N. 27 - Marzo 2010
(LVIII)
Il Vaticano II e i suoi “perdenti”
Il “Coetus internationalis patrum”
di di Lawrence M.F. Sudbury
Probabilmente,
dai
tempi
del
Concilio
di
Trento
nessun’altro
evento
ha
cambiato
così
radicalmente
il
volto
della
Chiesa
cattolica
come
il
Concilio
Vaticano
II.
Per
comprendere
la
portata
di
questa
“riunione
generale”
dei
vertici
ecclesiastici
mondiali,
cerchiamo,
innanzitutto,
di
analizzare
cosa
essa
fu
storicamente,
a
partire
dal
quadro
in
cui
nacque.
Nel
1870,
il
Concilio
Vaticano
I,
convocato
due
anni
prima
da
Pio
IX
con
la
bolla
Aeternis
Patris,
era
stato
interrotto
per
lo
scoppio
della
guerra
franco-prussiana
e
non
era
mai
stato
chiuso
ufficialmente,
lasciando
in
sospeso
numerose
questioni
e,
soprattutto,
imponendo
una
linea
repressiva
di
Cattolicesimo,
basata
sulla
condanna
del
razionalismo,
del
liberalismo,
del
materialismo
e
del
fideismo
e
sulla
riaffermazione
dell’autorità
papale
con
la
Costituzione
Dogmatica
Pastor
Aeternus
sull’infallibilità
del
Sommo
Pontefice
(cosa
che,
per
altro,
portò
allo
scisma
dei
cosiddetti
“Vetero-Cattolici”).
Una
Chiesa
più
dedita
alla
riaffermazione
del
proprio
potere
e
alla
repressione
di
qualunque
forma
di
“deviazione
modernista”
che
preoccupata
di
avvicinarsi
al
popolo
di
Dio
rischiava,
novant’anni
dopo,
di
subire
uno
scollamento
dalla
realtà
fattuale
e di
non
avere
più
nessuna
attrattiva
in
una
società
profondamente
cambiata.
Di
tutto
ciò
si
rese
conto
Papa
Giovanni
XXIII
che,
a
soli
tre
mesi
dalla
sua
elezione,
il
25
gennaio
1959
rivelò
la
sua
intenzione
di
indire
un
secondo
concilio,
il
cui
compito
sarebbe
stato
sviluppare
una
maggiore
coesione
interna
nella
Chiesa
e
aprire
quest’ultima
alle
problematiche
della
contemporaneità.
Così,
nel
maggio
1959
venne
insediata
una
commissione
“ante
preparatoria”
che,
attraverso
la
Segretaria
di
Stato
(retta
da
Monsignor
Tardini),
inviò
oltre
2.500
richiesta
ai
vertici
locali
delle
Diocesi
di
tutto
il
mondo
perché
proponessero
gli
argomenti
che
avrebbero
voluto
trattare.
Dalle
risposte,
la
commissione,
formata
in
grande
maggioranza
da
Ecclesiastici
curiali,
elaborò
i
“proposita
et
monita”
da
utilizzare
durante
il
concilio.
Il 5
giugno
1960,
Giovanni
XXIII,
con
il
“motu
proprio”
Supernu
Dei
Natu,
diede
inizio
alla
fase
preparatoria
istituendo
dieci
commissioni
relative
alle
diverse
problematiche,
affiancate
dal
Segretario
per
l’unità
dei
cristiani,
Cardinal
Bea
e
coordinate
dal
Cardinal
Felici,
futuro
Segretario
generale
del
concilio.
Il
problema
era
che
le
dieci
commissioni
ricalcavano
fondamentalmente
la
struttura
delle
Congregazioni
vaticane,
con
una
presenza
preponderante
della
componente
conservatrice
curiale:
non
è un
caso
che
il
loro
lavoro
preparatorio
fu
in
gran
parte
contestato
da
quella
parte
maggioritaria
del
Clero
che
sempre
più
stava
votandosi
all’idea
di
un’apertura
della
Chiesa
alla
società,
cos’
come
non
è
casuale
che,
dei
69
“schemata”
elaborati
in
fase
preparatoria,
solo
tre
vennero
effettivamente
utilizzati
durante
i
lavori,
mentre
tutti
gli
altri
vennero
bocciati
o
completamente
rielaborati.
Dopo
la
convocazione
ufficiale
(costituzione
Humanae
Salutis
del
25
dicembre
1961)
e la
pubblicazione
del
calendario
dei
lavori
(motu
proprio
Concilum
Diu
del
2
febbraio
1962),
finalmente
la
prima
sessione
conciliare
venne
aperta
l’11
ottobre
1962
con
la
presenza
di
2540
Padri
(1041
europei,
956
americani,
30
asiatici,
379
africani).
Fin
dalla
prima
congregazione
generale
del
13
ottobre
fu
subito
chiaro
quale
sarebbe
stato
il
leitmotiv
dell’intero
Concilio,
con
i
Padri
curiali
che
tentarono
immediatamente
di
influenzare
l’andamento
dei
lavori
cercando
di
forzare
una
elezione
immediata
di
appartenenti
alla
Curia
all’interno
delle
commissioni
e
con
l’opposizione
a
tale
metodo
dei
moderati-progressisti,
guidati
dai
Cardinali
Liénart
(Mission
de
France)
e
Frings
(Cologna),
che
chiesero
più
tempo
per
l’elezione.
Lo
scontro
continuò
il
16
ottobre,
nella
discussione
sugli
schemi
riguardanti
liturgia
e
divina
Rivelazione
(entrambi
rimandati
alle
commissioni)
e,
soprattutto,
dall’1
al 7
di
dicembre,
nella
discussione
sullo
schema
De
Ecclesia,
redatto
dalla
commissione
dottrinale
dell’influentissimo
quanto
conservatore
Cardinal
Ottaviani,
Prefetto
della
Congregazione
del
Sant’Uffizio
(nonché
noto
come
“Cardinale
carabiniere”
per
la
sua
inflessibile
opposizione
a
socialismo,
Nuova
Teologia
e
Preti
operai)
e
presentato
dall’altrettanto
tradizionalista
Cardinal
Franch
diSpalato
ma
aspramente
criticato
come
mancante
di
prospettiva
cristologica,
freddamente
giuridico,
completamente
privo
di
apertura
verso
i
laici
e di
senso
della
collegialità
(Cardinali
Montini
di
Milano
e
Döpfner
di
Monaco
e
Frisinga
e
Vescovo
De
Smedt
di
Bruges)
e,
dunque,
rimandato
anch’esso
alla
commissione.
Il
risultato
dello
scontro
fu
che
la
prima
sessione
si
chiuse,
l’8
dicembre
1962,
senza
che
nessun
documento
avesse
superato
la
fase
dibattimentale.
è
già
in
questa
prima
fase
che
nasce
quella
fazione
che
verrà
poi
conosciuta
come
“Coetus
internationalis
Patrum”
e
che
ha
come
obiettivo
quello
di
riaffermare
i
principi
tradizionali
della
Chiesa
all’interno
del
concilio.
Il
suo
fondatore
è
Monsignor
Marcel
Lefebvre,
già
Delegato
Apostolico
per
l’Africa
francofona
e
Arcivescovo
di
Dakar
e
al
tempo
Vescovo
di
Tulle,
che,
come
membro
della
commissione
preparatoria,
aveva
preso
parte
alla
creazione
di
quei
documenti
in
larga
parte
rigettati
dall’assemblea
generale
e
che
ora
era
sempre
più
preoccupato
della
direzione
che
le
delibere
conciliari
stavano
prendendo.
In
realtà,
i
veri
perdenti
di
questa
prima
fase
sono,
più
che
altro,
i
“curiali”
vicini
a
Ottaviani,
che
vedono
crescere
sempre
più
il
potere
della
cosiddetta
“Alleanza
europea”,
formata
in
gran
maggioranza
da
Vescovi
tedeschi,
austriaci,
olandesi,
francesi,
belgi
e
svizzeri
e di
matrice
spiccatamente
progressista.
I
“momenti
caldi”
della
contesa,
in
cui
si
giocano
gli
assetti
dell’intero
concilio,
sono
soprattutto
cinque:
1)
la
composizione
delle
commissioni
in
cui
l’Alleanza
ottiene
il
49%
dei
seggi
dopo
che
il
Santo
Padre
permette
una
designazione
di
componenti
per
maggioranza
semplice
(15-20
ottobre);
2)
l’indirizzamento
del
“novus
ordo
missae”
verso
il
volgare
nonostante
le
proteste
di
Monsignor
Dante
(23
ottobre)
e di
Ottaviani
stesso
(a
cui,
il
30
ottobre,
viene
addirittura
tolta
la
parola),
con
chiara
posizione
di
Giovanni
XXIII
in
questo
senso
(4
novembre);
3)
il
rifiuto
dei
Padri
dello
schema
di
Ottaviani
(appoggiato
invece
dai
Cardinali
Siri
di
Genova,
Ruffini
di
Palermo
e
Quiroga
di
San
Giacomo
di
Compostela)
sulle
“Fonti
della
Rivelazione”,
in
particolare
laddove
esso
sottolinea
che
“il
dovere
di
ogni
pastore
d’anime
è di
insegnare
la
verità
che
rimane
sempre
e
ovunque
immutabile”
(14
novembre);
4)
il
rifiuto
dello
schema
di
Ottaviani
su
“l’Unità
della
Chiesa”,
in
relazione
al
capitolo
sull’ecumenismo,
visto
come
troppo
conservatore
(23-27
novembre)
,
nonostante
la
strenua
difesa
di
Monsignor
Carli,
Vescovo
di
Segni
(1
dicembre);
5)
l’istituzione
di
una
commissione
coordinatrice
per
l’organizzazione
dei
lavori
conciliari
di
intersessione
in
cui
la
presenza
dei
membri
dell’“Alleanza”
assomma
al
50%
(tre
su
sei).
Insomma,
se
anche
non
colpito
in
prima
persona,
ce
n’è
abbastanza
perche
un
paladino
della
Tradizione
come
Lefebvre
tenti
di
organizzare
una
“resistenza”
e di
coalizzare
intorno
a sé
tutti
quelli
che
la
pensano
come
lui.
In
effetti,
una
delle
raccomandazioni
papali
in
fase
preparatoria
era
stata
quella
di
non
organizzare
incontri
di
fazioni
in
sede
extra-conciliare,
ma,
ad
onor
del
vero,
già
durante
la
prima
sessione,
in
particolare
i
Prelati
tedeschi
e
olandesi
avevano
largamente
disatteso
tale
monito,
per
cui
non
c’è
da
stupirsi
se
il
gruppo
del
“Coetus”,
che
comprende,
tra
le
sue
figure
di
maggior
spicco
(all’interno
dei
circa
450
Padri
che,
nel
tempo,
aderiranno
alla
sua
linea),
oltre
ai
già
citati
Cardinali
Siri
di
Genova
e
Ruffini
di
Palermo,
i
Cardinali
Larraona
Saralegui
(Protodiacono
e
Prefetto
della
Congregazione
per
i
Riti),
Browne
(ex
Generale
dei
Domenicani
e
Vescovo
di
Idebessus,
“in
partibus
infidelium”),
Spellman
di
New
York
e
Bacci
(insigne
latinista
e
Cardinale
di
Colonia
in
Cappadocia,
“in
partibus
infidelium”),
gli
Arcivescovi
de
Proença
Sigaud
di
Diamantina
(co-fondatore
della
fazione),
Morcillo
di
Zaragoza
(dal
1964
di
Madrid)
e
Santos
di
Manila
(che
sarà
nominato
portavoce
del
gruppo),
i
Vescovi
de
Castro
Mayer
di
Campos,
Ackerman
di
Covington
e il
Peritus
e
Prelato
Domestico
papale
Fr.
Gommar
DePauw,
si
dia
da
fare
(sostanzialmente
con
il
beneplacito
di
Ottaviani,
che,
per
certi
versi,
funge
un
po’
da
“padre
nobile”
della
corrente)
per
organizzare
conferenze
e
dibattiti
presieduti
dai
più
insigni
teologi
conservatori
quali
Monsignor
Spadafora,
Monsignor
Lattanzi,
Monsignor
Landucci,
Frà
(poi
Cardinal)
Ciappi,
teologo
della
Casa
Pontificia,
e
l’Abate
Berto
(teologo
personale
di
Lefebvre).
In
realtà,
comunque,
a
posteriori
risulterà
chiaro
che
il
gruppo
non
fu
mai
particolarmente
coeso:
alle
posizioni
estreme
di
Lefebre,
Ackerman
o
DePauw,
che
verranno
tutti
in
seguito
scomunicati,
si
affiancano
le
posizioni
certamente
tradizionaliste
dei
vari
Siri,
Larraona,
etc.,
che
si
sottometteranno
(seppur
criticamente)
al
dettato
conciliare
o,
addirittura,
le
posizioni
ondivaghe
di
uno
Spellman
che,
con
altri
Prelati
americani
(ad
esempio
Cushing
di
Boston
o
Meyer
di
Chicago),
sarà
favorevole
ai
documenti
sulla
libertà
di
coscienza
ma
osteggerà
qualunque
forma
di
dichiarazione
contro
le
“guerre
giuste”.
Molto
più
unita
sembra,
invece,
l’“Alleanza”,
che,
nell’intersessione,
prima
alla
riunione
di
Monaco
dei
Vescovi
germanofoni
(gennaio
–
febbraio
1963)
e
poi
alla
Conferenza
di
Fulda
(agosto
1963),
fortemente
indirizzata
da
teologi
liberali
o
moderato-progressisti
quali
Rahner,
Ratzinger,
Grillmeier
e
Semmelroth,
preparerà
la
linea
delle
sessioni
conciliari
successive,
spingendo
fortemente
per
la
collegialità
episcopale.
Intanto,
Il 3
giugno
1963
Papa
Giovanni
XXIII
muore
e
viene
sostituito,
il
21
giugno,
da
Papa
Paolo
IV,
fermamente
intenzionato
a
far
continuare
il
concilio,
che
riprende,
in
seconda
sessione,
il
29
settembre
di
quello
stesso
anno,
avendo,
su
chiara
indicazione
papale
nel
discorso
d’apertura,
quattro
obiettivi
programmatici:
esposizione
della
Dottrina
della
Chiesa,
possibilità
di
rinnovamento,
sviluppo
dell’ecumenismo
e
apertura
del
dialogo
Chiesa-mondo.
Papa
Paolo
VI
ha
già
dato,
dal
13
settembre,
una
notevole
svolta
ai
lavori,
modificando
piuttosto
sostanzialmente
alcuni
punti
dell’organizzazione:
ora
la
presidenza
è
composta
da
un
numero
maggiore
di
membri,
ma
con
poteri
ridotti
dal
momento
che
i
presidenti
delle
commissioni
non
hanno
più
la
facoltà
di
condurre
i
dibattiti;
sono
stati
nominati
quattro
cardinali
moderatori,
Döpfner,
Suenens,
Lercaro
e
Agagianian
(i
primi
due
sono
parte
integrante
dell’“Alleanza
Europea”,
Lercaro
è un
noto
liberale
convinto
e
Agagianian,
Prefetto
della
Congregazione
per
la
Propaganda
della
Fede,
durante
la
prima
sessione
aveva
sostenuto
le
posizioni
dei
Cardinali
più
“rivoluzionari
come
Tien
e
Thjissen);
infine,
ora
bastano
cinque
membri
di
una
commissione
per
“suggerire
una
nuova
redazione
da
un
emendamento
proposto”
(e
l’Alleanza
dispone
di
un
minimo
di
cinque
membri
in
ogni
commissione)
mentre
per
rigettare
uno
schema
o
sospendere
una
discussione
non
è
più
necessaria
la
maggioranza
dei
due
terzi
ma
basterà
la
maggioranza
semplice.
Anche
in
questa
nuova
tornata
dibattimentale
i
problemi
su
cui
progressisti
e
conservatori
si
confrontano
sono
numerosi.
Un
primo
elemento
di
scontro
riguarda
l’opportunità
di
uno
schema
specifico
su
Maria
Vergine
che,
come
concepito
dalla
Curia
è,
secondo
i
progressisti
dell’Alleanza
(Cardinali
Frings
e
Silva
e
Vescovi
Leone
e
Garrone,
3
ottobre
1963),
nocivo
per
l’ecumenismo,
cosicché
sarebbe
meglio
inglobare
l’argomento
nello
schema
generale
sulla
Chiesa.
All’idea
si
oppone
il
Cardinal
Arriba
y
Castro
di
Tarragona
a
nome
di
un
fronte
di
60
Padri
(in
gran
parte
del
“Coetus”),
ma,
il
29
ottobre,
per
soli
17
voti,
l’Alleanza
ha
la
meglio.
Un
secondo
problema
sorge
in
relazione
all’idea
di
Padre
Rahner
di
ristabilire
un
diaconato
permanente
all’interno
della
costituzione
sulla
Chiesa,
contro
cui
insorgono
in
particolare
i
Cardinali
Spellman
e
Bacci,
sia
perché
ritengono
inappropriato
discutere
una
questione
disciplinare
all’interno
di
un
documento
dogmatico,
sia
perché
vedono
nel
diaconato
permanente
un
pericolo
per
il
celibato
ecclesiastico
e le
vocazioni
sacerdotali
(4
ottobre).
I
Cardinali
Döpfner
di
Monaco
e
Frisinga
e
Suenens
di
Malines
e
Bruxelles
e
alcuni
Vescovi
di
zone
di
missione
(come
Monsignor
Yago
di
Abidjan
e
Monsignor
Zoungrana
di
Ouagadougou)
sostengono
Rahner
e la
discussione
viene
rimandata
e
finisce
per
unificarsi
con
quella,
nata
il
16
ottobre,
sulla
sostituzione,
proposta
da
Suenens,
nel
documento
De
Ecclesia
dell’espressione
“membro
della
Chiesa”
con
“popolo
di
Dio”,
contro
cui
insorge
il
Cardinal
Siri,
ritenendo
che
la
nuova
dizione
possa
far
pensare
alla
possibilità
di
salvezza
anche
senza
l’ausilio
della
gerarchia
ecclesiastica.
La
situazione
entra
in
stallo,
fino
a
che,
il 7
novembre,
Döpfner,
al
fine
di
impedire
ai
tradizionalisti
di
esprimersi
sull’argomento
del
laicato
in
seno
alla
Chiesa,
legge
una
lunga
dichiarazione
da
lui
redatta
in
cui
pretende
di
esprimere
le
posizioni
dei
conservatori:
sette
Vescovi
si
levano
contro
tale
intervento,
unendosi
in
un
gruppo
che
si
denomina
“Segretariato
Vescovi”
e
accusando
l’Alleanza
di
voler
instaurare
una
sorta
di
dittatura
spirituale.
Altri
35
Vescovi
si
aggregano
al
gruppo,
capeggiato
dal
Vescovo
Perantoni
di
Lanciano,
e ad
esso,
il
13
novembre,
si
affianca
l’“Unione
Romana
dei
Superiori
Maggiori”,
una
fazione
minoritaria
formata
da
125
Padri
provenienti
in
maggioranza
da
Ordini
monastici.
Il
28
novembre
i
due
nuovi
gruppi
hanno
raggiunto
679
consensi
e
Papa
Paolo
VI
fa
sapere
a
Preatoni
che
nella
terza
sessione
verrà
inserito
uno
schema
apposito
sui
Religiosi:
è la
prima
sconfitta
(una
delle
pochissime)
dell’Alleanza.
Il
terzo
grande
nucleo
problematico
riguarda
la
collegialità:
il 9
ottobre
Monsignor
De
Proençea
Sigaud
fa
un
lungo
intervento
contro
la
nuova
visione
della
collegialità
episcopale,
denunciando
la
possibile
costituzione
di
una
nuova
istituzione
simile
ad
un
concilio
ecumenico
permanente
e
mette
in
guardia
contro
il
pericolo
di
creare
dei
centri
di
decisione
locali
staccati
da
Roma.
La
sua
protesta
si
allaccia
alle
posizioni
di
Carli
e di
Lefébvre,
ma
la
sua
è
una
tesi
minoritaria
e il
30
novembre
la
tesi
collegialista
che
occorra
rivedere
lo
schema
sulla
Chiesa
in
modo
da
precisare
che
il
potere
pieno
e
supremo
sulla
Chiesa
universale
appartiene
al
collegio
dei
Vescovi
uniti
al
suo
Capo
risulta
vincente
con
1717
voti
a
favore
e
408
contro.
Con
tutte
queste
discussioni
i
lavori
procedono
a
rilento,
tanto
che
il
Papa
decide
di
aumentare
il
numero
dei
membri
di
ogni
commissione
da
25 a
30,
con
i
nuovi
seggi
che
vanno
quasi
totalmente
all’Alleanza
(che
ha
dalla
sua
parte
ben
65
conferenze
episcopali),
ma,
alla
fine
della
seconda
sessione
(4
dicembre
1963)
potranno
tuttavia
essere
promulgati
solo
la
costituzione
Sacrosantum
Concilium
sulla
sacra
liturgia
(un
testo
che,
già
rivisto
nel
corso
dell’intersessione,
viene
redatto
per
ottenere
il
consenso
generale
ed
essere
accetto
ai
conservatori
e ai
liberali,
con
le
vaghe
enunciazioni
di
massima
che
1-
il
culto
divino
è
un’azione
comunitaria
che
richiede
una
partecipazione
attiva
del
popolo
di
Dio,
2- i
fedeli
devono
essere
arricchiti
dalla
lettura
della
sacra
Scrittura,
3-
il
culto
liturgico
deve
insegnare
ai
fedeli
e
non
limitarsi
ad
aiutarli
a
pregare,
4-
gli
usi
tribali
devono
trovare
posto
nelle
liturgie
dei
paesi
di
missione)
e il
decreto
sui
mezzi
di
comunicazione
di
massa.
Durante
la
seconda
intersessione
la
situazione
volge
sempre
più
a
favore
dell’Alleanza:
a
parte
la
riduzione
degli
schemi
da
discutere
a
sei
principali
(Rivelazione,
Chiesa,
Vescovi,
ecumenismo,
apostolato
dei
laici,
Chiesa
nel
mondo
moderno)
rispetto
ai
tredici
stabiliti
in
precedenza
(Chiese
orientali,
Preti,
formazione
nei
seminari,
scuole
cattoliche,
Religiosi,
Sacramento
del
matrimonio
e
missioni
vengono
ridotti
a
semplici
enunciati
da
approvare
con
voto
semplice
e
senza
dibattito),
la
riunione
di
Roma
della
commissione
teologica
per
discutere
lo
schema
sulla
Rivelazione
vede
una
netta
preponderanza
dei
teologi
vicini
all’Alleanza
(i
vari
Monsignor
Charue
di
Namur,
Dom
Butler,
Grillmeier,
Semmelroth,
Rahner
e
Congar)
che
producono
(aprile
1964)
uno
schema
generale
per
la
discussione
approvato
da
Paolo
VI
il
quale,
poi
(luglio
1964),
modifica
radicalmente
il
regolamento
conciliare
(chiunque
voglia
prendere
la
parola
nell’aula
dovrà
comunicare
una
sintesi
del
suo
intervento
almeno
5
giorni
prima
al
segretario
generale
e
perché
una
richiesta
sia
ammessa
non
bastano
più
le
firme
di 5
Padri
conciliari
ma
ne
occorrono
65)
così
da
ridurre
al
silenzio
i
punti
di
vista
minoritari.
In
definitiva,
dunque,
la
terza
sessione,
che
si
apre
il
14
settembre
1964
con
la
presenza
di
40
uditori
laici
(tra
cui,
per
la
prima
volta,
17
donne),
sembra
avere
tutti
i
presupposti
per
una
netta
affermazione
dei
progressisti,
ma
le
cose
non
risulteranno
così
facili.
Già
il
15
settembre,
durante
la
discussione
sul
capitolo
VII
dello
schema
sulla
Chiesa,
il
Cardinal
Ruffini
di
Palermo,
il
Patriarca
Gori
di
Gerusalemme
e il
Vescovo
D’Agostino
di
Vallo
di
Lucania
denunciano
la
mancata
menzione
dell’inferno,
mentre,
il
giorno
successivo,
il
dibattito
infuria
sul
tema
riguardante
la
Vergine
Maria
(già
ridotto
ad
un
breve
capitolo
della
Lumen
Gentium):
i
Monsignori
Ruffini,
Mingo
di
Monreale,
Wyszynski
di
Varsavia
(a
nome
di
70
Vescovi
polacchi)
e,
stranamente,
Suenens
vorrebbero
che
fosse
dato
un
maggior
peso
al
suo
ruolo
di
“mediatrice
salvifica”,
ma i
progressisti
Léger
di
Montreal,
Döpfner
e
Bea
(Segretario
per
la
Promozione
dell’Unità
dei
Cristiani)
si
oppongono
energicamente
e,
il
29
ottobre,
il
testo
verrà
approvato
per
la
votazione
e,
con
minime
correzioni
(che
comunque
deludono
gli
osservatori
protestanti),
votato
il
18
novembre
dal
99%
dei
Padri
conciliari.
Il
vero
scontro
si
ha,
però,
a
partire
dal
23
settembre,
sulla
questione
della
libertà
religiosa:
i
Cardinali
Cushing
di
Boston,
Ritter
di
Saint
Louis,
Meyer
di
Chicago
e
Silva
Henriquez
di
Santiago
del
Cile
appoggiano
il
progetto
redatto
dal
Cardinal
Bea
sottolineando
che
la
libertà
religiosa
è un
diritto
naturale
dell’uomo
ma
il
Cardinal
Ottaviani
ritiene
esagerato
affermare
che
colui
che
obbedisce
alla
sua
coscienza
“è
degno
di
rispetto”
e
che
sia
grave
dichiarare
che
ogni
tipo
di
Religione
è
libera
di
diffondersi,
mentre
il
Cardinal
Ruffini
accusa
il
testo
di
promuovere
l’indifferentismo
religioso
e i
Cardinali
Quiroga
y
Palacios
di
Santiago
di
Compostela
e
Bueno
y
Monreal
di
Siviglia
rigettano
il
testo
come
contrario
alla
Tradizione.
Così
la
dichiarazione
sulla
libertà
religiosa
è
mandata
alla
revisione:
il
24
settembre
il
Cardinal
König
di
Vienna
tenta
ancora
di
difenderla,
ma
il
Cardinale
Browne
e
Monsignor
Parente
della
Curia
accusano
il
testo
di
subordinare
i
diritti
di
Dio
a
quelli
dell’uomo
e
Padre
Fernandez,
Superiore
generale
dei
Domenicani,
afferma
che
il
testo
è
affetto
da
naturalismo,
cosicché
la
dichiarazione
non
viene
adottata
e
deve
essere
rivista.
E’
in
questo
dibattito
che
il
Coetus
si
rende
conto
della
necessità
di
un’azione
più
incisiva
per
contrastare
il
potere
dell’Alleanza
e il
29
settembre
il
Cardinal
Santos,
Arcivescovo
di
Manila,
accetta
il
compito
di
portavoce
presso
il
Sacro
Collegio
del
gruppo,
che
comincia
ad
organizzarsi
in
forma
sempre
più
strutturata,
con
uffici,
personale,
materiale
per
la
stampa
e
riunioni
settimanali
ogni
martedì
sera
in
cui
si
propone
ai
Padri
che
ne
fanno
parte
una
conferenza
di
studio.
Molto
presto,
i
lavori
del
Coetus
ottengono
una
risonanza
notevole
(nonostante
la
visione
sempre
negativa
dei
mezzi
di
comunicazione
nei
confronti
della
fazione
tradizionalista),
anche
grazie
alla
pubblicazione
di
circolari
con
commenti
sugli
schemi,
interventi
di
teologi
e
programmi
d’azione
al
momento
dei
dibattiti.
Il
17
novembre,
finalmente,
viene
distribuito
ai
Padri
conciliari
lo
schema
rivisto
sulla
libertà
religiosa
e si
annuncia
che
esso
sarà
votato
il
19
novembre.
La
stessa
sera
il
Coetus
si
riunisce
per
studiare
il
nuovo
schema
e si
rende
conto
che
il
testo
è
stato
completamente
modificato,
per
cui
decide
di
avvalersi
dell’articolo
30
del
regolamento
interno
per
chiedere
di
differire
il
voto
fino
alla
prossima
sessione,
al
fine
di
avere
il
tempo
per
esaminare
questa
nuova
stesura.
Il
giorno
successivo,
però,
il
Cardinal
Tisserant,
decano
dei
Cardinali
presidenti,
decide
di
non
dar
corso
alla
richiesta.
Il
19,
comunque,
Monsignor
Carli
reclama
presso
il
tribunale
amministrativo
del
concilio
affermando
che
il
Cardinal
Tisserant
non
può
mettere
ai
voti
l’applicazione
di
un
articolo
del
regolamento
e
Tisserant
è
obbligato
a
ritirare
la
sua
decisione
e
annunciare
che
il
nuovo
schema
sulla
libertà
religiosa,
in
quanto
sostanzialmente
diverso
dal
primo,
necessita
di
uno
studio
approfondito,
quindi
sarà
votato
nella
prossima
sessione.
Questo
annuncio
accende
un’aspra
discussione:
il
cardinale
Meyer
(appoggiato
da
tre
suoi
compatrioti)
lancia
subito
una
petizione
perché
lo
schema
sia
votato
entro
la
presente
sessione
e,
accompagnato
dai
cardinali
Ritter
e
Léger,
si
reca
dal
Papa,
che,
però,
temendo
di
spaccare
il
Collegio
cardinalizio,
non
acconsente
alla
votazione
immediata.
Nel
frattempo,
comunque,
una
nuova
questione,
ancora
più
importante,
è
sorta
il
29
settembre,
dopo
che
una
votazione
sul
tema
della
collegialità
ha
visto
572
proposte
di
modifica
e si
è
deciso
di
affidare
la
stesura
di
tali
modifiche
ad
una
sottocommissione:
vista
la
preponderanza
di
membri
dell’Alleanza
in
tale
gruppo
di
studio,
Monsignor
Staffa,
Prefetto
della
Segnatura
Apostolica
e
altri
34
Prelati
scrivono
al
Papa
per
metterlo
in
guardia
sul
fatto
che
la
sottocommissione
sta
preparando
un
testo
ambiguo,
che
mette
in
ombra
il
potere
papale.
Paolo
VI
inizialmente
non
darà
peso
alla
lettera
ma
il 9
novembre
un
liberale
estremista
commette
l’imprudenza
di
spiegare
per
iscritto
come
si
potrà
approfittare
dei
passaggi
ambigui
dello
schema
“De
Ecclesia”,
dopo
il
concilio,
per
rimettere
in
questione
il
potere
supremo
del
Papa.
Il
documento
cade
in
mano
di
uno
dei
35
Cardinali
che
avevano
scritto
a
Paolo
VI
contro
la
collegialità
e,
quindi,
è
inviato
al
Santo
Padre.
Il
giorno
successivo
Paolo
VI
esige
che
lo
schema
sulla
collegialità
sia
chiarificato
in
ciascuno
dei
suoi
passi
ambigui,
e,
per
evitare
ogni
falsa
interpretazione,
chiede
alla
commissione
teologica
di
preparare
una
“nota
esplicativa
preliminare”,
in
cui
si
ricorda
che
il
Papa
è
l’elemento
costitutivo
necessario
ed
essenziale
dell’autorità
del
collegio
episcopale.
Infine,
il
16
novembre,
il
Santo
Padre
dà
lettura
di
tale
“nota
esplicativa
preliminare”
che
ricorda
la
dottrina
tradizionale
sul
potere
del
Papa
nella
Chiesa
ed
esige
l’assenso
dei
Padri
sul
suo
contenuto.
La
vera
questione
della
terza
sessione
è,
comunque,
quella
riguardante
lo
schema
su
“la
Chiesa
nel
mondo
moderno”.
Il 2
ottobre,
in
occasione
della
riunione
settimanale
alla
Domus
Mariae,
i
Vescovi
dell’Alleanza
Europea
decidono
di
allungare
i
tempi
nelle
discussioni
e
nei
dibattiti,
avendo
fatto
pubblicare
recentemente
delle
aggiunte
al
progetto:
questo
testo
(che
sarà
la
futura
costituzione
Gaudium
et
Spes)
dovrà
essere
un
compendio
di
insegnamenti
liberali,
ma
per
raggiungere
lo
scopo,
l’Alleanza
ha
bisogno
di
tempo,
per
assicurarsi
i
sostegni
necessari
al
momento
del
dibattito
e
del
voto
in
vista
dell’adozione
del
nuovo
testo.
Il
20
ottobre
si
apre
il
dibattito
sullo
schema,
ispirato
interamente
dal
cardinale
Suenens
e
redatto
da
una
commissione
largamente
liberale,
a
cui
partecipano
nomi
eccellenti
del
progressismo
quali
il
Vescovo
Schröffer
di
Eichstatt,
il
Vescovo
Hengsbach
di
Essen,
e il
grande
teologo
morale
Padre
Häring.
Il
primo
a
prendere
la
parola
è il
moderatore
Cardinal
Lercaro
che,
con
l'appoggio
del
Cardinale
Döpfner
e di
83
Vescovi
germanofoni
e
del
nord
Europa,
spiega
che
lo
schema
non
potrà
essere
discusso
seriamente
e
rivisto
prima
della
prossima
sessione.
Anche
Suenens
e
l'Arcivescovo
Heenan
di
Westminster
(quest'ultimo,
però,
a
nome
di
una
fronda
minoritaria
denominata
"Conferenza
di
San
Paolo")
appoggiano
il
rinvio.
Si
inizia,
comunque,
un
esame
preliminare,
che
tocca
uno
dei
suoi
punti
di
massima
criticità
il
29
ottobre,
quando
si
valuta
l'articolo
21
intitolato
“La
santità
del
matrimonio
e la
famiglia”:
il
Cardinale
Léger
chiede
che
il
documento
non
parli
dell’amore
coniugale
semplicemente
in
funzione
della
fecondità
e
Suenens
chiede
che
il
concilio
prenda
delle
decisioni
più
chiare
riguardo
alla
limitazione
delle
nascite.
Queste
posizioni
suscitano
le
immediate
reazioni
dei
conservatori:
Ruffini
difende
la
dottrina
della
Chiesa
contraria
alla
contraccezione
e
Ottaviani
arriva
addirittura
ad
accusare
Suenens
di
mettere
in
dubbio
l’inerranza
della
Chiesa,
mentre
Monsignor
Hervas
y
Bener
di
Ciudad
Real
definisce
inaccettabile
la
pochezza
del
documento.
Di
fatto,
il 5
novembre
tale
documento
verrà
rinviato,
ma
il 7
novembre,
dopo
essere
stato
convocato
da
Paolo
VI,
il
Cardinal
Suenens
dovrà
negare
pubblicamente
di
aver
messo
in
dubbio
l’insegnamento
autentico
della
Chiesa
sul
matrimonio
ed
affermare
che
tutto
quello
che
riguarda
la
limitazione
delle
nascite
attiene
alla
sola
autorità
suprema
del
Santo
Padre.
La
posizione
un
po’
ambigua
del
Papa
comincia
a
sollevare
malumori
e,
infatti,
quando
il
21
novembre
la
terza
sessione,
che
aveva
prodotto
la
Lumen
Gentium
(passata
con
soli
cinque
“non
placet”),
il
decreto
sull’ecumenismo
Unitatis
Redintegratio
(che,
comunque,
riceve
quasi
duemila
“iuxta”
–
richieste
di
miglioramento
- e
64
voti
contrari)
e il
decreto
per
le
Chiese
Orientali
Orientalium
Ecclesiarum,
si
chiude,
nel
momento
in
cui
Paolo
VI
risale
la
navata
sulla
sua
sedia
gestatoria
molti
Vescovi
restano
impassibili
e si
rifiutano
di
applaudire
e
alla
benedizione
del
Papa
si
segna
solo
un
Vescovo
su
dieci.
Quasi
ad
aumentare
la
confusione
sulle
sue
reali
posizioni
(e,
dunque,
a
scontentare
entrambe
le
parti),
al
momento
dell’allocuzione
di
chiusura,
il
Sommo
Pontefice
attribuisce
alla
Vergine
Maria
il
titolo
di
“Madre
della
Chiesa”,
cosa
a
cui
alcune
conferenze
episcopali
(in
particolare
della
Germania
e
dei
Paesi
nordici)
vi
si
erano
largamente
opposte
vedendovi
un
ostacolo
all’ecumenismo.
L’ambiguità
papale
non
cambierà
nelle
fasi
successive,
già
a
partire
dalla
terza
e
ultima
intersessione,
in
cui
il
Coetus
cerca
di
organizzarsi
per
sferrare
l’attacco
all’Alleanza:
il
25
luglio
1965
De
Proença
Sigaud,
Lefébvre
e
Dom
Prou,
Superiore
generale
della
Congregazione
Benedettina
di
Francia,
indirizzano
una
lettera
al
Papa
chiedendo
che
il
Coetus
possa
comunicare
in
aula,
prima
del
voto,
un
rapporto
contrario
sugli
schemi
sulla
libertà
religiosa,
sulla
Rivelazione
divina,
sulla
Chiesa
nel
mondo
moderno
e
sulle
relazioni
tra
la
Chiesa
e le
Religioni
non
cristiane,
ma
l’11
agosto
il
cardinale
Cicognani,
Segretario
di
Stato,
risponde
a
nome
del
Papa
sottolineando
che
Paolo
VI
disapprova
che
possa
esistere
un “gruppo
particolare
in
seno
al
concilio”,
che
potrebbe
privare
i
Padri
conciliari
della
loro
libertà
di
giudizio
e di
scelta
e
accentuare
divergenze
e
divisioni,
nonostante
sia
palese
a
tutti
l’esistenza
dell’Alleanza
Europea
e
l’articolo
LXXVII
§ 3
del
regolamento
interno
affermi
che
“È
fortemente
auspicabile
che
i
Padri
conciliari
che
intendono
sostenere
degli
argomenti
simili,
si
raggruppino
e
designino
uno
di
loro
per
prendere
la
parola
a
nome
di
tutti”.
E’
probabile
che
tale
risposta
sia
nata
dopo
che
i
cardinali
Döpfner
e
Suenens
erano
andati
a
lamentarsi
con
Paolo
VI
del
gruppo
di
opposizione
“Segretariato
Vescovi”,
accusandolo
di
disturbare
i
dibattiti
e le
votazioni
esercitando
delle
pressioni
in
seno
all’aula,
ma,
di
fatto,
una
ulteriore
missiva
del
Coetus
del
20
agosto
non
ottiene
risposta.
Si
arriva
così
al
14
settembre
1965,
data
di
apertura
della
quarta
sessione,
con
tensioni
che
si
stanno
facendo
via
via
più
palesi.
I
grandi
temi
di
dibattito
e
scontro
sono
soprattutto
tre:
il
documento
sull’ateismo,
lo
schema
sulla
libertà
religiosa
e
quello
sulla
Rivelazione
divina.
Per
quanto
riguarda
il
primo,
le
schermaglie
si
aprono
subito
il
primo
giorno,
con
la
distribuzione
di
un
testo
rivisto
sull’ateismo,
facente
parte
dello
schema
sulla
Chiesa
nel
mondo
moderno,
che,
nonostante
le
richieste
di
molti
Padri,
guidati
da
Monsignor
De
Proença
Sigaud,
di
avere
una
condanna
degli
errori
del
marxismo,
del
socialismo
e
del
comunismo
sulla
base
di
argomentazioni
filosofiche,
sociali
ed
economiche,
non
fa
minimamente
menzione
di
essi.
Di
conseguenza,
il
29
settembre,
Monsignor
Carli
diffonde,
con
l’aiuto
di
Monsignor
De
Proença
Siguad
e
Monsignor
Lefébvre,
una
lettera-petizione
redatta
insieme
a 26
vescovi,
nella
quale
si
elencano
dieci
ragioni
per
condannare
il
comunismo
nel
corso
del
concilio.
Tale
lettera,
il 9
ottobre,
ottiene
l’appoggio
di
450
Padri
conciliari
e il
documento
è
inviato
da
De
Proença
Sigaud
e
Lefébvre
al
Segretariato
generale
del
concilio
perché
sia
trasformato
in
emendamento
e,
in
base
al
regolamento,
stampato
e
portato
a
conoscenza
dei
Padri
per
essere
sottoposto
al
voto.
Quando,
però,
il
13
novembre,
viene
distribuito
un
nuovo
testo
sull’ateismo,
nella
relazione
ufficiale
che
lo
accompagna
non
si
parla
affatto
della
lettera-petizione
e lo
stesso
giorno
Monsignor
Carli
se
ne
lamenta
col
presidente
del
concilio
che
farà
aprire
un’inchiesta.
Il
15
novembre,
all’apertura
del
dibattito
sul
documento,
il
Coetus
Internationalis
Patrum
deposita
una
nuova
richiesta
di
emendamento
perché
nel
documento
sia
contenuta
una
condanna
del
comunismo
e il
23
novembre
Padre
Ralph
Wiltgen,
giornalista
e
osservatore
al
concilio,
fa
sapere
che
è
stato
il
Vescovo
Glorieux
di
Lilla,
segretario
della
commissione
incaricata
di
redigere
il
testo
sull’ateismo,
a
bloccare
le
450
firme
della
lettera-petizione.
Informato
dei
fatti,
il
24
novembre
Paolo
VI
ordina
che
sia
inserita
una
nota
nel
documento
con
la
quale
si
richiama
l’insegnamento
della
Chiesa
sul
maerxismo,
facendo
riferimento
a
Pio
XI,
Pio
XII,
Giovanni
XXIII
e
Paolo
VI,
ma
il 3
dicembre
De
Proença
Sigaud
lamenta
che
il
documento
non
si
sia
spinto
più
lontano
e il
Coetus
distribuisce
una
lettera
a
800
Padri
conciliari
per
ricordare
loro
di
votare
contro
lo
schema
sulla
Chiesa
nel
mondo
moderno,
visto
che
gli
argomenti
relativi
al
comunismo
e
alla
guerra
non
sono
soddisfacenti.
Questo
tentativo
non
servirà,
in
ogni
caso,
a
nulla,
dal
momento
che
solo
131
Padri
su
800
voteranno
contro
la
seconda
presentazione
del
documento
e il
7
dicembre
lo
schema
sulla
Chiesa
verrà
approvato
con
2309
voti
favorevoli
contro
75
(tutti
del
Coetus).
In
relazione
allo
schema
sulla
libertà
religiosa,
la
discussione
si
apre
il
15
settembre
e il
Coetus,
sulla
base
dell’articolo
XXXIII
§ 7
del
regolamento
interno,
chiede
l’autorizzazione
di
leggere
un
rapporto
sul
tema
ma i
moderatori
ignorano
la
richiesta.
Ugualmente,
27
ottobre,
quando
viene
messa
ai
voti
la
quinta
versione
dello
schema,
vengono
presentati
centinaia
di
emendamenti
e il
testo
deve
essere
nuovamente
rivisto.
Il
17
novembre
viene
distribuita
ai
Padri
la
sesta
versione
dello
schema
e il
Coetus,
pur
riconoscendo
miglioramenti
relativi
alla
menzione
della
“vera
religione”,
ritiene
insufficiente
che
il
criterio
principale
della
libertà
religiosa
resti
quello
del
giusto
ordine
pubblico
e
disapprova
che
si
possa
affermare
la
neutralità
dello
Stato
in
materia
religiosa
come
condizione
normale
quando
Pio
XII
aveva
sottolineato
come
la
condizione
normale
fosse
la
collaborazione
tra
la
Chiesa
e lo
Stato.
Ancora
una
volta,
comunque,
il
Coetus
risulta
perdente
al
voto
del
19
novembre
con
1854
voti
a
favore
dello
schema
e
249
voti
contro.
Infine,
l’ultimo
terreno
di
scontro
è
quello
dello
schema
sulla
Rivelazione.
Quando
lo
schema
viene
presentato,
il
20
settembre,
molti
Padri
esprimono
riserve
per
ciò
che
concerne
una
visione
troppo
ecumenica
dei
rapporti
tra
Scrittura
e
Tradizione
(articolo
9),
dell’inerranza
delle
Scritture
(articolo
11)
e
sulla
storicità
dei
Vangeli
(articolo
19),
cosicché,
l’8
ottobre,
il
Papa
riceve
numerose
proteste
(tra
le
quali
un
memorandum
del
Coetus
sull’articolo
11)
e,
di
rimando,
dieci
giorni
dopo,
fa
recapitare
al
Cardinale
Ottaviani,
presidente
della
commissione
teologica,
che
era
stato
messo
in
minoranza
dall’Alleanza
europea,
un
elenco
di
osservazioni
riguardanti
gli
articoli
“incriminati”,
che
devono
essere
modificati.
Naturalmente,
il
giorno
seguente
la
commissione
teologica
si
riunisce
per
la
revisione:
per
l’articolo
9 si
aggiunge:
“quindi,
non
è
solo
dalla
sacra
Scrittura
che
la
Chiesa
trae
la
sua
certezza
su
tutto
ciò
che
è
stato
rivelato”,
per
l’articolo
11
si
appronta
un
altro
enunciato
appena
meno
vago
in
cui
si
insegna
che
nei
Vangeli
è
senza
errore
solo
ciò
che
riguarda
la
salvezza
e
per
l’articolo
19,
la
commissione
modifica
il
testo
nel
senso
voluto
dagli
emendamenti
di
158
Padri.
Lo
schema
definitivo
viene
votato
il
18
novembre
ed è
approvato
con
2344
voti
a
favore
e 6
contro
e
subito
il
documento
viene
promulgato
dal
papa.
L’8
dicembre
1965
il
concilio
viene
ufficialmente
chiuso
con
la
proclamazione
di
un
numero
impressionante
di
documenti
(Christus
Dominus,
Perfectae
Caritatis,
Optatam
Totius,
Gravissimum
Educationis,
Nostra
Aetate,
Dei
Verbum,
Apostolicam
Actuositatem,
Dignitatis
Humanae,
Ad
Gentes,
Presbyterorum
Ordinis,
Gaudium
et
Spes)
che,
però,
sono,
come
già
molti
delle
precedenti
sessioni,
quasi
tutti
volutamente
vaghi,
frutto
di
mediazione
di
un
dibattito
tra
fazioni
opposte,
tra
le
quali
una
ricomposizione,
pur
nello
spirito
di
carità
e
fratellanza
che
dovrebbe
animare
i
Prelati,
risulta
impossibile.
Certo,
come
detto,
i
cambiamenti
sono
enormi
dal
punto
di
vista
giuridico-istituzionale:
le
commissioni
conciliari
vengono
trasformate
in
altrettante
congregazioni
coordinate
dalla
segreteria
di
Stato
e si
fanno
grandi
passi
in
direzione
della
collegialità
riformando
ed
ampliando
i
poteri
del
Collegio
cardinalizio,
dando
un
assetto
giuridico
più
definito
alle
Conferenze
episcopali
regionali,
creando
un
nuovo
organo
centrale
della
Chiesa
come
il
Sinodo
episcopale.
Lo
scollamento
tra
Chiesa
e
mondo
non
viene,
però,
completamente
risolto
e
sussistono
problemi
gravi
quali
la
crisi
dell’evangelizzazione
e la
ricerca
di
una
nuova
spiritualità
all’interno
di
una
comunità
afflitta
da
tensioni
contraddittorie,
tra
nostalgie
tradizionalistiche
ed
integraliste,
indifferenza
e
fughe
in
avanti
(insomma,
quelle
stesse
tensioni
che
avevano
animato
il
concilio
stesso).
La
breve
esposizione
degli
snodi
principali
delle
fasi
conciliari
ha
messo
in
luce
come
il
fatto
di
maggiore
importanza
sia
stato
il
passaggio
della
leadership
del
concilio
dalla
linea
conservatrice
a
quella
moderatamente
progressista:
non
si
trattò
unicamente
di
una
questione
teorica
di
punti
di
vista,
dal
momento
che,
dal
punto
di
vista
ecclesiastico,
si
cercò
di
trovare
nel
concetto
patristico
di
“mistero
sacramentale”
una
categoria
capace
di
far
sintesi
e
reggere
una
ecclesiologia
di
comunione,
nella
quale
potessero
trovare
posto
sia
le
istanze
di
rinnovamento
che
un
processo
di
continuità
con
il
Vaticano
I.
Non
sempre
vi
si
riuscì
e se
all’interno
del
concilio
le
mancanze
in
questo
senso
portarono
proprio
alla
vaghezze,
gravide
di
corollari
negativi,
di
alcuni
insegnamenti,
nelle
fasi
successive
della
storia
della
Chiesa,
purtroppo,
le
conseguenze,
in
termini
di
dolorose
scissioni,
scomuniche
e
divisioni,
saranno
ancora
più
terribili.
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