N. 34 - Ottobre 2010
(LXV)
Piegaro
Parte I – Storia, territorio, società
di Michele Broccoletti
Piegaro è un comune dell’Italia
centrale
che
si
trova
in
Umbria
sotto
la
provincia
di
Perugia.
Vi
sono
varie
tradizioni
riguardanti
la
fondazione
di
Piegaro:
secondo
la
mitologia,
il
paese
venne
fondato
da
Pico
Gaio
o
Graio,
divinità
profetica
latina,
figlio
di
Saturno,
sposo
della
ninfa
Canente
e
padre
di
Fauno.
Le vicende storiche invece
attribuiscono
la
fondazione
di
Piegaro
ai
romani,
che
vi
si
rifugiarono
durante
l’assedio
di
Chiusi
attorno
alla
fine
del
III
secolo
avanti
Cristo,
per
curarsi
le
ferite
e
ritemprarsi
dalle
fatiche
della
guerra.
Il
posto
era
salubre,
sicuro,
ricco
di
acqua
e di
selvaggina
e i
nomadi-pastori
che
l’abitavano
non
si
dimostrarono
ostili,
ma
piuttosto
propensi
a
fraternizzare
e
perciò
alla
fine
della
guerra
molti
soldati
sposarono
le
loro
figlie
ed
assunsero
stabile
dimora
a
Piegaro.
Sul
punto
più
alto
del
colle,
venne
costruito
un
centro
rurale
circondato
da
solide
mura
ed
il
paese
venne
consacrato
a
Diana,
dea
della
caccia
e
protettrice
dei
boschi.
Non è facile stabilire
da
cosa
abbia
tratto
origine
il
nome
del
paese.
In
base
ad
un’antica
tradizione,
Piegaro
avrebbe
ricevuto
il
suo
nome
proprio
da
Pico
Gaio
(o
Graio).
Tralasciando
la
mitologia,
sappiamo
che
la
maggior
parte
degli
storici
sostiene
che
la
primitiva
denominazione
sia
stata
Plagarium,
trasformatasi
poi
in
Plagario,
Piegaio
e
infine
Piegaro.
Resta
ora
da
stabilire
quale
sia
l’etimologia
di
Plagarium.
Secondo
alcuni
il
nome
Plagarium
deriverebbe
da
“a
plagis”,
cioè
dalle
reti
che
servivano
per
la
caccia
di
animali
selvatici,
occupazione
a
cui
si
dedicavano
spesso
gli
abitanti
del
luogo.
Altri
invece
hanno
ritenuto
che
il
termine
derivi
da
“plaga”,
oppure
da “plagarius”,
o
addirittura
da
“plagearius
o
plagiarius”.
Nei primi decenni dopo
la
sua
fondazione,
nessun
avvenimento
di
particolare
rilievo
storico
turbò
la
vita
della
comunità
che
abitava
il
paese,
per
cui
il
piccolo
villaggio
poté
ingrandirsi
e
fortificarsi,
iniziando
a
governarsi
in
maniera
autonoma,
dandosi
proprie
leggi
ed
eleggendo
i
propri
consoli.
Nemmeno
la
seconda
guerra
punica
(218
–
202
a.C.)
coinvolse
direttamente
il
paese
che
comunque
rimanendo
sempre
fedele
a
Roma,
dopo
la
disastrosa
battaglia
del
Trasimeno
(217
a.C.),
diede
rifugio
ed
aiuto
a
numerosi
legionari.
Dopo la seconda guerra
punica,
per
circa
duecento
anni
Piegaro
attraversò
un
periodo
di
pace
e le
lotte
tra
Mario
e
Silla,
Cesare
e
Pompeo
e
Ottaviano
e
Antonio
passarono
senza
lasciarvi
traccia
anche
perché
probabilmente
Piegaro
non
parteggiò
per
nessuno
dei
contendenti,
ma
rimase
quieto
e
silenzioso
a
godersi
la
sua
autonomia.
Per quanto riguarda invece
i
primi
quattro
secoli
trascorsi
sotto
l’Impero
Romano,
le
antiche
cronache
storiche
non
ci
hanno
tramandato
alcuna
notizia
fino
al
455
d.C.,
anno
in
cui
Piegaro
fu
saccheggiato
e
dato
alle
fiamme
dai
Vandali
di
Genserico.
Altri
danni
furono
causati
dalle
invasioni
dei
Goti
e
dei
Longobardi
e
questi
ultimi
segnarono,
nel
568
d.C.,
l’inizio
del
dominio
barbarico
vero
e
proprio.
I Longobardi divisero i
territori
conquistati
in
trentasei
Ducati
indipendenti,
i
cui
confini
coincisero
quasi
ovunque
con
quelli
delle
diocesi
e
per
questo
motivo
Piegaro,
che
faceva
parte
della
diocesi
chiusina,
si
trovò
automaticamente
incluso
in
tale
Ducato,
sotto
il
quale
rimase
per
circa
duecento
anni.
Durante il feudalesimo
Piegaro
rimase
soggetto
ai
conti
di
Chiusi
fino
oltre
il
XII
secolo:
malgrado
il
malgoverno,
durante
tale
periodo
furono
portate
a
termine
o
realizzate
ex
novo
diverse
opere,
che
rafforzarono
il
castello
e ne
accrebbero
l’importanza.
Nel 1240, a causa delle
continue
ribellioni
dei
Piegaresi
contro
i
loro
signori,
l’imperatore
Federico
II,
strappando
il
forte
castello
di
Piegaro
ai
conti
di
Chiusi,
lo
concesse
a
quelli
di
Marsciano,
che
però
esercitarono
il
loro
potere
in
maniera
ancora
più
dispotica,
facendo
aumentare
proteste
e
sollevazioni.
Il 10 Aprile 1251, a
seguito
di
una
violenta
insurrezione,
i
conti
furono
costretti
a
sancire
la
quasi
completa
affrancazione
della
comunità,
iniziando
a
cedere
alle
richieste
dei
Piegaresi,
sia
per
trattenerli
sui
propri
terreni,
sia
per
trarne
tributi
e
censi.
Presto
però
si
accorsero
che
la
forza
della
comunità
cominciava
a
farsi
pericolosa
e la
situazione
sfuggiva
loro
di
mano.
Per
questo
i
conti
opposero
un
resistenza
accanita
avvalendosi
soprattutto
delle
armi.
Questa ennesima prepotenza
scatenò
un’insurrezione
popolare
che
divampò
in
tutto
il
castello
e
nell’immediato
contado:
i
Piegaresi
sfogarono
malcontento
ed
odio
a
lungo
repressi,
appiccando
incendi
e
seminando
distruzione.
Guidati
da
un
certo
Cato,
i
Piegaresi,
dopo
estenuanti
lotte
con
gli
armigeri
di
guardia,
ottennero
la
meglio
e
bruciarono
e
demolirono
il
castello
dei
conti,
abbattendo
definitivamente
l’ultimo
residuo
del
dispotismo
e
della
tirannide
feudale.
Nel 1295 venne così riconquistata
la
libertà
e
vennero
creati
degli
ordinamenti
giuridico-politici
autonomi,
che
sancirono
la
nascita
del
comune,
regolato
da
precise
norme
e
limitato
solamente
dai
poteri
del
sovrano.
Solo un anno dopo però,
nel
1296,
i
Piegaresi
decisero
di
sottomettersi
all’autorità
di
Perugia
per
salvarsi
da
vicini
e
potenti
comuni,
le
cui
lotte
per
il
potere
minacciavano
la
stessa
libertà
di
Piegaro.
In
cambio
di
obblighi
e
tributi,
Piegaro
ricevette
da
Perugia
protezione
e
tutela
contro
qualunque
nemico
che
non
fosse
il
Papa
o
l’Imperatore.
Inoltre
a
Piegaro
venne
riconosciuto
il
potere
di
promulgare
leggi
ed
amministrarsi
in
maniera
autonoma
secondo
gli
Statuti
Comunali.
Dopo tale sottomissione
seguirono
diversi
decenni
di
magnifico
sviluppo,
durante
i
quali
il
progresso
fu
generale.
Vi
fu
un
incremento
della
produzione
agricola,
soprattutto
di
cereali,
viti
e
olivi,
grazie
a
nuovi
metodi
e
strumenti
per
la
coltivazione
dei
campi.
Vennero
anche
bonificate
vaste
aree
ed
inseriti
allevamenti
razionali.
Nel campo industriale
invece
troviamo,
per
la
prima
volta
in
questi
anni,
la
lavorazione
del
vetro,
che
con
il
conseguente
avvio
di
attività
commerciali
e di
traffici
interregionali,
fu
una
vera
fonte
di
lucro
per
molti
Piegaresi.
La
lavorazione
del
vetro
fu
impiantata
a
Piegaro
da
alcune
maestranze
venete,
dopo
il
decreto
del
1292,
con
il
quale
il
governo
della
Serenissima
Repubblica
di
Venezia
bandì
dalla
città
tutte
le
fornaci,
le
quali
per
la
maggior
parte
furono
trasferite
a
Murano.
La facilità di procurarsi
il
materiale
da
combustione,
data
la
grande
quantità
di
boschi
esistenti
nella
zona,
la
ricchezza
di
risorse
idriche,
le
prosperose
condizioni
politico-economiche
della
comunità
ed
infine
la
bravura
delle
maestranze
venete
ed i
pregevoli
lavori
artistici
realizzati,
furono
i
principali
fattori
che
determinarono
il
sorgere,
il
rapido
sviluppo
e la
duratura
fama
della
vetreria.
In generale i primi anni
del
1300
videro
un
progressivo
miglioramento
delle
condizioni
economiche
e
del
tenore
di
vita.
Il
paese
si
rinnovò,
le
case
in
muratura
sostituirono
quelle
in
legno
ed
acquistarono
un
maggiore
comfort.
Questa repentina ascesa
non
fu
bloccata
dalla
venuta
in
Italia
dell’imperatore
Enrico
VII
e
neppure
dalla
carestia
del
1328,
ma
con
l’arrivo
della
“peste
nera”
del
1348,
anche
il
territorio
piegarese
andò
incontro
ad
una
grave
crisi
demografica
ed
economica.
Un’ altra pericolosa
minaccia
sempre
risalente
al
XIV
secolo,
fu
costituita
dalle
compagnie
di
ventura,
composte
da
soldati
mercenari
comandati
da
prestigiosi
condottieri.
Verso
la
metà
di
marzo
del
1367,
una
delle
compagnie
che
imperversavano
più
o
meno
in
tutta
Italia,
si
trovò
nei
pressi
delle
mura
di
Piegaro
e
non
riuscendo
a
conquistare
il
castello,
assaltò
e
saccheggiò
il
territorio
circostante,
portando
ovunque
distruzione
e
morte
per
circa
quindici
giorni.
Al 1367 seguirono una
decina
di
anni
in
cui
i
territori
dell’Italia
centrale
furono
teatro
di
ribellioni
e
lotte
contro
il
potere
dello
stato
pontificio.
Il
primo
gennaio
1376
però,
i
cittadini
di
Perugia
riuscirono
a
scrollarsi
di
dosso
il
giogo
di
tale
potere
e
sull’esempio
dei
perugini,
negli
anni
successivi,
altre
ottanta
città
e
castelli,
tra
cui
anche
Piegaro,
si
ribellarono
alla
Chiesa
riconquistando
la
libertà.
Anche il 1386 fu un anno
di
grandi
tensioni
per
Piegaro
che
venne
saccheggiato
e
devastato
dai
Bretoni.
Scampato
il
pericolo
dei
Bretoni,
Piegaro,
come
tutta
l’Umbria,
fu
coinvolto,
nell’ultimo
decennio
del
1300,
nella
lotta
tra
nobili
(Beccherini)
e
popolani
(Raspanti)
che
causò
tumulti
e
disordini
più
o
meno
gravi.
Alla
fine
ebbe
la
meglio
la
parte
democratica
per
la
quale
Piegaro
aveva
sempre
parteggiato,
ma
tale
governo
durò
solo
fino
al
1400,
anno
in
cui
Perugia
ed
il
suo
contado,
per
non
cadere
di
nuovo
sotto
il
dominio
papale,
si
sottomisero
all’autorità
di
Gia
Galeazzo
Visconti.
La signoria dei Visconti
durò
fino
al
1402,
anno
in
cui
si
ebbe
l’improvvisa
morte
del
Duca.
Successivamente
la
moglie
di
Gian
Galeazzo,
Caterina,
riconsegnò
i
territori
all’autorità
pontificia
e
tutti
gli
abitanti
del
territorio
di
Perugia,
ormai
impotenti
contro
il
potere
del
Papa,
decisero
di
firmare
la
pace
con
la
Santa
Sede
nel
1403.
In seguito, nel giugno
del
1408,
per
sottrarsi
ai
danni
che
procurava
loro
il
partito
dei
nobili,
i
perugini
decisero
di
sottomettersi
a
Ladislao,
re
di
Napoli.
Alla
morte
di
quest’ultimo,
avvenuta
nel
1414,
Perugia
rimase
libera
repubblica
per
due
anni,
durante
i
quali
anche
Piegaro
godette
di
una
relativa
pace,
per
poi
cadere
sotto
il
dominio
del
famoso
condottiero
Braccio
Fortebraccio.
L’immatura morte del
grande
condottiero,
avvenuta
a
L’Aquila
nel
1424,
portò
ad
un
vuoto
di
potere
caratterizzato
dalla
lotte
tra
Oddi
e
Baglioni,
che
segnarono
la
vita
Umbra
fino
al
1540.
Tuttavia a Piegaro la
vita,
dopo
la
morte
di
Braccio
Fortebraccio,
trascorse
relativamente
tranquilla,
fino
al
1443,
quando
accadde
il
fatto
più
triste
della
sua
storia.
In
quell’anno
infatti,
un
certo
Antonio
Colella
da
Parma,
detto
Ciarpellone,
comandante
di
una
compagnia
di
ventura,
assalì
Piegaro
con
un
forte
contingente
di
uomini
armati.
Tutti
gli
abitanti
si
ritirarono
entro
le
mura
decisi
a
difendersi
fino
all’ultimo
ed
opposero
un’accanita
resistenza,
ma
dopo
alcuni
giorni
dovettero
arrendersi
alla
furia
degli
assalitori.
Quest’ultimi,
dopo
aver
aperto
un
varco
nelle
mura
perimetrali,
riuscirono
a
penetrare
all’interno
e
diedero
alle
fiamme
il
castello
dopo
averlo
orrendamente
saccheggiato.
Come
se
non
bastasse,
i
Piegaresi
superstiti
furono
fatti
prigionieri
e
trasferiti
a
Cortona
in
attesa
del
pagamento
di
riscatto
da
parte
di
Perugia,
che
avvenne
nell’agosto
del
1443.
Anche in seguito a tale
tragico
evento
i
Piegaresi
non
si
arresero
e
soprattutto
grazie
alle
agevolazioni
ed
ai
contributi
elargiti
dalla
città
di
Perugia,
intrapresero
una
laboriosa
opera
di
ricostruzione,
che
consentì
a
Piegaro
di
ritornare,
in
pochi
decenni,
centro
prosperoso
e
fiorente.
A questa rinascita contribuì
in
maniera
determinante
la
ripresa
dell’attività
vetraria,
la
quale,
mediante
l’uso
di
nuovi
accorgimenti
tecnici,
non
solo
poté
aumentare
la
produzione
e
far
fronte
alle
accresciute
richieste
ma
diede
anche
lavoro
ad
un
gran
numero
di
operai,
incrementando
il
benessere
interno
e
diffondendo
la
fama
del
castello.
Tale situazione si mantenne
abbastanza
stabile
per
vari
decenni
durante
i
quali
le
minacce,
non
molto
pericolose
per
Piegaro,
arrivarono
da
problemi
generali
che
videro
coinvolta
l’intera
Italia.
Le
tensioni
furono
causate
in
particolar
modo
dalla
“congiura
dei
Pazzi”
a
Firenze
(1478)
e
dalla
forte
instabilità
politica
che
caratterizzava
l’intero
territorio
italiano.
Gli eventi si evolsero
poi,
in
seguito
all’elezione
di
Papa
Giulio
II,
il
quale
intraprese
un’incisiva
azione
politica
e
militare
contro
le
signorie
della
Romagna
e
dell’Umbria,
strappando
Perugia
alla
famiglia
dei
Baglioni.
Da ricordare sono le
calamità
che
si
abbatterono
nel
territorio
di
Perugia
nel
1538,
le
quali
misero
in
crisi
l’intera
economia
della
zona.
Secondo
i
cronisti
dell’epoca,
il 7
luglio
vi
fu
una
terribile
grandinata,
con
chicchi
grossi
come
noci,
che
distrussero
i
raccolti
di
viti
ed
olivi.
Il
26,
27 e
28
dicembre
caddero
oltre
60
centimetri
di
neve
e
l’intenso
freddo
che
seguì
seccò
le
piante
ed i
generi
alimentari
iniziarono
a
scarseggiare.
Dopo
la
terribile
gelata
non
piovve
più
fino
al
marzo
successivo
e
poi,
per
oltre
un
mese,
si
ebbero
piogge
quasi
ininterrotte.
La situazione si aggravò
con
l’elezione
di
papa
Paolo
III.
Egli
nel
1539,
per
coprire
le
ingenti
spese
militari
dello
Stato
pontificio,
aumentò
le
richieste
fiscali
nel
territorio
perugino,
creando
un
generale
malcontento
che
sfociò
in
quella
che
venne
chiamata
la
“guerra
del
sale”,
la
quale
vide
la
Santa
Sede
prevalere
sui
ribelli.
In
questi
eventi,
paradossalmente
Piegaro
ebbe
dei
risvolti
più
che
positivi.
Infatti
Paolo
III,
durante
il
suo
pontificato,
per
cinque
volte
si
fermò
a
soggiornare
a
Piegaro
e
grato
per
le
tante
dimostrazioni
di
affetto
e
simpatia
tributategli
dagli
abitanti,
esentò
lo
stesso
paese,
per
ben
diciotto
anni,
dal
pagamento
di
alcuni
tributi.
A Paolo III successe poi
Giulio
III
nel
1549,
il
quale
restituì
alla
città
di
Perugia
ed
al
suo
contado,
le
vecchie
magistrature
e
tutti
i
privilegi
tolti
dal
pontefice
precedente.
Le condizioni civili ed
economiche
migliorarono
soprattutto
con
il
pontificato
di
Sisto
V,
iniziato
nell’aprile
del
1585.
Egli
riportò
l’ordine
e la
tranquillità
nei
territori
della
Chiesa,
riorganizzando
l’amministrazione
della
curia
romana
e
reprimendo
il
brigantaggio.
Di
conseguenza
migliorò
anche
il
tenore
di
vita
dei
piegaresi.
In
particolare
la
vetreria
raggiunse,
verso
la
fine
del
1500,
la
sua
massima
efficienza,
sfornando
non
solo
una
vasta
gamma
di
ordinari
prodotti,
in
grado
di
soddisfare
tutte
le
richieste,
ma
anche
una
serie
di
articoli,
molto
validi
artisticamente,
che
andarono
ad
abbellire
i
palazzi
e le
chiese,
frutto
del
mecenatismo
rinascimentale
di
principi
e
papi.
Lo
sfarzo
delle
corti,
le
meravigliose
basiliche
e
gli
artistici
palazzi
comunali,
che
erano
sorti
numerosi
nell’Italia
centrale,
diedero
non
poche
occasioni
alle
maestranze
piegaresi
di
esercitare
la
propria
arte
al
servizio
della
religione
e
dei
bisogni
civili.
La pace durò poco più di
mezzo
secolo
in
quanto
un
nuovo
conflitto,
scoppiato
nel
1642
tra
il
papa
Urbano
VIII
e i
principi
di
Parma,
Modena
e
Toscana,
sostenuti
da
Venezia,
portò
scompiglio
nei
territori
dell’Italia
centrale.
Fortunatamente
Piegaro
subì
danni
minimi,
anche
perché
provvide
velocemente
al
pagamento
del
denaro
richiesto
dai
nemici.
Lo Stato della Chiesa
versava
ormai
in
tristi
condizioni
e
nonostante
i
tentativi
di
alcuni
pontefici,
come
Benedetto
XIV
eletto
papa
nel
1740,
che
cercarono
di
risollevarne
le
sorti,
la
situazione
rimase
precaria
a
causa
della
gravissima
crisi
politica
e
finanziaria.
Tuttavia i piegaresi non
si
lasciarono
vincere
dall’inerzia,
ma
unirono
tutte
le
loro
forze
per
evitare
il
decadimento
della
vetreria,
causato
dall’importazione
di
vetro
artistico
estero,
proveniente
soprattutto
dalla
Boemia.
Inoltre,
in
campo
agricolo,
furono
intensificate
le
colture,
diffuse
nuove
piante
e
migliorato
il
rendimento
del
suolo.
Tali
innovazioni
portarono
ad
una
maggiore
produzione
di
cereali
e di
carne,
che
risultarono
indispensabili
per
sopperire
ai
bisogni
di
una
popolazione
in
continuo
aumento,
che
nel
1790,
superò
addirittura
la
2500
unità.
Verso la fine del 1796
il
governo
pontificio
inviò
a
tutti
i
comuni
dettagliate
istruzioni
per
organizzare
la
difesa
del
territorio
nell’eventualità
di
un
invasione
delle
truppe
francesi.
Così
anche
Piegaro
dovette
tutelarsi
con
il
reclutamento
di
una
compagnia
di
fanti
appositamente
inviati
da
Perugia.
Ma
le
difese
dello
Stato
pontificio
non
si
rivelarono
valide
e
dovettero
soccombere
all’assalto
dei
francesi
già
nel
febbraio
del
1797.
Un
anno
dopo
le
truppe
francesi
entrarono
a
Roma
e
dichiararono
decaduto
il
potere
temporale
del
papa.
Il
vecchio
stato
pontificio
si
trasformò
nella
Repubblica
Romana
ed
il
territorio
fu
diviso
in
dipartimenti
e
cantoni,
per
cui
Piegaro
fu
incluso
nel
cantone
di
Città
della
Pieve,
circondario
di
Perugia,
dipartimento
del
Trasimeno.
Tali avvenimenti, anche
tra
i
piegaresi,
portarono
un’enorme
ondata
di
euforia
dovuta
ai
nuovi
ideali
di
libertà
ed
uguaglianza:
furono
abbattuti
gli
stemmi
pontifici
ed
entrarono
in
funzione
il
sindaco
e
dei
nuovi
consiglieri
comunali.
Queste strutture amministrative,
comprese
le
suddette
divisioni
territoriali,
rimasero
in
auge
fino
al
1815,
anno
in
cui
Napoleone
venne
definitivamente
sconfitto
a
Waterloo.
Con la Restaurazione, il
territorio
perugino
si
trovò
di
nuovo
sottomesso
all’autorità
dello
stato
pontificio,
ma
la
gran
parte
della
popolazione
aveva
ormai
idee
liberali
ed
era
decisa
a
ribellarsi
alle
riforme
assolute
e
repressive
del
pontefice.
Anche
Piegaro
fu
un
vivace
centro
liberale
e
molti
abitanti,
per
manifestare
le
proprie
idee,
andarono
incontro
a
denuncie
e
condanne.
Le speranze dei patrioti
sembrarono
risorgere
con
l’elezione
del
nuovo
pontefice
Pio
IX,
nel
1846,
il
quale
diede
il
via
ad
una
politica
ampliamente
riformatrice,
ma
anche
questa
speranza
venne
presto
disillusa,
con
la
fuga
a
Gaeta
dello
stesso
papa,
che
non
si
associò
alla
guerra
d’indipendenza
contro
l’Austria.
L’ondata patriottica non
era
però
destinata
a
spegnersi
così
facilmente
perché
l’obiettivo
dell’unità
d’Italia
era
ormai
entrato
nella
coscienza
di
larghi
strati
della
popolazione
e
venne
raggiunto
il
18
marzo
1861,
con
la
proclamazione
di
Vittorio
Emanuele
II
re
d’Italia.
Nei primi anni di vita
unitaria
il
governo
nazionale
dovette
emanare
una
serie
di
provvedimenti
atti
ad
unificare
il
paese
dal
punto
di
vista
pratico.
Anche
Piegaro
si
impegnò
per
eliminare
tutti
i
propri
punti
deboli:
furono
aperte
scuole
gratuite
per
eliminare
l’analfabetismo,
venne
migliorata
la
rete
stradale,
estese
le
comunicazioni
telegrafiche
e
telefoniche,
istituite
le
guardie
municipali,
nominati
pubblici
spazzini
e
costituito
un
idoneo
sistema
di
fognature.
Nel
1873
venne
costruito
il
nuovo
palazzo
municipale
e
nel
1911
venne
portato
a
termine
l’acquedotto
pubblico.
La prima guerra mondiale
non
arrecò
gravi
danni
a
Piegaro,
al
contrario
di
ciò
che
fece
il
secondo
conflitto
mondiale.
Le
truppe
tedesche
infatti,
mentre
risalivano
la
penisola
incalzate
da
quelle
anglo-americane,
invasero
Piegaro
il
17
giugno
del
1944,
dopo
tre
giorni
di
accanita
resistenza
dei
piegaresi
stessi.
Dopo
il
passaggio
dei
tedeschi,
Piegaro
era
diventato
un
vero
e
proprio
paese
fantasma.
La ripresa fu lenta e
difficile
malgrado
la
collaborazione
ed i
sacrifici
di
tutti
i
cittadini.
Venne
anche
riattivata
la
vetreria
per
cercare
di
ridurre
la
disoccupazione
e
risollevare
l’economia.
Verso la fine degli anni
cinquanta,
in
seguito
alla
crescita
industriale
ed
al
rapido
sviluppo
economico,
iniziò
l’espansione
al
di
fuori
delle
antiche
mura,
che
si
orientò
soltanto
sul
lato
sud,
accogliendo
la
numerosa
massa
rurale.
Il centro storico perse
gradualmente
importanza,
anche
a
causa
della
diminuzione
demografica,
anche
se
sembra
che
le
tendenze
attuali
siano
orientate
verso
una
totale
rivalorizzazione
del
territorio
e
delle
strutture
storiche
comprese
entro
le
antiche
mura.