N. 46 - Ottobre 2011
(LXXVII)
Osama Bin Laden
ritratto di un terrorista
di Alessandro Ortis
“La morte di Osama Bin Laden è il successo più importante che gli Stati Uniti abbiano segnato nella guerra contro Al Qaeda”. Con queste parole, il Presidente Barack Obama, nella notte di lunedì 2 maggio, annunciava alla nazione, e al mondo, l’uccisione del capo indiscusso del gruppo terroristico di Al Qaeda.
Nel
breve
tempo
di
un
discorso
alla
nazione,
gli
Stati
Uniti
hanno
raggiunto
lo
scopo
per
cui
erano
state
scatenate
due
guerre
dall’ex
presidente
Bush,
in
Afghanistan
e in
Iraq,
e
che
avevano
sconvolto
la
politica
internazionale
dell’ultima
decade.
Dieci
anni
di
ricerche,
di
false
piste,
di
notizie
sbagliate
e di
errori
dei
servizi
segreti
statunitensi,
risolti
in
una
notte.
Le
informazioni
che
sono
trapelate,
nelle
settimane
successive,
sul
blitz
delle
forze
speciali
statunitensi
ad
Abbottabad,
vicino
ad
Islamabad,
in
Pakistan,
rivelano
un
Bin
Laden
che
si
fa
scudo
con
la
moglie
per
proteggersi
dai
colpi
dei
soldati
americani,
un
uomo
invecchiato
molto
diverso
da
quello
che
appariva
nei
video
che,
ogni
tanto,
venivano
trasmessi
sui
network
arabi.
E,
dopo
un
decennio,
conosciamo
anche
le
teorie
del
complotto
sull’11
settembre;
continuiamo,
infatti,
a
vedere
e
rivedere
le
immagini
degli
attacchi,
delle
esplosioni
e
dei
morti.
Eppure,
c’è
sempre
qualcosa
che
non
convince,
a
partire
dalla
strana,
quanto
discutibile,
espressione
sul
volto
di
George
W.
Bush
alla
notizia
del
primo
aereo
schiantatosi
sulle
torri,
tanto
da
far
credere
al
40%
della
popolazione
mondiale
che
l’attentato
dell’11
settembre
sia
“ambiguo”.
Tuttavia,
il
corso
della
Storia
dal
2001
ha
seguito
la
versione
ufficiale
dei
fatti,
che
attribuisce
ad
Al-Qaeda
la
paternità
della
strage.
È
giusto,
allora,
chiedersi:
chi
era
Osama
Bin
Laden?
Da
dove
derivava
il
suo
odio
per
l’America
e
l’Occidente?
Lo
“sceicco
del
terrore”
nacque
a
Jedda,
in
Arabia
Saudita,
nel
1957,
da
famiglia
ricca
e
benestante.
Suo
padre,
Mohammed
bin
Awad
bin
Laden,
di
origine
yemenita,
era
un
imprenditore
edile
e
aveva
stretti
rapporti
con
la
famiglia
reale
saudita,
gli
Al
Saud.
Al
vecchio
Bin
Laden,
i
sauditi
avevano
promesso
di
ottenere
contratti
molto
redditizi
per
costruire
alcuni
palazzi
a
Riyadh,
la
capitale,
e
un’autostrada
che
avrebbe
collegato
Medina
a
Jedda.
La
compagnia
di
costruzioni,
la
Saudi
Binladen
Group,
tuttavia,
aveva
già
raggiunto
l’apice
del
suo
successo
con
la
costruzione
della
moschea
della
Mecca,
la
più
importante
del
mondo
arabo.
Osama,
il
cui
significato
in
arabo
è
“giovane
leone”,
era
il
diciassettesimo
di
più
di
cinquanta
figli
e si
distinse
dagli
altri
fratelli
per
mitezza
ed
educazione.
A
metà
degli
anni
Settanta,
frequentò
la
facoltà
di
economia
della
prestigiosa
università
Re
Abdulaziz
di
Jedda.
Ben
presto
abbandonò
gli
studi
economici,
tanto
che
si
laureò
in
ingegneria
civile,
così
da
poter
lavorare
nell’azienda
di
famiglia.
Osama,
però,
si
sposò
già
nel
1974,
con
la
quattordicenne
Naiwa
Ghanem,
una
nipote
di
sua
madre.
Tuttavia,
i
suoi
interessi
non
riguardarono
né
la
famiglia,
né
l’università,
né
l’azienda
del
padre.
È al
periodo
universitario
che
risalgono,
infatti,
i
primi
contatti
con
il
mondo
dell’integralismo
islamico,
in
particolare
con
il
gruppo
della
Fratellanza
Musulmana,
fondato
nel
1928
in
Egitto,
il
cui
motto
era
«Dio
è il
nostro
programma,
il
Corano
la
nostra
costituzione,
il
Profeta
il
nostro
leader,
il
combattimento
sulla
via
di
Dio
la
nostra
strada,
la
morte
per
la
gloria
di
Dio
la
più
grande
delle
nostre
aspirazioni».
Era
nella
terra
delle
piramidi,
d’altra
parte,
che
la
sinistra
lottava
contro
il
crescente
numero
di
sostenitori
della
dottrina
islamista.
Era
qui
che
le
teorie
laiche
panarabe
nazionaliste
o
socialiste
si
erano
dimostrate
fallimentari.
Bin
Laden,
cresciuto
secondo
la
tradizione
salafita,
volle
essere
protagonista
di
quel
movimento
di
rivoluzione
araba,
di
cambiamento
per
il
mondo
islamico,
che
stava
prendendo
forma
in
quegli
anni.
L’anno
di
svolta
fu
il
1979,
che
cambiò
le
sorti
del
medio
-
oriente
radicalmente,
con
conseguenze
che
viviamo
ancora
oggi.
Il 1
febbraio
l’ayatollah
Khomeini
ritornò
in
Iran
dal
lungo
esilio
in
Francia,
dopo
che
qualche
giorno
prima
un
colpo
di
stato
aveva
rovesciato
l’autorità
dello
Scià
di
Persia
Pahlavi,
dando
inizio
alla
«Rivoluzione
khomeinista»,
con
la
quale
l’islam
sciita
trionfò.
L’ayatollah
proclamò
subito
la
Repubblica
islamica
dell’Iran,
e il
nemico
numero
uno
degli
islamisti
iraniani
divenne
l’Occidente,
con
gli
Stati
Uniti
in
testa.
A
novembre,
alcuni
ribelli
s’impadronirono
delle
moschee
alla
Mecca,
chiedendo
il
ritorno
alla
vera
legge
islamica
sul
modello
iraniano.
Poco
dopo,
i
militari
sauditi
irruppero
e
uccisero
numerosi
ribelli.
Bin
Laden
si
arrabbiò
molto
per
questo
atto
di
violenza,
considerandolo
un
oltraggio
ai
danni
dell’islam.
Per
lui,
come
per
molti
altri,
quei
ribelli
erano
dei
martiri
morti
per
la
gloria
di
Dio.
Soltanto
qualche
settimana
dopo,
il
24
dicembre,
l’Unione
Sovietica
invase
l’Afghanistan,
una
terra
desolata
e
fredda,
dove
c’era
un
governo
marxista
assai
debole
che,
per
riuscire
a
risolvere
i
propri
problemi
di
natura
politica,
invocò
l’aiuto
di
Mosca.
Numerosi
giovani
accorsero
da
tutto
il
mondo
islamico
per
sostenere
il
jihad
afgano
contro
gli
invasori
comunisti.
Il
centro
di
comando
dei
ribelli
era
stabilito
a
Peshawar,
importante
città
pachistana
a
circa
trenta
chilometri
dall’Afghanistan.
Fu
in
questa
terra
per
lungo
tempo
dimenticata
che
si
spostò
la
trincea
della
Guerra
Fredda
negli
anni
Ottanta.
Tuttavia,
Osama
non
si
recò
là
subito,
tanto
da
giungere
a
Peshawar
solo
nel
1981,
quasi
due
anni
dopo
la
prima
invasione.
Il
gruppo
di
combattenti
più
forte
e
attivo
era
composto
dai
mujahidin,
ai
quali
arrivava
anche
l’aiuto
economico
dagli
americani
e
dai
sauditi.
I
numerosi
giovani
accorsi
a
Peshawar,
però,
non
avevano
un’organizzazione,
piani
strategici
per
combattere
i
sovietici
e,
soprattutto,
armi.
Bin
Laden,
che
aveva
ereditato
alla
morte
del
padre
una
cospicua
somma
di
denaro,
mise
a
disposizione
i
suoi
soldi
e si
propose
come
coordinatore
dei
vari
gruppi.
Iniziò
ad
esportate
dall’Arabia
Saudita
i
mezzi
della
impresa
di
famiglia
–
scavatrici,
bulldozer,
carri
–
che
servirono
per
preparare
strade,
scavare
trincee
e
gallerie
nelle
montagne,
sfruttando
così
le
sue
competenze
di
ingegnere
civile.
D’altra
parte,
non
bastavano
le
sue
personali
risorse:
avviò
così
una
raccolta
fondi
per
supportare
i
suoi
combattenti,
avvicinandosi
ai
più
importanti
personaggi
arabi
del
tempo,
tra
cui
Azzam.
Nel
1982,
Bin
Laden
si
trasferì
definitivamente
in
Afghanistan,
dove
aprì
un
numero
imprecisato
di
campi
d’addestramento,
a
ridosso
del
confine
col
Pakistan,
dove
poté
istruire
e
indottrinare
al
meglio
i
giovani
combattenti.
Tuttavia,
questo
saudita
votato
alla
causa
afgana
era
già
divenuto
una
personalità
di
riferimento
tra
i
ribelli
di
Peshawar:
fece
da
mediatore
tra
le
fazioni
afgane
e
quella
arabe,
finanziò
un
giornale
estremista
e
organizzò
l’assistenza
medica
per
i
feriti.
E fu
proprio
con
un
medico,
l’egiziano
Ayman
al
Zawahiri,
che
Osama
strinse
rapporti
più
stretti.
Nel
1988,
un
anno
prima
della
ritirata
dei
sovietici,
i
due,
assieme
ad
altri
quattordici
combattenti,
fondarono
Al
Qaeda,
nome
che
in
arabo
significa
«la
base»,
da
intendersi
metaforicamente
come
contenitore
in
cui
tutti
i
militanti
che
avevano
combattuto
in
Afghanistan
potessero
costituire
un
grande
rete,
a
livello
globale,
di
integralisti
islamici.
Alla
fine
della
guerra,
Bin
Laden
ritornò
in
Arabia
Saudita;
nonostante
fosse
considerato
dagli
ex-combattenti
il
vero
vincitore
morale
della
guerra
con
i
comunisti
senza
Dio,
diventando
così
simbolo
della
rivolta
contro
gli
infedeli,
in
patria
non
trovò
una
calda
accoglienza.
Già
qualche
tempo
dopo
il
suo
ritorno,
Osama
dovette
affrontare
un
nuovo
conflitto
che
avrebbe
sconvolto
il
medio
-
oriente.
Il 2
agosto
1990,
l’Iraq
di
Saddam
Hussein
invase
il
piccolo
stato
del
Kuwait,
andando
così
a
minacciare
la
sicurezza
dell’Arabia
Saudita.
Lo
sceicco
del
terrore
offrì
alla
famiglia
reale
tutte
le
sue
competenze
e
capacità
di
guerrigliero,
mise
a
disposizione
i
suoi
veterani
dell’Afghanistan
e i
suoi
mezzi.
Ma
il
Re
non
accettò,
e
preferì
rivolgersi
agli
Stati
Uniti
per
cercare
di
risolvere
la
questione.
A
gennaio
1991,
sul
territorio
saudita
arrivarono
300
mila
soldati
statunitensi.
Bin
Laden,
che
vide
una
delegittimazione
della
famiglia
reale
saudita
accusata
di
essersi
venduta
allo
straniero
americano,
paragonò
i
soldati
della
coalizione
ai
russi
invasori
dell’Afghanistan,
parlando
di
«profanatori
della
terra
araba».
Accusò
anche
il
clero
saudita
per
aver
avvallato
la
decisione
della
famiglia
reale:
per
questo,
venne
messo
agli
arresti
domiciliari,
da
dove
riuscì
fuggire
poco
dopo.
Non
ritornerà
mai
più
in
Arabia
Saudita,
essendo
anche
divenuto
persona
non
gradita
dal
governo.
La
nuova
terra
di
rifugio
divenne
il
Sudan,
stabilendosi
nella
capitale
Khartoum,
dove
si
avvicinò
alle
idee
dell’ideologo
islamista
Hassan
Turabi,
vicino
al
governo
in
carica.
In
questa
terra,
Bin
Laden
ebbe
mano
libera
su
tutto,
e in
cambio
il
governo
sudanese
gli
chiese
ingenti
investimenti.
La
società
di
Osama
avviò
la
costruzione
di
numerose
infrastrutture,
come
strade
e
aeroporti,
e
investì
anche
in
vari
settori,
come
l’agricoltura.
Inoltre,
in
questo
periodo
egli
realizzò
anche
une
fitta
rete
di
campi
d’addestramento
per
terroristi,
e
finanziò
le
casse
del
terrorismo
internazionale.
Bin
Laden
si
stava
sempre
più
attestando
come
il
principale
finanziatore
e
protagonista
del
terrorismo
di
matrice
islamica.
Nuove
guerre
e
nuove
scenari
attendevano
i
suoi
uomini:
la
Somalia,
i
Balcani,
dove
i
fratelli
musulmani
venivano
trucidati
dai
serbi
invasori.
Il
suo
gruppo
supportò
le
azioni
di
guerriglia
in
questi
paesi.
Ormai,
però,
i
servizi
di
sicurezza
stranieri,
sopratutto
la
CIA,
lo
tenevano
sotto
stretto
controllo,
anche
se
era
considerato
solo
un
finanziatore,
quindi
non
impiegato
in
prima
persona.
Nell’aprile
del
1994,
il
governo
saudita
privò
Osama
della
cittadinanza
e
congelò
tutti
suoi
beni.
Due
anni
dopo,
sotto
forti
pressioni
di
Washington,
anche
il
governo
sudanese
fu
costretto
a
rinnegare
Bin
Laden
e lo
espulse
dal
paese.
Divenuto,
così,
un
uomo
senza
patria,
Bin
Laden
accettò
la
protezione
di
tre
signori
della
guerra
afgani,
nemici
dei
taliban
al
potere,
e si
stabilì
a
Jalalabad,
in
Afghanistan.
Ma
in
questi
anni,
Al
Qaeda
non
si
limitò
alle
azioni
contro
gli
infedeli
nelle
guerre
in
corso:
iniziò
a
colpire
obiettivi
direttamente
sul
suolo
statunitense.
Il
26
febbraio
1993,
una
bomba
esplose
nel
parcheggio
sotterraneo
del
World
Trade
Center
di
New
York,
provocando
sei
morti
e
1043
feriti.
L’ideatore
del
primo
attentato
alle
Torri
Gemelle,
Ramzi
Youssef,
venne
ritenuto
vicino
al
gruppo
di
Al
Qaeda
e al
suo
fondatore.
Così,
per
la
prima
volta,
gli
Stati
Uniti
ebbero
la
prova
formale
che
Osama
Bin
Laden
poteva
costituire
un
serio
pericolo
per
la
sicurezza
nazionale.
In
Afghanistan,
intanto,
il
gruppo
di
Bin
Laden
e Al
Zawahiri
creò
decine
di
campi
d’addestramento,
alloggi
e
altri
servizi
di
supporto
per
i
suoi
combattenti.
Contemporaneamente,
avviò
un
programma
di
sensibilizzazione
dei
musulmani
affinché
si
avvicinassero
alla
guerra
santa
contro
l’Occidente
e
gli
Stati
Uniti
e
perché
finanziassero
la
sua
organizzazione.
Cercò
di
acquistarsi
la
fiducia
di
alcuni
paese
“vicini”,
come
l’Algeria,
l’Indonesia,
la
Cecenia
e
l’Uzbekistan.
Molte
di
queste
nazioni,
però,
preferirono
non
supportare
Al
Qaeda,
e
mantenere
una
posizione
più
moderata.
Tuttavia,
questo
periodo
servì
per
preparare
la
strategia
che
il
gruppo
avrebbe
dovuto
tenere
in
futuro:
si
sarebbe
dovuta
verificare
una
serie
di
attentati
spettacolari
che
mirassero
a
richiamare
nuove
reclute,
a
indebolire
il
nemico,
e a
provocare
sollevazioni
di
massa
per
rovesciare
i
regimi
attuali
e
far
nascere
un
nuovo
califfato
islamico.
Fu
proprio
dalla
sua
nuova
terra
rifugio
che
Bin
Laden
iniziò
a
lanciare
i
suoi
fatwa
religiosi,
contro
la
presenza
statunitense
nella
penisola
arabica
e la
famiglia
reale
saudita,
descritta
come
«corrotta
e
complice
di
quella
situazione».
Due,
così,
appaiono
gli
obiettivi
di
Bin
Laden:
liberare
il
sacro
suolo
musulmano
dalla
presenza
degli
stranieri,
e
liberare
l’Arabi
Saudita
dal
governo
della
famiglia
Al
Saud,
troppo
influenzata
e
vicina
al
governo
di
Washington.
Il
23
febbraio
1998,
davanti
a
150
militanti,
Bin
Laden
annunciò
la
nascita
del
«Fronte
islamico
mondiale
per
la
Jihad
contro
gli
ebrei
e i
crociati»,
un’alleanza
tra
Al
Qaeda
ed
altri
quattro
gruppi
di
Bangladesh,
Egitto
e
Pakistan
basata
su
una
seconda
fatwa,
in
cui
si
invitavano
tutti
i
musulmani
ad
usare
qualsiasi
mezzo
per
espellere
le
forze
americane
dalla
penisola
arabica,
ad
«obbedire
a
Dio
e a
uccidere
gli
americani,
compresi
i
civili,
e
gli
ebrei
dovunque
si
trovassero».
Combattere
gli
americani
e i
loro
alleati
era
un
dovere
civile
di
ogni
musulmano.
Comunque,
nonostante
la
gravità
della
parole
dello
sceicco,
né
la
stampa
internazionale
né
il
governo
statunitense
diedero
peso
ai
proclami
di
Bin
Laden.
Passò
solo
qualche
mese
quando,
il 7
agosto
1998,
nell’anniversario
dell’invio
delle
truppe
nel
Golfo
nel
1990,
due
esplosioni
davanti
alle
ambasciate
statunitensi
a
Nairobi,
in
Kenya,
e a
Dar
er
Salaam,
in
Tanzania,
provocano
213
morti
e 4
400
feriti:
quasi
tutti
erano
dipendenti
africani
delle
ambasciate.
Cinque
giorni
dopo,
la
CIA
emanò
l’allarme
Bin
Laden,
poiché
un’intercettazione
tra
due
suoi
luogotenenti
proverebbe
il
suo
diretto
coinvolgimento
negli
attentati
alle
ambasciate
in
Africa.
Il
Presidente
statunitense
Bill
Clinton
rispose
agli
attentati
bombardando
alcuni
campi
di
terroristi
in
Sudan
e
Afghanistan,
causando
la
morte
di
alcuni
alleati
pachistani
e
algerini
di
Osama,
ma
mancando
lo
sceicco
del
terrore.
Quegli
attacchi
non
sortirono
l’effetto
sperato,
perchè
resero
ancora
più
celebre
tra
gli
integralisti
islamici
la
figura
di
Bin
Laden.
Il 4
novembre
1998,
il
governo
di
Washington
accusò
formalmente
Osama
di
essere
l’ideatore
degli
attentati
in
Kenya
e
Tanzania,
e
pose
sulla
sua
testa
una
taglia
di
cinque
milioni
di
dollari.
Poco
dopo,
nel
febbraio
1999,
gli
Stati
Uniti
lanciarono
un
ultimatum
ai
taliban:
consegnare
Osama
Bin
Laden
o se
ne
pagheranno
le
conseguenze.
Il
governo
afgano
rispose
che
«Bin
Laden
era
sparito
da
Kandahar»,
non
assumendosi
così
nessuna
responsabilità
in
merito.
A
luglio,
Washington
impose
pesanti
sanzioni
economiche
al
paese.
Per
due
anni
Al
Qaeda
non
fece
attentati
né
lanciò
proclami.
Tornò
a
farsi
sentire
il 5
ottobre
del
2000,
quando
il
caccia
torpediniere
Cole,
al
largo
del
porto
yemenita
di
Aden,
venne
colpito
da
un
battello
kamikaze
che
squarciò
il
fianco
della
nave,
causando
la
morte
di
17
soldati
statunitensi
e
ferendone
39.
Poi,
ci
fu
l’11
settembre.
Riportano
le
fonti
che
Osama,
inizialmente,
era
restio
all’idea
di
colpire
obiettivi
statunitensi
dirottando
decine
di
aerei.
Tuttavia,
dopo
alcune
modifiche
al
piano
e
una
serie
di
discussioni
tra
i
leader
di
Al
Qaeda,
il
progetto
prese
piede.
Bin
Laden
era
convinto
che
la
reazione
degli
Stati
Uniti
sarebbe
stata
debole,
perché
erano
un
popolo
di
vigliacchi.
Lo
sceicco,
dopo
la
taglia
posta
sulla
sua
testa,
divenne
sempre
più
un
bersaglio
difficile.
La
CIA
non
riusciva
a
coordinarsi
con
l’esercito
per
stanarlo,
e le
informazioni
di
base
sull’Afghanistan
e
gli
spostamenti
del
ricercato
erano
scarse.
Egli,
infatti,
con
la
complicità
del
governo
dei
taliban
e
protetto
da
truppe
d’elite
di
militanti
ceceni,
arabi
e
pachistani,
si
spostava
spesso
tra
Kabul,
Kandahar
e
una
base
nei
pressi
di
Tora
Bora,
a
sud
di
Jalalabad.
Era
difficile
localizzarlo
con
precisione.
Il 9
settembre
2001,
un
attentato
orchestrato
da
Al
Zawahiri
ferì
a
morte
Ahmed
Shah
Massoud,
leader
afgano
della
resistenza
degli
uomini
del
nord.
A
detta
di
molti
studiosi
e
storici,
questo
attentato
è
stato
il
preambolo
all’11
settembre.
Nel
giorno
più
lungo
per
l’America,
Bin
Laden
si
trovava
sulle
colline
della
provincia
orientale
di
Logar.
Ascoltando
la
radio,
venne
a
sapere
che
l’attentato
al
cuore
dell’America
aveva
avuto
successo.
Da
quella
data,
egli
divenne
il
nemico
numero
uno,
l’uomo
da
prendere
vivo
o
morto
e la
sua
organizzazione,
Al
Qaeda,
doveva
essere
smantellata.
E
dall’11
settembre,
la
presenza
di
Osama
iniziò
a
diluire
rapidamente,
affidando
i
suoi
proclami
contro
l’Occidente
a
messaggi
video
a
audio.
Nel
primo,
trasmesso
il 7
ottobre
2001
dalla
tv
del
Qatar
Al-Jazeera,
Bin
Laden
disse:
«Ecco
l'America,
colpita
da
Dio
Onnipotente
in
uno
dei
suoi
organi
vitali
tanto
da
distruggere
i
suoi
più
grandi
edifici.
Sia
Grazia
e
gratitudine
a
Dio.
L'America
è
stata
colmata
di
orrore,
da
nord
a
sud,
da
est
a
ovest,
e
sia
resa
grazia
a
Dio
che
ciò
che
l'America
sta
assaggiando
ora
è
solo
una
imitazione
di
ciò
che
noi
abbiamo
assaggiato».
E
sono
state
queste
le
parole
che
governo
degli
Stati
Uniti,
CIA
e
mondo
intero
hanno
letto
come
assunzione
di
responsabilità
della
sua
organizzazione
negli
attentati
alle
Torri
Gemelle;
con
le
stesse,
inoltre,
Bin
Laden
guerra
eterna
e
assoluta
agli
Stati
Uniti.
Qualche
giorno
prima,
il
Presidente
George
W.
Bush
aveva
dato
l’assenso
ai
primi
bombardamenti
sull’Afghanistan,
provocando
la
rapida
caduta
del
regime
talebano.
Già
nelle
prime
fasi
del
conflitto,
morirono
importanti
esponenti
del
gruppo
di
Bin
Laden,
provocando
un
forte
dissesto
nell’organizzazione.
A
dicembre,
il
governo
statunitense
annunciò
che
Bin
Laden
e Al
Zawahiri
si
trovavano
a
Tora
Bora:
sembrava
che
la
loro
cattura
fosse
imminente,
ma
si
rivelò
un
buco
nell’acqua.
Dalla
fine
del
2001,
per
Osama
fu
un
continuo
spostarsi
sul
territorio
dell’Afghanistan,
protetto
solo
dai
suoi
militanti
ed
aiutato
economicamente
da
alcuni
donatori
del
Golfo
e
altri
paesi.
Dopo
una
serie
di
video,
Bin
Laden
parlò
al
mondo
solo
tramite
registrazioni
audio,
trasmesse
dalla
televisione
del
Qatar
Al-Jazeera.
Tra
il
2001
e il
2011
ci
furono
attentati
in
tutto
il
mondo:
Karachi
e
Bali
nel
2002,
Casablanca
nel
2003,
Madrid
nel
2004,
Londra
e
Sharm
el
Sheih
nel
2005,
Mumbai
nel
2008
e il
tentato
dirottamento
del
volo
Amsterdam
-
Detroit
nel
Natale
del
2009.
Nonostante
tutti
questi
attacchi,
il
proselitismo
di
Bin
Laden
non
riuscì
a
trovare
il
consenso
delle
masse:
i
suoi
proclami
non
furono
in
grado
di
creare
quel
sollevamento
di
popolo
che
si
auspicava
per
la
creazione
del
grande
califfato.
Solo
in
Pakistan
ed
Afghanistan
riscuoteva
un
ampio
consenso,
ma
in
Iraq,
nel
Maghreb
e in
altre
regioni
islamiche
era
visto
con
diffidenza.
Le
recenti
rivolte
nei
paesi
del
nord-Africa
hanno
dimostrato
come
i
proclami
di
Bin
Laden
non
si
siano
infiltrati
tra
i
manifestanti.
Inoltre,
col
passare
degli
anni,
alcuni
all’interno
di
Al
Qaeda
iniziarono
a
contestare
le
strategie
e le
tattiche
dello
sceicco
del
terrore,
considerandole
sbagliate
ed
inefficaci.
Tuttavia,
la
sua
organizzazione
ebbe
sempre
una
certa
capacità
d’azione,
come
gli
attentati
dell’ultimo
periodo
dimostrano.
Per
lungo
tempo,
la
caccia
di
Washington
ad
Osama
Bin
Laden
è
stata
inefficace
e
senza
risultati.
In
più
occasioni
si è
arrivati
vicini
alla
sua
cattura,
ma
senza
prendere
l’obiettivo.
Gli
stessi
mezzi
d’informazione
internazionali,
a
ripetizione,
annunciavano
nuovi
proclami
dello
sceicco,
ma
che
non
destavano
più
la
preoccupazione
e il
timore
degli
anni
precedenti.
Nella
notte
di
lunedì
2
maggio
2011,
il
colpo
di
scena:
gli
uomini
dei
Navy
Seals
della
Marina
americana
compiono
un
blitz
in
una
casa
ad
Abbottabad,
pochi
chilometri
a
nord
di
Islamabad.
Osama
Bin
Laden
e
molti
dei
suoi
uomini
vengono
uccisi.
Il
corpo
del
leader
di
Al
Qaeda
viene
issato
su
un
elicottero
statunitense
che
si
dirige
verso
la
portaerei
Carl
Vinson
in
navigazione
verso
l’Oceano
Indiano.
Una
volta
qui,
la
salma,
seguendo
il
rito
islamico,
viene
gettata
in
mare.
Convinto
di
aver
sacrificato
tutto
per
gli
altri,
Osama
Bin
Laden
è
stato
uno
dei
personaggi
che
ha
cambiato
la
storia,
ma
su
cui
molti
interrogativi,
anche
dopo
la
sua
morte,
restano
ancora
aperti
e su
cui,
per
molti
anni,
si
parlerà.