N. 80 - Agosto 2014
(CXI)
volante rossa
la
storia
di
paolo
finardi
di
Filippo
Petrocelli
Paolo Finardi detto “Pastecca” classe 1928, si è spento a Brno, Slovacchia, il 13
Luglio
2014
dopo
una
vita
passata
da
esule,
al
di
là
della
cortina
di
ferro.
Bergamasco
d’origine
ma
milanese
d’adozione,
Finardi
era
membro
della
Volante
Rossa
–
Martiri
Partigiani.
Organizzazione
di
ex-partigiani
attiva
nell’immediato
dopoguerra
e
collegata
in
maniera
informale
al
PCI,
questa
struttura
–
sospesa
fra
attività
legale
e
azioni
clandestine
–
aveva
come
obiettivo
di
proseguire
la
Resistenza
dopo
la
liberazione
dal
nazi-fascismo.
Per
i
membri
della
Volante
Rossa,
la
Resistenza
era
un
percorso
interrotto,
una
rivoluzione
incompiuta,
un
lavoro
lasciato
a
metà.
Per
gli
uomini
della
Casa
del
Popolo
di
Lambrate
insomma,
lo
spirito
della
guerra
di
liberazione
era
stato
tradito:
non
solo
nell’immediato
dopoguerra
i
fascisti
non
erano
stati
epurati
dall’apparato
statale
ma
tutto
quello
per
cui
avevano
combattuto
i
partigiani,
in
fondo,
non
si
era
realizzato.
L’Italia
non
era
diventata
più
“giusta”,
la
fame
era
più
nera
di
prima
e
risultava
molto
più
“scomodo”
essere
un
comunista,
un
ex-partigiano,
piuttosto
che
un
democristiano
o un
fascista
qualsiasi.
Dopo
il
’45
non
erano
mancati
i
tentativi
di
restaurazione
e
furono
brutali
gli
episodi
di
repressione
del
dissenso,
soprattutto
dopo
il
1947,
quando
il
PCI
passò
all’opposizione.
Dalle
lotte
dei
braccianti
di
tutt’Italia,
alla
repressione
nelle
piazze
e ai
processi
contro
i
partigiani,
furono
molteplici
gli
episodi
in
cui
il
nuovo
stato
italiano
mostrava
la
sua
faccia
più
dura.
Già
nel
1946
erano
iniziati
gli
attentati
delle
SAM,
Squadre
Azione
Mussolini
e
dei
FAR,
Fasci
Armati
Rivoluzionari,
che
colpivano
in
maggioranza
sedi
delle
organizzazioni
di
sinistra
e
personalità
del
mondo
antifascista.
L’attentato
a
Togliatti
era
dietro
l’angolo,
così
come
l’offensiva
di
Scelba
contro
la
Resistenza
e le
dure
leggi
repressive
emanate
dal
ministro
dell’interno
democristiano
nel
1948.
Un
clima
“sospeso”
quindi
quello
del
dopoguerra,
fra
ricostruzione
della
democrazia
e
pulsioni
autoritarie,
fra
paura
del
colpo
di
stato,
morti
in
piazza
e
attentati,
equilibri
internazionali
da
rispettare
e
poteri
occulti
da
contrastare,
che
forniscono
l’idea
di
una
democrazia
fortemente
in
crisi
e
ancora
“in
fasce”.
L’humus
culturale
in
cui
germoglia
il
seme
della
Volante
è
quello
della
Casa
del
Popolo
di
Lambrate,
zona
operaia
alle
porte
di
Milano,
in
cui
si
incontrano
le
agitazioni
nelle
fabbriche
come
la
Innocenti
e la
Breda,
con
le
lotte
contadine
delle
cascine
del
milanese.
In
questa
zona,
ma
sarebbe
più
corretto
dire
in
tutta
l’Italia
del
nord,
circa
il
40%
delle
armi
dei
partigiani
non
fu
consegnata.
Questo
vale
per
i
comunisti
ma
non
solo:
“difesa
della
democrazia”
o
“paura
della
restaurazione”,
molti
partigiani
di
diverse
aree
politiche
–
democristiani,
azionisti,
repubblicani,
socialisti
–
decisero
di
“imboscare”
le
loro
armi,
per
occultarle
spesso
in
montagna,
oppure
nelle
fabbriche,
nelle
sedi
di
partito
e
persino
nelle
sagrestie.
L’organizzazione
nasce
con
scopi
ricreativi
già
nel
1945,
presenziando
fra
l’altro,
alle
ricorrenze
per
i
partigiani
morti,
organizzando
feste
e
escursioni.
Ma
al
profilo
“pubblico”
si
aggiunse
fin
da
subito
un’intensa
attività
clandestina.
È
possibile
dividere
la
storia
della
Volante
Rossa
in
tre
fasi:
una
prima
a
ridosso
della
guerra,
in
cui
l’organizzazione
si
concentra
sull’eliminazione
dei
fascisti
lasciati
impunti
dalla
giustizia;
una
seconda
di
contrasto
ai
monarchici,
ai
neofascisti
dei
FAR
e
delle
SAM
e
una
terza
fra
il
’47
e il
’48
di
normalizzazione,
in
cui
la
Volante
diviene
il
servizio
d’ordine
del
PCI
nelle
manifestazioni
ma
viene
utilizzata
anche
per
proteggere
le
personalità
di
primo
piano
della
federazione
milanese
o i
delegati
stranieri
al
VI
congresso
del
PCI
nel
1948.
Per
quanto
riguarda
invece
la
struttura,
la
Volante
era
articolata
su
tre
diversi
livelli:
un
nucleo
più
ristretto
di
circa
quindici
persone,
uno
più
ampio
di
supporto
e un
terzo
gruppo
che
ne
rappresentava
il
profilo
pubblico.
Inizialmente
i
livelli
erano
semplicemente
due,
uno
clandestino
e
uno
pubblico,
ma
con
il
crescere
degli
attivisti
divenne
necessario
un
livello
di
segretezza
maggiore.
A
guidare
il
gruppo
era
Giulio
Paggio,
conosciuto
con
il
nome
di
battaglia
di
“tenente
Alvaro”
mentre
i
militanti
erano
molto
giovani,
quasi
tutti
meno
di
vent’anni
e
proletari
di
estrazione.
Altri
personaggi
di
spicco
erano
Natale
Burato,
Luigi
Comini,
Giordano
Badigio,
Otello
Alterchi,
Leonardo
Banfi,
Walter
Fasoli,
Pietro
Jani,
Luigi
Canepari,
Angelo
Vecchio,
mentre
Finardi
divenne
organico
al
gruppo
solo
nel
’46.
Molti
non
avevano
grande
esperienza
politica
ma
la
maggior
parte
era
maturata
rapidamente
nelle
asprezze
della
guerra
partigiana.
L’azione
più
eclatante
fu
l’uccisione
di
Ferruccio
Gatti,
esponente
di
primo
piano
dei
FAR
nel
novembre
del
’47.
Inizialmente
condannato
ma
successivamente
assolto,
Gatti
era
un
fascista
della
prima
ora
e
incarnava
alla
perfezione
il
senso
di
impunità
diffusa
che
i
giovani
di
Lambrate
volevano
contrastare.
Nel
gennaio
del
1949
invece
i
cosiddetti
“omicidi
del
taxi”,
segnarono
la
fine
dell’esperienza
della
Volante
e
determinarono,
fra
le
altre
cose,
la
fuga
di
Paolo
Finardi
all’estero.
Per
vendicare
l’uccisione
di
Eugenio
Curiel,
venne
assassinato
Felice
Ghisalberti,
mentre
qualche
ora
più
tardi
venne
freddato
Leonardo
Massaza,
dirigente
di
fabbrica
molto
autoritario,
già
spia
dell’Ovra.
Nei
giorni
successivi
si
scatenò
una
caccia
all’uomo
e si
strinse
la
cerchia
attorno
ai
ragazzi
di
Lambrate:
alcuni
furono
catturati
ma
Paggio,
Burato,
Finardi
e
altri
riuscirono
a
scappare.
Dopo
una
latitanza
di
alcuni
giorni,
fu
organizzato
anche
grazie
all’aiuto
del
PCI,
l’espatrio
dei
protagonisti
di
quella
vicenda.
Finardi
oltrepassò
le
Alpi
a
piedi,
arrivò
a
Lugano,
passò
per
Zurigo,
per
l’Austria
e
infine
giunse
in
Cecoslovacchia
assieme
a un
convoglio
dell’Armata
Rossa:
ad
attenderlo
una
nuova
identità
e la
possibilità
di
una
nuova
vita
in
un
paese
del
socialismo
reale.
Una
vita
tutt’altro
che
facile,
perché
agli
esuli
politici
non
erano
risparmiati
i
grandi
sforzi
necessari
per
“l’edificazione
del
socialismo”.
Finardi
così,
diventato
in
Cecoslovacchia
Luigi
Colombo,
passò
dalle
cooperative
agricole
alle
fonderie,
dai
torni
ai
trattori,
senza
risparmiarsi
un
solo
giorno,
perché
in
fondo
per
uno
come
lui,
aiutare
un
paese
“fratello”
era
quasi
un
dovere.
Proprio
in
Cecoslovacchia,
Finardi
ricevette
la
notizia
che
nel
1951,
il
processo
alla
Volante
Rossa
si
era
consumato
in
Italia
e
che
Paggio,
Burato
e
lui
stesso
erano
stati
condannati
all’ergastolo.
Dopo
anni
difficili,
fra
le
sofferenze
del
blocco
orientale
e un
matrimonio
al
capolinea,
finalmente
Finardi
coronò
un
sogno
e
raggiunse
Cuba
nel
1960,
grazie
al
PCI.
Ritornato
dopo
circa
un
anno
nella
zona
di
Brno,
nel
1978
riceve
la
grazie
da
Pertini
e
torna
in
Italia
per
riabbracciare
la
famiglia
– in
particolare
le
sorelle
–
con
le
quali
aveva
sempre
mantenuto
i
contatti
in
modo
clandestino.
E se
la
storia
di
questi
ragazzi,
per
anni
considerati
ingiustamente
alla
stregua
di
criminali
comuni,
un
po’
teste
calde,
un
po’
pistoleri,
è
emersa
soprattutto
grazie
a
Cesare
Bermani
e al
libro
La
Volante
Rossa.
Storia
e
mito
di
un
gruppo
di
“bravi
ragazzi”,
a
raccogliere
il
testimone
negli
anni
più
recenti
è
stato
Massimo
Recchioni
autore
di
Ultimi
fuochi
di
Resistenza,
basato
sull’esperienza
di
Finardi
e
Il
tenente
Alvaro
e la
Volante
Rossa,
centrato
invece
sulla
vicenda
di
Giulio
Paggio
–
entrambi
editi
da
Deriveapprodi
–
che
hanno
il
merito
di
far
calare
il
lettore
nella
realtà
dura
di
quegli
anni.
Non
a
caso
sulla
bara
di
Finardi,
oltre
a
una
bandiera
rossa,
è
stata
poggiata
una
copia
del
libro
di
Recchioni,
che
ha
restituito,
non
senza
difficoltà,
un
po’
di
dignità
a
dei
partigiani
che
scelsero
nel
fiore
degli
anni
di
non
deporre
le
armi.