N. 47 - Novembre 2011
(LXXVIII)
L’ORO DI FILIPPO
LA RICCHEZZA MINERARIA NELLA MACEDONIA ANTICA
di Richard Caly
“Combatti con lance d’argento e conquisterai tutto”. Fu questo il responso dell’Oracolo di Delfi, interrogato da Filippo il Macedone.
Come
sempre,
la
criptica
frase
della
Pizia
aveva
sintetizzato
in
modo
perfetto
i
segreti
che
avrebbero
permesso
al
sovrano
in
questione
di
costruire
un
regno
potente,
in
grado
di
imporre
la
propria
egemonia
sull’intera
penisola
ellenica.
Le
lance
dell’oracolo
erano
le
sarisse,
ovvero
le
micidiali
picche
utilizzate
dalla
falange
macedone,
e
più
in
generale
le
importanti
riforme
militari
attuate
da
Filippo
per
mezzo
delle
quali
le
sue
armate
sbaragliarono
gli
eserciti
delle
poleis
greche;
ma
il
riferimento
all’argento
è
altrettanto
importante,
perché
sintetizza
altri
aspetti,
meno
evidenti
ma
fondamentali,
della
politica
dell’argeade.
In
greco,
infatti,
la
parola
argento
(αργύριον)
è
anche
sinonimo
di
“moneta”
o
“denaro”,
talché
l’oracolo
si
riferiva
sia
alla
corruzione,
spesso
utilizzata
dal
sovrano
per
“ammorbidire”
le
posizioni
dei
suoi
avversari
stranieri,
che
alle
risorse
minerarie,
il
cui
sfruttamento
intensivo
fu
uno
dei
capisaldi
della
politica
economica
del
macedone.
Il
territorio
abitato
in
origine
dagli
antichi
macedoni,
ovvero
la
zona
situata
tra
il
monte
Olimpo
e
Pieria,
nel
nord
della
Grecia,
era
straordinariamente
ricco
di
risorse
naturali.
In
particolare
l'abbondanza
di
foreste
di
faggi,
pini
e
frassini
rendeva
la
Macedonia
produttrice
di
legname
di
ottima
qualità,
preziosissimo
per
la
cantieristica
navale
delle
potenze
marinare
greche,
come
Corinto
e
soprattutto
Atene.
Fu
proprio
la
volontà
delle
poleis
del
sud
di
accaparrarsi
legname
a
basso
costo
che
le
spinse
a
continue
e
pressanti
ingerenze
nella
politica
interna
del
regno
macedone,
fin
dal
regno
di
Aminta
I
(fine
del
VI
secolo
a.C.).
Ancora
alla
vigilia
dell'ascesa
al
trono
di
Filippo
II,
avvenuta
in
un
frangente
confuso
e
travagliato,
Atene
e
Tebe
intervennero
militarmente
per
appoggiare
candidati
alternativi
all'argeade,
i
quali
presumibilmente
avrebbero
adottato
politiche
economiche
favorevoli
agli
interessi
ateniesi
o
tebani
una
volta
conquistato
il
potere.
La
debolezza
del
regno,
minacciato
di
invasione
e
letteralmente
'accerchiato'
dagli
aggressivi
popoli
barbari
confinanti,
come
Peoni,
Illiri
o
Traci,
costituiva
infatti
un'occasione
unica
per
inserirsi
nelle
dinamiche
dinastiche.
Quella
fu
però
l'ultima
volta
che
le
poleis
tentarono
di
instaurare
in
Macedonia
un
governo
fantoccio.
Con
Filippo,
il
paese
si
emanciperà
presto
dalla
tutela
straniera,
incamminandosi
sulla
strada
dell'indipendenza
fino
a
raggiungere
l'egemonia
regionale.
Oltre
al
legno,
in
Macedonia
esistevano
numerosissime
miniere
d'oro
e
d'argento,
la
maggior
parte
delle
quali
poco
esplorate.
La
loro
presenza
era
nota
a
tutti,
ma
il
loro
sfruttamento
intensivo
sarà
una
conseguenza
diretta
del
potenziamento
del
regno.
Non
a
caso
alcune
di
esse
si
trovavano
in
zone
di
dubbia
appartenenza,
come
ad
esempio
al
confine
con
l'Illiria
o la
Tracia.
Una
delle
prime
preoccupazioni
di
Filippo
fu
di
assicurarsi
il
controllo
di
tali
risorse
minerarie,
i
cui
proventi
erano
indispensabili
per
consolidare
la
propria
posizione
politica
nel
panorama
internazionale
dell’epoca.
Scongiurato
il
pericolo
di
invasioni
straniere
appena
giunto
al
potere
nel
359
a.C.,
l’ambizioso
monarca
pensò
bene
di
avviare
una
riforma
militare
creando
un
esercito
nazionale,
formato
da
truppe
macedoni
a
lui
fedeli
e
riducendo
gradualmente
la
presenza
di
mercenari.
In
questo
modo
l’armata
macedone,
addestrata
secondo
principi
tattici
innovativi,
diveniva
un
formidabile
strumento
da
utilizzare
per
riunificare
il
regno,
indebolito
da
continue
lotte,
per
difenderne
i
confini,
e in
un
momento
successivo
per
pianificare
nuove
campagne
militari
espansionistiche.
Tra
il
358
e il
356
la
politica
estera
di
Filippo
fu
diretta
a
minare
gli
interessi
ateniesi
nella
penisola
calcidica,
ricchissima
di
miniere,
le
cui
città
erano
da
sempre
utilizzate
come
basi
commericiali
e
militari
da
Atene.
Anfipoli,
ad
esempio,
si
trovava
alle
pendici
del
Monte
Pangeo,
celebre
in
antichità
per
le
proprie
risorse
d’argento.
La
sua
conquista
da
parte
dello
spregiudicato
sovrano
segnò
il
vero
inizio
della
lunga
guerra
tra
le
due
potenze,
fatta
di
scontri
aperti,
riconciliazioni
e
ambiguità
diplomatiche.
Successivamente
l’attenzione
di
Filippo
fu
diretta
al
territorio
della
Tracia,
anch’esso
ricco
di
miniere
auree.
Approfittando
dei
momenti
di
debolezza
del
regno
trace,
l’argeade
riuscì
gradualmente
a
ridurne
la
pericolosità,
fino
ad
annetterlo
con
una
serie
di
campagne
militari.
Conseguenza
diretta
dei
successi
politici
di
Filippo
fu
il
grande
impulso
dato
all’economia
macedone
attraverso
lo
sviluppo
dei
commerci
portuali,
il
potenziamento
delle
vie
di
comunicazione
e la
fondazione
di
nuovi
insediamenti
(come
la
polis
di
Filippi,
situata
ad
est
della
penisola
calcidica).
Nel
corso
del
suo
regno
La
coniazione
di
monete
d’oro
e
d’argento
fu
inoltre
talmente
abbondante
da
“inondare”
letteralemente
i
mercati,
tanto
da
minacciare
il
predominio
di
Atene
anche
sul
piano
monetario.
In
questo
senso,
alcuni
storici
hanno
avanzato
delle
ipotesi
interessanti,
secondo
cui
alcuni
tra
gli
esponenti
di
spicco
del
partito
antimacedone
ateniese
sarebbero
stati
anche
importanti
“uomini
d’affari”
che
avevano
investito
i
loro
proventi
nelle
miniere
d’argento.
Il
ritrovamento,
nei
pressi
dell’agorà
di
Atene,
di
alcuni
elenchi
di
nomi
risalenti
al
IV
secolo
sembrano
supportare
tale
tesi.
In
particolare
personaggi
come
Fedro
e
Diotimo
sono
noti
alle
fonti
storiche
per
essere
stati
impegnati
politicamente
al
fianco
di
Demostene
contro
l’invadenza
del
“barbaro”
Filippo.
Esisteva
dunque
una
lobby
economica
antimacedone
con
interessi
nelle
miniere,
tanto
potente
da
influenzare
scelte
cruciali
di
politica
estera?
In
realtà
la
stragrande
maggioranza
dei
nomi
trovati
nelle
iscrizioni
è
ignota;
la
presenza
di
qualche
notabile
conosciuto,
seppur
ricco
e
potente,
non
basta
a
supportare
una
tesi
così
ardita.
Anche
dopo
la
definitiva
sconfitta
di
Cheronea
(338
a.C.)
infatti,
sappiamo
che
gran
parte
dei
ricchi,
ad
Atene,
godeva
di
notevoli
rendite
derivanti
dallo
sfruttamento
delle
risorse
minerarie.
E
non
è
detto
che
Filippo
non
abbia
trovato
con
loro
un
nuovo
modus
vivendi.
Una
cosa
è
però
certa:
seguendo
il
consiglio
dell’oracolo
delfico,
l’intraprendente
sovrano
lasciò
al
figlio
Alessandro
la
più
grande
signoria
d’Europa.