N. 26 - Febbraio 2010
(LVII)
CINA: NASCITE "pianificate"
MENTALITà E COERCIZIONE
di Cristiano Zepponi
L'establishment
comunista,
una
volta
insediatosi
al
potere
-
nel
corso
del
1949
- si
trovò
ad
affrontare
il
problema
della
popolazione,
che
in
tutto
il
mondo
cominciava
ad
essere
avvertito
come
prioritario
e
urgente.
All'inizio,
in
un
Paese
stremato
dalla
guerra
civile,
Mao
sembrò
avallare
la
crescita
demografica:
"E'
da
considerarsi
positivo
il
fatto
che
la
Cina
abbia
una
vasta
popolazione.
Anche
se
la
popolazione
della
Cina
dovesse
moltiplicarsi
molte
volte,
essa
sarebbe
pienamente
in
grado
di
trovare
una
soluzione
ai
problemi
posti
dal
suo
incremento;
la
soluzione
sta
nella
produzione
[...].
Rivoluzione
più
produzione
possono
risolvere
il
problema
di
alimentare
la
popolazione".
Il
tempo
delle
preoccupazioni
venne,
invece,
di
lì a
qualche
anno.
Nel
corso
del
1953,
infatti,
i
risultati
del
nuovo
Censimento
spinsero
Zhou
Enlai,
capo
del
governo,
a
pronunciarsi
favorevolmente
sul
controllo
delle
nascite,
"per
proteggere
le
donne
e i
bambini
e
per
crescere
ed
educare
le
nostre
generazioni
più
giovani
in
modo
tale
da
garantire
la
salute
e la
prosperità
della
nazione".
Il
primo,
embrionale
programma
di
questo
genere,
tuttavia,
prese
corpo
negli
anni
sbagliati:
quelli
del
"Grande
salto
in
avanti"
(1958-1959),
e
degli
ambiziosi
programmi
produttivi
che
mal
si
combinavano
con
le
prudenze
in
campo
demografico
di
cui
sopra;
e
per
questo
la
sua
attuazione
risultò
frenata
e
parziale.
Fu
il
fallimento
del
"Grande
salto"
-
con
il
suo
corredo
di
cattivi
raccolti,
carestie,
mortalità
eccezionale
- a
restituire
credibilità
ai
fautori
della
pianificazione
familiare:
in
questo
senso,
dopo
il
1961,
fu
creato
un
apposito
Dipartimento
-
dando
il
via
ad
una
seconda
campagna
incentrata
sulla
spirale
e
sul
ritardo
del
matrimonio.
Stavolta,
però,
fu
la
"Rivoluzione
culturale"
a
sospendere,
e
affondare,
i
tentativi
di
ricorrere
a
politiche
demografiche
di
contenimento
della
popolazione,
che
secondo
i
dati
delle
Nazioni
Unite
era
passata
da
555
a
831
milioni
di
abitanti
nei
vent'anni
compresi
tra
il
1950
ed
il
1970
(United
Nations,
World
Population
Prospects.
The
2004
Revision).
La
terza
campagna
fu
avviata
nel
corso
del
1971.
Basata
su
tre
pilastri
principali
-
matrimonio
ritardato,
23
anni
in
campagna
e 25
in
città;
maggiore
intervallo
tra
le
nascite,
4
anni
almeno
tra
il
primo
e il
secondo;
minor
numero
di
figli,
non
più
di 2
in
città
e 3
in
campagna
-
ottenne
un
certo
successo;
specie
grazie
all'introduzione
del
sistema
delle
quote
programmate
di
nascite,
in
base
al
quale
il
governo
cinese
iniziò
a
stabilire
obiettivi
numerici
annuali
in
ciascuna
provincia,
trasformati
in
quote
di
nascite
dalle
autorità
provinciali
e
prefettizie
e
successivamente
distribuite
da
quest'ultime
tra
le
prefetture
e le
contee
sottoposte:
riunioni
delle
coppie
intenzionate
ad
avere
figli
con
i
responsabili,
all'ultimo
anello
della
catena,
stabilivano
infine
il
diritto
alla
gravidanza
nell'anno
venturo.
La
spirale
(metà
delle
coppie)
e la
sterilizzazione
(1/3)
costituivano
i
metodi
più
utilizzati,
seguiti
dagli
steroidi
e
dall'aborto,
ottenibile
gratuitamente
e
senza
il
consenso
del
marito.
Dal
'76
in
poi,
con
la
morte
del
"Grande
Timoniere"
Mao,
gli
obiettivi
demografici
divennero
più
ambiziosi
ed
espliciti:
la
riduzione
dell'incremento
demografico
divenne
una
delle
condizioni
essenziali
per
la
modernizzazione
economica
e
sociale
del
Paese.
Sulle
prime,
gli
obiettivi
da
raggiungere
furono
fissati
nei
termini
del
5
per
mille
nel
1985
e
della
crescita
zero
nel
2000,
e
successivamente
puntualizzati
da
Hua
Guofeng,
presidente
del
Partito,
nella
soglia
di
1200
milioni
di
abitanti
nel
2000.
Per
raggiungerli
fu
imposta
la
limitazione
delle
nascite
ad
un
solo
figlio
per
coppia
(con
alcune
eccezioni
per
le
minoranze
etniche,
le
regioni
di
confine,
le
coppie
con
situazioni
particolari
etc.),
incentivata
con
alcuni
meccanismi
specifici:
tra
questi,
primeggiava
il
"Certificato
per
il
figlio
unico",
rilasciato
dalle
autorità
locali
in
cambio
dell'impegno
a
non
concepire
il
secondo
figlio,
che
assicurava
alla
coppia
benefici
salariali,
pensionistici,
abitativi,
assistenziali.
Al
contrario,
furono
istituite
alcune
penalità
per
le
coppie
che
rifiutavano
di
limitare
le
nascite.
Massicciamente
sostenuta
dai
mezzi
(coercitivi,
tra
gli
altri)
del
regime
fino
al
1983,
contestata
a
più
riprese,
la
campagna
riprese
vigore
nella
seconda
metà
degli
anni
'80
per
poi
allentarsi
progressivamente
di
fronte
al
fallimento
degli
obiettivi
indicati
(in
seguito
al
censimento
del
1990,
che
enumerò
1.134
milioni
di
cinesi)
ed
alla
resistenza
della
popolazione;
molti
indizi,
infatti,
denunciano
da
quel
periodo
un
"ammorbidimento"
dei
vincoli,
tra
cui
spicca
l'estensione
del
diritto
delle
coppie
ad
avere
figli
nelle
aree
rurali,
specie
nei
casi
in
cui
il
primo
nato
fosse
femmina.
Lo
smantellamento
delle
comuni
collettive,
strumento
delle
politiche
di
pianificazione
familiare,
e
più
in
generale
il
processo
di
liberalizzazione
economica/attenuazione
del
controllo
pubblico
arrestò
il
declino
della
fecondità
avviato
in
precedenza;
e
tuttavia,
dagli
inizi
degli
anni
'90,
i
dirigenti
cinesi
rinnovarono
l'impegno
a
favore
della
politica
del
figlio
unico,
rafforzando
incentivi
e
penalizzazioni,
consolidando
politiche
di
pianificazione
etc.
Secondo
la
politica
attuale,
la
regola
del
figlio
unico
è
applicata
strettamente
nelle
popolazioni
urbane
e in
sei
province
sotto
la
giurisdizione
del
governo
centrale
(tra
cui
Beijing,
Shanghai,
Tianjin),
coprendo
il
35%
della
popolazione
totale.
Oggi
che
la
bassa
fecondità
è
stata
raggiunta
vari
elementi
consigliano
di
smobilitare
gradualmente
le
politiche
coercitive:
gran
parte
delle
coppie
giovani,
infatti,
si
orientano
autonomamente
verso
un
numero
ridotto
di
figli;
il
rapido
invecchiamento
della
popolazione,
che
subirà
una
notevole
accelerazione
nei
prossimi
decenni,
rischia
di
causare
gravi
difficoltà
contributive
e
pensionistiche.
Ma
soprattutto
la
politica
del
figlio
unico,
combinata
con
la
propensione
della
cultura
Han
a
privilegiare/incentivare
la
nascita
di
figli
maschi
e
con
l'avvento
dei
moderni
sistemi
diagnostici
in
grado
di
determinare
il
sesso
del
nascituro
(cui
spesso
consegue
il
ricorso
all'aborto
selettivo),
ha
causato
uno
squilibrio
profondo
nel
rapporto
di
genere
( i
dati
parlano
di
un
rapporto
di
120
maschi
ogni
100
femmine,
contro
una
norma
di
105/106).
Ne
derivano
vari
fenomeni
demografici,
tra
cui
l'importazione
di
donne
(=
schiave)
dai
Paesi
limitrofi
(in
primis
dalla
Corea
del
Nord),
per
ovviare
alla
cronica
mancanza
in
Cina.
A
questa
tratta
delle
Sabine,
come
a
molti
altri
prodotti
della
coercizione
e
della
mentalità,
occorrerà
quindi
porre
rimedio
al
più
presto.