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N. 46 - Ottobre 2011 (LXXVII)

Osama Bin Laden
ritratto di un terrorista

di Alessandro Ortis

 

“La morte di Osama Bin Laden è il successo più importante che gli Stati Uniti abbiano segnato nella guerra contro Al Qaeda”. Con queste parole, il Presidente Barack Obama, nella notte di lunedì 2 maggio, annunciava alla nazione, e al mondo, l’uccisione del capo indiscusso del gruppo terroristico di Al Qaeda.

Nel breve tempo di un discorso alla nazione, gli Stati Uniti hanno raggiunto lo scopo per cui erano state scatenate due guerre dall’ex presidente Bush, in Afghanistan e in Iraq, e che avevano sconvolto la politica internazionale dell’ultima decade.

Dieci anni di ricerche, di false piste, di notizie sbagliate e di errori dei servizi segreti statunitensi, risolti in una notte. Le informazioni che sono trapelate, nelle settimane successive, sul blitz delle forze speciali statunitensi ad Abbottabad, vicino ad Islamabad, in Pakistan, rivelano un Bin Laden che si fa scudo con la moglie per proteggersi dai colpi dei soldati americani, un uomo invecchiato molto diverso da quello che appariva nei video che, ogni tanto, venivano trasmessi sui network arabi.

E, dopo un decennio, conosciamo anche le teorie del complotto sull’11 settembre; continuiamo, infatti, a vedere e rivedere le immagini degli attacchi, delle esplosioni e dei morti. Eppure, c’è sempre qualcosa che non convince, a partire dalla strana, quanto discutibile, espressione sul volto di George W. Bush alla notizia del primo aereo schiantatosi sulle torri, tanto da far credere al 40% della popolazione mondiale che l’attentato dell’11 settembre sia “ambiguo”.

Tuttavia, il corso della Storia dal 2001 ha seguito la versione ufficiale dei fatti, che attribuisce ad Al-Qaeda la paternità della strage.

È giusto, allora, chiedersi: chi era Osama Bin Laden? Da dove derivava il suo odio per l’America e l’Occidente?

Lo “sceicco del terrore” nacque a Jedda, in Arabia Saudita, nel 1957, da famiglia ricca e benestante. Suo padre, Mohammed bin Awad bin Laden, di origine yemenita, era un imprenditore edile e aveva stretti rapporti con la famiglia reale saudita, gli Al Saud. Al vecchio Bin Laden, i sauditi avevano promesso di ottenere contratti molto redditizi per costruire alcuni palazzi a Riyadh, la capitale, e un’autostrada che avrebbe collegato Medina a Jedda. La compagnia di costruzioni, la Saudi Binladen Group, tuttavia, aveva già raggiunto l’apice del suo successo con la costruzione della moschea della Mecca, la più importante del mondo arabo.

Osama, il cui significato in arabo è “giovane leone”, era il diciassettesimo di più di cinquanta figli e si distinse dagli altri fratelli per mitezza ed educazione. A metà degli anni Settanta, frequentò la facoltà di economia della prestigiosa università Re Abdulaziz di Jedda. Ben presto abbandonò gli studi economici, tanto che si laureò in ingegneria civile, così da poter lavorare nell’azienda di famiglia.

Osama, però, si sposò già nel 1974, con la quattordicenne Naiwa Ghanem, una nipote di sua madre. Tuttavia, i suoi interessi non riguardarono né la famiglia, né l’università, né l’azienda del padre. È al periodo universitario che risalgono, infatti, i primi contatti con il mondo dell’integralismo islamico, in particolare con il gruppo della Fratellanza Musulmana, fondato nel 1928 in Egitto, il cui motto era «Dio è il nostro programma, il Corano la nostra costituzione, il Profeta il nostro leader, il combattimento sulla via di Dio la nostra strada, la morte per la gloria di Dio la più grande delle nostre aspirazioni». Era nella terra delle piramidi, d’altra parte, che la sinistra lottava contro il crescente numero di sostenitori della dottrina islamista. Era qui che le teorie laiche panarabe nazionaliste o socialiste si erano dimostrate fallimentari.

Bin Laden, cresciuto secondo la tradizione salafita, volle essere protagonista di quel movimento di rivoluzione araba, di cambiamento per il mondo islamico, che stava prendendo forma in quegli anni. L’anno di svolta fu il 1979, che cambiò le sorti del medio - oriente radicalmente, con conseguenze che viviamo ancora oggi.

Il 1 febbraio l’ayatollah Khomeini ritornò in Iran dal lungo esilio in Francia, dopo che qualche giorno prima un colpo di stato aveva rovesciato l’autorità dello Scià di Persia Pahlavi, dando inizio alla «Rivoluzione khomeinista», con la quale l’islam sciita trionfò. L’ayatollah proclamò subito la Repubblica islamica dell’Iran, e il nemico numero uno degli islamisti iraniani divenne l’Occidente, con gli Stati Uniti in testa. A novembre, alcuni ribelli s’impadronirono delle moschee alla Mecca, chiedendo il ritorno alla vera legge islamica sul modello iraniano. Poco dopo, i militari sauditi irruppero e uccisero numerosi ribelli. Bin Laden si arrabbiò molto per questo atto di violenza, considerandolo un oltraggio ai danni dell’islam. Per lui, come per molti altri, quei ribelli erano dei martiri morti per la gloria di Dio.

Soltanto qualche settimana dopo, il 24 dicembre, l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan, una terra desolata e fredda, dove c’era un governo marxista assai debole che, per riuscire a risolvere i propri problemi di natura politica, invocò l’aiuto di Mosca. Numerosi giovani accorsero da tutto il mondo islamico per sostenere il jihad afgano contro gli invasori comunisti. Il centro di comando dei ribelli era stabilito a Peshawar, importante città pachistana a circa trenta chilometri dall’Afghanistan. Fu in questa terra per lungo tempo dimenticata che si spostò la trincea della Guerra Fredda negli anni Ottanta.

Tuttavia, Osama non si recò là subito, tanto da giungere a Peshawar solo nel 1981, quasi due anni dopo la prima invasione. Il gruppo di combattenti più forte e attivo era composto dai mujahidin, ai quali arrivava anche l’aiuto economico dagli americani e dai sauditi. I numerosi giovani accorsi a Peshawar, però, non avevano un’organizzazione, piani strategici per combattere i sovietici e, soprattutto, armi. Bin Laden, che aveva ereditato alla morte del padre una cospicua somma di denaro, mise a disposizione i suoi soldi e si propose come coordinatore dei vari gruppi. Iniziò ad esportate dall’Arabia Saudita i mezzi della impresa di famiglia – scavatrici, bulldozer, carri – che servirono per preparare strade, scavare trincee e gallerie nelle montagne, sfruttando così le sue competenze di ingegnere civile. D’altra parte, non bastavano le sue personali risorse: avviò così una raccolta fondi per supportare i suoi combattenti, avvicinandosi ai più importanti personaggi arabi del tempo, tra cui Azzam. Nel 1982, Bin Laden si trasferì definitivamente in Afghanistan, dove aprì un numero imprecisato di campi d’addestramento, a ridosso del confine col Pakistan, dove poté istruire e indottrinare al meglio i giovani combattenti.

Tuttavia, questo saudita votato alla causa afgana era già divenuto una personalità di riferimento tra i ribelli di Peshawar: fece da mediatore tra le fazioni afgane e quella arabe, finanziò un giornale estremista e organizzò l’assistenza medica per i feriti. E fu proprio con un medico, l’egiziano Ayman al Zawahiri, che Osama strinse rapporti più stretti. Nel 1988, un anno prima della ritirata dei sovietici, i due, assieme ad altri quattordici combattenti, fondarono Al Qaeda, nome che in arabo significa «la base», da intendersi metaforicamente come contenitore in cui tutti i militanti che avevano combattuto in Afghanistan potessero costituire un grande rete, a livello globale, di integralisti islamici.

Alla fine della guerra, Bin Laden ritornò in Arabia Saudita; nonostante fosse considerato dagli ex-combattenti il vero vincitore morale della guerra con i comunisti senza Dio, diventando così simbolo della rivolta contro gli infedeli, in patria non trovò una calda accoglienza.

Già qualche tempo dopo il suo ritorno, Osama dovette affrontare un nuovo conflitto che avrebbe sconvolto il medio - oriente. Il 2 agosto 1990, l’Iraq di Saddam Hussein invase il piccolo stato del Kuwait, andando così a minacciare la sicurezza dell’Arabia Saudita. Lo sceicco del terrore offrì alla famiglia reale tutte le sue competenze e capacità di guerrigliero, mise a disposizione i suoi veterani dell’Afghanistan e i suoi mezzi. Ma il Re non accettò, e preferì rivolgersi agli Stati Uniti per cercare di risolvere la questione. A gennaio 1991, sul territorio saudita arrivarono 300 mila soldati statunitensi. Bin Laden, che vide una delegittimazione della famiglia reale saudita accusata di essersi venduta allo straniero americano, paragonò i soldati della coalizione ai russi invasori dell’Afghanistan, parlando di «profanatori della terra araba». Accusò anche il clero saudita per aver avvallato la decisione della famiglia reale: per questo, venne messo agli arresti domiciliari, da dove riuscì fuggire poco dopo. Non ritornerà mai più in Arabia Saudita, essendo anche divenuto persona non gradita dal governo. La nuova terra di rifugio divenne il Sudan, stabilendosi nella capitale Khartoum, dove si avvicinò alle idee dell’ideologo islamista Hassan Turabi, vicino al governo in carica. In questa terra, Bin Laden ebbe mano libera su tutto, e in cambio il governo sudanese gli chiese ingenti investimenti.

La società di Osama avviò la costruzione di numerose infrastrutture, come strade e aeroporti, e investì anche in vari settori, come l’agricoltura. Inoltre, in questo periodo egli realizzò anche une fitta rete di campi d’addestramento per terroristi, e finanziò le casse del terrorismo internazionale. Bin Laden si stava sempre più attestando come il principale finanziatore e protagonista del terrorismo di matrice islamica.

 Nuove guerre e nuove scenari attendevano i suoi uomini: la Somalia, i Balcani, dove i fratelli musulmani venivano trucidati dai serbi invasori. Il suo gruppo supportò le azioni di guerriglia in questi paesi. Ormai, però, i servizi di sicurezza stranieri, sopratutto la CIA, lo tenevano sotto stretto controllo, anche se era considerato solo un finanziatore, quindi non impiegato in prima persona. Nell’aprile del 1994, il governo saudita privò Osama della cittadinanza e congelò tutti suoi beni. Due anni dopo, sotto forti pressioni di Washington, anche il governo sudanese fu costretto a rinnegare Bin Laden e lo espulse dal paese.

Divenuto, così, un uomo senza patria, Bin Laden accettò la protezione di tre signori della guerra afgani, nemici dei taliban al potere, e si stabilì a Jalalabad, in Afghanistan. Ma in questi anni, Al Qaeda non si limitò alle azioni contro gli infedeli nelle guerre in corso: iniziò a colpire obiettivi direttamente sul suolo statunitense. Il 26 febbraio 1993, una bomba esplose nel parcheggio sotterraneo del World Trade Center di New York, provocando sei morti e 1043 feriti. L’ideatore del primo attentato alle Torri Gemelle, Ramzi Youssef, venne ritenuto vicino al gruppo di Al Qaeda e al suo fondatore. Così, per la prima volta, gli Stati Uniti ebbero la prova formale che Osama Bin Laden poteva costituire un serio pericolo per la sicurezza nazionale.

In Afghanistan, intanto, il gruppo di Bin Laden e Al Zawahiri creò decine di campi d’addestramento, alloggi e altri servizi di supporto per i suoi combattenti. Contemporaneamente, avviò un programma di sensibilizzazione dei musulmani affinché si avvicinassero alla guerra santa contro l’Occidente e gli Stati Uniti e perché finanziassero la sua organizzazione. Cercò di acquistarsi la fiducia di alcuni paese “vicini”, come l’Algeria, l’Indonesia, la Cecenia e l’Uzbekistan. Molte di queste nazioni, però, preferirono non supportare Al Qaeda, e mantenere una posizione più moderata. Tuttavia, questo periodo servì per preparare la strategia che il gruppo avrebbe dovuto tenere in futuro: si sarebbe dovuta verificare una serie di attentati spettacolari che mirassero a richiamare nuove reclute, a indebolire il nemico, e a provocare sollevazioni di massa per rovesciare i regimi attuali e far nascere un nuovo califfato islamico. Fu proprio dalla sua nuova terra rifugio che Bin Laden iniziò a lanciare i suoi fatwa religiosi, contro la presenza statunitense nella penisola arabica e la famiglia reale saudita, descritta come «corrotta e complice di quella situazione». Due, così, appaiono gli obiettivi di Bin Laden: liberare il sacro suolo musulmano dalla presenza degli stranieri, e liberare l’Arabi Saudita dal governo della famiglia Al Saud, troppo influenzata e vicina al governo di Washington.

Il 23 febbraio 1998, davanti a 150 militanti, Bin Laden annunciò la nascita del «Fronte islamico mondiale per la Jihad contro gli ebrei e i crociati», un’alleanza tra Al Qaeda ed altri quattro gruppi di Bangladesh, Egitto e Pakistan basata su una seconda fatwa, in cui si invitavano tutti i musulmani ad usare qualsiasi mezzo per espellere le forze americane dalla penisola arabica, ad «obbedire a Dio e a uccidere gli americani, compresi i civili, e gli ebrei dovunque si trovassero». Combattere gli americani e i loro alleati era un dovere civile di ogni musulmano. Comunque, nonostante la gravità della parole dello sceicco, né la stampa internazionale né il governo statunitense diedero peso ai proclami di Bin Laden.

Passò solo qualche mese quando, il 7 agosto 1998, nell’anniversario dell’invio delle truppe nel Golfo nel 1990, due esplosioni davanti alle ambasciate statunitensi a Nairobi, in Kenya, e a Dar er Salaam, in Tanzania, provocano 213 morti e 4 400 feriti: quasi tutti erano dipendenti africani delle ambasciate. Cinque giorni dopo, la CIA emanò l’allarme Bin Laden, poiché un’intercettazione tra due suoi luogotenenti proverebbe il suo diretto coinvolgimento negli attentati alle ambasciate in Africa. Il Presidente statunitense Bill Clinton rispose agli attentati bombardando alcuni campi di terroristi in Sudan e Afghanistan, causando la morte di alcuni alleati pachistani e algerini di Osama, ma mancando lo sceicco del terrore. Quegli attacchi non sortirono l’effetto sperato, perchè resero ancora più celebre tra gli integralisti islamici la figura di Bin Laden. Il 4 novembre 1998, il governo di Washington accusò formalmente Osama di essere l’ideatore degli attentati in Kenya e Tanzania, e pose sulla sua testa una taglia di cinque milioni di dollari. Poco dopo, nel febbraio 1999, gli Stati Uniti lanciarono un ultimatum ai taliban: consegnare Osama Bin Laden o se ne pagheranno le conseguenze. Il governo afgano rispose che «Bin Laden era sparito da Kandahar», non assumendosi così nessuna responsabilità in merito. A luglio, Washington impose pesanti sanzioni economiche al paese.

Per due anni Al Qaeda non fece attentati né lanciò proclami. Tornò a farsi sentire il 5 ottobre del 2000, quando il caccia torpediniere Cole, al largo del porto yemenita di Aden, venne colpito da un battello kamikaze che squarciò il fianco della nave, causando la morte di 17 soldati statunitensi e ferendone 39.

Poi, ci fu l’11 settembre. Riportano le fonti che Osama, inizialmente, era restio all’idea di colpire obiettivi statunitensi dirottando decine di aerei. Tuttavia, dopo alcune modifiche al piano e una serie di discussioni tra i leader di Al Qaeda, il progetto prese piede. Bin Laden era convinto che la reazione degli Stati Uniti sarebbe stata debole, perché erano un popolo di vigliacchi.

Lo sceicco, dopo la taglia posta sulla sua testa, divenne sempre più un bersaglio difficile. La CIA non riusciva a coordinarsi con l’esercito per stanarlo, e le informazioni di base sull’Afghanistan e gli spostamenti del ricercato erano scarse. Egli, infatti, con la complicità del governo dei taliban e protetto da truppe d’elite di militanti ceceni, arabi e pachistani, si spostava spesso tra Kabul, Kandahar e una base nei pressi di Tora Bora, a sud di Jalalabad. Era difficile localizzarlo con precisione.

Il 9 settembre 2001, un attentato orchestrato da Al Zawahiri ferì a morte Ahmed Shah Massoud, leader afgano della resistenza degli uomini del nord. A detta di molti studiosi e storici, questo attentato è stato il preambolo all’11 settembre.

Nel giorno più lungo per l’America, Bin Laden si trovava sulle colline della provincia orientale di Logar. Ascoltando la radio, venne a sapere che l’attentato al cuore dell’America aveva avuto successo. Da quella data, egli divenne il nemico numero uno, l’uomo da prendere vivo o morto e la sua organizzazione, Al Qaeda, doveva essere smantellata.

E dall’11 settembre, la presenza di Osama iniziò a diluire rapidamente, affidando i suoi proclami contro l’Occidente a messaggi video a audio. Nel primo, trasmesso il 7 ottobre 2001 dalla tv del Qatar Al-Jazeera, Bin Laden disse: «Ecco l'America, colpita da Dio Onnipotente in uno dei suoi organi vitali tanto da distruggere i suoi più grandi edifici. Sia Grazia e gratitudine a Dio. L'America è stata colmata di orrore, da nord a sud, da est a ovest, e sia resa grazia a Dio che ciò che l'America sta assaggiando ora è solo una imitazione di ciò che noi abbiamo assaggiato». E sono state queste le parole che governo degli Stati Uniti, CIA e mondo intero hanno letto come assunzione di responsabilità della sua organizzazione negli attentati alle Torri Gemelle; con le stesse, inoltre, Bin Laden guerra eterna e assoluta agli Stati Uniti. Qualche giorno prima, il Presidente George W. Bush aveva dato l’assenso ai primi bombardamenti sull’Afghanistan, provocando la rapida caduta del regime talebano. Già nelle prime fasi del conflitto, morirono importanti esponenti del gruppo di Bin Laden, provocando un forte dissesto nell’organizzazione.

A dicembre, il governo statunitense annunciò che Bin Laden e Al Zawahiri si trovavano a Tora Bora: sembrava che la loro cattura fosse imminente, ma si rivelò un buco nell’acqua.

Dalla fine del 2001, per Osama fu un continuo spostarsi sul territorio dell’Afghanistan, protetto solo dai suoi militanti ed aiutato economicamente da alcuni donatori del Golfo e altri paesi. Dopo una serie di video, Bin Laden parlò al mondo solo tramite registrazioni audio, trasmesse dalla televisione del Qatar Al-Jazeera. Tra il 2001 e il 2011 ci furono attentati in tutto il mondo: Karachi e Bali nel 2002, Casablanca nel 2003, Madrid nel 2004, Londra e Sharm el Sheih nel 2005, Mumbai nel 2008 e il tentato dirottamento del volo Amsterdam - Detroit nel Natale del 2009. Nonostante tutti questi attacchi, il proselitismo di Bin Laden non riuscì a trovare il consenso delle masse: i suoi proclami non furono in grado di creare quel sollevamento di popolo che si auspicava per la creazione del grande califfato. Solo in Pakistan ed Afghanistan riscuoteva un ampio consenso, ma in Iraq, nel Maghreb e in altre regioni islamiche era visto con diffidenza. Le recenti rivolte nei paesi del nord-Africa hanno dimostrato come i proclami di Bin Laden non si siano infiltrati tra i manifestanti. Inoltre, col passare degli anni, alcuni all’interno di Al Qaeda iniziarono a contestare le strategie e le tattiche dello sceicco del terrore, considerandole sbagliate ed inefficaci. Tuttavia, la sua organizzazione ebbe sempre una certa capacità d’azione, come gli attentati dell’ultimo periodo dimostrano.

Per lungo tempo, la caccia di Washington ad Osama Bin Laden è stata inefficace e senza risultati. In più occasioni si è arrivati vicini alla sua cattura, ma senza prendere l’obiettivo. Gli stessi mezzi d’informazione internazionali, a ripetizione, annunciavano nuovi proclami dello sceicco, ma che non destavano più la preoccupazione e il timore degli anni precedenti.

Nella notte di lunedì 2 maggio 2011, il colpo di scena: gli uomini dei Navy Seals della Marina americana compiono un blitz in una casa ad Abbottabad, pochi chilometri a nord di Islamabad. Osama Bin Laden e molti dei suoi uomini vengono uccisi. Il corpo del leader di Al Qaeda viene issato su un elicottero statunitense che si dirige verso la portaerei Carl Vinson in navigazione verso l’Oceano Indiano. Una volta qui, la salma, seguendo il rito islamico, viene gettata in mare.

Convinto di aver sacrificato tutto per gli altri, Osama Bin Laden è stato uno dei personaggi che ha cambiato la storia, ma su cui molti interrogativi, anche dopo la sua morte, restano ancora aperti e su cui, per molti anni, si parlerà.



 

 

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