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N. 133 - Gennaio 2019 (CLXIV)

Esculapio, San Bartolomeo e i "Fatebenefratelli"

Medicina e religione sul Tevere

di Alfredo Incollingo

 

Secondo la leggenda, l'isola Tiberina si sarebbe formata nel 510 a.C., quando alcuni covoni di grano gettati nel fiume durante la rivolta contro Tarquino il Superbo (V secolo a.C.) avrebbero trattenuto i fanghi e il pietrisco trasportati dalla corrente. In realtà, l'Insula Tiberis ha origini geologiche ben più antiche.

 

Nel I secolo a.C. venne monumentalizzata a forma di nave con blocchi di travertino di grandi dimensioni. Una pesante nave bianca sembrava così solcare il Tevere verso il porto di Ostia. Tuttora i resti di questa imponente opera architettonica sono visibili: si è conservata, infatti, la prua della possente imbarcazione marmorea.

 

Nella seconda metà del I secolo a.C., invece, vennero ricostruiri in pietra i due ponteggi lignei che, fin dalle origini di Roma, collegavano l'Isola Tiberina alle due sponde del Tevere. Il curator viarum Lucio Fabricio fu il progettista del Ponte dei Quattro Capi o Fabricio nel 62 a.C., mentre il pretore Gaio o Lucio Cestio, l'anno successivo, fu il costruttore dell'altro ponte, che da lui prese il nome.

 

Una terribile epidemia di peste colpì Roma nel 293 a.C. Il senato, scosso da quanto stava accadendo, decretò di costruire un tempio in onore di Asclepio, dio greco della medicina, che venne poi latinizzato con il nome di Esculapio. Seguendo le indicazioni dei Libri Sibillini, era necessario consultare la divinità per ottenere il consenso per la costruzione.

 

Una delegazione di sacerdoti romani si recò in Grecia, ad Epidauro, dove vi era il più importante e antico santuario dedicato ad Esculapio.

 

Durante i riti propiziatori, un serpente, animale sacro al dio, uscì dal santuario e si nascose all'interno della nave che avrebbe riportato a Roma i sacerdoti. Quanto accaduto venne interpretato come un segno di benevolenza della divinità, che avrebbe concesso il suo aiuto per placare la peste.

 

Mentre la barca navigava sul Tevere, in procinto di attraccare al porto fluviale, il serpente si gettò nelle acque e, approdato sull'Isola Tiberina, si nascose tra i cespugli. I sacerdoti intuirono così il luogo dove sarebbe dovuto sorgere il tempio. L'intero santuario di Esculapio venne inaugurato nel 289 a.C. e di lì a pochi mesi l'epidemia cessò.

 

Per ricordare questo evento si decise di rimodellare l'isola a forma di nave, una triremi, la stessa che aveva condotto il serpente in città, salvandola dalla peste. All'interno del tempio principale venne scavato un pozzo per attingere l'acqua da una sorgente miracolosa.

 

La cavità è tuttora presente nella chiesa di San Bartolomeo all'Isola, costruita nell'anno Mille sulle rovine del santuario pagano per volere dell'imperatore Ottone III. L'edificio era contornato da un portico per l'accoglienza dei malati, che si recavano lì per ottenere la guarigione.

 

Quando il cristianesimo giunse a Roma, l'Isola Tiberina conservò la sua vocazione sanitaria. Il pozzo, che i romani continuavano a frequentare per bere la sua acqua miracolosa, rimase in funzione fino al XX secolo, quando venne sigillato per la malsanità dell'acqua.

 

Durante il medioevo, i lebbrosi e i malati di peste stazionavano solitamente sull'Isola Tiberina, isolata dal resto della città, evitando così di propagare le malattie infettive, per essere accuditi in un ricovero gestito da suore benedettine.

 

Il primitivo nosocomio venne trasformato nel XVI secolo in un ospedale popolare, dove chirurghi ed infermieri assistevano i pazienti più poveri. Nel 1585, con il consenso di papa Gregorio XIII, Pietro Soriano (1515 - 1588) fondò l'Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio o Ordine del Fatebenefratelli, votato al soccorso dei più indigenti.

 

Il frate spagnolo, inoltre, edificò sull'Isola Tiberina un nosocomio, il San Giovanni Calibita Fatebenefratelli, ancora oggi tra le migliori strutture ospedaliere romane. Le cure prestate dai suoi confratelli ai pazienti più poveri erano all'avanguardia per l'Europa del XVI secolo, sia per quanto riguarda le tecniche mediche adoperate sia per la gestione dei degenti.

 

Il tutto era organizzato per evitare il propagarsi di malattie infettive all'interno della struttura. I medici del Fatebenefratelli si distinsero durante la peste del 1656 e l'epidemia di collera del 1832 e furono insigniti di importanti riconoscimenti per l'aiuto offerto alla città di Roma.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Porcino Willy, Le curiosità di Roma, Newton & Compton, Roma 2004;

Puliga Donatella, Panichi Silvia, In Grecia: racconti dal mito, dall'arte e dalla memoria, Einaudi, Torino 2016.



 

 

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