[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

168 / DICEMBRE 2021 (CXCIX)


medievale

LA RENOVATIO IMPERII DELL’ANNO MILLE

IL BREVE SOGNO DI OTTONE III

di Valerio Acri

 

L’età carolingia plasmò l’Europa secondo un ordine cristiano scaturito dalla convergenza tra il regno dei Franchi e la Chiesa culminata con l’incoronazione a Roma di Carlo Magno la notte di Natale dell’800 nella basilica di San Pietro.

 

Al di là delle diverse interpretazioni storiche alle quali essa si è prestata nel corso dei secoli – un’iniziativa unilaterale del Pontefice Leone III o un cerimoniale concordato, per citare in estrema sintesi le due più diffuse – l’incoronazione di Carlo Magno fu l’atto che autorizzò a parlare di un nuovo Impero d’Occidente, a distanza di più di tre secoli dalla deposizione dell’ultimo imperatore Romolo Augustolo.

 

D’altro canto essa segnò anche la fase ormai avanzata di quel processo di cristianizzazione dell’Europa cominciato con la conversione di Costantino del 312 e proseguito nei secoli successivi sulle ceneri dell’Impero Romano.

 

Un processo che coincise con quella missione cristiana dell’Impero già delineata da Carlo Magno e che, proprio in quegli anni che chiudevano il primo millennio dopo Cristo, trovò una definizione conclusiva nella figura di Ottone III.

 

Ultimo esponente della casata sassone degli Ottoni, i duchi tedeschi che con Ottone il Grande avevano di fatto dato nuovo impulso all’ideale imperiale dopo la frammentazione politica e territoriale seguita alla morte di Carlo Magno, Ottone III incarnò un’idea di Impero che s’ispirava senza mezzi termini a quello romano inaugurato da Augusto.

 

La definizione che egli diede di sé stesso “romano, sassone, servo degli Apostoli, per grazia di Dio imperatore Augusto del mondo” rifletteva il definitivo incontro tra Romani e Germani e, soprattutto, un senso dell’antica potenza di Roma attualizzata e nobilitata dal messaggio cristiano come legge universale chiamata ad abbracciare l’Europa.

 

A Ottone come Romanorum imperatori Augusto si rivolse Papa Gregorio V (al secolo Brunone di Carinzia, primo tedesco a salire al soglio pontificio) in una lettera del 996 che portava anche la sottoscrizione degli influenti arcivescovi di Milano e Ravenna, le sedi episcopali più importanti dell’epoca oltre a quella di Roma.

 

In quel tempo anche l’Italia settentrionale, seguendo un processo tipicamente feudale, aveva cominciato a popolarsi di principati episcopali, ovvero territori concessi dall’imperatore a vescovi che diventavano così i suoi più fedeli collaboratori. In questa ottica Ottone III aveva individuato in particolare nell’arcidiocesi ravennate un interlocutore privilegiato al quale elargire concessioni sotto forma di diritti feudali sulle città e sui comuni limitrofi rafforzandone il peso politico.

 

Innamorato del passato imperiale di Roma e convinto che l’Urbe dovesse essere l’unico vero centro del mondo civile, egli considerava altresì Ravenna un baluardo strategico per il mantenimento dell’autorità imperiale sull’Italia centro-settentrionale, un’avanguardia nei confronti dei popoli slavi a est e, soprattutto, un anello di congiunzione con Bisanzio, della quale con i mosaici delle sue basiliche paleocristiane rifletteva lo splendore artistico e architettonico.

 

In questo senso Ottone III tradiva anche una certa influenza greco-ortodossa trasmessagli dalla madre Teofano principessa di Costantinopoli che, in quanto reggente pro-tempore dopo la morte di Ottone II, aveva portato dall’Oriente a istruire il giovanissimo imperatore un seguito di artisti e letterati, contribuendo peraltro alla diffusione di elementi bizantini nella cultura occidentale (è plausibile che tra questi vi fu il culto di San Nicola di Mira).

 

Anche dopo aver compiuto la maggiore età Ottone III continuò a circondarsi di personalità importanti come Adalberto vescovo di Praga e il cappellano di corte Bruno di Querfurt, figure di spicco del Cristianesimo altomedievale che furono poi protagonisti di un’importante attività missionaria culminata con il martirio ai margini ancora pagani dell’Est Europa, tra l’allora Ducato di Polonia, le tribù prussiane e lo Stato di Kiev.

 

Più di tutti fu però il fine erudita Gerberto di Aurillac a perfezionare l’educazione intellettuale di Ottone III, iniziandolo alle lettere classiche, al neoplatonismo e al pensiero teologico di letterati come Boezio, Cassiodoro e Gregorio Magno. Un’impronta culturale che avrebbe ispirato la linea politica imperiale all’interno della quale lo stesso Gerberto assunse tra il 998 e il 999 un ruolo fondamentale dapprima con la nomina ad arcivescovo di Ravenna, quindi con l’ascesa al soglio pontificio come Silvestro II.

 

In entrambi i casi fu decisivo il volere dell’imperatore, convinto di riconoscere nel fidato Gerberto la figura migliore per restituire al Papato il significato originario di un’istituzione che, riportata a debita distanza dalle influenze secolari, sapesse ispirare l’autorità centrale nella promozione del bene pubblico e di una politica non disgiunta dalla morale. In questo senso Silvestro II, già in qualità di arcivescovo, aveva avviato la lotta alla simonia e all’analfabetismo tracciando di fatto alcune delle linee guida di quel processo di riforma della Chiesa occidentale compiutosi poi concretamente circa cinquant’anni più tardi con Gregorio VII.

 

Ottone III e Silvestro II divennero così l’espressione massima di una identificazione tra il potere temporale dell’Impero e quello spirituale della Chiesa nel nome di una fede cristiana così sinceramente vissuta da stimare le prerogative dell’uno e dell’altro su un piano paritario. Una unità d’intenti che li portò anche a ricusare la Donazione di Costantino, l’atto che avrebbe riconosciuto alla Chiesa la giurisdizione civile su Roma, l’Italia e l’Occidente e che solamente nel corso del 1400 si sarebbe rivelato un falso.

 

Ottone III rigettò il documento non avendone riscontrato caratteri di autenticità, d’intesa con Silvestro II che fece verosimilmente ricorso alla sua erudizione per identificare quelle incongruenze riconosciute poi ufficialmente tre secoli più tardi dagli umanisti Lorenzo Valla e Nicolò da Cusa. Più in generale è possibile immaginare che fu la misura del buon senso a suggerire a entrambi la scelta di non accogliere un atto diplomatico teoricamente in grado di minare quel delicato equilibrio tra i due poteri al quale entrambi anelavano.

 

Ottone III e Silvestro II dovettero invece registrare i particolarismi della nobiltà romana tendenzialmente insofferente all’autorità imperiale germanica e alla presenza di Papi stranieri, contro le quali l’influente famiglia dei Crescenzi reagiva nominando sistematicamente degli antipapa. Nel 998 l’imperatore optò per un intervento militare al culmine del quale l’antipapa Giovanni Filagato venne seviziato ed esiliato e il cospiratore recidivo Crescenzio Nomentano, trinceratosi in Castel Sant’Angelo, catturato e giustiziato (la prima volta era stato graziato).

 

Questo invise a Ottone III buona parte dei romani che di lì in avanti inscenarono ripetuti atti di insubordinazione, approfittando anche delle sue sortite a Ravenna dove nel frattempo aveva conosciuto il monaco Romualdo e si era dedicato con lui alla realizzazione di un cenobio per formare giovani missionari.

 

Al compiersi dell’alba del Mille Ottone III stabilì la sua corte sul colle Aventino accanto al monastero dei Santi Alessio e Bonifacio e le sue bolle imperiali recavano ormai costantemente le scritte Renovatio imperii Romanorum e Roma Aurea, testimoniando un sogno destinato a svanire definitivamente nel gennaio 1002 quando morì appena ventiduenne a Castel Paterno nei pressi del Monte Soratte, forse colto da malaria oppure vittima di un avvelenamento.

 

Pochi mesi prima aveva compiuto un pellegrinaggio sulla tomba del martire Adalberto a Gniezno in Polonia, riconoscendo l’indipendenza politica e religiosa del Paese sotto la guida del re cristiano Boleslao. Parallelamente Silvestro II – che morì un anno più tardi di Ottone III – aveva condotto il duca Stefano I al trono d’Ungheria, avviando con la sua incoronazione la nuova monarchia cristiana dei magiari.

 

Furono gli ultimi atti ufficiali di due governanti che insieme avevano vagheggiato una nuova Pax romana per riunire l’intera cristianità in una federazione di entità nazionali guidata da un nobilissimo progetto di armonia tra Papa e imperatore. Un disegno irripetuto che traghettò l’Europa nel secondo millennio dopo Cristo e quindi naufragò lasciando spazio alla lunga stagione della lotta per le investiture.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

T. Matus, Alle origini di Camaldoli. San Romualdo e i cinque fratelli”, Edizioni Camaldoli, Camaldoli (Ar) 2003.

F. Masotti, C. Mazzavillani Muti, A. Nicastro, Nobilissima visione, Tipografia moderna Ravenna 2012. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]