N. 58 - Ottobre 2012
(LXXXIX)
PAREGGIO DI BILANCIO
dietro le quinte storiche di un principio economico
di Mira Susic
Il
pareggio
di
bilancio
viene
spesso
citato
dagli
esperti
come
la
soluzione
adeguata
per
uscire
dal
pantano
della
crisi
economica
odierna.
Il
pareggio
di
bilancio
è il
prodotto
non
solo
di
una
tesi
economica
ma
anche
di
un
percorso
storico
e
sociale
della
società.
Oggi
viviamo
in
una
fase
storica
e
sociale
in
piena
evoluzione
e
trasformazione
nella
quale
gli
stati
nazione
affrontano
un
deficit
strutturale
del
bilancio
dello
stato.
Il
pareggio
di
bilancio
è
però
legato
all’imposizione
tributaria.
In
breve
lo
stato
per
funzionare
deve
avere
dei
soldi
in
cassa.
Nel
passato
questo
problema
poteva
essere
risolto
in
due
modi:
l’acquisizione
del
bottino
con
la
forza
delle
armi,
dunque
con
la
violenza
della
guerra,
e
l’imposizione
dei
tributi.
Il
primo
metodo
implicava
il
saccheggio
indiscriminato
di
un
territorio.
Si
trattava
di
un
metodo
rapido
che
da
un
lato
riempiva
le
casse
vuote
dello
stato,
ma
dall’altro
non
lasciva
in
vita
coloro
che
avevano
subito
il
saccheggio.
La
soluzione
del
bottino
di
guerra
era
dunque
una
soluzione
a
breve
termine.
Infatti
massacrando
la
popolazione
locale
si
otteneva
l’agognato
bottino
ma
si
finiva
anche
ad
eliminare
dei
potenziali
contribuenti
e la
forza
lavoro
di
un
territorio.
Adottando
invece
l’imposizione
dei
tributi
si
lasciavano
in
vita
coloro
che
dovevano
pagare
il
tributo.
L’imposizione
fiscale
perciò
presupponeva
di
conservare
delle
condizioni
di
vita
dei
contribuenti
tali
da
dare
loro
la
possibilità
di
sopravvivere
o
quanto
meno
riprendersi
economicamente
anche
se
avrebbero
conservato
una
posizione
subordinata
rispetto
ai
conquistatori.
La
soluzione
dell’imposizione
fiscale
o
tributaria
assicurava
alle
casse
dello
stato
un’entrata
duratura
di
denaro.
Questa
soluzione
si
dimostrò
nel
tempo
più
efficace
della
pratica
del
saccheggio
indiscriminato.
Con
ciò
si
affermò
un
principio
fondamentale
nella
logica
dell’amministrazione
statale
e
del
suo
apparato
burocratico:
entrate
e
uscite
o
dare
e
avere
al
quale
all’epoca
non
corrispondeva
l’equità
sociale.
Infatti
le
classi
egemoni
erano
esenti
dai
tributi.
Questa
palese
inequità
fiscale
portò
alla
ribalta
la
questione
della
rappresentanza
politica
della
cosiddetta
classe
produttiva.
In
sostanza
si
aprì
un
contenzioso
di
distribuzione
dei
poteri
decisionali
politici
ed
economici
nonché
di
rappresentanza
ovvero
la
questione
della
suddivisione
sociale.
No
taxation
without
represenation,
o
niente
tasse
senza
rappresentanza
politica
fu
in
sostanza
il
motto
della
rivoluzione
borghese
illuminista
che
mise
sotto
accusa
l’istituzione
della
monarchia
assoluta
e il
potere
incontrastato
della
nobiltà
che
godeva
di
innumerevoli
privilegi.
A
quell’epoca
il
prelievo
fiscale
era
finalizzato
unicamente
agli
scopi
di
coloro
che
imponevano
i
tributi,
dunque
all’esclusivo
sostentamento
della
classe
nobiliare.
Per
potere
ottenere
l’abolizione
dell’ingiustizia
fiscale
il
pareggio
di
bilancio
diventò
il
cavallo
di
battaglia
della
borghesia
Adottando
il
principio
del
pareggio
di
bilancio
In
sostanza
il
sovrano
e la
classe
nobiliare
non
avrebbero
dovuto
spendere
di
più
rispetto
alle
entrate
che
sarebbero
loro
state
assicurate
da
una
distribuzione
d’imposta.
Il
trionfo
della
borghesia
dunque
suggella
un
cambiamento
dello
stato
nazione
introducendo
il
pareggio
di
bilancio
e la
riduzione
al
minimo
delle
spese
pubbliche
complessive
dello
stato.
Con
ciò
le
funzioni
che
potevano
essere
delegate
allo
stato
erano
quelle
giudiziarie,
di
polizia
e
della
difesa
militare.
L’uso
della
forza
e
della
coercizione
venivano
però
esclusi
dal
settore
economico
produttivo
e
finanziario.
Di
conseguenza,
I
poteri
delle
istituzioni
feudali
ed
aristocratiche
furono
letteralmente
scardinati
e
una
nuova
condizione
sociale,
quella
borghese
diventò
parte
integrante
dello
stato
nazione.
Il
pareggio
di
bilancio
è
dunque
figlio
di
questo
trapasso
storico
e
sociale
epocale.
Oggi
viviamo
in
una
situazione
molto
simile
dove
viene
puntualmente
riproposto
il
pareggio
di
bilancio
come
una
soluzione
equa
e
ragionevole
adatta
a
tutte
le
componenti
della
società.
Il
motto
è
semplice
: lo
stato
con
i
suoi
servizi
erogati
ridotti
all’osso
può
funzionare
solo
con
i
conti
apposto.
A
questa
equazione
viene
però
aggiunta
la
martellante
campagna
dei
tagli
presentati
come
la
soluzione
ideale
non
solo
per
mantenere
i
conti
statali
in
ordine,
ma
anche
per
eliminare
i
cosiddetti
sprechi.
Nella
società
c’è
chi
consuma
al
di
sopra
dei
propri
mezzi
finanziari.
Questa
volta
però
non
è il
bersaglio
la
nobiltà
esente
da
tasse
ma
lo
stato
sociale
frutto
di
innumerevoli
battaglie
politiche
e
sociali
non
solo
operaie,
contadine
ma
anche
borghesi.
A
questo
punto
è
chiaro
che
la
borghesia
non
ha
nessun
interesse
ad
smantellare
lo
stato
sociale
al
quale
deve
anch’essa
qualcosa,
ma
qualcun
altro
molto
più
privilegiato
di
lei,
e
cioè
non
il
capitale
industriale
o
produttivo
ma
il
capitale
finanziario
che
opera
esclusivamente
in
borsa.
La
riedizione
in
pompa
magna
del
principio
del
pareggio
di
bilancio
è
legata
allo
scontro
interno
tra
due
forme
di
capitale,
quello
dell’
economia
reale
o
produttiva
e
quello
speculativo
finanziario
che
opera
esclusivamente
in
borsa
ed è
in
grado
di
muovere
ingenti
somme
di
denaro
da
un
capo
all’altro
del
mondo
oramai
globalizzato.
La
risposta
alla
crisi
economica
è
anche
legata
a
queste
due
visioni
del
capitalismo,
quello
reale
o
quello
virtuale.
L’evoluzione
successiva
del
capitalismo
dipende
anche
da
ciò:
un
globalizzazione
con
le
regole
oppure
senza
regole.
In
conclusione
il
capitalismo
si
trova
di
fronte
ad
un
bivio
e
con
lui
il
mondo
intero.