medievale
LA RENOVATIO IMPERII DELL’ANNO
MILLE
IL BREVE SOGNO DI OTTONE III
di Valerio Acri
L’età carolingia plasmò l’Europa secondo
un ordine cristiano scaturito dalla
convergenza tra il regno dei Franchi e
la Chiesa culminata con l’incoronazione
a Roma di Carlo Magno la notte di Natale
dell’800 nella basilica di San Pietro.
Al di là delle diverse interpretazioni
storiche alle quali essa si è prestata
nel corso dei secoli – un’iniziativa
unilaterale del Pontefice Leone III o un
cerimoniale concordato, per citare in
estrema sintesi le due più diffuse –
l’incoronazione di Carlo Magno fu l’atto
che autorizzò a parlare di un nuovo
Impero d’Occidente, a distanza di più di
tre secoli dalla deposizione dell’ultimo
imperatore Romolo Augustolo.
D’altro canto essa segnò anche la fase
ormai avanzata di quel processo di
cristianizzazione dell’Europa cominciato
con la conversione di Costantino del 312
e proseguito nei secoli successivi sulle
ceneri dell’Impero Romano.
Un processo che coincise con quella
missione cristiana dell’Impero già
delineata da Carlo Magno e che, proprio
in quegli anni che chiudevano il primo
millennio dopo Cristo, trovò una
definizione conclusiva nella figura di
Ottone III.
Ultimo esponente della casata sassone
degli Ottoni, i duchi tedeschi che con
Ottone il Grande avevano di fatto dato
nuovo impulso all’ideale imperiale dopo
la frammentazione politica e
territoriale seguita alla morte di Carlo
Magno, Ottone III incarnò un’idea di
Impero che s’ispirava senza mezzi
termini a quello romano inaugurato da
Augusto.
La definizione che egli diede di sé
stesso “romano, sassone, servo degli
Apostoli, per grazia di Dio imperatore
Augusto del mondo” rifletteva il
definitivo incontro tra Romani e Germani
e, soprattutto, un senso dell’antica
potenza di Roma attualizzata e
nobilitata dal messaggio cristiano come
legge universale chiamata ad abbracciare
l’Europa.
A Ottone come Romanorum imperatori
Augusto si rivolse Papa Gregorio V
(al secolo Brunone di Carinzia, primo
tedesco a salire al soglio pontificio)
in una lettera del 996 che portava anche
la sottoscrizione degli influenti
arcivescovi di Milano e Ravenna, le sedi
episcopali più importanti dell’epoca
oltre a quella di Roma.
In quel tempo anche l’Italia
settentrionale, seguendo un processo
tipicamente feudale, aveva cominciato a
popolarsi di principati episcopali,
ovvero territori concessi
dall’imperatore a vescovi che
diventavano così i suoi più fedeli
collaboratori. In questa ottica Ottone
III aveva individuato in particolare
nell’arcidiocesi ravennate un
interlocutore privilegiato al quale
elargire concessioni sotto forma di
diritti feudali sulle città e sui comuni
limitrofi rafforzandone il peso
politico.
Innamorato del passato imperiale di Roma
e convinto che l’Urbe dovesse essere
l’unico vero centro del mondo civile,
egli considerava altresì Ravenna un
baluardo strategico per il mantenimento
dell’autorità imperiale sull’Italia
centro-settentrionale, un’avanguardia
nei confronti dei popoli slavi a est e,
soprattutto, un anello di congiunzione
con Bisanzio, della quale con i mosaici
delle sue basiliche paleocristiane
rifletteva lo splendore artistico e
architettonico.
In questo senso Ottone III tradiva anche
una certa influenza greco-ortodossa
trasmessagli dalla madre Teofano
principessa di Costantinopoli che, in
quanto reggente pro-tempore dopo la
morte di Ottone II, aveva portato
dall’Oriente a istruire il giovanissimo
imperatore un seguito di artisti e
letterati, contribuendo peraltro alla
diffusione di elementi bizantini nella
cultura occidentale (è plausibile che
tra questi vi fu il culto di San Nicola
di Mira).
Anche dopo aver compiuto la maggiore età
Ottone III continuò a circondarsi di
personalità importanti come Adalberto
vescovo di Praga e il cappellano di
corte Bruno di Querfurt, figure di
spicco del Cristianesimo altomedievale
che furono poi protagonisti di
un’importante attività missionaria
culminata con il martirio ai margini
ancora pagani dell’Est Europa, tra
l’allora Ducato di Polonia, le tribù
prussiane e lo Stato di Kiev.
Più di tutti fu però il fine erudita
Gerberto di Aurillac a perfezionare
l’educazione intellettuale di Ottone
III, iniziandolo alle lettere classiche,
al neoplatonismo e al pensiero teologico
di letterati come Boezio, Cassiodoro e
Gregorio Magno. Un’impronta culturale
che avrebbe ispirato la linea politica
imperiale all’interno della quale lo
stesso Gerberto assunse tra il 998 e il
999 un ruolo fondamentale dapprima con
la nomina ad arcivescovo di Ravenna,
quindi con l’ascesa al soglio pontificio
come Silvestro II.
In entrambi i casi fu decisivo il volere
dell’imperatore, convinto di riconoscere
nel fidato Gerberto la figura migliore
per restituire al Papato il significato
originario di un’istituzione che,
riportata a debita distanza dalle
influenze secolari, sapesse ispirare
l’autorità centrale nella promozione del
bene pubblico e di una politica non
disgiunta dalla morale. In questo senso
Silvestro II, già in qualità di
arcivescovo, aveva avviato la lotta alla
simonia e all’analfabetismo tracciando
di fatto alcune delle linee guida di
quel processo di riforma della Chiesa
occidentale compiutosi poi concretamente
circa cinquant’anni più tardi con
Gregorio VII.
Ottone III e Silvestro II divennero così
l’espressione massima di una
identificazione tra il potere temporale
dell’Impero e quello spirituale della
Chiesa nel nome di una fede cristiana
così sinceramente vissuta da stimare le
prerogative dell’uno e dell’altro su un
piano paritario. Una unità d’intenti che
li portò anche a ricusare la Donazione di
Costantino, l’atto che avrebbe
riconosciuto alla Chiesa la
giurisdizione civile su Roma, l’Italia e
l’Occidente e che solamente nel corso
del 1400 si sarebbe rivelato un falso.
Ottone III rigettò il documento non
avendone riscontrato caratteri di
autenticità, d’intesa con Silvestro II
che fece verosimilmente ricorso alla sua
erudizione per identificare quelle
incongruenze riconosciute poi
ufficialmente tre secoli più tardi dagli
umanisti Lorenzo Valla e Nicolò da Cusa.
Più in generale è possibile immaginare
che fu la misura del buon senso a
suggerire a entrambi la scelta di non
accogliere un atto diplomatico
teoricamente in grado di minare quel
delicato equilibrio tra i due poteri al
quale entrambi anelavano.
Ottone III e Silvestro II dovettero
invece registrare i particolarismi della
nobiltà romana tendenzialmente
insofferente all’autorità imperiale
germanica e alla presenza di Papi
stranieri, contro le quali l’influente
famiglia dei Crescenzi reagiva nominando
sistematicamente degli antipapa. Nel 998
l’imperatore optò per un intervento
militare al culmine del quale l’antipapa
Giovanni Filagato venne seviziato ed
esiliato e il cospiratore recidivo
Crescenzio Nomentano, trinceratosi in
Castel Sant’Angelo, catturato e
giustiziato (la prima volta era stato
graziato).
Questo invise a Ottone III buona parte
dei romani che di lì in avanti
inscenarono ripetuti
atti di insubordinazione, approfittando
anche delle sue sortite a Ravenna dove
nel frattempo aveva conosciuto il monaco
Romualdo e si era dedicato con lui alla
realizzazione di un cenobio per formare
giovani missionari.
Al compiersi dell’alba del Mille Ottone
III stabilì la sua corte sul colle
Aventino accanto al monastero dei Santi
Alessio e Bonifacio e le sue bolle
imperiali recavano ormai costantemente
le scritte Renovatio imperii
Romanorum e Roma Aurea,
testimoniando un sogno destinato a
svanire definitivamente nel gennaio 1002
quando morì appena ventiduenne a Castel
Paterno nei pressi del Monte Soratte,
forse colto da malaria oppure vittima di
un avvelenamento.
Pochi mesi prima aveva compiuto un
pellegrinaggio sulla tomba del martire
Adalberto a Gniezno in Polonia,
riconoscendo l’indipendenza politica e
religiosa del Paese sotto la guida del re
cristiano Boleslao. Parallelamente
Silvestro II – che morì un anno più
tardi di Ottone III – aveva condotto il
duca Stefano I al trono d’Ungheria,
avviando con la sua incoronazione la
nuova monarchia cristiana dei magiari.
Furono gli ultimi atti ufficiali di due
governanti che insieme avevano
vagheggiato una nuova Pax romana
per riunire l’intera cristianità in una
federazione di entità nazionali guidata
da un nobilissimo progetto di armonia
tra Papa e imperatore. Un disegno
irripetuto che traghettò l’Europa nel
secondo millennio dopo Cristo e quindi
naufragò lasciando spazio alla lunga
stagione della lotta per le investiture.
Riferimenti bibliografici:
T. Matus, Alle origini di Camaldoli.
San Romualdo e i cinque fratelli”,
Edizioni Camaldoli, Camaldoli (Ar) 2003.
F. Masotti, C. Mazzavillani Muti, A.
Nicastro, Nobilissima visione,
Tipografia moderna Ravenna 2012. |