N. 26 - Febbraio 2010
(LVII)
L’OZIO
ANTICHITà E CONTEMPORANEITà
di Emanuela Ferrari
Nell’ambito
della
storia
del
pensiero
filosofico
la
parola
ozio
è
sempre
stata
“catalogata”
come
espressione
di
inoperosità,
inerzia,
non-fare…L’ozio
produce
uno
stato
di
improduttività
pericoloso
e
degenerante;
è un
peccato
ma,
in
prevalenza,
è un
vizio
da
evitare
poiché
l’essere
umano,
quando
può,
cerca
di
attorniarsi
di
questo
sentimento
ozioso.
Ma è
davvero
così?
L’essere
umano,
per
sua
natura
innata,
è un
homo
faber
nel
senso
più
esteso
del
termine.
Fin
dal
suo
apparire
nel
mondo
ha
sempre
cercato
di
progredire,
di
modificare
il
suo
status.
Alla
sua
ingegnosità
ed
industria
delle
mani
si
devono
numerose
scoperte
e
valevoli
invenzioni.
Non
dimentichiamo
che
questi
è
portato
a
commerciare,
barattare
e
scambiare,
come
affermava
Adam
Smith.
E’
dotato
di
questa
attitudine
innata
che
lo
conduce
alla
socialità,
al
confrontarsi
e
scontrarsi
con
i
suoi
simili.
Non
è
esagerato
affermare
che
l’uomo
è
proprio
un
essere
in
continuo
“movimento”.
Anche
il
sonno
diventa
“luogo”
di
produzione
in
qualche
modo;
è la
“zona”
in
cui
gli
impulsi
vengono
fuori
poiché
il
dinamismo
della
quotidianità
non
permette
all’individuo
di
dare
adeguato
“spazio”
alle
molteplici
componenti
della
natura
umana.
Ma
ancor
prima
di
arrivare
alla
dimensione
onirica,
la
semplice
astensione,
seppur
momentanea,
dalla
azione
pratica
non
è da
considerarsi
negativa.
Un
momento
di
silenzio,
una
pausa
di
raccoglimento
sono
necessari
per
concentrarsi,
o
distogliere
lo
sguardo
da
una
pensiero
fisso.
Quindi
una
sosta,
una
distensione
o il
semplice
non-fare,
per
distaccarsi
dalla
realtà
non
è
ascrivibile
ad
un
peccato
e
tanto
meno
ad
un
gesto
ozioso.
Queste
ultime
connotazioni
negative
sono
applicabili
davanti
a
situazioni
che
richiedono
una
prontezza
di
spirito
e di
intervento
pratico
che
vengono
a
mancare
per
disinteresse,
negligenza,
inaffidabilità.
In
questi
casi
il
termine
ozio
è
accompagnato
da
appellativi
vari
e
marcati.
Nella
dimensione
della
nostra
contemporaneità
questi
diversi
“attributi”
ben
si
accostano
al
significato
di
ozio
mentre
da
un
punto
di
vista
filosofico,
e
morale,
il
discorso
è
più
complesso
e
coinvolge
ambiti
molto
più
estesi
rispetto
al
comune
modo
di
pensare.
Thomas
Hobbes,
nel
Leviatano
edito
nel
1651,
descrive
uno
Stato
forte,
assoluto,
in
grado
di
imporsi
e di
farsi
“ascoltare”
dagli
uomini,
i
quali
vivono
seguendo
solamente
i
propri
interessi
e
passioni.
Sono
esseri
pieni
di
vizi
per
natura,
mentre
per
Bernard
de
Mandeville
anche
i
vizi
contribuiscono
al
benessere
pubblico.
La
condizione
oziosa
in
cui
molte
attività
sono
realizzate
permette
ad
una
folta
schiera
di
api,
quindi
di
uomini,
di
trarre
benefici
da
questa
realtà
viziata.
Se
ogni
lavoro
venisse
realizzato
nel
giusto
modo
e
nei
tempi
previsti
non
si
verificherebbero
tanti
sprechi,
elargizioni
e
manomissioni
che
costituiscono
la
linfa
per
altri
speculatori
che
“mandano
avanti”
l’ingranaggio
sociale.
Di
conseguenza
la
società
diventerebbe
meno
operosa,
molte
persone
abbandonerebbero
il
territorio
e,
di
fronte
ad
una
possibile
invasione
di
un
alveare
avversario,
non
ci
sarebbero
le
forze
necessarie
per
difendersi.
Questi
passaggi
sono
ben
descritti
nel
libro
più
famoso
di
Mandeville
intitolato:
La
favola
delle
api.
Un
contributo
ulteriore,
e
più
completo,
è
compiuto
dal
moralista
scozzese
Adam
Smith.
L’individuo
cerca
di
promuovere
il
suo
self-interest
(interesse
personale)
ma
inevitabilmente,
e a
sua
insaputa,
egli
non
fa
altro
che
promuovere
il
benessere
diffuso
nella
società.
Ciò
accade
per
la
presenza
di
un
elemento
ordinatore:
la
mano
invisibile
che
ri-equilibra
le
azioni
individuali
a
favore
del
beneficio
pubblico.
In
realtà
le
tendenze
egoistiche,
personali,
individuali
vengono
sempre
e
comunque
ri-orientate
verso
la
società
producendo
risultati
favorevoli.
Questa
visione
armonica,
in
grado
di
coniugare
positivamente
movente
iniziale
e
risultato
finale,
trova
una
sua
specifica
giustificazione
storica
proprio
durante
l’Illuminismo,
quale
periodo
in
cui
è
presente
una
visione
appunto
armonico-ottimistica
che
governa
il
mondo.
La
teoria
delle
conseguenze
inintenzionali
delle
azioni
intenzionali,
che
racchiude
questi
contenuti,
si
stava
affermando
in
Europa
e
tra
i
suoi
maggiori
aderenti
c’erano
appunto
Mandeville
e
Smith.
E
ancora,
si
può
considerare
la
realtà
protestante,
di
matrice
calvinista,
che
ha
dato
un
notevole
impulso
al
riconoscimento
e
valorizzazione
dell’operato
umano.
L’essere
umano
deve
fare,
lavorare
e
produrre,
non
può
“attendere”
solamente
che
Dio
lo
chiami
ma
deve
rendersi
“utile”
durante
la
sua
esistenza
terrena.
Un
altro
pensatore
che
ci
fa
riflettere
sul
tema
dell’ozio
è
Schopenhauer,
conosciuto
come
il
filosofo
del
pessimismo
cosmico.
Nel
suo
pensiero
la
volontà
di
vivere
diventa
l’energia
vitale
per
andare
avanti,
per
non
rinunciare
mai
a
vivere
nonostante
l’esistenza
sia
solo
sofferenza.
C’è
la
possibilità
di
riscattarsi
facendo,
ovvero
portando
avanti
delle
condotte
di
vita
produttive
come
la
via
dell’arte
con
le
sue
molteplici
manifestazioni;
scultura,
architettura,
musica...
Oppure
si
può
intraprendere
la
strada
della
partecipazione
sociale,
legata
a
forme
di
solidarietà
verso
gli
altri.
Si
tratta
di
una
forma
di
assistenza
ed
incontro
con
l’altro.
Un
percorso
alternativo
è
rappresentato
dal
raggiungimento
di
una
condizione
di
elevazione
dal
mondo:
quindi
lo
stato
ascetico
a
cui
si
arriva
con
il
nirvana
buddista.
Secondo
Nietzsche
abbiamo
due
modi
per
affrontare
la
vita:
con
il
modello
dionisiaco
o
con
quello
apollineo.
Lo
studioso
ritiene
che
quest’ultimo
sia
più
appropriato
in
quanto
permette
di
accogliere
la
vita
come
si
presenta
anche
se è
importante
cercare
di
cambiarla
con
tutte
le
proprie
forze
anziché
divertirsi,
quasi
inconsapevolmente,
tramite
l’approccio
dionisiaco.
Quindi
ancora
una
volta
il
fare
vince,
e
supera
nettamente,
il
non
prendere
parte
e
l’essere
passivi.
L’essere
umano
-
spiega
Pascal
-
dimostra
la
sua
grandezza
dal
momento
in
cui
riconosce
la
sua
“miseria”
davanti
alla
Natura.
La
sua
esistenza
è
paragonabile
ad
una
esile
canna
che
si
muove
ma
risulta
fragile
ad
ogni
intervento
della
natura.
Di
fronte
a
questa
consapevolezza
ognuno
di
noi
può
scegliere
se
dedicarsi
all’ozio;
ovvero
se
trascorrere
il
tempo
in
giochi
e
sollazzi,
che
distraggono
dal
pensare,
o se
rendersi
conto
della
propria
condizione
di
piccolezza
rispetto
al
Creato.
In
base
a
questa
dimensione
filosofica
il
tema
dell’ozio
assume
un
“sapore”
più
complicato.
Allora
che
“valore”
riveste
attualmente?
E’
catalogabile
come
un
comportamento
vizioso
o
necessita
di
una
re-interpretazione
alla
luce
del
contesto
storico-temporale
in
cui
ci
troviamo
a
vivere?
Non
è
facile
rispondere
ed è
ancora
più
arduo
fornire
una
risposta
definitiva,
o
comunque
attendibile.
Dunque
riuscire
ad
avere
dei
momenti
di
relax
nell’arco
delle
nostre
giornate,
che
scorrono
così
veloci
e
piene
di
impegni,
risulta
tanto
difficile
che
non
ci
rimane
altro
che
“programmare”,
quando
è
possibile,
anche
i
pochi
spazi
o
residui
di
tempo
che
possono
presentarsi.
Allora
non
siamo
liberi
affatto
di
improvvisare
neanche
sul
tempo
libero.
In
questa
chiave
interpretativa
l’ozio
rimane
un’idea,
un
progetto
utopistico
che
si
vorrebbe
raggiungere
ma a
cui
non
si
arriva
mai
perché
il
tempo
che
abbiamo
scorre
via
velocemente…