N. 12 - Maggio 2006
“NUOVE PASSIONI NELLE FILIPPINE”
Le crocifissioni durante la Settimana Santa
di
Laura
Novak
Per Integralismo
religioso, l’opinione pubblica identifica pratiche
religiose cruente verso gli altri e se stessi,
compreso il suicidio, o idee particolarmente estreme
che riguardano l’attuazione di dogmi religiosi. Fino a
questo punto niente da ribattere; ma quello che non si
attiene alla verità è che l’integralismo, secondo
molte persone non ben documentate, esista solo nelle
religioni orientali, in particolar modo, nell’Islam.
Nel corso di millenni di
storia, la religione cattolica ha conosciuto molte
forme di estremismo religioso; la persecuzione dei
cosiddetti eretici dopo la Controriforma, divenne
l’esempio più scandaloso.
Attualmente in tutto il
mondo esistono tradizioni violente e sanguinolente in
ogni genere di tradizione che sia culturale o
religiosa; a volte entrambe le cose in una miscela
complessa. Pratiche di mutilazione, di torture
corporali, di privazioni vitali dannose al corpo e
alla mente.
Non fa certo eccezione
la religione cristiana cattolica.
Nel suo avamposto
cattolico più importante, le Filippine, ogni anno,
durante la settimana santa, uomini e donne creano
lungo le strade di un piccolissimo centro nelle
vicinanze di Manila, la capitale, un festival
dell’orrore.
Gente di ogni tipo, di
ogni generazione ed estrazione sociale si incolonna su
una strada a mala pena sterrata, lungo la quale,
percorre chilometri su chilometri seminudi, con un
solo lenzuolo a circondare la vita, scalzi e con una
corona di spine sul capo.
La rivisitazione delle
ultime ore della passione di Cristo e della sua morte
è ricostruita nei dettagli più macabri. Il viaggio del
condannato alla crocifissione simulata, inizia il suo
percorso di passione, con il bacio dell’uomo che
interpreta l’apostolo infedele, Giuda.
La croce, dopo il
giudizio di uno pseudo Ponzio Pilato, lo attende.
Trascinarla fino al colle, già preparato con una fossa
che servirà ad impalarla più salda nel terreno,
diventerà ancora più doloroso dagli insulti e le
fustigazioni, che, lungo la strada, gli verranno
inferti dal pubblico, partecipe in qualità di
centurioni romani o di ebrei miscredenti; tutto come
fu per Gesù.
Il rituale cruento viene
poi completato con la crocifissione vera e propria.
Le mani e i piedi del
novello Gesù vengono immerse molto tempo prima
dell’esecuzione, nell’alcool etilico per attenuare il
dolore ed evitare infezioni. I chiodi vengono
infilzati fino in fondo nelle mani e nei piedi, mentre
i polsi, a differenza di Gesù, vengono legati con funi
resistenti alla croce di legno, in modo che il peso
del corpo, una volta innalzata la croce, non venga
tenuto solo dai chiodi, rischiano lacerazioni
importanti di pelle e, di conseguenza, dolore
insopportabile.
La croce è ora in piedi…
intorno turisti, curiosi, persone inginocchiate in
preghiera e flagellanti che, con fruste di bambù,
continuano a frustarsi dall’inizio del rito.
Per le svariate ore o
spesso solo alcuni minuti in cui i nuovi Gesù
continuano la loro agonia, invasati svolgono banchetti
con vino e balli tradizionali, fino alla deposizione
definitiva.
Ma non sono solo uomini
che scelgono la via delle crocifissione. Una donna,
nel 2005, Mary Jane Marangon, di 30 anni, si è fatta
crocifiggere nel piccolo villaggio di Santa Lucia, ma,
dopo il momento culmine, in cui i chiodi sono
penetrati nelle mani, è svenuta dal dolore, provocando
panico tra il pubblico e l’intervento dei medici.
Non è certo l’unica,
durante gli anni, ad avere avuto bisogno di assistenza
sanitaria.
Durante e dopo le
crocifissioni, molti delle “vittime” perdono i sensi,
se non, nei casi più gravi, dover essere anche
sottoposti ad energiche rianimazioni, dopo la
deposizione dalla croce.
Il rituale, portato dai
missionari spagnoli durante l’epoca coloniale, ha
messo solide radici nella cultura popolare della zona.
Tradizione, che è stata sconfessata più di una volta
dalla Chiesa Cattolica e da Papa Giovanni Paolo II,
perché macabra e insensata.
Ma, nonostante la
posizione anche dell’arcivescovo Oscar Cruz che ha
chiesto al Vaticano un intervento di forza maggiore,
perché termino le crocifissioni, ogni anno migliaia di
curiosi e di penitenti, si recano in flussi constanti
nei paesini dove questa pratica rispetta puntualmente
la tradizione di verità.
Questo perché, in
realtà, nonostante ne abbiano gli strumenti, i
rappresentanti della Chiesa Cattolica nelle Filippine,
non hanno mai con fermezza osteggiato il fenomeno di
culto, che ha facilitato anche l’afflusso di turisti
in quelle zone molto povere del paese. E, mentre Cruz
condannava la tradizione di fronte alla Conferenza dei
vescovi cattolici delle Filippine, altri, come il
reverendo Nicdao, hanno difeso la scelta di molte
persone umili e semplici che, secondo la sua opinione,
non hanno altri mezzi, se non questo, per manifestare
la loro assoluta devozione.
Tutto è reale, nessun
trucco o inganno. Il dolore dei crocefissi è
angosciante.
Ma il perché queste
persone si prestino a questa pratica è complesso.
La maggior parte delle
volte a spingerli è la speranza o la convinzione che,
ripercorrendo il dolore che il figlio di Dio ha
provato per la nostra salvezza, i loro peccati vengano
cancellati. E’, quindi, il peso della loro coscienza e
la sudditanza psicologica verso la religione cattolica
a spingerli verso il colle.
Altri, invece, sono
spinti da voti fatti o per la guarigione di un
familiare o per uscire da quella miseria assoluta che
li affligge, spesso dovuta alle grandi calamità
naturali che, ogni anno, colpiscono la zona delle
Filippine.
C’è da evidenziare come,
una tradizione che attiri così tanta pubblicità, possa
essere strumentalizzata da uomini e donne in cerca di
rilancio. Esempio fu uno sportivo che, nel 1995, finse
di avere un fratello malato terminale per ottenere di
essere il prescelto alla crocifissione, per poi
rivendere in seguito, per un grossa cifra, i diritti
di ripresa integrale del rito ad un sito sadomaso.
Un vero e proprio
business che, negli anni, è andato ad ingigantirsi.
Testimonianze raccontano
di come, ai cigli della strada, verso il colle della
“salvezza”, da anni ormai, ci siano venditori
ambulanti di orripilanti souvenir, come frustini e
chiodi utilizzati nell’anno precedente, venditori di
ombrelli, per il riparo da pioggia o sole, oppure
altri disgraziati con piccoli frigoriferi da asporto
al seguito, per la rivendita di acqua e coca-cola.
Ci si chiede, a questo
punto, quanto queste pratiche e tutte le altre, che in
nome della religione, qualunque essa sia, vengono
attuate in tutto il mondo, possano considerarsi degne
di essere accostate ai dogmi a cui si ispirano.
La violenza non fa certo
parte della cultura cattolica, ma esagerazioni e
travisamenti personali possono inficiare il messaggio
di amore e di salvezza di Gesù Cristo.
E’ in quest’ottica che
bisogna analizzare anche le altre forme di
integralismi religiosi. Le scelte personali sono
sempre alla base di ogni atto estremo, nonostante
l’uso improprio e strumentale del proprio credo e
della propria coscienza religiosa come scudo o come
giustificazione.
Riferimenti
bibliografici:
Delumeau
J., Il fatto Religioso, SEI, Torino, 1997
www.larepubblica.it
www.riforma.nt/cattolicesimo |