N. 36 - Dicembre 2010
(LXVII)
PEPPINO IMPASTATO
Morire per delle idee
di Federica Caputo
“È
nato
nella
terra
dei
vespri
e
degli
aranci,
tra
Cinisi
e
Palermo
parlava
alla
sua
radio…
Negli
occhi
si
leggeva
la
voglia
di
cambiare,
la
voglia
di
giustizia
che
lo
portò
a
lottare…
Aveva
un
cognome
ingombrante
e
rispettato,
di
certo
in
quell’ambiente
da
lui
poco
onorato…
Si
sa
dove
si
nasce
ma
non
come
si
muore
e
non
se
un
ideale
ti
porterà
dolore…”
Queste
alcune
delle
parole
con
cui
i
Modena
City
Ramblers
descrivono
Peppino
Impastato
nella
loro
canzone
“I
cento
passi”,
ispirata
all’omonimo
film
di
Marco
Tullio
Giordana
(2000).
Bastano
poche
parole,
a
volte,
per
riuscire
a
raccontare
una
storia.
Ma
cerchiamo
di
comprendere
a
fondo,
per
citare
ancora
una
volta
i
MCR,
La
storia
di
Peppino
e
degli
amici
siciliani.
Cinisi,
provincia
di
Palermo.
5
gennaio
1948.
Nasce
Giuseppe
Impastato,
figlio
di
Luigi
e
Felicetta
Bartolotta.
Cinisi
è un
bel
paese
siciliano
come
tanti
altri:
il
mare,
le
colline,
il
frinire
delle
cicale
sul
finire
dell’estate,
l’odore
dei
fichi.
Di
Cinisi
si
doveva
conoscere
solo
questo,
secondo
Luigi
Impastato
e
Gaetano
Badalamenti,
“numero
uno”
di
Cosa
Nostra.
Ma
qualcuno
non
ci
sta.
A
Cinisi
c’è
la
mafia
e
l’aeroporto
è un
punto
indispensabile
per
il
traffico
di
droga,
gestito
proprio
da
Badalamenti.
Anche
questo
si
deve
sapere.
È in
questa
Cinisi
che
cresce
l’intelligente
e
curioso
Peppino.
“Diventerà
un
grande
boss,
un
pezzo
grosso
di
Cosa
Nostra”,
questo
si
sussurrano
alle
orecchie
i
parenti
ai
grandi
pranzi
di
famiglia,
mentre
Peppino
corre
spensierato
nel
cortile.
Quella
spensieratezza
non
sarebbe
durata
a
lungo.
Ha
15
anni
Peppino,
quando
lo
zio
capomafia
Cesare
Manzella
viene
ucciso
in
un
agguato.
Peppino
chiede
alla
madre
chi
possa
essere
stato,
chiede
se
la
sua
famiglia
sia
mafiosa.
Si
parla
sempre
di
mafia
in
Sicilia,
nonostante
suo
padre
si
stizzisca
ogni
volta
che
accade.
“Cos’è
la
mafia?”
“Peppino,
la
mafia
non
esiste”
-
L’omertoso
padre
risponde
così.
E le
risposte
non
date
pesano
come
macigni
e
accrescono
la
curiosità
di
quel
ragazzo
indagatore,
che
osserva
tutto
ciò
che
accade
attorno
a
lui.
Peppino
lo
vuole
comprendere,
l’impenetrabile
mondo
del
padre.
Crescendo
si
avvicina
alla
politica.
Questo
ci
racconta
in
un
nota
biografica:
“Arrivai
alla
politica
nel
lontano
novembre
del
‘65,
su
basi
puramente
emozionali:
a
partire
cioè
da
una
mia
esigenza
di
reagire
ad
una
condizione
familiare
ormai
divenuta
insostenibile.
Mio
padre,
capo
del
piccolo
clan
e
membro
di
un
clan
più
vasto,
con
connotati
ideologici
tipici
di
una
civiltà
tardo-contadina
e
preindustriale,
aveva
concentrato
tutti
i
suoi
sforzi,
sin
dalla
mia
nascita,
nel
tentativo
di
impormi
le
sue
scelte
e il
suo
codice
comportamentale”.
Così,
proprio
nel
1965
fonda
il
giornale
L’idea
socialista,
che
sarà
sequestrato
dopo
pochi
numeri.
Ora
tocca
a
lui
rispondere
alla
domanda:
“Cos’è
la
mafia?”.
“La
mafia
è un
mucchio
di
merda”.
Il
coraggioso
figlio
di
Luigi
risponde,
provocatoriamente,
così.
Peppino
lo
voleva
urlare
al
mondo,
voleva
abbattere
il
muro
del
silenzio.
Ma
come?
Proprio
il
figlio
di
un
boss
si
mette
a
fare
il
comunista?
Agita
bandiere
rosse,
tiene
comizi,
urla
per
i
viali
di
Cinisi
che
bisogna
ribellarsi?
Sì.
E
Luigi
lo
caccia
di
casa.
Non
ne è
poi
così
dispiaciuto
Peppino:
il
padre
gli
aveva
sempre
tarpato
le
ali.
Dal
1968
partecipa
con
ruolo
dirigente
alle
attività
dei
gruppi
di
Nuova
Sinistra,
conduce
le
lotte
dei
contadini
espropriati
per
la
costruzione
della
terza
pista
dell’aeroporto
di
Palermo,
partecipa
alle
lotte
studentesche
e
alle
prime
occupazioni
Nel
1975
organizza
il
Circolo
“Musica
e
Cultura”,
un’associazione
che
promuove
attività
culturali
e
musicali
e
che
diventa
un
significativo
punto
di
incontro
per
i
giovani
di
Cinisi,
animati
dagli
stessi
ideali
di
Peppino.
La
sua
attività
di
conduttore
radiofonico
inizia
nel
1977,
quando
fonda
Radio
Aut,
una
radio
libera
e
autofinanziata,
con
cui
denuncia
i
delitti
e il
malaffare
dei
mafiosi
di
Cinisi.
Con
coraggiosi
e
pungenti
toni
satirici
colpisce
soprattutto
Gaetano
Badalamenti,
senza
risparmiare
feroci
attacchi
al
padre.
All’interno
della
radio
il
programma
Onda
Pazza
fu
il
più
seguito.
La
vita
di
Peppino
è
così:
scorre
tra
una
manifestazione
e
l’altra,
tra
gli
sguardi
sospetti
della
polizia
di
paese,
tra
i
continui
scontri
col
padre
e la
decisione
di
candidarsi
per
le
elezioni
comunali
di
Cinisi
col
partito
Democrazia
Proletaria.
Siamo
nel
maggio
1978.
Questa
decisione
gli
sarebbe
costata
cara.
Conduce
la
campagna
elettorale
con
la
consueta
determinazione
e
passione.
Organizza
mostre
fotografiche
sulle
devastazioni
dei
territori
operate
da
speculatori
e
cosche
mafiose.
Cinque
giorni
prima
delle
elezioni,
la
notte
fra
l’8
e il
9
maggio,
viene
bloccato
mentre
si
trova
a
bordo
della
sua
autovettura.
È
costretto
a
scendere,
viene
picchiato
e
legato
ai
binari
della
ferrovia.
È la
fine:
il
suo
corpo
sarà
dilaniato
da
una
carica
di
tritolo
posto
su
quegli
stessi
binari.
Suicidio
o
attentato
terroristico,
questi
i
primi
orientamenti
delle
indagini.
“Era
la
notte
buia
dello
Stato
Italiano,
quella
del
nove
maggio
settantotto…
La
notte
di
via
Caetani,
del
corpo
di
Aldo
Moro,
l’alba
dei
funerali
di
uno
stato…”
Sono
queste
le
parole
con
cui
i
MDC
ricordano
il
motivo
per
cui
la
morte
di
Peppino
passò
praticamente
inosservata.
I
cittadini
di
Cinisi
vollero
riconoscere
simbolicamente
Peppino:
alle
elezioni
votarono
infatti
il
suo
nome,
riuscendo
ad
eleggerlo
al
Consiglio
comunale.
Era
questo
il
messaggio
che
volevano
lanciare:
Peppino
era
morto,
ma
vivi
più
che
mai
erano
gli
ideali
che
avevano
animato
la
sua
vita.
Bisognava
far
tesoro
dell’eredità
che
aveva
lasciato.
Non
credettero
mai,
loro,
al
suicidio
di
Peppino.
Non
ci
credettero
neppure
la
madre
e il
fratello:
era
evidente
la
mano
della
mafia
dietro
alla
sua
morte.
Nonostante
questo
il
“caso
Impastato”
venne
archiviato
nel
maggio
1992,
dopo
l’invio,
nel
1988
di
una
comunicazione
giudiziaria
da
parte
del
Tribunale
di
Palermo
a
Badalamenti.
Quattro
anni
più
tardi
Salvatore
Palazzolo
indica
Badalamenti
come
mandante
del
delitto
e
Vito
Palazzolo
come
suo
complice,
quindi
l’inchiesta
viene
riaperta
e
proprio
per
Badalamenti
viene
emesso
un
ordine
di
cattura
nel
novembre
del
1997.
Dopo
diverse
vicissitudini
Vito
Palazzolo
verrà
condannato
nel
2001
a
trent’anni
di
carcere,
e un
anno
più
tardi
Gaetano
Badalamenti
all’ergastolo.
Successivamente
sono
deceduti
entrambi.
Ci
vollero
ventitre
lunghissimi
anni
prima
che
la
giustizia
facesse
il
suo
corso,
prima
che
Peppino
venisse
ufficialmente
riconosciuto
come
“vittima
della
mafia”.
Oggi
sono
numerose
le
iniziative
legate
al
ricordo
di
Peppino
Impastato:
a
lui
sono
intitolate
aule
e
biblioteche,
a
lui
sono
dedicate
fondazioni
di
Circoli
Culturali.
Il
titolo
del
film
sopraccitato,
“I
cento
passi”,
è
ispirato
alla
scena
in
cui
Peppino
spiega
al
fratello
che
la
distanza
fra
la
loro
casa
e
quella
del
boss
Badalamenti
è
poca:
in
cento
passi
ci
si
arriva.
È
insomma
un
modo
per
mostrare
quanto
la
mafia
sia
una
realtà
vicina
alla
loro
famiglia,
ovviamente
non
solo
dal
punto
di
vista
fisico.
Il
film
sottolinea
soprattutto
l’energia
e la
convinzione
con
cui
Peppino
agisce
contro
la
mafia.
Oltre
ai
Modena
City
Ramblers,
anche
altri
artisti
hanno
dedicato
canzoni
a
Peppino,
tra
i
più
celebri
i
Marta
sui
Tubi,
che
nel
2008
hanno
incluso
all’interno
del
loro
dvd
Nudi
e
Crudi
il
brano
Negghia,
ispirato
a
una
poesia
di
Peppino
Impastato.
Questa
invece
la
poesia
di
Peppino,
musicata
nel
2006
dal
gruppo
folk
dei
Laudari:
Fiore
di
campo
nasce
dal
grembo
della
terra
nera,
fiore
di
campo
cresce
odoroso
di
fresca
rugiada,
fiore
di
campo
muore
sciogliendo
sulla
terra
gli
umori
segreti
Peppino
è
nato
dal
grembo
di
una
terra
meravigliosa
e
profumata,
ma
che
il
sangue
delle
molte
stragi
mafiose
e
l’omertà
hanno
trasformato
in
terra
nera.
Peppino
è
cresciuto
animato
dai
più
positivi
e
audaci
valori.
Peppino
nel
1978
è
morto
per
delle
idee
nella
“terra
dei
Vespri
e
delle
arance”,
e
molti
altri
amici
siciliani
dopo
di
lui
sono
morti
per
le
stesse
idee,
nella
stessa
terra.