N. 123 - Marzo 2018
(CLIV)
la PAURA DELL’ANNO MILLE
MEDIOEVO E FANTAMEDIOEVO
di Chiara Bellucci
Al
giorno
d’oggi,
sono
rimasti
davvero
in
pochi
a
credere
che
gli
uomini
medievali
fossero
davvero
convinti
che
il
mondo
sarebbe
finito
con
l’avvento
dell’anno
mille.
Le
bufale
del
resto
sono
sempre
esistite.
Certo
nell’era
della
tecnologia
e
della
società
interconnessa,
di
fandonie
ne
leggiamo
tante,
se
non
altro
perché
circolano
con
maggiore
facilità.
Nel
medioevo
invece
il
panorama
era
di
gran
lunga
differente,
ma
sta
di
fatto
che
la
presunta
paura
dell’anno
mille
ha
messo
a
lavoro
molti
storici
moderni
che,
ad
un
certo
punto,
hanno
sentito
l’esigenza
di
fare
un
po’
di
chiarezza
sull’argomento,
dal
momento
che
nessun
documento
esaminato,
fa
pensare,
anche
solo
lontanamente,
che
nel
medioevo
le
persone
credessero
alla
fine
del
mondo
nell’anno
mille.
Fortunatamente
gli
storici
hanno
smentito
tale
superstizione,
anche
perché
l’errata
credenza
della
fine
del
mondo
aveva
inquinato
anche
la
didattica
scolastica
relativa
alla
storia,
trasformandola
in
una
specie
di
ibrido
tra
storia
e
romanzo.
La
storia,
a
differenza
della
letteratura,
presuppone
invece
un’indagine
critica
e
razionale
attraverso
materiale
documentario
di
varia
tipologia.
Dunque
leggere
un
romanzo
sulla
fine
del
mondo
nell’anno
mille
è
cosa
ben
diversa
dal
credere
che
storicamente
nel
medioevo
l’anno
mille
fosse
percepito
come
minaccia.
Il
romanziere
ha
un
lavoro
ben
diverso
dallo
storico,
però
spesso
e
volentieri,
la
mancata
conoscenza
della
storia
in
termini
di
lettura
critica
del
documento,
porta
molte
persone
a
credere
che
i
romanzi
siano
quella
faccia
della
verità
che
magari
qualcuno
ha
tenuto
nascosta
per
personale
tornaconto.
Quanti
romanzi
sono
stati
scritti
ad
esempio
sulla
figura
storica
di
Gesù
di
Nazareth!
E la
gente
crede
che
siano
veri
e
che
la
Chiesa
abbia
occultato
la
verità
per
convenienza.
Ecco,
questo
è un
classico
esempio
di
mistificazione
della
verità
storica
dovuta
al
fatto
che
non
si
conosce
la
storia
del
Cristianesimo
delle
origini.
Ritornando
all’anno
mille,
prima
di
inoltrarci
in
qualche
documento
che
prova
senza
ombra
di
dubbio
che
gli
uomini
medievali
non
temevano
l’avvento
del
mille,
vorrei
solo
invitare
a
riflettere
che
durante
il
medioevo
la
cultura
era
di
dominio
ristretto
ai
soli
chierici
e di
conseguenza,
riesce
piuttosto
difficile
ipotizzare
che
un
povero
contadino
sapesse
quanti
anni
aveva,
tanto
per
cominciare.
Il
computo
del
tempo,
che
per
noi
è
pratica
scontata,
non
era
dunque
un’operazione
così
semplice,
per
cui
è
sostanzialmente
corretto
affermare
che
se
certe
persone
non
erano
coscienti
della
loro
età,
non
avrebbero
mai
potuto
sviluppare
consapevolezza
circa
l’anno
in
cui
vivevano,
tale
da
generare
addirittura
la
paura
della
venuta
del
nuovo
millennio.
Senso
comune
a
parte,
il
lavoro
critico
degli
storici
ci
ha
liberati
definitivamente
di
questa
inutile
zavorra.
Oggi
giorno,
quando
ci
mettiamo
a
cercare
su
goole
“paura
dell’anno
mille”,
l’espressione
si
trova
spesso
e
volentieri
accompagnata
dalla
parola
“leggenda”
dell’anno
mille.
Forse
se
si
cerca
per
immagini
si
possono
trovare
illustrazioni
che
rimandano
a
tale
superstizione
in
un
preciso
contesto:
epidemie,
fenomeni
naturali,
disgrazie
di
ogni
tipo.
Insomma
è il
male
del
contesto
nella
sua
complessità,
che
risponde
ad
una
logica
apocalittica
tipica
di
quella
mentalità,
che
può
portare
erroneamente
ad
amplificare
questi
fenomeni,
che
sicuramente
nel
medioevo
accadevano
con
regolarità,
fino
a
renderli
“segnali”
della
fine
del
mondo
prossima.
La
visione
apocalittica
ha
evidentemente
plasmato
l’immaginario
collettivo
in
termini
di
folle
isteriche
che
si
rifugiano
nelle
chiese
durante
le
ultime
ore
dell’anno
999,
piangendo
e
supplicando
Dio
di
salvare
le
loro
anime.
Il
problema
è
che
l’immaginario
collettivo
non
è
quello
dell’alto
medioevo
ma
bensì
quello
dell’Ottocento!
Indubbiamente
ogni
cristiano
che
si
rispetti
crede
alla
parousia
ovvero
il
ritorno
di
Cristo
sulla
terra,
evento
che
determinerà
la
fine
del
mondo
e
l’instaurazione
del
regno
di
Dio,
ma
collocarlo
proprio
nell’anno
mille,
somiglia
tanto
a un
modo
di
sentire
le
cose
tipicamente
romantico.
Carducci,
uno
dei
più
grandi
esponenti
della
letteratura
italiana,
parla
di
apocalisse
e la
colloca
proprio
nel
mille,
condividendo
atteggiamenti
tra
l’altro
riscontrabili
anche
in
un
filone
della
storiografia
francese.
Analizzando
certe
posizioni,
risulta
evidente
che
costruire
a
tavolino
una
presunta
fine
del
mondo,
è
come
affermare
che
l’ignoranza
e
l’arretratezza
delle
persone
che
sono
vissute
nell’alto
medioevo
potrebbero
essere
state
la
causa
del
perché,
ad
esempio,
la
vita
in
tutte
le
sue
dimensioni
e
manifestazioni,
sembra
risorgere
proprio
dopo
il
mille.
Nell’Ottocento
c’è
chi
ha
creduto
questo,
ma
la
verità
storica
è
che
il
giorno
1
gennaio
del
1000,
il
sole
sorse
come
sempre
e
nessuno
tirò
un
sospiro
di
sollievo
rendendosi
conto
che
l’apocalisse
non
era
avvenuta.
Lo
storico
Rodolfo
il
Glabro
aveva
quindici
anni
all’epoca
e
tutto
ciò
che
racconta
è
una
serie
di
sciagure
che
funestarono
il
primo
decennio
dell’anno
mille:
malattie,
morti,
catastrofi
naturali
come
terremoti,
perfino
un
incendio
che
danneggiò
la
basilica
di
San
Pietro
a
Roma,
ma
non
un
singolo
accenno
alla
fine
del
mondo.
Lo
scenario
è
indubbiamente
apocalittico,
ma
dobbiamo
anche
calarci
nella
mentalità
del
tempo,
come
accennato,
per
cui
la
punizione
è
collegata
ad
una
colpa,
il
castigo
ad
un
peccato.
Tutto
ciò
che
di
brutto
accade
è
segno
che
Dio
è
irato
con
l’uomo
a
cui
non
resta
che
espiare
il
peccato
attraverso
la
penitenza,
unico
modo
per
non
sottrarsi
alle
proprie
responsabilità.
C’è
però
una
bella
differenza
tra
mentalità
apocalittica
e
credenza
cieca
nell’apocalisse
ad
un
punto
tale,
addirittura,
di
collocarla
con
assoluta
certezza
nel
mille.
Prendiamo
in
esame
qualche
altro
documento
per
smentire
la
superstizione.
Esiste
una
bolla
papale
datata
31/12/999
firmata
da
Papa
Silvestro
II,
un
tempo
Gerberto
d’Aurillac
in
cui
si
legge,
senza
ombra
di
dubbio,
che
il
Papa
confermava
tutta
una
serie
di
privilegi
già
accordati
al
monastero
tedesco
di
Fulda,
a
patto
che
in
futuro,
ogni
abate
eletto,
si
recasse
a
Roma
per
confermare
la
validità
della
sua
elezione
e
pagasse
alla
Chiesa
romana
un’offerta
di
12
denari.
Più
chiaro
di
così.
La
fine
del
mondo
non
era
attesa.
Esaminiamo
per
pars
condicio
anche
testimonianze
provenienti
da
ambienti
meno
illustri
della
Chiesa
di
Roma.
Gli
storici
hanno
ritrovato
un
documento
notarile
di
grande
importanza
relativo
ad
un
contratto
di
affitto
tra
il
monastero
di
Tortona
e
due
fratelli
agricoltori.
L’abate
si
prendeva
l’onere
di
affittare
terreni
di
proprietà
del
monastero
ai
due
fratelli
per
la
durata
di
29
anni.
I
fratelli
si
impegnavano
dal
canto
loro
a
coltivare
la
terra,
pagando
annualmente
al
monastero
un
terzo
del
grano
e
metà
del
vino
prodotto.
Risulta
perciò
evidente
che
non
c’era
alcuna
paura
dell’anno
mille.
Dunque
abbiamo
bolle
papali,
contratti
d’affitto,
a
cui
aggiungiamo
varie
cronache
del
tempo
che
non
menzionano
da
nessuna
parte
il
terrore
dell’anno
mille.
Fermo
restando
che
l’Apocalisse,
secondo
alcuni
attribuita
a
San
Giovanni,
secondo
altri
no,
venisse
da
tutti
ritenuta
vera,
nello
scritto
di
Giovanni
non
viene
menzionata
per
esplicito
la
fine
del
mondo.
Nell’Apocalisse
si
legge
effettivamente
un
gioco
di
parole
con
l’anno
mille
che
si
riferisce
alla
liberazione
della
terra
dal
dominio
di
Satana
dopo
mille
anni
di
regno.
Potrebbe
forse
l’allusione
ai
mille
anni
di
tirannia
del
diavolo
aver
fatto
pensare
che
Cristo
sarebbe
tornato
sulla
terra
nell’anno
mille?
Del
resto
i
movimenti
millenaristici,
ovvero
le
sette
che
predicano
la
fine
del
mondo,
ragionano
in
questi
termini.
Probabile
ma
non
certo
perché,
ancora
una
volta,
abbiamo
i
documenti
a
smentire
le
superstizioni.
Abbone
di
Fleury,
noto
abate
francese,
filosofo,
scrittore
e
poligrafo,
nel
998
scrisse
a
Roberto
re
di
Francia
una
lettera
di
aperta
critica
nei
confronti
di
alcuni
atteggiamenti
“religiosi”
all’interno
del
suo
regno
che
necessitavano
un
pronto
intervento
di
correzione.
Abbone
stila
un
elenco
di
errori
di
vario
tipo,
incolpando
i
chierici
francesi
di
non
sapere
il
credo,
di
sbagliare
spesso
e
volentieri
il
calendario
liturgico
e in
ultimo,
ma
non
per
ultima,
la
critica
più
aspra
di
tutte,
nei
confronti
di
quelle
sciocche
dicerie
che
qualcuno
aveva
fatto
circolare
sulla
fine
del
mondo,
superstizione
infondata
che
pare
fosse
comparsa
per
la
prima
volta
nel
970,
quando
Abbone
era
giovanissimo.
Tale
superstizione,
come
denota
Abbone,
sembrava
poi
essere
scomparsa
fino
a
ricomparire
d’improvviso.
Abbone
stesso,
che
nel
970
era
davvero
un
ragazzino,
aveva
provato
a
correggere
quei
chierici
che
fantasticavano
scenari
apocalittici
leggendo
in
modo
totalmente
errato
l’Apocalisse
e il
profeta
Daniele.
Dal
documento
sappiamo
inoltre
che
presso
un
monastero
in
Lorena
-
dice
Abbone
- ai
tempi
del
buon
abate
Riccardo,
cominciavano
a
piovere
missive
farneticanti
a
proposito
della
fine
del
mondo
che
sarebbe
avvenuta
quando
il
venerdì
santo
avrebbe
coinciso
con
l’Annunciazione
del
25
marzo.
Per
farla
breve,
fu
Abbone
che
dovette
scrivere
in
Lorena
invitando
i
chierici
a
non
prestare
fede
alcuna
a
queste
fantasticherie
e
concentrarsi
invece
su
impegni
di
tutt’altra
importanza.
Quindi,
qualche
voce
che
alludeva
alla
fine
del
mondo
ogni
tanto
usciva,
però
è
altrettanto
vero
che
la
Chiesa,
prontamente,
interveniva
per
placare
gli
animi
dei
fedeli.
La
Chiesa
infatti
non
credeva
in
questi
calcoli
perché
le
Sacre
Scritture
non
esplicitano
la
data
della
fine
del
mondo.
Dai
sinottici
alla
lettera
di
San
Paolo
apostolo
ai
Tessalonicesi,
non
troviamo
l’ombra
di
un
riferimento
temporale
sulla
fine
del
mondo.
Anzi,
nella
citata
lettera
di
San
Paolo,
il
santo
scrive
che
il
giorno
del
giudizio
sarebbe
arrivato
come
un
“ladro
di
notte”
e
nessun
ladro
avverte
preventivamente
il
proprietario
del
fatto
che
a
breve
gli
svaligerà
la
casa.
Il
giorno
del
giudizio
arriverà
quando
l’uomo
meno
se
lo
aspetta.
Sant’Agostino
lo
dice
chiaramente:
calcolare
è
sbagliato
perché
nessuno
può
sapere
con
esattezza
il
giorno
della
fine
del
mondo,
tanto
più
che
Agostino
ricorda
che
prima
della
fine
del
mondo,
il
Vangelo
dovrà
essere
predicato
a
tutti
i
popoli
della
Terra.
Abbiamo
anche
un
episodio
di
superstizione
datato
prima
del
970.
Infatti
nell’anno
847
a
Magonza
si
diffuse
la
voce
che
ci
fosse
una
donna
capace
di
pronosticare
con
esattezza
la
fine
del
mondo.
Interessante
è
notare
come
nel
documento,
sia
il
Vescovo
di
Magonza
in
persona
a
sostenere
che
solo
i
plebei
si
recassero
da
questa
fattucchiera
e
credessero
a
simili
storie.
Dunque,
ancora
una
volta,
certe
superstizioni
hanno
presa
maggiore,
per
ovvi
motivi,
su
chi
non
possiede
cultura.
Pare
tuttavia
che
quando
il
fenomeno
cominciò
a
sottrarsi
al
controllo,
il
Vescovo
volle
interrogare
personalmente
la
donna
e fu
la
donna
stessa
a
rivelare
che
la
profezia
fosse
in
realtà
una
grossa
menzogna
che
addirittura
un
prete
le
aveva
suggerito
di
diffondere
per
fare
dei
soldi,
promettendo
chissà
quale
salvezza
dell’anima.
La
donna
venne
punita
e la
superstizione
neutralizzata
all’istante.
Premesso
tutto
ciò,
sembra
evidente
che
se
nel
medioevo
la
Chiesa
aveva
moltissime
ragioni
per
evitare
la
circolazione
di
idee
fasulle
ed
eretiche,
nell’Ottocento,
per
determinati
fattori
che
vedremo,
era
sicuramente
più
comodo
ritirare
fuori
dal
dimenticatoio
le
superstizioni,
tralasciando
l’effettivo
e
pronto
intervento
della
Chiesa,
storicamente
documentato.
La
questione
nasce
dall’errata
lettura
di
alcune
cronache
medievali
che
menzionavano
episodi
particolarmente
catastrofici
o
prodigi
di
varia
natura.
La
tipica
mentalità
medievale
di
stampo
apocalittico,
viene
così
associata
in
tutto
e
per
tutto
a
varie
forme
di
profezia
sulla
fine
del
mondo
a
partire
dal
Rinascimento,
epoca
che
per
l’appunto
si è
sempre
definita
in
positivo
come
uscita
dalle
tenebre
del
medioevo.
Idioti
e
ignoranti
che
vivevano
nella
convinzione
che
le
calamità
naturali
fossero
presagio
della
fine
del
mondo.
Globalmente
il
senso
era
questo
e la
dose
venne
rincarata
a
cavallo
tra
1600
e
1700,
secoli
in
cui
la
scienza
e
l’Illuminismo
regnavano
sovrani,
da
cui
la
repulsione
e
l’insofferenza
nei
confronti
di
ogni
residuato
di
medioevo.
Non
a
caso
si
focalizzava
l’attenzione
sul
fatto
che
la
letteratura,
la
cultura
e la
lingua
si
fossero
affermate
dopo
il
mille.
A
tal
proposito
Saverio
Bettinelli,
gesuita
e
scrittore
italiano,
pubblica
nel
1773
un’opera
dal
titolo
Del
Risorgimento
d’Italia
negli
studi,
nelle
arti,
e
ne’
costumi
dopo
il
mille
dell’abate
Saverio
Bettinelli,
dove
l’autore
rimarca
il
fatto
che
prima
del
mille,
dal
punto
di
vista
culturale,
non
ci
fosse
nulla.
La
posizione
che
evidenzia
la
rinascita
italiana
dopo
l’anno
mille,
venne
per
comodità
adottata
da
molti
altri
paesi
europei
e di
conseguenza,
si
alimentò
sempre
di
più
nell’immaginario
collettivo,
la
rappresentazione
di
un
medioevo
da
non
credere.
Nell’Ottocento,
per
quanto
ci
siano
estimatori
del
medioevo
tra
i
romantici,
c’è
anche
una
corrente
di
pensiero
che
continua
a
vedere
negli
uomini
medievali
un
ammasso
di
terroni
ignoranti
e si
indica
a
chiare
note
un
colpevole
per
tale
arretratezza
di
pensiero:
la
Chiesa.
Carducci
nel
suo
Inno
a
Satana,
dunque,
in
maniera
molto
forte
ma
inequivocabile,
critica
il
Vaticano
e le
sue
politiche,
posizione
tra
l’altro
che
si
inserisce
molto
bene
nel
clima
di
laicismo
e
positivismo
tipici
dell’epoca,
che
combattendo
ogni
forma
di
superstizione,
additavano
la
Chiesa
come
nemica
della
cultura
e
della
libera
circolazione
delle
idee.
L’atmosfera
è
decisamente
anticlericale
e se
la
Chiesa
dell’Ottocento
appare
un
mostro
a
certi
intellettuali,
figuriamoci
la
Chiesa
medievale
e la
sua
teocrazia
accentratrice.
La
Chiesa
a
questo
punto
deve
difendersi
e
sono
gli
stessi
chierici
a
farsi
storici
per
dimostrare
come
la
Chiesa
non
c’entri
assolutamente
nulla
con
la
paura
dell’anno
mille.
Sicuramente
la
Chiesa
medievale,
ma
ancora
di
più
la
Chiesa
controriformata,
ha
costituito
un
grosso
ostacolo
per
la
diffusione
di
una
cultura
laica,
ma
ciò
non
giustifica
che
determinati
intellettuali
progressisti
si
siano
dimenticati
dell’elemento
critico
nello
studio
della
storia,
dando
vita
ad
una
cattiva
storiografia
che
nel
1900
è
stata
fortunatamente
raddrizzata.
L’elemento
peculiare
della
faccenda
è
sicuramente
il
coinvolgimento
della
Chiesa
stessa
nella
ricerca
storica.
La
storiografia
progressista
non
ha
provato
nulla,
ma
si è
limitata
ad
accusare,
pur
avendo
ragione
su
molti
punti.
I
cattolici
hanno
lavorato
meglio,
ricordando
invece
l’importanza
di
partire
dalle
fonti,
prima
di
formulare
giudizi.
Concluderei
citando
uno
scrittore
cattolico
che
venne
tra
l’altro
messo
al
centro
di
una
bufera
ideologica
per
il
suo
atteggiamento
marcatamente
ostile
alla
cultura
araba.
Lo
scrittore
in
questione,
storico
e
saggista
francese
è
Sylvain
Gouguenheim,
maggiormente
famoso
per
Aristote
au
Mont-Saint-Michel.
Les
racines
grecques
de
l’Europe
chrétienne
del
2008,
in
cui
l’autore
affermava
che
presso
il
monastero
di
Mont-Saint-Michel,
esistesse
di
fatto
un
gruppo
di
copisti
che
avevano
tradotto
Aristotele
dal
greco
al
latino.
L’intenzione
era
dimostrare
che
l’Occidente
medievale
si
era
tradotto
Aristotele
per
proprio
conto,
senza
ricorrere
agli
arabi,
la
cui
lingua,
per
una
questione
di
cultura,
mal
si
prestava
alla
filosofia
e
alla
scienza.
Naturalmente
ciò
scatenò
tutta
una
serie
di
opposizioni
da
parte
di
chi
era
stato
duramente
colpito.
Gouguenheim,
però,
nel
1999
scrisse
un
saggio
molto
più
pertinente
alle
paure
dell’anno
mille:
Les
Fausses
Terreurs
de
l’an
mil:
attente
de
la
fin
des
temps
ou
approfondissement
de
la
foi?
In
questo
scritto,
Gouguenheim
dimostrò
in
maniera
coerente
alla
documentazione
storica
che
i
miti,
magari
si
creano
anche
in
modo
innocente,
ma
poi
vengono
automaticamente
silenziati
quando
le
persone
comprendono
l’infondatezza
di
certi
contenuti.
Dunque,
quando
le
superstizioni
riemergono
dal
dimenticatoio?
Quando
servono
per
le
battaglie
ideologiche,
che,
talvolta,
paradossalmente,
anche
nella
ragione,
diventano
così
cieche
che
il
primo
a
scomparire
è
proprio
lo
spirito
critico.
Riferimenti
bibliografici:
A.
Barbero,
C.
Frugoni,
Medioevo.
Storia
di
voci,
racconto
di
immagini,
La
Terza
Editore,
Roma-Bari
1999.
A.
Ghisalberti, Filosofia
Medievale.
Da
Sant’Agostino
a
San
Tommaso, Giunti
Editore,
Firenze
2006.