moderna
sulla periodizzazione dell’età moderna
NUOVI SCENARI borghesi
di Tiziana Coppola
L’età moderna è uno dei periodi della
Storia tra i più complessi da
periodizzare. Di norma infatti è uno dei
grandi periodi in cui si suole
convenzionalmente far coincidere tale
periodo con la caduta di Costantinopoli
(1453), altre volte con la scoperta
dell’America (1492) e fatta concludere
con la Rivoluzione Francese o con il
Congresso di Vienna, (1815) altre volte
ancora con la nascita degli Stati
moderni in Europa e la colonizzazione
esercitata da parte di questi, su altri
continenti. Indagando più a fondo e in
misura logica con un approccio di tipo
induttivo, l’età moderna si potrebbe far
coincidere invece con l’ascesa, lo
sviluppo e l’affermazione della
borghesia, coincidente con l’avvento
dell’Unità d’Italia.
Ai tempi dell’Unità d’Italia,
l’organizzazione amministrativa della
pubblica amministrazione era posta nei
secoli precedenti nelle mani delle
monarchie assolute, con il processo di
unificazione questa macchina
amministrativa e burocratica, assume la
forma di un sotto sistema della
politica, diretta a soddisfare le
istanze di una borghesia liberale,
protagonista indiscussa a partire dalla
Rivoluzione Francese di un nuovo modello
socio-politico economico attivo sul
mercato, in grado di condizionare i
pubblici poteri, dall’interno e
dall’esterno degli apparati statali,
ingenerando una certa libertà
individuale nella gestione di
un’economia di mercato e della cosa
pubblica, a garanzia di un equilibrio
tra Stato e società, imprimendo in
questo modo al potere statuale il
carattere di una organizzazione
burocratica capace di controllare
dall’alto le azioni individuali,
favorendo le esigenze del
borghese-burocrate, imprenditore o
funzionario che sia, l’influencer
dei tempi dell’unità.
Potremmo parlare di un esecutivo
“centralizzato” necessario a dirigere il
destino di una macchina burocratica nel
suo agire, nelle sue azioni, nei suoi
interessi super individuali. Il ceto
borghese esprime in questo modo il suo
dominio sugli interessi sociali,
ponendosi al centro di un rapporto tra
accentramento amministrativo e sviluppo
dell’individualismo, espressione quindi
di un legame congiunto tra il potere
statale e quello di una borghesia in
forte ascesa.
Alla testa del processo di unificazione
dell’Italia c’è dunque la borghesia,
l’azione privata della media/grande
borghesia. Si potrebbe dunque ipotizzare
uno spostamento storiografico, dell’età
moderna sino all’Unità. La borghesia, la
classe dirigente dell’epoca opera nel
pieno dispiegamento dello stato
borghese, superando le divergenze e le
fragilità interne a essa. Con l’Unità
d’Italia afferma il suo primato, e nella
fase successiva all’Unità, si riserva la
prospettiva di un decentramento e di una
distribuzione dei compiti di autonomia,
per mettere in dialogo il paese reale
con il paese legale.
Sulla scia di quanto descritto, va posta
una particolare rilevanza su una
situazione proseguita sino ai giorni
nostri, quale quella dell’irreversibile
o quasi, conflitto tra le forze borghesi
dominanti e la piccola/media borghesia,
connesse allo sviluppo di un timido e
preoccupante timore nell’insorgenza di
una lotta di classe, provocata dalle
crisi industriali, e da tensioni
economico-sociali tuttora irrisolvibili,
assistendo giorno dopo giorno, a un
assottigliamento della classe sociale
piccolo-medio borghese sempre meno
ascoltata, a favore invece di una grande
borghesia posta ai vertici sapienti di
organismi bancari della finanzia
speculativa, i cosiddetti poteri forti.
L’Unità d’Italia potremmo dire si compie
non certo grazie all’eroismo di un
Mazzini o di un Garibaldi bensì a opera
di una borghesia in forte ascesa, l’ago
reale della bilancia fra le forze
politiche e quelle sociali. Nel
ventennio successivo al 1848, vale a
dire successivamente alla Prima Guerra
d’Indipendenza, si afferma di fatto
l’ascesa della borghesia, un ceto
sociale caratterizzato da
differenziazioni interne ma portatore di
valori unitari. La fede incontrastata
nel progresso scientifico, industriale,
tecnologico, concede un certo
“positivismo” che diventa l’ideologia di
base su cui si muove la borghesia.
Nella connessione tra la pubblica
amministrazione, (1861-1865) i mutamenti
sociali, il modello centralistico
statale, il semi federalismo di ieri, e
il federalismo di oggi, si può
individuare la causa dello squilibrio
degli assetti sociali e il corto
circuito tra centralità statale e
periferie autonome. Decentramento,
federalismo ieri e oggi, corrispondono a
una realtà sociale dinamica. Ogni
evoluzione amministrativa è connessa a
un’altrettanta evoluzione decentrata di
tipo regionale e locale, passando quindi
per il concetto di Stato-persona.
Occorrerebbe fermarsi e riflettere sulla
relazione invisibile, ma esistente tra
decentramento e democrazia. Oggi come
ieri siamo di fronte a un continuo tira
e molla, a una girandola di venti tra
fasi di accentramento, caratterizzati da
eccessiva gerarchizzazione e
autoritarismo, e fasi di decentramento
caratterizzati invece da forme liberali,
e garanzie di costituzione. Le autonomie
si costruiscono sulla geografia, sulla
storia, sull’insieme delle forze
economiche e intellettuali e il mancato
sviluppo delle autonomie locali è da
attribuirsi esclusivamente
all’incompiuto processo
dell’unificazione italiana.
L’invincibile forza dello Stato moderno
ieri come oggi, stimola la necessità
dello sviluppo della vita locale basata
su esigenze reali ma di fatto tesa ad
accrescere il potere della burocrazia
amministrativa, per cui una democrazia
moderna intesa come pratica di
autogoverno e sviluppo delle autonomie
regionali non c’è mai stata, ieri come
oggi. Le due tendenze l’una autoritaria
e l’altra liberale rappresentano l’asse
del vecchio e del nuovo equilibrio
socio/economico/politico/istituzionale,
ieri come oggi.
Le libertà legate all’insegnamento,
all’opinione, alla parola,
all’espressione, allo sviluppo dei mezzi
di comunicazione, alla moltiplicazione
degli istituti di credito, riguardano
indistintamente tutti, borghesi e
poveri. Ma lo scollamento di questi
obiettivi rispetto alle autonomie e alle
loro funzioni, diventa disaffezione per
la patria e scoloramento del concetto
stesso di patria. La riforma
burocratico-amministrativa avrebbe
dovuto rappresentare una sorta di asse
bilanciere dei contrasti sociali e un
allineamento tra paese legale e paese
reale, dando vita a una rivoluzione
democratica, a un punto essenziale e
fondamentale del programma dei borghesi,
una sorta di collante tra le forze
popolari e lo Stato, ma ciò non è mai di
fatto avvenuto, spostando il discorso
sulle contraddizioni generali della
storia dell’unificazione italiana, una
sorta di salto nel vuoto, un eterno
dolore a oggi forte e vivo.
La scarsa saldezza dei principi liberali
su cui si sarebbe dovuta fondare
l’unificazione d’Italia, l’unità della
patria, è da ricondursi al timore e alla
gelosia che ha caratterizzato gli
italiani, il decentramento e la
federalizzazione regionale, hanno
costretto a sacrificare l’unità
nazionale e l’uniformità d’Italia che
invece avrebbero dovuto ricucire le
differenze e le distanze culturali,
linguistiche e geografiche tra le
regioni del Nord e del Sud, ma il non
superamento delle distanze ha causato la
rovina dello stesso Stato Moderno.
La nostra questione non è dunque
politica, l’impossibilità d’unificazione
d’Italia, non risiede in ragioni dunque
di tipo politico, ma
amministrative-finanziarie; le regioni
italiane hanno preferito combattere per
l’ottenimento di un’autonomia
finanziaria e amministrativa secondo le
più diverse esigenze di ciascuna anziché
sacrificare una parte degli egoismi
regionali in nome di un sovranismo forse
troppo poco sentito, ieri come oggi.
Risulta interessante per introdurre e
approfondire tale argomento, comprendere
il nesso tra lo sviluppo del
capitalismo, l’organizzazione
burocratico-amministrativa e
l’accentramento statale. Un nesso
intrecciato, un dedalo da cui emerge il
problema evidente, ovvero una mancata
evoluzione in forme di decentramento. Lo
sviluppo del capitalismo nel nostro
paese, ieri come oggi, tende al più
rigoroso accentramento di ogni tipo di
attività. È necessario perciò poter
disporre di un governo che abbia la mano
direttamente su tutto il paese, per
regolare il gioco incontrastato delle
speculazioni bancarie, il capitalismo,
la politica interna ed esterna, e
rendere tutto coincidente con gli
interessi dell’intera nazione, ma ieri
come oggi, il capitalismo si è
dimostrato il più fedele amico della
monarchia accentratrice e dello Stato.
La storia d’Italia, sembra vista da
fuori come un tornante, un procedere su
e giù, un altalenante schema di gioco
che mostra l’assenza di innovazione
delle autonomie, in virtù della mancanza
di una unità nazionale, giusta e
necessaria a ridare rigore e possibilità
di successo al programma di
decentramento dello Stato italiano.
L’emersione di uno Stato italiano
burocratico e accentratore è il
risultato dell’immaturità italiana,
sarebbe potuto scomparire se l’azione
sopraggiunta dei partiti ne avesse
controbilanciato l’importanza eccessiva
assunta dall’amministrazione in Italia.
Solo l’autonomismo avrebbe potuto
consentire di impostare su basi
radicalmente diverse lo Stato italiano.
La crisi degli ideali risorgimentali e
il crollo delle libertà democratiche
avrebbero dovuto sollecitare ieri come
oggi, una spinta verso una riflessione
accesa sulle libertà dapprima
conquistate e poi perdute.
Soltanto una ricostruzione dal basso
della società nazionale e
contemporaneamente una riorganizzazione
dell’assetto burocratico-amministrativo,
avrebbero consentito il riconoscimento
realistico di uno Stato nella sua
multiforme tradizione italiana senza
ledere mai le origini, la sua natura
storica, fatta di onori e di allori, di
battaglie ferrose ed eclatanti
approssimazioni.
Un dialogo andato oltre il 1865, ma ieri
come oggi, non si è riusciti a guardare
oltre, comprendendo che i punti focali
delle autonomie non consistessero nei
controlli ma nelle funzioni, mancando in
questo modo di attitudine a fare della
cosa pubblica, la giusta gestione.
Il nostro costume – forse è da
convincersi che si tratti di un problema
di costume – è questa mancata
spiegazione consapevole di un tirare
avanti incapaci come adesso, di fornire
una direzione di vantaggio rispetto a
qualsiasi altra nazione ma prima di
tutto rispetto al nostro paese. Nessuno
a oggi è riuscito a presentare progetti
di tipo progressista, intesi
nell’orientamento a un ordinamento
burocratico-amministrativo facendo
prevalere ragioni moderate a sostegno di
una soluzione riformista, pro un’azione
regionalistica risorgimentale ripulita
di incognite le quali ci siamo
trascinati fino a oggi, attraversando
prima e seconda guerra mondiale.
Le polarizzazioni, le distanze
contrapposte, non avrebbero potuto fare
altro se non quello di rimarcare le
estreme opposizioni, poiché le multi
differenze territoriali e quindi
regionali, ne impediscono
l’individuazione di uniformizzazioni
socio economiche e culturali. |