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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 158 / FEBBRAIO 2021 (CLXXXIX)


moderna

sulla periodizzazione dell’età moderna
NUOVI SCENARI borghesi

di Tiziana Coppola

 

L’età moderna è uno dei periodi della Storia tra i più complessi da periodizzare. Di norma infatti è uno dei grandi periodi in cui si suole convenzionalmente far coincidere tale periodo con la caduta di Costantinopoli (1453), altre volte con la scoperta dell’America (1492) e fatta concludere con la Rivoluzione Francese o con il Congresso di Vienna, (1815) altre volte ancora con la nascita degli Stati moderni in Europa e la colonizzazione esercitata da parte di questi, su altri continenti. Indagando più a fondo e in misura logica con un approccio di tipo induttivo, l’età moderna si potrebbe far coincidere invece con l’ascesa, lo sviluppo e l’affermazione della borghesia, coincidente con l’avvento dell’Unità d’Italia.

 

Ai tempi dell’Unità d’Italia, l’organizzazione amministrativa della pubblica amministrazione era posta nei secoli precedenti nelle mani delle monarchie assolute, con il processo di unificazione questa macchina amministrativa e burocratica, assume la forma di un sotto sistema della politica, diretta a soddisfare le istanze di una borghesia liberale, protagonista indiscussa a partire dalla Rivoluzione Francese di un nuovo modello socio-politico economico attivo sul mercato, in grado di condizionare i pubblici poteri, dall’interno e dall’esterno degli apparati statali, ingenerando una certa libertà individuale nella gestione di un’economia di mercato e della cosa pubblica, a garanzia di un equilibrio tra Stato e società, imprimendo in questo modo al potere statuale il carattere di una organizzazione burocratica capace di controllare dall’alto le azioni individuali, favorendo le esigenze del borghese-burocrate, imprenditore o funzionario che sia, l’influencer dei tempi dell’unità.

 

Potremmo parlare di un esecutivo “centralizzato” necessario a dirigere il destino di una macchina burocratica nel suo agire, nelle sue azioni, nei suoi interessi super individuali. Il ceto borghese esprime in questo modo il suo dominio sugli interessi sociali, ponendosi al centro di un rapporto tra accentramento amministrativo e sviluppo dell’individualismo, espressione quindi di un legame congiunto tra il potere statale e quello di una borghesia in forte ascesa.

 

Alla testa del processo di unificazione dell’Italia c’è dunque la borghesia, l’azione privata della media/grande borghesia. Si potrebbe dunque ipotizzare uno spostamento storiografico, dell’età moderna sino all’Unità. La borghesia, la classe dirigente dell’epoca opera nel pieno dispiegamento dello stato borghese, superando le divergenze e le fragilità interne a essa. Con l’Unità d’Italia afferma il suo primato, e nella fase successiva all’Unità, si riserva la prospettiva di un decentramento e di una distribuzione dei compiti di autonomia, per mettere in dialogo il paese reale con il paese legale.

 

Sulla scia di quanto descritto, va posta una particolare rilevanza su una situazione proseguita sino ai giorni nostri, quale quella dell’irreversibile o quasi, conflitto tra le forze borghesi dominanti e la piccola/media borghesia, connesse allo sviluppo di un timido e preoccupante timore nell’insorgenza di una lotta di classe, provocata dalle crisi industriali, e da tensioni economico-sociali tuttora irrisolvibili, assistendo giorno dopo giorno, a un assottigliamento della classe sociale piccolo-medio borghese sempre meno ascoltata, a favore invece di una grande borghesia posta ai vertici sapienti di organismi bancari della finanzia speculativa, i cosiddetti poteri forti.

 

L’Unità d’Italia potremmo dire si compie non certo grazie all’eroismo di un Mazzini o di un Garibaldi bensì a opera di una borghesia in forte ascesa, l’ago reale della bilancia fra le forze politiche e quelle sociali. Nel ventennio successivo al 1848, vale a dire successivamente alla Prima Guerra d’Indipendenza, si afferma di fatto l’ascesa della borghesia, un ceto sociale caratterizzato da differenziazioni interne ma portatore di valori unitari. La fede incontrastata nel progresso scientifico, industriale, tecnologico, concede un certo “positivismo” che diventa l’ideologia di base su cui si muove la borghesia.

 

Nella connessione tra la pubblica amministrazione, (1861-1865) i mutamenti sociali, il modello centralistico statale, il semi federalismo di ieri, e il federalismo di oggi, si può individuare la causa dello squilibrio degli assetti sociali e il corto circuito tra centralità statale e periferie autonome. Decentramento, federalismo ieri e oggi, corrispondono a una realtà sociale dinamica. Ogni evoluzione amministrativa è connessa a un’altrettanta evoluzione decentrata di tipo regionale e locale, passando quindi per il concetto di Stato-persona.

 

Occorrerebbe fermarsi e riflettere sulla relazione invisibile, ma esistente tra decentramento e democrazia. Oggi come ieri siamo di fronte a un continuo tira e molla, a una girandola di venti tra fasi di accentramento, caratterizzati da eccessiva gerarchizzazione e autoritarismo, e fasi di decentramento caratterizzati invece da forme liberali, e garanzie di costituzione. Le autonomie si costruiscono sulla geografia, sulla storia, sull’insieme delle forze economiche e intellettuali e il mancato sviluppo delle autonomie locali è da attribuirsi esclusivamente all’incompiuto processo dell’unificazione italiana.

 

L’invincibile forza dello Stato moderno ieri come oggi, stimola la necessità dello sviluppo della vita locale basata su esigenze reali ma di fatto tesa ad accrescere il potere della burocrazia amministrativa, per cui una democrazia moderna intesa come pratica di autogoverno e sviluppo delle autonomie regionali non c’è mai stata, ieri come oggi. Le due tendenze l’una autoritaria e l’altra liberale rappresentano l’asse del vecchio e del nuovo equilibrio socio/economico/politico/istituzionale, ieri come oggi.

 

Le libertà legate all’insegnamento, all’opinione, alla parola, all’espressione, allo sviluppo dei mezzi di comunicazione, alla moltiplicazione degli istituti di credito, riguardano indistintamente tutti, borghesi e poveri. Ma lo scollamento di questi obiettivi rispetto alle autonomie e alle loro funzioni, diventa disaffezione per la patria e scoloramento del concetto stesso di patria. La riforma burocratico-amministrativa avrebbe dovuto rappresentare una sorta di asse bilanciere dei contrasti sociali e un allineamento tra paese legale e paese reale, dando vita a una rivoluzione democratica, a un punto essenziale e fondamentale del programma dei borghesi, una sorta di collante tra le forze popolari e lo Stato, ma ciò non è mai di fatto avvenuto, spostando il discorso sulle contraddizioni generali della storia dell’unificazione italiana, una sorta di salto nel vuoto, un eterno dolore a oggi forte e vivo.

 

La scarsa saldezza dei principi liberali su cui si sarebbe dovuta fondare l’unificazione d’Italia, l’unità della patria, è da ricondursi al timore e alla gelosia che ha caratterizzato gli italiani, il decentramento e la federalizzazione regionale, hanno costretto a sacrificare l’unità nazionale e l’uniformità d’Italia che invece avrebbero dovuto ricucire le differenze e le distanze culturali, linguistiche e geografiche tra le regioni del Nord e del Sud, ma il non superamento delle distanze ha causato la rovina dello stesso Stato Moderno.

 

La nostra questione non è dunque politica, l’impossibilità d’unificazione d’Italia, non risiede in ragioni dunque di tipo politico, ma amministrative-finanziarie; le regioni italiane hanno preferito combattere per l’ottenimento di un’autonomia finanziaria e amministrativa secondo le più diverse esigenze di ciascuna anziché sacrificare una parte degli egoismi regionali in nome di un sovranismo forse troppo poco sentito, ieri come oggi.

 

Risulta interessante per introdurre e approfondire tale argomento, comprendere il nesso tra lo sviluppo del capitalismo, l’organizzazione burocratico-amministrativa e l’accentramento statale. Un nesso intrecciato, un dedalo da cui emerge il problema evidente, ovvero una mancata evoluzione in forme di decentramento. Lo sviluppo del capitalismo nel nostro paese, ieri come oggi, tende al più rigoroso accentramento di ogni tipo di attività. È necessario perciò poter disporre di un governo che abbia la mano direttamente su tutto il paese, per regolare il gioco incontrastato delle speculazioni bancarie, il capitalismo, la politica interna ed esterna, e rendere tutto coincidente con gli interessi dell’intera nazione, ma ieri come oggi, il capitalismo si è dimostrato il più fedele amico della monarchia accentratrice e dello Stato.

 

La storia d’Italia, sembra vista da fuori come un tornante, un procedere su e giù, un altalenante schema di gioco che mostra l’assenza di innovazione delle autonomie, in virtù della mancanza di una unità nazionale, giusta e necessaria a ridare rigore e possibilità di successo al programma di decentramento dello Stato italiano.

 

L’emersione di uno Stato italiano burocratico e accentratore è il risultato dell’immaturità italiana, sarebbe potuto scomparire se l’azione sopraggiunta dei partiti ne avesse controbilanciato l’importanza eccessiva assunta dall’amministrazione in Italia. Solo l’autonomismo avrebbe potuto consentire di impostare su basi radicalmente diverse lo Stato italiano. La crisi degli ideali risorgimentali e il crollo delle libertà democratiche avrebbero dovuto sollecitare ieri come oggi, una spinta verso una riflessione accesa sulle libertà dapprima conquistate e poi perdute.

 

Soltanto una ricostruzione dal basso della società nazionale e contemporaneamente una riorganizzazione dell’assetto burocratico-amministrativo, avrebbero consentito il riconoscimento realistico di uno Stato nella sua multiforme tradizione italiana senza ledere mai le origini, la sua natura storica, fatta di onori e di allori, di battaglie ferrose ed eclatanti approssimazioni.

 

Un dialogo andato oltre il 1865, ma ieri come oggi, non si è riusciti a guardare oltre, comprendendo che i punti focali delle autonomie non consistessero nei controlli ma nelle funzioni, mancando in questo modo di attitudine a fare della cosa pubblica, la giusta gestione.

 

Il nostro costume – forse è da convincersi che si tratti di un problema di costume – è questa mancata spiegazione consapevole di un tirare avanti incapaci come adesso, di fornire una direzione di vantaggio rispetto a qualsiasi altra nazione ma prima di tutto rispetto al nostro paese. Nessuno a oggi è riuscito a presentare progetti di tipo progressista, intesi nell’orientamento a un ordinamento burocratico-amministrativo facendo prevalere ragioni moderate a sostegno di una soluzione riformista, pro un’azione regionalistica risorgimentale ripulita di incognite le quali ci siamo trascinati fino a oggi, attraversando prima e seconda guerra mondiale.

 

Le polarizzazioni, le distanze contrapposte, non avrebbero potuto fare altro se non quello di rimarcare le estreme opposizioni, poiché le multi differenze territoriali e quindi regionali, ne impediscono l’individuazione di uniformizzazioni socio economiche e culturali.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]