N. 22 - Marzo 2007
OSIP E NADEZDA
MANDEL'STAM
'Isolare, ma mantenere in vita'
di
Stefano
De Luca
Osip Emilevič Mandel’stam,
nato a Varsavia nel 1891,
fondò il movimento letterario Acmeista assieme a
Nikolaj Stepanovič Gumilëv,
poeta
fucilato nel 1921 come controrivoluzionario e la di
lui moglieAnna Achmatova. Durante la
rivoluzione, Mandel’stam viaggiò in Crimea, in Georgia
e in Ucraina. Fu a Kiev che nel 1919 incontrò
Nadezda Jakovlevna Chazina, una colta,
intelligente, esile ma energica ragazza ebrea: nel
1922 la sposò.
Anna Achmatova strinse una vera amicizia con la
coetanea Nadezda, un’amicizia che mantenne salda e
generosa fino alla morte. Alla poesia di Mandel’stam
non fu permesso, da metà degli anni venti, di
esprimersi liberamente, tanto che le sue opere
rimanevano, in Unione Sovietica, in copie manoscritte.
La frustrazione
prodotta dal sentirsi intimamente incatenato lo
spinse sulla via della protesta, attraverso le sue
opere.
Nel 1931 scrisse ‘La quarta prosa’, un libello contro
i burocrati della letteratura, mentre nel 1933 compose
una poesia, che sarà la causa delle sue disavventure,
nella quale si coglie tutto il suo disprezzo per il
dittatore Stalin:
«Non ci sentiamo il paese sotto i piedi,
i nostri discorsi non si sentono a dieci passi di
distanza,
e ovunque ci sia spazio per un mezzo discorso,
salta sempre fuori il montanaro del Cremlino.
Le sue dure dita sono grasse come vermi
e le sue parole esatte come fili a piombo.
Ammiccano nel riso i suoi baffi da scarafaggio,
brillano i suoi stivali.
Ha intorno una marmaglia di ducetti dagli esili colli,
e si diletta dei servigi dei mezzi uomini.
Chi miagola, chi stride, chi guaisce,
se soltanto lui apre bocca o punta il dito.
Come ferri da cavallo egli forgia un ukaz dietro
l’altro,
a chi lo dà nell’inguine, a chi fra gli occhi,
a chi sulla fronte, a chi sul muso.
Ogni morte è una fragola per la sua bocca,
osseta dalle larghe spalle».
Stalin, venuto a conoscenza di questo testo, lo fece
arrestare nella notte tra il 16 e il 17 maggio 1934
(stando ai documenti ufficiali dell’OGPU), quando due
agenti della polizia sovietica lo portarono
alla Lubjanka. Interrogato da Nikolaj Christoforovyč
Šivarov, il massimo specialista di letteratura della
Lubjanka, Mandel’stam non negò di aver composto quei
versi, che anzi recitò direttamente davanti al suo
inquisitore.
Con la formula “isolare, ma mantenere
in vita”, ottenuta grazie alla mediazione di Pasternak
e Bucharin presso Stalin, gli fu risparmiata la vita.
Venne così confinato prima a Cerdyn’, e poi a Voronež
(dove compose I quaderni di Voronež, una
raccolta di poesie dal confino). Dopo aver scontato i
tre anni di pena, finalmente libero (credeva) fece
rientro a Mosca, nel maggio del 1937, ma si trattava
solo di una tregua temporanea.
Nella primavera del 1938 si recò da
Vladimir Stavskij, segretario generale dell’Unione
degli scrittori, il quale si mostrò possibilista circa
la pubblicazione delle sue opere. Ma Stavskij stava
facendo il doppio gioco, poiché il 16 marzo dello
stesso anno aveva spedito una lettera al Commissario
del popolo per gli Affari interni, Nikolaj Ivanovič
Ežov, nella quale lo invitava a tenere Mandel’stam sotto stretto controllo. Un gruppo di
letterati gli era infatti vicinissimo, lo aiutava
economicamente e lo considerava un martire e tutto
ciò costituiva per lui una ‘chiara’ minaccia
controrivoluzionaria. “I documenti dimostrano che
l’Unione degli scrittori non era solo lo strumento
designato a reprimere la libertà di parola, ma
svolgeva anche il ruolo di informatore segreto.
Funzionava proprio come una filiale sui generis
della Lubjanka”. Il 3 maggio del 1938 Mandel’stam
venne nuovamente arrestato e poi condannato a cinque anni di lager per
propaganda antisovietica.
Di enorme importanza un passo della
lettera scritta dalla moglie Nadezda a Berija nel
1939 nella quale chiede, a proposito della sorte del
marito: “aveva davvero ragioni sufficienti, l’NKVD,
per distruggere un poeta e un maestro nel fiore della
sua costruttiva attività poetica?”. La domanda da lei
rivolta è ancora attuale. Sacrificare il talento (in
tutti i campi), in cambio di un’ossequiosa mediocrità,
sarebbe realmente stato un bene per lo sviluppo del
Paese? Probabilmente della negatività della risposta
era consapevole anche il gruppo dirigente del PC(b)
stesso che però, a causa dell’istinto di
auto-conservazione, preferì seguire la linea meno
logica, ma che nel breve-medio termine gli avrebbe
comunque permesso di continuare ad imporre la propria
volontà a milioni di persone. Mandel’stam sarebbe
morto il 27 dicembre 1940, per paralisi cardiaca a Vtiraja Lecka, un campo di lavoro sulla via per
Vladivostok.
Gran parte della sua poesia si è
salvata grazie alla tenacia di Nadezda, che da quel
momento sarebbe stata trasferita da un confino
all’altro nelle regioni orientali dell’URSS. Visse di
stenti ma, anche grazie all’aiuto dell’amica Achmatova,
riuscì a conservare molte opere del marito,
proponendosi il fine di vederle un giorno pubblicate,
per rendergli onore. Nel 1956, dopo la riabilitazione
di Osip, poté iscriversi all’università, laureandosi
in letteratura inglese.
I suoi ricordi sono contenuti nei libri
L’epoca e i lupi (1971) e Le mie memorie
(1972). Il suo coraggio le permise di assumere in
patria, per la generazione degli autori del dissenso,
il valore di un simbolo vivente di libertà individuale
contro il totalitarismo. |