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N. 136 - Aprile 2019 (CLXVII)

ARCHITETTURA PER L’INDUSTRIA
PETER BEHRENS E LA FABBRICA DI TURBINE AEG
Rita Mattiello & Antonio Vobbio


La genesi del Deutsche Werkbund risale alle disastrose conseguenze provocate dalla rivoluzione industriale dell’Ottocento, prima in Inghilterra e in seguito in Germania. Infatti, se da un lato l’industrializzazione aveva portato ad una razionalizzazione del processo produttivo con conseguente diminuzione del prezzo dei prodotti, dall’altro la suddivisione estrema dei compiti aveva alienato la figura dell’artigiano, rompendo l’intenso legame che univa il lavoratore all’oggetto prodotto. Il primo ad auspicare una imponente riforma sociale che si opponesse alla meccanizzazione del lavoro fu John Ruskin il cui ideale era rappresentato dai modelli di lavoro medioevali che egli stesso aveva descritto in “The Stone of Venice”.

 

Gli insegnamenti di Ruskin colpirono in modo particolare uno dei suoi allievi, William Morris che fondò, in Inghilterra, una serie di laboratori in cui veniva riportata al centro la figura dell’artigiano. Ciò portò alla nascita, verso la fine dell’Ottocento, del movimento Art and Crafts che tentava di riaffermare il valore artigianale come mezzo primario della produzione culturale. Presto però lo stesso Morris si rese conto che non era possibile invertire il corso della produzione industriale. L’obiettivo fu quello di utilizzare la macchina a servizio dell’uomo, progettando prodotti altamente qualitativi.

 

Da questo momento in poi, in tutte le nazioni europee sorse l’esigenza di creare una cultura del popolo. Per tale ragione nel 1896 il governo prussiano inviò a Londra Hermann Muthesius, con l’incarico di studiare il design e l’architettura inglesi. I sui studi inglesi terminarono nel 1904 e, tornato in patria, ebbe l’incarico di riformare l’istruzione delle arti applicate in Germania. Unitosi all’imprenditore Karl Schmidt e al politico nazionalista liberale Friedrich Naumann fonda, nel 1907, a Monaco di Baviera, il Deutsche Werkbund. L’associazione alla nascita comprendeva dodici imprese ed altrettanti artisti indipendenti tra i quali Peter Behrens, Theodor Fischer, che ne fu il primo presidente, Josef Hoffmann, Joseph Maria Olbrich e Bruno Paul. Il compito dei membri era quello di migliorare la produzione e l’istruzione artigianale innescando talvolta un forte legame tra progettista ed industria.

 

Il successivo sviluppo del Werkbund è inscindibile dal rapporto di collaborazione instauratosi tra Peter Beherens e l’AEG a partire dal 1907. In quest’anno Behrens lascia difatti l’incarico accademico di Dusseldorf per divenire il consulente di una delle più importanti società del settore elettrico, la Allgemeine Elektricitäts-Gesellschaft, ruolo che gli consentì di controllarne tutte le espressioni visive: la grafica, il design dei prodotti e gli allestimenti, oltre che l’architettura. Il grande successo fece sorgere nella società l’obiettivo di mostrare al pubblico ciò che poteva realizzare, mediante l’utilizzo della forma artistica.

 

Il primo lavoro realizzato per l’AEG da Behrens è il padiglione per l’Esposizione di cantieristica navale tedesca del 1908. Si assiste qui ad una radicale innovazione: le macchine erano esposte come sculture in un edificio austero modellato sulle forme di architetture classiche. L’obiettivo era quello di mostrare il potenziale dell’industria moderna. Essa veniva rappresentata come espressione di un nuovo potere nella società. Per tale ragione anche le stesse macchine da lavoro acquisirono col tempo forme sempre più elaborate: non dovevano mostrare semplicemente se stesse, ma il loro ruolo culturale. Un processo analogo si manifestò anche nella grafica, Behrens utilizzò anche in questo caso un’organizzazione precisa e fortemente geometrica.

 

Sviluppo del logo aziendale AEG, Peter Behrens, 1908-1912 ca.

 

Durante i primi anni a Berlino, Peter Behrens progettò le fabbriche AEG che lo portarono ad essere celebrato come un innovatore dell’immediatezza funzionale dell’architettura. A prima vista, Behrens sembrava adottare una posizione più accademica e convenzionale negli edifici pubblici e residenziali e una posizione più indipendente e funzionale nelle opere industriali. Ludwig Mies van der Rohe aveva tentato di fornire una spiegazione semplice alle apparenti differenze tra questi due gruppi di opere: a suo parere, Behrens poteva preoccuparsi di trovare una nuova espressione agli edifici industriali, dal momento che questo tipo-uso era sostanzialmente indipendente dalle aspettative profonde da parte dei clienti, del pubblico o degli architetti.

 

Behrens scelse di non enfatizzare l’”immediatezza funzionale” già manifesta nelle fabbriche progettate da ingegneri, ma piuttosto cercò di portare la fabbrica nella categoria dell’ambasciata o del tempio. Se le prime opere di Behrens per l’AEG risultarono del tutto nuove per l’industria è in gran parte dovuto al suo evitare di immergersi in modo totale o continuo nella situazione industriale; i suoi dettami ideologici misero da parte l’ornamentazione gratuita per dar vita ad una nuova architettura per l’industria.

 


Sito industriale AEG a Brunnenstrasse, tre gli interventi di Peter Behrens, 1912

 

La prima importante opera architettonica di questo periodo, la Turbinenfabrik AEG del 1909, portò Behrens a riconoscere ed accettare alcune considerazioni materiali. Le grandi dimensioni della fabbrica, le lavorazioni industriali pesanti che avrebbe ospitato e l’esigenza di durata escludevano l’uso di materiali effimeri che si erano dimostrati adatti nei casi delle precedenti strutture espositive. Per questo motivo, Behrens si mosse verso un’ampia struttura in ferro e vetro. Qui Behrens mette in pratica il suo principio di Kunstwollen, la volontà di forma finalizzata alla realizzazione di volontà collettive, storicistiche.

 

Fondata nel 1883, l’AEG era già un’azienda fiorente all’inizio del decennio successivo. Nel 1896 diede avvio alla costruzione del suo primo insediamento industriale su vasta scala in una grande area sullo Humboldthain a nord di Berlino, complesso completato da Behrens negli anni precedenti la prima guerra mondiale. Le fabbriche costruite su questo sito prima dell’intervento di Behrens erano edifici anonimi di tradizionale struttura mista, mattoni e ferro, con modesti interventi decorativi di ispirazione medioevale.

 

L’AEG aveva avviato la produzione di turbine nel 1902. Dopo essersi trasferita in un nuovo sito, la produzione di turbine su vasta scala cominciò nel 1907. Presto divenne indispensabile l’individuazione di nuovi e più ampi spazi da destinare alla loro costruzione. Per questo motivo, l’AEG incaricò Behrens di progettare la prima fabbrica, il gigantesco impianto per la costruzione di turbine di Moabit, la cui costruzione iniziò nel 1909.

 

Sulla Turbinenfabrik Behrens concentrò molteplici connotazioni simboliche. La turbina aveva un’importanza particolare in quanto fonte grandiosa di energia moderna. Per questo fu concepita come una monumentale “chiesa per l’energia”. In quanto tale, essa si sarebbe posta in rapporto alle altre fabbriche come una grande abbazia per i suoi conventi. Il nuovo impianto, oltre a diventare l’edificio più importante dell’insediamento di Moabit, avrebbe occupato l’angolo sud-est del sito orientato verso il centro di Berlino, agendo così da fronte rappresentativo dell’intero complesso industriale. Per come fu realizzato, questo prospetto divenne il volto che l’AEG offriva al mondo.

 

 

Dettagli costruttivi esterni, Peter Behren, 1918

 

Il progetto di Behrens per la Turbinenfabrik prevedeva uno spazio principale destinato al montaggio di circa 207 metri, anche se nella prima fase fu realizzata un’unità di 127 metri. L’elemento dell’arco asimmetrico si innalza verticalmente per poi formare un arco a tre facce nella cerniera centrale al culmine della struttura principale; un grande lucernario continuo posto a circa 26 metri dal suolo corona l’intera costruzione. Lo spazio di manovra sotto la gru mobile, posta immediatamente sotto le catene, è di 14,50 metri.

 

Gli archi asimmetrici sono distribuiti sulla lunghezza dell’edificio ogni 9,22 metri; ogni due archi si trova una gru radiale con sbalzo di otto metri. Lo spazio laterale includeva un seminterrato in cemento armato e una sovrastruttura a due piani in costruzione mista. La struttura non doveva solo comprendere grandi zone vetrate per garantire l’illuminazione all’area di lavoro, ma anche resistere alle forze necessarie a frenare le gru che con il loro carico pesante si muovevano alla velocità due metri al secondo. Gli elementi verticali principali furono articolati con muri robusti per dare loro massa e per esaltarne il doppio ruolo di supporti strutturali e di definitori dello spazio.

 

La loro imponenza diventa ancora più importante dal momento che l’edificio doveva essere realizzato nella maggiore misura possibile in ferro e vetro. Nei casi in cui questi materiali apparvero a Behrens architettonicamente inadeguati, furono utilizzati muri in calcestruzzo realizzati con grande cura. Behrens sosteneva una concezione del calcestruzzo come materiale di riempimento che, a differenza della muratura, non si manifestava visivamente come portante. Solo gli elementi in ferro dovevano suggerire una funzione di supporto; le finestre del prospetto laterale erano inclinate lungo il lato interno degli elementi strutturali, permettendo a questi ultimi e alla trave della linea del cornicione di apparire in forte rilievo.

 

Questa trave disposta a trabeazione e il timpano del prospetto principale avevano il compito, secondo Behrens, di esprimere fisicità, un corpo che poggia sugli elementi principali del prospetto laterale e sui montanti strutturali della finestra sulla facciata. Le fasce di ferro collocate negli elementi angolari arrotondati in calcestruzzo formavano linee orizzontali che creavano una distinzione tra le verticali strutturali e il riempimento più plastico. I montanti e il vetro della finestra di fondo erano dettagliati come un unico grande piano in modo che ne emergesse la funzione portante: tutti i montanti delle stesse dimensioni, il vetro nel piano frontale di questi elementi e l’insieme nel piano del timpano.

 


Piante e sezione della fabbrica di turbine, Peter Behrens, 1908

 

Attraverso questa descrizione delle principali caratteristiche dell’edificio è possibile immaginale la scala del problema e la tecnologia usata. Behrens stesso voleva esprimere la qualità, la scala e il significato culturale di una “nuova natura”, convinto che tale espressione richiedesse l’articolazione di una struttura simbolica esterna alla sfera di competenza dell’ingegnere.

 

Egli cercò di dare alla sua architettura una fisicità prima assente ma ora necessaria persino nell’involucro di una rigida gabbia strutturale. Desiderava essere il profeta di un nuovo classicismo destinato a reinterpretare le energie della vita contemporanea in termini di verità eterne. Questa ricerca di fisicità ed espressione classica fu un aspetto distintivo dell’evoluzione di Behrens. L’espressione simbolica di una nuova natura costituiva la sfida del suo nuovo ruolo.

 

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Dettagli costruttivi esterni, Peter Behren, 1918

 

Il carattere insolitamente ponderoso e persino classico esplicitamente voluto da Behrens per l’edificio con struttura in ferro suscitò l’approvazione di molti contemporanei perché portava questo tipo di costruzione funzionale all’interno della tradizione architettonica. La Turbinenfabrik fu riconosciuta come un’importante opera pioneristica nel campo dell’architettura industriale moderna.

 

In verità tutte le fabbriche AEG di Behrens sono freddi monumenti alla sistemazione di funzioni di scala gigantesca, alla rappresentazione della “nuova natura”. Behrens non enfatizzò l’ambiente come luogo dell’attività umana, né l’architettura come contesto di una vita più piena. La Turbinenfabrik era piuttosto l’espressone della visione ideale di una civiltà tecnologica collegata a visioni utopistiche del passato. Behrens riuscì a fare delle sue fabbriche un vero e proprio “tempio del lavoro”.

 


Fronte principale della fabbrica di turbine AEG, 1918

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Bilancioni G., Portoghesi P., Il primo Behrens: origini del moderno in architettura, Sansoni, Firenze 1981;
Buddensieg T., Industriekultur: Peter Behrens and the Aeg, 1907-1914, The Mit Press, Cambridge 1984;
Droste M., Bauhaus, Taschen, Colonia 2015;
Moro, A., Peter Behrens, maestro dei maestri, Libraccio Editore, Milano 2011;
Stanford, A., Peter Behrens. 1868-1940, Electa, Milano 2002;
Stanford A., Peter Behrens e una nuova archite
ttura per il ventesimo secolo, The MIT Press, Cambridge 2000.



 

 

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