N. 128 - Agosto 2018
(CLIX)
Storia dei Papi medievali fino all’anno mille
Parte
I -
Gregorio
Magno
di Vincenzo
La
Salandra
Si
apre
questa
rubrica
con
San
Gregorio
Magno
che
nacque
intorno
al
540
a
Roma
da
una
nobilissima
famiglia,
la
gens
Anicia,
e
ricevette
a
Roma
una
accurata
istruzione,
certo
compatibilmente
con
le
non
poche
difficoltà
dei
tempi
in
cui
visse.
Le
sue
nobili
origini
lo
predisponevano
naturalmente
alla
carriera
pubblica,
e
ancora
giovane
fu
prefetto
della
città
di
Roma.
Successivamente
maturò
la
decisione
di
dedicarsi
alla
vita
monastica
e
trasformò
la
sua
dimora
gentilizia
sul
Celio
in
un
monastero
ordinato
in
armonia
sostanziale
con
la
regola
di
San
Benedetto.
Papa
Benedetto
I
(575-579)
lo
consacrò
diacono
e,
in
seguito,
Pelagio
II
(579-590)
lo
inviò
a
Costantinopoli
in
qualità
di
apocrisario,
ovvero
suo
rappresentante
ufficiale,
nell’anno
580.
Tornato
a
Roma
il
586,
fu
designato
vescovo
di
Roma
dal
popolo
e
dal
clero,
nel
590:
l’imperatore
ratificò
la
nomina.
Quanto
si
legge
nelle
fonti
sui
suoi
tentativi
di
evitare
ed
eludere
la
nomina
e
l’elezione
al
soglio
pontificio,
non
va
considerato
solamente
come
una
ripetizione
di
un
luogo
comune
agiografico.
Era
infatti
un
uomo
amante
dello
studio
e
della
meditazione
che
con
ogni
probabilità
si
sentiva
inadatto
alle
beghe
e
alle
preoccupazioni
della
politica:
tuttavia,
come
vedremo,
svolse
il
suo
ruolo
con
ammirevole
precisione
e
con
instancabile
lena,
per
essere
ricordato
come
un
papa
assiduo
nell’azione,
oltre
che
nell’erudizione.
In
tal
senso
è
tipica
una
delle
sue
rappresentazioni:
in
un
famoso
dipinto
del
1472-1473
circa,
custodito
a
Palermo
presso
la
Galleria
Regionale
della
Sicilia,
Antonello
da
Messina
lo
rappresentava
intento
alla
lettura,
con
la
tiara
e
gli
occhi
bassi
attenti
nella
lettura
di
un
grosso
volume.
Gregorio
inizio
il
suo
pontificato
in
un
periodo
storico
particolarmente
difficile:
la
peste
infieriva
a
Roma;
gli
invasori
longobardi
minacciavano
la
città
all’esterno,
mentre
l’imperatore
di
Costantinopoli
non
era
certo
in
grado
di
portare
soccorso.
Gregorio,
in
seguito
a
laboriose
ed
estenuanti
trattative
e
assoggettandosi
al
pagamento
di
un
tributo,
riuscì
ad
allontanare
i
longobardi,
di
modo
che,
terminata
anche
la
pestilenza
che
affliggeva
l’Urbe,
riuscì
ad
occuparsi
della
sistemazione
e
gestione
del
vasto
e
ingente
patrimonio
che
la
chiesa
di
Roma
possedeva
in
tutta
l’Italia.
Applicò
sani
criteri
amministrativi
ed
esercitò
una
assidua
vigilanza,
di
conseguenza
riuscì
ad
aumentare
di
molto
la
produttività
delle
terre
della
Chiesa:
i
proventi
ricavati
erano
indispensabili
per
assicurare
non
solo
l’approvvigionamento
di
Roma,
ma
anche
per
garantire
l’espletamento
di
una
attività
assistenziale
di
vaste
proporzioni
e di
sicuro
momento.
Nel
frangente
storico
in
cui
il
controllo
dell’imperatore
sulla
città
di
Roma
diventava
sempre
più
inadeguato
e
certamente
insufficiente
nella
garanzia
della
sicurezza
politica
ed
amministrativa,
Gregorio
si
trovò
a
dover
sovvenire
con
la
sua
opera
laboriosa
alle
carenze
dell’amministrazione
e
della
politica
imperiale:
compito
che
svolse
con
abnegazione
e
successo.
Con
lui,
che
pure
era
un
suddito
fedele,
si
rivelava
appieno
quel
processo
di
progressivo
esautoramento
del
potere
dell’imperatore
d’Oriente
a
Roma,
a
beneficio
diretto
del
vescovo
locale,
un
processo
che
gradatamente
avrebbe
portato
all’instaurazione
del
vero
e
proprio
potere
temporale
del
papato.
Nonostante
la
particolare
gravità
di
questi
compiti
e a
dispetto
di
una
salute
cagionevole,
restò
afflitto
infatti
da
continue
malattie,
Gregorio
non
trascurò
mai
di
esercitare
il
controllo
sulle
chiese
da
lui
direttamente
dipendenti
sia
in
Italia
come
nelle
altre
nazioni
europee.
La
conversione
dall’arianesimo
al
cattolicesimo
dei
longobardi
già
avviata
sotto
Agilulfo
e
l’invio
strategico
di
una
missione
di
monaci
in
Britannia,
con
a
capo
il
futuro
vescovo
di
Canterbury,
Agostino,
rappresentano
i
suoi
successi
più
appariscenti
della
sua
instancabile
attività
pastorale:
a
darne
vivissima
testimonianza
disponiamo
del
suo
vastissimo
epistolario,
vero
modello
dell’epistolografia
latina
medievale.
L’attività
letteraria
di
Gregorio
è
stata
in
effetti
sempre
legata
alla
sua
attività
pastorale,
e,
se
vogliamo,
ancor
prima
ai
suoi
alti
ideali
monastici.
E
veniamo
alla
sua
attività
di
scrittore:
durante
il
soggiorno
e la
permanenza
a
Costantinopoli
compose
i
trentacinque
libri
dei
Moralia
in
Job,
un
commento
di
ampie
proporzioni
che
nel
contrasto
tra
Giobbe
e
sua
moglie
vuole
adombrare
allegoricamente
il
contrasto
tra
la
vita
dello
spirito
e la
vita
della
carne.
Altra
opera
seminale
sono
i
suoi
Dialoghi,
Dialogorum
libri
VI,
dove
Gregorio
racconta
con
partecipazione
e
fine
aneddotica
le
opere
miracolose
dei
santi
italiani
degli
ultimi
tempi,
offrendo
e
tramandandoci
una
interessantissima
biografia
di
Benedetto
da
Norcia,
quasi
inaugurando
l’agiografia
monastica
italiana.
Ancora,
il
Liber
regulae
pastoralis,
che
compose
all’inizio
del
suo
pontificato,
e
che
venne
velocemente
tradotto
in
greco,
contiene
un’attenta
descrizione
e
una
scrupolosa
analisi
delle
virtù
da
praticare
e
dei
vizi
da
fuggire.
Quest’opera
ebbe
un
tale
successo
che
vari
concili
in
seguito
la
proposero
come
modello
ai
vescovi.
Le
malattie
non
distolsero
Gregorio
dalla
sua
infaticabile
attività
omiletica:
le
fonti
ci
dicono
che
alcune
delle
omelie
da
lui
composte
venivano
lette
da
un
notarius
alla
sua
presenza
e
questo
quando
le
sue
condizioni
di
salute
non
gli
consentivano
di
alzare
la
voce.
Sono
pervenute
quaranta
omelie
sui
Vangeli
e
ventidue
omelie
su
Ezechiele.
Se
le
prime
trattano
sopratutto
argomenti
di
carattere
morale,
le
omelie
su
Ezechiele
trattano
argomenti
vari,
con
un
marcato
uso
dell’allegoria
seguendo
il
gusto
dell’epoca
e
insistendo
sulla
caducità
delle
cose
umane
e
sull’imminente
fine
del
mondo.
Le
ansie
generali
sulla
fine
dei
tempi,
erano
tipiche
di
questo
secolo
VI e
torneranno
ancora
aumentate
nei
secoli
successivi
e
fino
alla
soglia
del
mille.
Ma
la
cultura
di
Gregorio
anche
in
campo
ecclesiastico
venne
considerata
piuttosto
ristretta,
ma
questo
perché
ristrette
furono,
in
effetti,
le
sue
esigenze
in
materia:
a
titolo
di
esempio
si
può
ricordare
che
nei
sei
anni
trascorsi
in
Oriente
non
sentì
la
necessità
di
apprendere
il
greco.
Questa
voluta
e
quasi
“sacra
ignoranza”
trovava
giustificazione
nell’esigenza
dell’umiltà,
che
Gregorio
pose
a
fondamento
della
vita
spirituale,
e
questo
per
ispirare
il
distacco
dal
mondo
e il
progressivo
avvicinamento
a
Dio
nella
semplicità
della
preghiera.
La
sua
dottrina,
esposta
in
un
latino
ancora
relativamente
puro,
semplice
e
scorrevole,
e
illustrata
dal
continuo
ricorso
alla
Sacra
Scrittura
(che
rappresentava
il
vero
compendio
della
cultura
di
Gregorio),
presentava
agli
uomini
del
suo
tempo
il
difficile
ideale
della
vita
cristiana,
senza
illusioni
ma
anche
senza
facili
disperazioni,
un
ideale
che
risultava
nutrito
dalla
fiducia
dell’uomo
in
Dio.
Le
opere
di
Gregorio
Magno
furono
molto
lette
e
diffuse
Medioevo,
e
ben
presto
divennero
testi
fondamentali
della
meditazione
monastica.
La
riuscita
della
conquista
evangelica
dell’Inghilterra
gli
valse
il
nome
di
Console
di
Dio.
Infine
resta
da
sottolineare
il
suo
contributo
alla
musica:
uomo
di
raffinato
gusto
e
profonda
cultura,
fine
intenditore
di
musica,
riformò
il
canto
ecclesiastico
che
da
lui
prese
il
nome
di
gregoriano.
Lui
steso
compose
inni
bellissimi
che
diresse
personalmente
nel
coro
di
San
Pietro:
e,
finalmente,
fondò
a
Roma
la
Schola
cantorum
dotandola
di
un
ricco
patrimonio.
San
Gregorio
Magno
morì
nel
604
nella
sua
Roma
e fu
sepolto
in
San
Pietro.