N. 76 - Aprile 2014
(CVII)
IL PAPATO IN ETÀ MODERNA
PARTE I -
TRA CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ
di Silvia Mangano
Un
elemento
costitutivo
della
storia
del
papato
è la
sua
continuità.
Una
continuità
che
è
stata,
giustamente,
definita
sui
generis,
in
virtù
della
sua
intrinseca
discontinuità.
Infatti,
da
una
parte
ci
troviamo
di
fronte
a
un’istituzione
presente
sul
territorio
di
Roma
da
più
di
2000
anni;
dall’altra,
il
suo
carattere
elettivo
e il
passaggio
del
potere
da
una
famiglia
all’altra,
rende
ogni
pontificato
un
microcosmo
a sé
nella
complessa
storia
della
Chiesa.
Tracce
di
sopravvivenza
dell’antico,
della
“tradizione”,
riaffiorano
in
continuazione
in
ogni
età
del
papato.
Proprio
in
virtù
di
questo
carattere
non
si
mai
assistito
a
una
trasformazione
radicale
della
realtà
istituzionale
e
dottrinale.
Come
scrive
Antonio
Menniti
Ippolito:
“La
vicenda
della
Chiesa
di
Roma
è
dunque
segnata
da
una
sostanziale
continuità
e
questa
è
caratterizzata,
all’opposto,
da
frequenti
momenti
di
rottura”
(Il
governo
dei
papi
nell’età
moderna,
p.
21).
Ciò
che
rende
unico
il
sistema
di
governo
dello
Stato
della
Chiesa
è la
(quasi
sempre)
venerabile
età
degli
eletti
al
soglio
pontificio.
Per
un
ruolo
di
tale
responsabilità,
è
evidente
che
fosse
necessaria
un’enorme
esperienza;
ma,
nell’età
moderna,
le
motivazioni
che
spingevano
a
votare
un
candidato
anziano
piuttosto
che
uno
più
giovane
erano
anche
di
natura
politica:
un
candidato
anziano
avrebbe
regnato
per
poco
tempo
e i
cardinali
del
conclave
avrebbero
avuto
più
chance
per
raggiungere
il
pontificato.
Per
questo
motivo,
un
altro
fattore
di
“papabilità”
era
la
malattia:
se
un
cardinale
soffriva
di
un
disturbo
o di
una
malattia,
era
molto
probabile
che
potesse
essere
segnalato
per
l’elezione.
Le
discontinuità
dovute
all’avvicendarsi
di
papi
non
pregiudicavano
gli
elementi
di
continuità,
quale
per
esempio
la
struttura
curiale
– la
cui
riforma
fu
obiettivo
mancato
di
ogni
papa.
Le
monarchie
occidentali
erano
rette
da
sovrani
che
si
insediavano
giovani
e
che,
godendo
di
un
lasso
temporale
più
ampio,
perseguivano
una
politica
dinastica
sconosciuta
ai
papi.
A
Roma,
la
sovranità
poteva
essere
assoluta,
ma
mai
risultò
ereditaria.
Il
papa
morente
non
poteva
designare
il
suo
successore,
né
intervenire
nella
scelta
consigliando
un
candidato.
Interessante
al
riguardo
è la
considerazione
di
Machiavelli,
che
nel
Principe
(Princ.,
XIX)
equipara
il
pontificato
al
“regno
del
Soldano”;
infatti
entrambi
non
potevano
essere
definiti:
“né
principato
ereditario,
né
principato
nuovo;
perché
non
e’
figliuoli
del
principe
vecchio
sono
eredi
e
rimangono
signori,
ma
colui
che
è
eletto
a
quel
grado
da
coloro
che
ne
hanno
autorità.
Ed
essendo
quello
ordine
ntiquato,
non
si
può
chiamare
questo
principato
nuovo.
Perché
in
quello
non
sono
alcune
di
quelle
difficoltà
che
sono
ne’
nuovi;
perché,
sebbene
el
principe
è
nuovo,
gli
ordini
di
quello
stato
sono
vecchi,
e
ordinati
a
riceverlo,
come
se
fussi
loro
signore
ereditario”.
Per
la
maggior
parte
degli
eletti,
l’elemento
discriminante
non
era
mai
stata
l’esperienza
pastorale
condotta
nelle
diocesi,
bensì
la
preparazione
acquisita
negli
anni
trascorsi
negli
uffici
curiali,
nelle
segreterie
o
nelle
Congregazioni,
oppure
in
missioni
diplomatiche
in
veste
di
assistenti
di
nunzi.
Nella
prima
età
moderna,
il
pontefice
rivestiva
un
ruolo
amministrativo
più
che
pastorale.
Di
ciò
ne è
indice
il
tipo
di
studi
affrontato
in
gioventù
dai
papi:
la
maggior
parte
avevano
un
background
di
studi
giuridici,
talvolta
accompagnato
da
studi
teologici,
mentre
erano
pochissimi
quelli
che
possedevano
una
formazione
prettamente
filosofico-teologica.
Senza
contare
che,
a
ogni
nuova
elezione,
si
susseguivano
elementi
ciclici
che
influivano
sulla
scelta
del
candidato:
composizione
del
conclave,
forze
esterne
in
grado
di
incidere
nella
selezione
o
bocciatura,
personalità
– e
inabilità
–
dell’eletto,
sensibilità
religiosa,
propensione
politica.
Gettando
i
semi
di
un
discorso
che
verrà
affrontato
in
seguito,
ci
limitiamo
ad
aggiungere
che,
una
volta
eletto,
il
pontefice
si
affrettavano
a
consolidare
la
propria
famiglia
all’interno
dell’aristocrazia
curiale,
nominando
cardinali
i
propri
consanguinei
(vd.
fenomeno
del
nepotismo).
Attorno
al
papa,
si
veniva
formando
una
familia
che,
oltre
al
cardinal
nipote,
comprendeva
altri
cardinali,
Maggiordomi,
Maestri
di
camera,
etc.
L’alternanza
continua
tra
un
pontefice
e un
altro
rende
molto
difficile
una
periodizzazione
“dei
papi”.
Ma
se
si
prende
in
considerazione
la
storia
della
Chiesa,
discostandosi
da
quella
più
“seriale”
della
storia
del
papato,
ci
si
accorge
di
quanto
“i
cambiamenti
siano
solo
apparenti,
come
dinamiche
di
fondo
sopravvivano
nel
lungo
periodo
e
come
i
medesimi
temi
si
ripropongano
nel
tempo
indifferenti
ad
ogni
apparente
discontinuità”.
Infatti,
“se
la
storia
dei
papi
è
una
continua
serie
di
stop
and
go
[…],
per
quel
che
riguarda
la
vicenda
del
pontificato
come
istituzione
sembra
possibile
tratteggiare
una
serie
di
punti
comuni”
(p.
27).
Dunque,
è
possibile
sostenere
che
le
periodizzazione
della
storia
della
Chiesa
sono
fluide
e
non
possono
inserirsi
in
una
struttura
schematica,
come
accade
sovente
in
quelle
dei
regni
europei;
tuttavia
risultano
facilmente
adattabili
a
seconda
delle
ricerche
che
si
conducono.
L’analisi
della
nomenclatura
adottata
dai
papi
e
dell’iconografia
sono
utili
all’osservazione
della
continuità
e
della
discontinuità.
Nel
Quattrocento,
a
partire
da
Martino
V, i
papi
(9)
che
si
avvicendarono
sul
trono
di
Pietro
scelsero
nove
nomi
diversi,
sottolineando
in
questo
modo
il
distacco
che
prendevano
dalla
politica
di
governo
dei
pontefici
che
li
avevano
preceduti.
Nel
Cinquecento,
vennero
eletti
17
pontefici,
che
adottarono
11
nomi:
l’adozione
del
nome
di
un
predecessore
fu
motivato
soprattutto
dal
rispetto
per
la
sua
figura
o
come
omaggio
per
averlo
promosso
al
cardinalato.
Nel
Seicento,
gli
11
eletti
utilizzarono
7
nomi;
nel
Settecento,
tra
gli
8
eletti
si
contano
solo
4
nomi.
La
ritrattistica
papale
ha
seguito,
quasi
sempre,
il
modello
di
Giulio
II,
conoscendo
pochissime
variazione
nella
storia.