PIANETA VIVENTE
Sull’origine e lo sviluppo della
vita sulla terra
di Francesco Cappellani
Evidenze di vita nel nostro pianeta
risalgono a oltre 3,4 miliardi di
anni fa, cioè circa un miliardo di
anni dopo la nascita della terra,
fino a circa 4 miliardi di anni fa,
quando si venne a formare la prima
crosta terrestre solida, come
testimoniano i ritrovamenti di
microbi, cioè di organismi
unicellulari, fossilizzati in rocce
di quell’epoca.
La prima prova fisica di vita
trovata a oggi consiste in
microbialiti (rocce costituite da
comunità di batteri che legano
particelle sedimentarie formando
depositi minerali) nella cintura di
rocce verdi di Nuvvuagittuq nel
Quebec settentrionale risalenti a
3,77-4,32 miliardi di anni fa.
Questi microorganismi vivevano
all’interno di sorgenti idrotermali
ritenute per le loro caratteristiche
(gradienti di temperatura, valore pH
dell’acidità, disponibilità di
minerali inorganici) un luogo ideale
per l’abiogenesi, cioè l’origine
della vita da materia non vivente,
in quanto simili ai moderni batteri
presenti nei camini idrotermali. Si
tratta di cellule primitive, molto
semplici perché prive di un nucleo
centrale e delle strutture
specializzate come i mitocondri che
ne costituiscono la centrale
energetica, poi assimilate da
cellule più complesse chiamate
eucariote, dotate di un sistema di
membrane interne che isolano un
nucleo e organelli cellulari.
Le cellule eucariote formano la
materia vivente di piante e animali,
e datano a circa 1,5 miliardi di
anni fa. Per circa un altro miliardo
di anni queste cellule, anche
aggregandosi per costituire
organismi multicellulari, rimasero
praticamente ferme a uno stadio
preevolutivo, e solo circa 540
milioni di anni fa, nel Cambriano,
si ebbe una improvvisa
proliferazione di forme di vita
pluricellulare che ha portato alle
specie viventi di oggi. Si parla di
“esplosione Cambriana” che ha
prodotto una incredibile
diversificazione delle forme di vita
passando dagli organismi semplici e
unicellulari precedenti, che
vivevano isolati o riuniti in
piccole colonie, agli organismi
multicellulari successivi con una
biodiversità simile a quella
attuale. Fu un evento assolutamente
eccezionale, e non si sa come e
perché si sia verificato anche se
recenti studi, peraltro molto
dibattuti, legano l’evento a
fluttuazioni della percentuale di
ossigeno nell’atmosfera terrestre.
Sappiamo quindi oggi con buona
approssimazione, grazie agli studi
sui residui fossili, quando è nata
la vita sul nostro pianeta, ma su
come si sia originata non c’è ancora
una risposta definitiva anche perché
l’emergere della vita è strettamente
connesso con le caratteristiche
chimico-fisiche della Terra di 4
miliardi di anni fa che possiamo
soltanto ipotizzare. Per secoli, se
non per millenni, si attribuì
l’inizio della vita all’opera di un
qualche ente superiore, un Dio, che
aveva creato dalla materia inerte o
dal nulla ogni essere vivente. Ad
esempio la Genesi recita “In
principio Dio creò il cielo e la
terra” e prosegue parlando della
creazione di pesci e uccelli e di
“esseri viventi secondo la loro
specie: bestiame, rettili e bestie
selvatiche”.
Una diversa attenzione al problema
della biogenesi avviene grazie a
Charles Darwin che il 24 novembre
1859 pubblica il saggio On the
Origin of Species by Means of
Natural Selection (Sull’origine
delle specie per mezzo della
selezione naturale), riscuotendo
un enorme successo al punto che la
prima edizione viene esaurita il
giorno stesso della presentazione.
Darwin pone le basi per il concetto
di evoluzionismo biologico, secondo
il quale le specie complesse sono
derivate, nel corso di periodi
temporali anche molto lunghi, da
specie primarie più semplici a loro
volta evolutesi da un antenato
comune. Pur non definendosi ateo,
nel 1879 aveva infatti scritto “la
descrizione più esatta del mio stato
di spirito è quella dell’agnostico”
in quanto reputava impossibile
trovare nella scienza prove
conclusive pro o contro l’idea del
Dio creatore, sosteneva che
l’evoluzione era spiegabile come
risultante da una legge naturale e
non in termini mistici e
soprannaturali.
In una lettera a Joseph Dalton
Hooker del 1871, azzardò anche
l’ipotesi che la vita sulla terra
potesse avere avuto un’origine
evolutiva prebiotica, generandosi in
un “piccolo e tiepido stagno,
contenente ammoniaca e sali
fosforici, luce, calore, elettricità
etc, in modo che una proteina fosse
chimicamente prodotta pronta per
subire nuovi e più complessi
cambiamenti”. In altre parole
l’abiogenesi potrebbe derivare, in
particolari condizioni ambientali,
da composti organici, cioè
contenenti atomi di carbonio uniti
ad altri elementi come idrogeno,
ossigeno e azoto, per
successivamente evolversi in modo
graduale verso sistemi sempre più
complessi.
Darwin subì feroci attacchi da parte
della Chiesa Anglicana per avere
contraddetto la Bibbia, tuttavia nel
2009, a duecento anni dalla sua
nascita, la Chiesa d’Inghilterra si
è scusata ufficialmente per non
avere inteso correttamente il senso
della teoria dell’evoluzione,
aggiungendo che si è deciso di fare
un gesto simile a quello che la
Chiesa Cattolica, dopo ben 350 anni,
ha fatto scusandosi per l’errore
commesso con Galileo Galilei.
L’idea di un’origine spontanea della
vita accennata da Darwin fu ripresa
oltre 70 anni dopo dal biochimico
russo Alexander Ivanovic Oparin nel
suo libro L’origine della vita
pubblicato nel 1924. Oparin immagina
una prima fase di evoluzione chimica
in un ambiente primitivo
caratterizzato da assenza di
ossigeno e abbondanza di idrogeno in
presenza, nell’atmosfera e nelle
acque, dei quattro elementi chimici,
idrogeno, ossigeno, carbonio e
azoto, che oggi costituiscono il 95%
dei tessuti degli organismi viventi.
La presenza di energia sotto forma
di scariche elettriche, calore,
radioattività e radiazione solare
avrebbe catalizzato la formazione di
molecole complesse nelle zone
d’acqua del nostro pianeta
costituendo una sorta di “brodo
primordiale”. La concentrazione
successiva di queste molecole in
aggregati avrebbe dato origine alla
evoluzione prebiologica con la
formazione di microsistemi che
sarebbero i precursori del mondo
vivente.
Praticamente ignorata dal mondo
scientifico, l’ipotesi di Oparin fu
ripresa nel 1952 da un giovane
dottorando dell’Università di
Chicago, Stanley Miller, e dal suo
professore Harold Urey, premio Nobel
per la Chimica nel 1934, che la
sottoposero a una verifica
sperimentale. Ricreando in
laboratorio le condizioni che si
supponeva esistessero
originariamente sulla terra (acqua
bollente per riprodurre i caldi
oceani primitivi, idrogeno,
ammoniaca e metano), osservarono
che, a seguito di scariche
elettriche che simulavano l’azione
dei fulmini, si formavano
spontaneamente alcune biomolecole,
cioè dei composti chimici come gli
aminoacidi, i componenti
fondamentali di tutti gli organismi
viventi in quanto formano le
proteine che controllano la gran
parte dei processi biochimici del
nostro corpo.
Miller pubblicò questi risultati nel
1953 sulla rivista “Science” a suo
nome in quanto Urey, caso rarissimo
nel mondo scientifico, volle
lasciare al suo giovane allievo
tutto il credito della scoperta.
L’impatto di questo articolo sul
mondo scientifico e non solo, fu
enorme. Anche se in seguito
ulteriori studi mostrarono che
l’atmosfera primigenia della terra
aveva una composizione diversa da
quella simulata da Miller, tuttavia
l’idea che si potessero generare
molecole biologiche da insiemi di
atomi di elementi assai comuni e
abbondanti in natura, stimolò la
convinzione che il mistero
dell’origine della vita fosse
prossimo alla soluzione.
Infatti si pensava che in
laboratorio, usando aminoacidi e
nucleotidi (le molecole che
compongono gli acidi nucleici DNA e
RNA) si potessero assemblare le
lunghe catene che sono alla base
della nostra vita, cioè
macromolecole come le proteine, il
DNA e l’RNA, cioè gli acidi nucleici
depositari dell’informazione
genetica e della sua trasmissione,
nonché responsabili della sintesi
delle proteine indispensabili per la
vita degli organismi. Col progredire
degli studi sia teorici che
sperimentali ci si è resi conto che
il fenomeno “vita” era qualcosa di
estremamente più complesso di quanto
si fosse immaginato.
Nelle parole del genetista Michael
Denton, il salto tra il mondo non
vivente e il vivente “rappresenta la
più drammatica e fondamentale fra
tutte le discontinuità della natura.
Tra una cellula vivente e i sistemi
non biologici di ordine più elevato
come un cristallo o un fiocco di
neve, vi è il baratro più ampio e
assoluto che si possa concepire” (Denton
1986).
Le cellule, cioè le unità
fondamentali di ogni organismo
vivente in quanto in grado di vivere
autonomamente e soprattutto di
riprodursi, non sono dei semplici
contenitori di prodotti chimici, ma
sono delle minuscole macchine
incredibilmente complicate nel cui
interno si svolgono con un ritmo
frenetico quei processi
chimico-fisici che danno origine
alle molecole biologiche. Una
cellula contiene all’interno della
sua membrana decine di milioni di
proteine di migliaia tipi diversi
“eppure l’intera cellula è tanto
piccola che se ne potrebbero
collocare un paio di centinaia sul
puntino di questa lettera “i”. La
cellula è incessantemente
produttiva, mentre le sue catene di
montaggio microminiaturizzate
producono le loro quote infinite di
macchine proteiche” (Lennox 2009).
Gli enormi progressi compiuti negli
ultimi decenni nella ricerca
biochimica e nelle tecnologie di
indagine, hanno condotto alla
formulazione di diverse teorie sui
meccanismi di aggregazione degli
aminoacidi per formare molecole
complesse in grado di autoreplicarsi,
e sull’integrazione in una cellula
biologica del materiale genetico, ma
non hanno ancora chiarito in modo
conclusivo il mistero dell’origine
della vita sulla terra. Negli anni
60 gli scienziati hanno cominciato a
pensare a una origine della vita
molto più elementare, cioè
antecedente la formazione delle
cellule, delle proteine e del DNA,
proponendo “un’era ipotetica in cui
piccole molecole filamentose di RNA
governavano la Terra primordiale e
stabilivano le dinamiche
dell’evoluzione darwiniana”.
Un grande passo avanti avviene agli
inizi degli anni 80 quando Thomas
Cech e Sidney Altman, premi Nobel
nel 1989, dimostrano che alcune
molecole di RNA denominate ribozimi
o enzimi catalitici o a RNA, sono in
grado di svolgere diverse attività
biologiche, sia custodire
informazioni genetiche che agire
similmente agli enzimi, che sono
costituiti da proteine, come
catalizzatori di reazioni chimiche.
La possibilità che queste molecole
RNA oltre a codificare informazioni
ereditarie, possano catalizzare la
propria auto-replicazione a
differenza del DNA che per
replicarsi necessita di enzimi
proteici e primer di RNA (un
filamento di RNA che funge da
innesco) ha portato a pensare che
possano essere state le prime
molecole originali ereditarie,
precedenti al DNA.
Ammesso che le molecole di RNA
catalitiche si siano assemblate nel
brodo primordiale in presenza di
nucleotidi in grado di formare
facilmente legami chimici tra loro ,
in seguito avrebbero potuto
replicarsi senza proteine e
procedere con una evoluzione
molecolare identica all’evoluzione
biologica per selezione naturale,
arrivando a strutture più complesse
come le protocellule. La formazione
successiva del DNA, che conserva
meglio le informazione generiche
grazie alle sue due catene
complementari di nucleotidi avvolte
a spirale contro la singola catena
dell’RNA, porterà tutta la vita
cellulare sulla terra a basarsi sul
DNA per immagazzinare e trasmettere
le informazioni genetiche.
Si parla di RNA World, cioè le prime
forme di vita sarebbero derivate da
questa molecola partendo da una
chimica prebiologica e arrivando
alla formazione di grandi molecole,
costituite soltanto da acido
ribonucleico, capaci di replicarsi e
differenziarsi nei processi
evolutivi con la nascita di
protoorganismi e cellule dotate di
DNA. Questa teoria è stata validata
da un studio recentissimo del Salk
Institute for Biological Studies a
La Jolla in California (Papastavrou,
Horning, Joyce 2024) che riporta la
costruzione per la prima volta,
mediante tecniche di evoluzione
molecolare in vitro, di molecole
chiamate ribozimi dell’RNA
polimerasi che oltre a replicare
molecole di RNA, possono
sintetizzarne di funzionali e con
strutture complesse in modo
autonomo, cosa finora mai ottenuta
in laboratorio.
Durante lo studio si è osservato che
quando i ribozimi dell’Rna
polimerasi “di qualità” cominciavano
a divenire più efficienti nel
copiare l’Rna, riuscivano a
evolversi e a migliorare sempre di
più, mentre i ribozimi di qualità
inferiore copiavano l’Rna in modo
inesatto, allontanandosi così dal
processo di evoluzione. In una
dichiarazione al Washington Post,
Gerald Joyce, direttore del Salk
Institute e coautore dello studio
che riassume un lavoro di oltre 10
anni, ha detto: «Questa è la strada
per capire come la vita possa
nascere in laboratorio o, in linea
di principio, in qualsiasi parte
dell’universo. Il punto centrale è
che, alla fine, l’evoluzione
darwiniana ha iniziato a funzionare
e a un certo punto della storia
della vita l’Rna ha svolto il ruolo
cruciale di contenere le
informazioni genetiche e di
accelerare le reazioni chimiche
necessarie per creare copie di
queste informazioni».
I risultati ottenuti fanno sperare
che i nuovi studi ed esperimenti in
corso relativi non solo all’RNA ma
anche a elementi costitutivi della
vita come gli aminoacidi, possano
portare a decifrare la creazione
della vita sul nostro pianeta. Resta
comunque arduo comprendere come la
vita si possa essere evoluta
basandosi su proteine e acidi
nucleici formati da lunghe catene
rispettivamente di aminoacidi e di
nucleotidi, ordinati in sequenze
precise, esattamente nei punti
giusti della catena. In altre
parole, prendendo ad esempio le
proteine, non possono essere
fabbricate mescolando nelle giuste
proporzioni gli aminoacidi di
partenza perché questi vanno
ordinati in successioni
perfettamente codificate e non in
modo casuale, allo stesso modo che
un insieme di lettere dell’alfabeto,
se ciascuna lettera non occupa il
suo posto corretto sulla riga, non
forma una parola e tantomeno una
successione sensata di parole, cioè
una frase o un discorso.
Calcoli recenti eseguiti con
programmi di generazione di numeri
casuali hanno dimostrato che i
processi puramente casuali non sono
in grado di spiegare l’origine di
sistemi estremamente complessi e
ricchi di informazione come i
sistemi biologici vitali. Appare
chiaro che, anche se i tempi di
evoluzione biotica sono stati
lunghissimi, di miliardi di anni,
permettendo così di “provare” ogni
possibile combinazione, è difficile
immaginare come si siano potute
formare catene perfettamente
identiche tra loro con una sequenza
precisamente ordinata e definita dei
componenti.
Si è pensato anche all’evenienza di
processi di autorganizzazione,
appoggiandosi alle teorie sul caos
del Premio Nobel Ilya Prigogine
dove, in sistemi termodinamici
lontani dal punto di equilibrio, è
possibile che si realizzi
spontaneamente una situazione di
ordine e organizzazione dal caos e
dal disordine. Ma si è visto che la
nascita della vita non è
paragonabile alla realizzazione di
un tipo di ordine come quello che
ammiriamo in un cristallo o in un
nido d’ape ma deriva da un
ordinamento complesso degli
aminoacidi, da una organizzazione
diretta geneticamente seguendo le
istruzioni codificate nel DNA (il
DNA, cioè l’acido
desossiribonucleico è costituito da
nucleotidi la cui disposizione
sequenziale costituisce
l’informazione genetica che poi, con
un processo di trascrizione, è
acquisita da un’altra molecola,
l’RNA, che “traduce” il codice
genetico negli aminoacidi che
formano le proteine).
Paul Davies spiega che “finora la
teoria dell’autorganizzazione non ha
dato indicazioni su come sarebbe
avvenuto il passaggio tra
l’organizzazione spontanea o auto
indotta (che anche nei più elaborati
esempi non viventi riguarda comunque
strutture relativamente semplici), e
il complesso sistema genetico basato
sull’informazione tipico dei
viventi” (Davies 2000). Il DNA, che
in sé non è qualcosa di vivente, è
indispensabile per la vita in quanto
il suo contenuto di informazioni è
la banca dati non solo delle
informazioni genetiche ma anche dei
programmi per creare prodotti come
le proteine.
Il DNA, che ha le dimensioni di
qualche miliardesimo di metro, è
strettamente raggomitolato
all’interno del nucleo delle singole
cellule in quanto disteso sarebbe
lungo circa due metri, e se
consideriamo che ad esempio nel
corpo umano ci sono parecchie decine
di migliaia di miliardi di cellule,
si ha l’idea di come sia
incredibilmente sterminata la
quantità di dati presenti. Alcune
ipotesi sull’origine della vita
hanno proposto, come abbiamo
accennato, un modello iniziale che
va dall’RNA al DNA e poi alla vita.
Considerando che, come dice Bill
Gates, il DNA è un programma
informatico enormemente più avanzato
di qualsiasi software mai creato
dall’uomo a oggi, dal momento che ad
esempio una generica molecola di DNA
umano, cioè la sequenza dei
nucleotidi che ci caratterizzano,
comprende circa 3,3 miliardi di
lettere disposte ordinatamente in
una precisa e determinata
successione, l’interrogativo
fondamentale su cui le varie
ricerche e teorie sulla nascita e lo
sviluppo della vita si sono arenate
è come si siano potuti originare sia
un codice genetico di tale
complessità sia i meccanismi per la
sua traduzione.
Ci sono ancora due ipotesi che
restano in campo, la prima è quella
già accennata all’inizio, cioè di un
ente superiore, una mente sublime,
che ha creato la vita secondo un
progetto intelligente, l’altra è
quella della panspermia. Riguardo
alla prima ipotesi, anche se
respinta da molti scienziati, c’è da
dire che parecchi studiosi hanno
almeno considerato la possibilità di
una “intelligenza” creatrice se non
proprio di un “Dio”, ad esempio
Francis Collins, direttore del
progetto Genoma Umano, ha detto: «Mi
incute umiltà e timore rendermi
conto che abbiamo colto il primo
barlume del nostro stesso libro di
istruzioni, in precedenza noto
soltanto a Dio». Mentre Gene Myers,
cha ha lavorato alla mappatura del
genoma presso la Celera Genomics, ha
scritto: «Ciò che davvero mi
stupisce è l’architettura della vita
/.../; il sistema è estremamente
complesso. È come se fosse stato
progettato /.../. Qui c’è
un’intelligenza enorme» (Lennox
2009).
L’altra ipotesi è quella della
panspermia, dal greco “semi
ovunque”, che sostiene che la vita
sia arrivata sulla terra dallo
spazio per impatto di frammenti,
meteoriti o comete, oppure da
polveri interstellari che
trasportavano materiale biologico in
forme elementari come batteri, spore
di funghi e virus. Questa idea, che
risale al filosofo greco
Anassimandro, è stata riproposta nel
Novecento prima da Arrhenius,
chimico svedese e premio Nobel, e
poi da altri ricercatori tra i quali
l’astronomo Fred Hoyle. Studi
recenti hanno dimostrato che i
batteri sono in grado di
sopravvivere per lunghi periodi
anche in condizioni climatiche
proibitive come ad esempio nella
stratosfera a 40 km d’altezza, e
sono quindi in grado di viaggiare
indenni nello spazio a temperature
bassissime, nel vuoto assoluto, in
presenza di radiazione cosmica e
ultravioletta.
In particolare circa 4 miliardi di
anni fa, quando gli impatti di
comete e asteroidi sulla terra erano
molto frequenti, non si può
escludere che questi oggetti
recassero con sé anche molecole
biologiche. Infatti le varie
missioni spaziali succedutesi negli
ultimi decenni e le osservazioni con
telescopi sempre più potenti, in
parallelo con analisi accurate sulla
composizione dei meteoriti, hanno
dimostrato che molti composti
organici necessari alla vita erano
già presenti nel sistema solare e
anche in altri sistemi stellari. Nel
2012, ad esempio, è stata
identificata la molecola della
glicoaldeide, uno zucchero semplice
fondamentale dell’RNA, in un insieme
stellare a 400 anni-luce di
distanza.
Nel 2019 un gruppo di ricercatori
francesi e italiani ha trovato
materiali organici extraterrestri in
sedimenti a Barberton, in Sud
Africa, risalenti a 3,3 miliardi di
anni fa, e nel 2022 l’analisi di
campioni provenienti dall’asteroide
Ryugu portati a terra dalla sonda
spaziale giapponese Hayabusa 2, ha
evidenziato la presenza di oltre
dieci tipi di aminoacidi prebiotici.
Ma anche ammettendo valida l’ipotesi
della panspermia, il punto è che non
spiega come e perché abbia avuto
inizio la vita, ma ne sposta
altrove, nello spazio cosmico,
l’origine senza svelarne i segreti.
Riferimenti bibliografici:
Denton Michael, Evolution: a
Theory in Crisis, Adler & Adler,
Bethesda, Maryland 1986.
Lennox John C., Dio e la Scienza,
Gruppo Editoriale Armenia, 2009.
Papastavrou Nikolas, Horning David
P., Joyce Gerald F.,
RNA-Catalyzed: Evolution of
Catalytic RNA, Proceedings of
the National Academy of Sciences (PNAS),
March 4, 2024.
Davies Paul, Da dove viene la
vita, Mondadori, Milano 2000.