante i tentativi di alcuni pontefici, come Benedetto XIV eletto papa nel 1740, che cercarono di risollevarne le sorti, la situazione rimase precaria a causa della gravissima crisi politica e finanziaria.

 

Tuttavia i piegaresi non si lasciarono vincere dall’inerzia, ma unirono tutte le loro forze per evitare il decadimento della vetreria, causato dall’importazione di vetro artistico estero, proveniente soprattutto dalla Boemia. Inoltre, in campo agricolo, furono intensificate le colture, diffuse nuove piante e migliorato il rendimento del suolo. Tali innovazioni portarono ad una maggiore produzione di cereali e di carne, che risultarono indispensabili per sopperire ai bisogni di una popolazione in continuo aumento, che nel 1790, superò addirittura la 2500 unità.

 

Verso la fine del 1796 il governo pontificio inviò a tutti i comuni dettagliate istruzioni per organizzare la difesa del territorio nell’eventualità di un invasione delle truppe francesi. Così anche Piegaro dovette tutelarsi con il reclutamento di una compagnia di fanti appositamente inviati da Perugia. Ma le difese dello Stato pontificio non si rivelarono valide e dovettero soccombere all’assalto dei francesi già nel febbraio del 1797. Un anno dopo le truppe francesi entrarono a Roma e dichiararono decaduto il potere temporale del papa. Il vecchio stato pontificio si trasformò nella Repubblica Romana ed il territorio fu diviso in dipartimenti e cantoni, per cui Piegaro fu incluso nel cantone di Città della Pieve, circondario di Perugia, dipartimento del Trasimeno.

 

Tali avvenimenti, anche tra i piegaresi, portarono un’enorme ondata di euforia dovuta ai nuovi ideali di libertà ed uguaglianza: furono abbattuti gli stemmi pontifici ed entrarono in funzione il sindaco e dei nuovi consiglieri comunali.

Queste strutture amministrative, comprese le suddette divisioni territoriali, rimasero in auge fino al 1815, anno in cui Napoleone venne definitivamente sconfitto a Waterloo.

 

Con la Restaurazione, il territorio perugino si trovò di nuovo sottomesso all’autorità dello stato pontificio, ma la gran parte della popolazione aveva ormai idee liberali ed era decisa a ribellarsi alle riforme assolute e repressive del pontefice. Anche Piegaro fu un vivace centro liberale e molti abitanti, per manifestare le proprie idee, andarono incontro a denuncie e condanne.

 

Le speranze dei patrioti sembrarono risorgere con l’elezione del nuovo pontefice Pio IX, nel 1846, il quale diede il via ad una politica ampliamente riformatrice, ma anche questa speranza venne presto disillusa, con la fuga a Gaeta dello stesso papa, che non si associò alla guerra d’indipendenza contro l’Austria.

 

L’ondata patriottica non era però destinata a spegnersi così facilmente perché l’obiettivo dell’unità d’Italia era ormai entrato nella coscienza di larghi strati della popolazione e venne raggiunto il 18 marzo 1861, con la proclamazione di Vittorio Emanuele II re d’Italia.

 

Nei primi anni di vita unitaria il governo nazionale dovette emanare una serie di provvedimenti atti ad unificare il paese dal punto di vista pratico. Anche Piegaro si impegnò per eliminare tutti i propri punti deboli: furono aperte scuole gratuite per eliminare l’analfabetismo, venne migliorata la rete stradale, estese le comunicazioni telegrafiche e telefoniche, istituite le guardie municipali, nominati pubblici spazzini e costituito un idoneo sistema di fognature. Nel 1873 venne costruito il nuovo palazzo municipale e nel 1911 venne portato a termine l’acquedotto pubblico.

 

La prima guerra mondiale non arrecò gravi danni a Piegaro, al contrario di ciò che fece il secondo conflitto mondiale. Le truppe tedesche infatti, mentre risalivano la penisola incalzate da quelle anglo-americane, invasero Piegaro il 17 giugno del 1944, dopo tre giorni di accanita resistenza dei piegaresi stessi. Dopo il passaggio dei tedeschi, Piegaro era diventato un vero e proprio paese fantasma.

 

La ripresa fu lenta e difficile malgrado la collaborazione ed i sacrifici di tutti i cittadini. Venne anche riattivata la vetreria per cercare di ridurre la disoccupazione e risollevare l’economia.

Verso la fine degli anni cinquanta, in seguito alla crescita industriale ed al rapido sviluppo economico, iniziò l’espansione al di fuori delle antiche mura, che si orientò soltanto sul lato sud, accogliendo la numerosa massa rurale.

 

Il centro storico perse gradualmente importanza, anche a causa della diminuzione demografica, anche se sembra che le tendenze attuali siano orientate verso una totale rivalorizzazione del territorio e delle strutture storiche comprese entro le antiche mura.



 

 

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