N°
172
/ APRILE 2022 (CCIII)
contemporanea
PAGLIACCI DI RUGGERO LEONCAVALLO
DALLA STORIA AL PALCOSCENICO
di Monica Sanfilippo
Il successo di Ruggero Leoncavallo (Napoli, 1857 –
Montecatini, 1919) è legato in particolare all’opera
Pagliacci, melodramma in due atti ancora oggi
tra i titoli maggiormente rappresentati nel mondo
del teatro musicale. Eppure, non tutti sono a
conoscenza del legame tra il nucleo drammatico
dell’opera e il vissuto infantile dell’autore in
terra di Calabria.
Pagliacci fu scritta di getto da un giovane
musicista in cerca di fortuna, ritornato in Italia
dopo essere passato per l’Egitto e aver condotto in
Francia una vita da bohémien, a suo dire,
guadagnandosi da vivere scrivendo canzoni per il
café-chantant Eldorado. Sulla scia del gusto
“rusticano” di fin de siècle, Ruggero scrive
in poco tempo il libretto “Pagliaccio”, compone le
musiche e, accordata la fiducia dell’editore Edoardo
Sonzogno, l’opera va in scena per la prima volta nel
maggio del 1892 al Dal Verme di Milano, sotto la
direzione di Arturo Toscanini. Dopo la Cavalleria
rusticana di Mascagni (Roma, 1890), ispirata
alla novellistica verghiana, la ricerca del vero
diviene il principale riferimento estetico del
momento e il successo tanto ricercato finalmente
arride al compositore napoletano.
Pagliacci
corrisponde appieno ai canoni del verismo musicale:
trama a carattere popolare, vocalità quasi sforzata,
frequenti passaggi di registro, melodie impetuose,
caratteristiche stilistico musicali con cui l’autore
conquista un posto nella rosa della Giovane scuola
italiana, da Mascagni a Giordano, da Cilea a
Puccini. Inoltre, l’aria “Recitar! Vesti la giubba”
del suo Canio/Pagliaccio diventa cavallo di
battaglia dei più famosi tenori: nella celebre
interpretazione di Caruso, vende 1 milione di copie
e nel 1907 è la prima opera completa a essere
registrata. Il successo dell’opera risiede nello
straordinario equilibrio drammatico tra elaborazione
del soggetto legato all’ambiguità uomo/attore,
vita/teatro, la forza espressiva dell’orchestrazione
e una trama d’impatto.
È Leoncavallo stesso a riferire a “Le Figaro” di
aver trovato la fonte d’ispirazione in un episodio
realmente accaduto di cui venne a conoscenza da
bambino – “Un nido di memorie in fondo a l’anima”
scrive nel Prologo – ossia un delitto di sangue e
passione, governato da leggi non scritte, avvenuto
in un paesino della Calabria, Montalto Uffugo (CS),
dove il padre si era trasferito nel 1862 con tutta
la famiglia e operava come magistrato.
È la notte del 5 marzo 1865 quando la cittadinanza
viene sconvolta da un omicidio per mano di Luigi e
Giovanni D’Alessandro ai danni del giovane Gaetano
Scavello, domestico al servizio della famiglia
Leoncavallo.Anche casa Leoncavallo è coinvolta nella
faccenda poiché Vincenzo, in qualità di giudice,
èchiamato a svolgere i primi interrogatori.
Dagli Atti del processo leggiamo: «[…] essi
furono visti entrare a teatro verso la fine dello
spettacolo poi mettersi in agguato vicino la scala
di uscita, poi assalire lo Scavello mentre parlava
con altri; […] nel corridoio del teatro […] gli
vibrarono due colpi di coltello, l’uno dei quali lo
ferì in un braccio e l’altro nell’addome e poscia si
dettero a fuggire» (Archivio di Stato di
Cosenza).
Nella cornice di una rappresentazione teatrale di
attori girovaghi che Montalto poteva ospitava
occasionalmente, si compie quel delitto che il
piccolo Ruggero, all’età di 8 anni, conserva in
qualche modo a ricordo della sua infanzia calabrese
e trasfiguranel dramma che lo ha immortalato. «Ripensai
allora alla tragedia che aveva solcato di sangue i
ricordi della mia infanzia lontana, e al povero
servitore assassinato sotto i miei occhi, e in
nemmeno venti giorni di lavoro febbrile buttai giù
il libretto dei Pagliacci».
Che l’autore bambino avesse assistito direttamente
ai fatti è concordemente smentito dall’analisi a
posteriori della sua autobiografia spesso
fantasiosa, semmai assumiamo la veridicità del
coinvolgimento del padre quale giudice al processo e
la corrispondenza tra il fatto, possibili ricordi
d’infanzia e smaniosa esigenza compositiva in cerca
di quel “vero” quale espediente estetico all’epoca
molto in voga.
Non è un caso che per la prima rappresentazione di
Pagliacci all’Opera di Parigi, Ruggero
contatti un pittore del luogo, suo amico d’infanzia,
Rocco Ferrari, affinché gli fornisca bozzetti dalla
Calabria popolare e festosa di un giorno di
mezz’agosto. «Maestro Carissimo, – risponde
Ferrari – gioite, il calabro vestir non è ancora
spento. La ricerca dei costumi dei vostri Pagliacci
è stata ardua […]: domani sarà spedito un pacco di
disegni […]. Oltre alla mia modesta opera […] vi
aggiungo molte fotografie per controllare che non ho
lavorato di fantasia […]. Ho concentrato quanto di
più necessario offre la nostra festa su questo
verdeggiante sfondo» (Montalto Uffugo, 1°
settembre 1902).
Così la scena dell’opera è pronta: è la festa di
Ferragosto – la Madonna della Serra nella realtà
delpaesino meridionale – che funge da ambientazione
pittoresca all’idea del teatro nel teatro:
Nedda/Colombina, Canio/Pagliaccio, Tonio/Taddeo.
Quando lo spettacolo ha inizio, i giochi a specchio
dei ruoli, tra realtà e finzione, si combinano in un
crescendo alla scoperta della “verità”. In questo
straordinario intreccio e brillante intuizione
alberga sicuramente la verve dell’opera che la rende
immortale. Pagliaccio accecato dalla gelosia pugnala
Colombina, sua moglie sulla scena e nella vita, e
Silvio, un giovane del luogo, l’amante.
«La
Commedia è finita» proclama esausto il
Canio/Pagliaccio, triste epilogo di una morte
annunciata, ispirata a un “nido di memoria”,
verosimili “uomini di carne e d’ossa” dietro la
maschera di istrioni.
Riferimenti bibliografici e discografici:
D.J. Grout,
Storia della musica in Occidente,
Feltrinelli, Milano 1960.
Mascagni,
Cavalleria rusticana -
Leoncavallo,
Pagliacci, Direttore
Herbert von
Karajan, Deutsche Grammophon, CD.
Monica Sanfilippo,
note del libretto Brise de mer. Fogli d’album di
Ruggero Leoncavallo, Suoneria Mediterranea, CD.