I
padri costituenti e l'articolo 9
Sulla
tutela del petrimonio
di
Mauro
Luciano Malo
È stato recentemente osservato che
l’Assemblea Costituente non si sia
resa interprete in materia di tutela
del patrimonio culturale dei più
elevati e profondi profili dicultura
costituzionale, a differenza di
altre discipline, oggi parimenti
costituzionalizzate nella Legge
fondamentale dello Stato.
Marini ha sostenuto a tal proposito
che il dibattito svoltosi fra i
Padri costituenti
fu«sottoproporzionato rispetto al
rilievo storico che la materia [dei
beni culturali e ambientali] aveva
assunto nella legislazione
precostituzionale»; un’affermazione
che tuttavia parrebbe contrastare
con l’abilità, l’acume politico, dei
Costituenti di elevare a principio
costituzionale proprio la tutela del
paesaggio e del patrimonio storico e
artistico della Nazione, inserendola
per di più tra i “Principi
fondamentali”: una decisione
brillante e lungimirante – in
particolare figlia delle idee di
Moro, Togliatti, La Pira, Bianchi
Bandinelli e (soprattutto) Marchesi
–, confermata ulteriormente dal
fatto che nel 1948 nessuna
Costituzione europea coeva aveva mai
incluso tra i princìpi fondamentali
dello Stato né la tutela dei beni
culturali né, tantomeno, la tutela
dell’ambiente. Proprio per questi
motivi, l’impostazione della
Costituzione italiana trovò grande
seguito negli anni successivi, nelle
Carte fondative delle diverse realtà
statuali del continente.
Una innovazione costituzionale
straordinaria, quella dell’art. 9,
che può essere, inoltre, evidenziata
se riflettiamo sulla stretta
relazione tra il primo e il secondo
comma, che procede a riformare e
“modernizzare” la concezione
statico-conservativa del patrimonio
culturale verso una concezione
dinamica della cultura, ossia una
concezione orientata al pubblico
godimento con fini di ricerca e di
promozione, sia pur dichiaratamente
con esigenze di tutela.
I Costituenti (o meglio, parte di
essi) intuirono quindi le
potenzialità della cultura e della
sua promozione come luogo di
identità, democrazia e pluralismo:
la tutela del patrimonio artistico
divenne così una delle colonne
portanti dell’ordinamento giuridico
repubblicano, uno dei pilastri, o
meglio dei principi fondativi, su
cui poggia ancora la nostra società.
In questa fondamentale operazione di
costituzionalizzazione del
patrimonio culturale occorre
rammentare l’intenso e determinante
lavoro prodotto da Marchesi in seno
al Consesso costituente. Nominato
membro della Commissione dei 75 –
con il compito di redigere un primo
progetto di Costituzione – Marchesi
venne incluso nella Prima
sottocommissione, competente nelle
materie afferenti alla “scuola” e
alla “cultura”, nonché deputata ad
affrontare il tema dei diritti e dei
doveri dei cittadini.
L’intenso lavoro dell’accademico si
concretizzò nella Relazione
Marchesi (tecnicamente:
Relazione del deputato Concetto
Marchesi sui principii
costituzionali riguardanti la
cultura e la scuola) che
definiva, all’art. 6, i monumenti
artistici, storici e naturali del
Paese come tesoro nazionale, e posti
sotto la vigilanza dello Stato: in
sostanza quello che diventerà il
secondo comma dell’art. 9 della
Costituzione.
Un testo, quello prodotto
dall’intellettuale comunista, che si
ispirava esplicitamente – come
riportò lo stesso Marchesi nella sua
Relazione – alla Costituzione della
Repubblica di Weimar del 1919. Così
spiega Leone: «L’articolo
che trattava la tutela era posto
alla fine della sezione sulla
scuola, nel testo di Weimar, al
numero 150: “I monumenti artistici,
storici e naturali, e le vedute
panoramiche godono della protezione
e della cura dello Stato. Spetta al
Reich di prevenire l’esportazione
del patrimonio artistico tedesco
all’estero”. Le due formule sono
talmente vicine da confermare che si
tratta del testo su cui si basò
Marchesi per creare l’articolo».
Tuttavia, le iniziali impressioni
dei colleghi della Prima
sottocommissione sul testo Marchesi
non furono positive (impressioni di
forte scetticismo, se non di decisa
contrarietà, traspaiono infatti dai
verbali della riunione della
sottocommissione del 29 ottobre
1946).
Fra tutti fu l’avvocato e Presidente
della Prima sottocommissione,
Tupini, a distinguersi: giunse a
esprimere il suo forte scetticismo
in merito alla presenza di una
disposizione sul patrimonio
culturale, la quale a suo parere non
avrebbe dovutotrovare spazio nel
testo della (futura) Costituzione. A
breve distanza si unirono alle
perplessità di Tupini pure quelle
del socialista Lombardi e del
democristiano Clerici.
Ma se Lombardi, nell’aprile del
1947, intervenne sulla questione con
toni apertamente in disaccordo con
l’art. 9, ritenendo che
l’aggiuntadelle “libertà culturali”
al catalogo dei diritti fondamentali
avrebbe comportato «una
codificazione di piccole cose […]
intollerabili in un progetto di
Costituzione», Clerici si
distinse per toni ben più radicali e
provocatori, giungendo a definire
l’art. 9 così ideato dal Marchesi
come «superfluo, inutile, ed
alquanto ridicolo, tale da essere
annoverato fra quelli che non danno
prestigio alla Costituente ed a
questa nostra fatica. […]».
Opinioni piuttosto nette che
sancirono la totale rimozione –
intervenuta già nel dicembre del
1946 – del controversoart. 6 della
Relazione Marchesi, dal nuovo
quadro costituzionale, in quanto
ritenuto pleonastico tra i “Principi
supremi” della nuova Repubblica.
Marchesi però non cedette; con lo
spirito che lo aveva contraddistinto
durante gli anni della Resistenza,
l’ex Rettore dell’Università di
Padova ribadì l’importanza di
reinserire – e quindi di
costituzionalizzare – il
patrimonio culturale della nazione,
consegnandone le chiavi della tutela
allo Stato: nello specifico,
l’accademico si contrappose ai
lavori della Seconda
sottocommissione, la quale
avevacontemporaneamente individuato
fra le competenze delle Regioni – e
su proposta di Mortati – materie
quali il turismo e la tutela del
paesaggio.
In Assemblea Costituente si aprì,
pertanto, un ulteriore serrato
confronto fra i sostenitori di uno
Stato a impronta culturale
regionalista (on. Micheli e Lussu),
e chi, al contrario, si espresse a
favore di una decisa limitazione dei
poteri delle Regioni in materia di
tutela dei beni culturali e
ambientali (on. Marchesi, Gronchi e
Benedettini).
Inizialmente, riporta
l’amministrativista Merusi, i
costituenti avevano inteso
attribuire la competenza allo Stato,
con lo specifico intento di
sottrarla agli enti autonomi locali
e in particolare alle regioni.
L’articolo era stato infatti così
formulato: «Il patrimonio
artistico e storico della nazione è
sotto tutela dello Stato». Dopo
gli interventi degli on. Micheli e
Lussu, intesi a contrastare le
diffidenze emerse nei confronti
dell’autonomia regionale, alla
parola «Stato» fu sostituita, su
proposta dell’onorevole Lussu, la
parola «Repubblica» per «lasciare
impregiudicata» la questione
dell’autonomia regionale.
Questa soluzione di compromesso
venne individuata al fine di trovare
un assetto giuridico che consentisse
a Stato e Regioni di esercitare
armonicamente il comune compito di
tutela. E, ancora, un compromesso
che, con buona probabilità,
scaturiva dalle avvincenti parole
pronunciate dall’on. Micheli, il
quale si era speso al fine di
precisare che la competenza
regionale in materia di beni
culturali non avrebbe compromesso
l’efficienza della tutela, ma – al
contrario – ne avrebbe migliorato i
profili di gestione (in un contesto
disciplinato, comunque,a livello
centrale-statale). Le Regioni erano
infatti individuate dall’onorevole
(secondo quanto poi reciterà l’art.
118 Cost.) come più efficienti in
senso amministrativo, grazie alla
loro maggiore “vicinanza” al
cittadino (si veda, a proposito,il
principio di sussidiarietà).
Eppure, il 1° gennaio 1948 entrò in
vigore un testo costituzionale
indubbiamente proiettato in senso
statalista per la tutela del
patrimonio culturale, e che
rifletteva i dubbi ancora presenti
di buona parte dei Costituenti in
meritoall’affidabilità degli enti
regionali (che, è bene ricordarlo,
vennero istituiti politicamente solo
nel 1970).
Il legislatore costituente si limitò
a conferire, in definitiva, il
potere legislativo alle Regioni solo
in materia di musei e biblioteche di
enti locali (come recitava il
vecchio art. 117 Cost., in vigore
prima di essere novellato dalla
riforma costituzionale intervenuta
con legge costituzionale n. 3/2001).
Merita quindi, in conclusione,
riflettere sull’iter di approvazione
dell’art. 9: un percorso tutt’altro
che lineare, che stimolò accesi
dibattiti già tra i nostri Padri
costituenti e che costituisce –
sotto molti punti di vista –
l’essenza stessa della nostra
Nazione. Un articolo che, seppur
possa attualmente apparire pacifico,
celò invece scontri politici e
sensibilità decisamente
contrapposte.
Sensibilità divergenti e divisive
che si possono rintracciare, a una
lettura attenta, in tutti gli
articoli della Legge fondamentale
dello Stato, e che – necessariamente
– comportano una riflessione
profonda sull’accurato lavoro e
sulla straordinaria attenzione che i
Costituenti dimostrarono per ogni
articolo. Insegnamenti, questi, che
debbono esortarci oggi a fare opera
di rigorosa e fedele applicazione
dei principi costituzionali.