N. 2 - Febbraio 2008
(XXXIII)
università vs benedetto XVI
Riflessioni...
di Laura Novak
L’analisi della vicenda
della mancata visita del Papa all’università “Sapienza”
di Roma non è certo delle più semplici. Entrambe la
fazioni sono infatti condizionate da ideologie che
possono, con la forza dell’eloquenza, far pendere l’ago
della bilancia della disquisizione a loro favore.
Il punto di vista di un
singolo, in questo caso la mia persona, non deve per
forza rappresentare quello di molti. Siamo singoli,
individui.
Come di individui stiamo
trattando da giorni.
Un “certo” mondo
universitario è in fermento, è in esaltazione momentanea
per la vittoria ottenuta, e, per la prima volta forse,
l’esultanza è una miscela tra coloro che durante il
periodo universitario sono esaminati e coloro che li
esaminano, i professori.
Di “certo” mondo è
d’obbligo parlare.
Le generalizzazioni, come
fino ad ora ho assistito nella cronaca giornalistica,
non sono calzanti in questo caso.
La Sapienza accoglie nel
suo insieme e nei vari distaccamenti, quasi 150.000
iscritti; una città, con i suo meccanismi burocratici
insormontabili e i suoi luoghi di vita.
La cifra, invece, dei
professori di cattedra, assistenti, dottorandi,
ricercatori è in continua espansione.
Eppure le pagine di
giornali riportano la protesta di un manipolo di circa
300 studenti, dichiaratisi autonomi, e di 67 professori,
come la protesta di tutti.
Come in ogni piccolo
microcosmo, anche la Sapienza è eterogenea.
300 studenti non sono
150.000 e 67 professori non sono il corpo docente
dell’Università più grande e rinomata di Italia.
Ma, forse, mi viene da
pensare, una spicciolata di persone, che legittimamente
e democraticamente affermano il loro principio di
rimostranza, creano più timore di cifre più grandi di
singoli (sempre individui) allo sbando, veicoli di
slogan violenti e insensati, con passamontagna o
bandiere di rosso/nero accecante, dietro cui
riconoscersi o nascondersi.
Perché la violenza è
condannabile, sempre, da qualsiasi punto di vista la si
voglia illuminare; il diritto di espressione NO, non può
e non deve essere argomento di discussione o di
condanna.
L’avvenimento allora si
alimenta ad arte, si gonfia fino alla creazione di un
caso.
La possibilità di
confronto viene abbandonata alle menti dei sognatori. Il
dissenso, la condanna per pochi centinaia di protestanti
arriva da ogni arte politica.
Condanna al singolo
individuo, alle menti nel complesso, o alla loro
apertura?
L’Italia è un paese
fantasticamente contraddittorio, dove magistrati, che
indagano sui politici, vengono banditi dalle aule dei
tribunali per uso improprio della loro autorità, senza
rendersi conto come le loro indagini siano concentrate
proprio sull’analisi dell’abuso di alcune autorità.
Siamo l’Italia delle
manifestazioni di cordoglio e di stima per quel politico
dimissionario che, sotto indagine giudiziaria, propria o
impropria che sia, non può certo più dirigere proprio la
giustizia, senza ridicolizzarne il sistema.
Siamo l’Italia che si
scandalizza e denuncia una volta all’anno vittime
bianche di lavori insicuri, vittime macerate però in
ogni singolo giorno di lavoro.
Siamo, e continuo ad usare
il plurale, L’Italia della democrazia in bilico su
moltissime bilance.
Ma soprattutto sulla
bilancia della laicità.
L’Italia è da sempre la
culla protettrice, l’involucro democratico di
un’autorità che dello Stato democratico per antonomasia
né è l’alter ego.
La nostra costituzione
sancisce la differenza di campo di azione e di
ingerenza.
Ma, a volte, questo campo
viene invaso da una delle due parti in maniera
storicamente abitudinaria.
La spinta cattolica di
questo paese ha imposto più volte, la sua opinione,
anche in quest’ultimo caso.
Esprimersi negativamente,
nel termine stesso, non vuole dire condannare un mondo.
Significa, più verosimilmente, sentirlo lontano da sé.
La protesta, probabilmente
trascinata nell’esagerazione e nell’eccessiva
esposizione mediatica, aveva una domanda di fondo: se
per la Chiesa Cattolica lo studio e l’approfondimento di
certune materia (come la biologia, le scienze naturali,
la sociologia, l’astronomia) è forviante e ingannatore,
perché essere il padrino dell’inizio del nuovo anno
accademico nel luogo disconosciuto dalla sua fede?
La domanda è sicuramente legittima.
L’affronto della domanda e
una sua risposta, adeguata e coerente, sarebbe stata
forse la via del dialogo.
E l’Italia dell’opinione
pubblica, del lettore e del cittadino comune ritorna ad
essere, all’improvviso, un Italia in bilico tra il suo
passato stretto dalla morsa dell’identificazione
Stato-Chiesa e il suo futuro, che in molti, si
auguravano essere più libero e scevro da discussioni di
legittimità religiosa.
E in questa bilancia
eterea ed incorporea una cosa deve rimanere
assolutamente intatta: L’autonomia di scelte del popolo
italiano.
Ha necessità di essere a
tutto campo intoccabile, per la saggezza del singolo e
la consapevolezza della massa, sia nella protesta che
nell’appoggio di posizioni comode o scomode.
E’ la stessa autonomia che
ci ha condotto a grandi scelte contemporanee, come il
divorzio, l’aborto o l’inseminazione artificiale.
L’autonomia da un piccolo
stato di cui siamo contorno fantastico, di cui spesso,
però, non riusciamo a contenere la spinta centrifuga. |