N. 54 - Giugno 2012
(LXXXV)
orizzonti di gloria
memoria della grande guerra - parte VIII
di Gianluca Seramonti
Gli
interrogatori
dei
tre
imputati
hanno
tutto
il
sentore
di
una
farsa
non
già
perché
stravolgono
il
corretto
funzionamento
di
un
dibattimento,
ma
perché
prendono
alla
lettera
l'attenersi
ai
fatti
che
si
dice
essere
il
faro
di
ogni
buon
processo
condotto
con
obiettività.
E,
in
effetti,
il
pubblico
ministero
rimane
fedele
a
questa
vocazione
dapprima
riducendo
l'affaire
affatto
complesso
di
una
ritirata
alla
domanda
«Siete
andato
avanti
o
indietro?»
nel
caso
di
Ferol,
alla
distanza
tra
i
reticolati
francesi
e la
trincea
sempre
francese
e al
mancato
incitamento
dei
commilitoni
nel
caso
di
Arnaud,
e,
infine,
al
fatto
di
non
essere
proprio
uscito
dalla
trincea
nel
caso
di
Paris,
nonostante
il
suo
certo
involontario
svenimento.
La
strategia
dell'accusa
è
cristallina.
Un
qualunque
accadimento
è la
risposta
a
una
determinata
domanda.
La
domanda
posta
dal
processo
è la
seguente:
i
soldati
francesi
sono
avanzati
fino
al
fronte
nemico?
L'unica
risposta
possibile
è
no,
e il
fatto
che
sostanzia
questa
negazione
è il
non
raggiungimento
delle
trincee
tedesche.
Tutto
il
resto
è
«lungaggine»
«senza
scopo»,
come
affermerà
il
giudice
contro
il
tentativo
di
difesa
di
Dax.
Così
saranno
irrilevanti
sia
che
Ferol
si
trovasse
praticamente
solo
nel
bel
mezzo
della
Terra
di
nessuno,
sia
che
Arnaud
avesse
ricevuto
l'ordine
di
ritirarsi
e,
in
altre
occasioni
di
battaglia,
si
fosse
distinto
per
il
valore
e il
coraggio
dimostrato,
sia
che
Paris
fosse
svenuto
perché
il
corpo
di
un
commilitone
colpito
gli
fosse
caduto
addosso.
Tutto
il
contesto
di
un
fatto
è
stato
cancellato
con
un
colpo
di
spugna,
come
si è
soliti
dire.
La
consapevolezza
della
disfatta,
che
ha
indotto
Ferol
e il
suo
compagno
al
ritiro,
è
stata
tradotta
dall'accusa
in
una
percezione
visiva
la
quale,
essendo
di
per
sé
soggettiva,
non
può
essere
ammessa
in
un'aula
processuale.
Il
passato
di
Arnaud
non
ha
più
valore
per
il
presente.
Il
passato
non
costituisce
lo
spessore
di
una
persona,
bensì
un
presente
non
più
attuale
all'interno
di
una
vita
che
diviene
così
successione
di
discontinuità.
L'atavica
antipatia
che
opponeva
Roget
a
Paris,
la
paura
del
primo
che
si
possa
conoscere
il
suo
comportamento
durante
la
perlustrazione
e,
infine,
l'incidente
occorsogli
durante
l'attacco
non
sono
sufficienti
a
Paris
per
evitare
la
condanna.
Il
movimento
dell'accusa
è
ben
determinato.
Il
suo
attenersi
ai
fatti
si
traduce
nella
cancellazione
dei
fatti,
nella
sostituzione
della
realtà
con
un'altra
realtà
obbediente
alla
macchina
dell'esercito.
Il
fallimento
di
un
attacco,
che
avrebbe
avuto
come
conseguenza
la
messa
in
questione
non
solo
di
Mireau,
il
quale
ha
personalmente
condotto
l'azione,
ma
del
potere
militare
stesso
che
ha
deciso
un'operazione
militare
a
tutti
gli
effetti
suicida,
si è
convertito
in
una
lucida
e
ragionevole
azione
di
guerra
fallita
a
causa
della
contingenza
di
presunte
vigliaccherie
individuali.
Si
comprende,
allora,
la
necessità
delle
esecuzioni.
La
costruzione
della
realtà
fittizia
di
una
operazione
militare
ben
congegnata,
rovinata
dalla
manchevolezza
delle
truppe,
ha
bisogno
del
corollario
della
punizione
dei
vigliacchi
responsabili
della
catastrofe.
Affinché,
tuttavia,
la
realtà
così
costruita
si
imponga
come
tale
occorre
che
la
morte
dei
tre
imputati
percorra
strade
che,
di
fatto
e
indirettamente,
assolvono
il
potere
militare
stesso.
In
altri
termini,
l'esemplarità
di
una
punizione
non
sortisce
effetti
funzionando
solo
come
deterrente,
bensì
instillando
in
chi
vi
assiste
la
convinzione
che
quanto
avviene
è
giustificato
ed è
valido.
Solo
al
termine
di
questa
elaborazione
la
realtà
fittizia
si
imporrà
come
autentica
realtà.
I
passaggi
di
questa
elaborazione
sono
i
seguenti.
In
primo
luogo,
si
deve
ottenere
la
separazione
tra
gli
imputati
e
gli
altri
soldati,
affinché
eventuali
legami
affettivi
e
amicali
non
giungano
a
incrinare
la
strategia
militare.
È
necessario
quindi
porre
a
sorveglianza
dei
tre
imputati
i
soldati
di
un
altro
battaglione,
che
non
conoscono
i
tre
fanti,
come
ricorderà
Ferol
quando
Paris
mostrerà
di
riporre
fiducia
nella
presunta
amicizia
cameratesca
delle
truppe
al
fronte.
Occorre
altresì
che
i
fondamenti
stessi
del
cameratismo
siano
minati.
Nella
sequenza
del
carcere,
il
sergente
cui
è
stata
affidata
la
sorveglianza
dei
prigionieri,
risponde
a
Paris,
inginocchiato
e
implorante,
di
alzarsi
e di
affrontare
la
morte
da
uomo.
Il
comportamento
del
sergente
«rovescia
i
valori»
e
trasforma
l'umanità
della
reazione
di
Paris
di
fronte
a
una
condanna
a
morte
ingiusta,
nella
involontaria
conferma
della
sua
vigliaccheria
durante
l'attacco.
Anche
la
rabbia
di
Ferol
contro
i
soldati
che
compongono
la
banda
militare
va
nella
stessa
direzione
di
una
recisione
dei
legami
tra
commilitoni.
Ferol
ha
combattuto,
ha
servito
l'esercito
e la
patria,
ha
risposto
con
tutto
se
stesso
alla
chiamata
della
guerra.
I
musicisti
dovrebbero
essere
processati,
non
i
soldati
che
hanno
combattuto.
In
secondo
luogo,
la
punizione,
per
essere
esemplare,
deve
anche
essere
trasparente,
deve
avvenire
sotto
gli
occhi
di
tutti.
All'esecuzione,
di
conseguenza,
saranno
presenti
sia
lo
stato
maggiore
dell'esercito
sia
la
politica,
sia
infine
la
stampa
e la
fotografia.
La
pubblicità
di
una
azione
così
profondamente
farsesca
la
rende
con
ciò
stesso
accettabile,
seppure,
forse,
criticabile.
Il
crimine
perpetrato
dal
potere
deve
poter
essere
comunicato,
anzi,
deve
essere
confessato,
perché
contro
di
esso
non
si
possa
levare
alcuna
protesta.
Come
dimostra
la
favola
di
Andersen,
lo
scandalo
suscitato
dal
grido:
«Il
re è
nudo»,
è
potuto
sorgere
solo
perché
il
potere
tentava
di
nascondere
la
propria
nudità.
Se
l'avesse
acclamata,
quel
grido
sarebbe
stato
accolto
dal
riso
che
in
genere
risponde
alle
ingenuità
dei
bambini.
Infine,
si
deve
poter
spostare
l'obiettivo
della
rabbia
dei
tre
soldati
dal
piano
del
reale
delle
responsabilità
militari
a
quello
simbolico
di
una
responsabilità
sovraindividuale,
che
nel
film
di
Kubrick
è
Dio.
Ecco,
allora,
la
reazione
violenta
e
sarcastica
di
Arnaud
di
fronte
all'ultimo
conforto
portato
da
Padre
Duprex.
Ma,
soprattutto,
ecco
l'equivalente
del
«Mio
Dio,
Mio
Dio,
perché
mi
hai
abbandonato?»
che
Ferol
pronuncia
mentre
è
condotto
ai
pali
dell'esecuzione.
Non
può
sfuggire,
e
non
è
sfuggito,
il
parallelo
con
la
crocifissione
di
Cristo:
i
tre
pali
cui
sono
legati
i
prigionieri
sono
le
tre
croci
cui
furono
crocifissi
Cristo
e i
due
ladroni;
il
percorso
tra
due
ali
di
folla
è il
calvario
di
Cristo.
Le
conseguenze
sono
importanti.
Da
un
lato
le
due
sequenze,
quella
di
Arnaud
in
carcere
e
quella
dell'esecuzione
vera
e
propria,
allontanano
definitivamente
il
divino
dall'orizzonte
umano,
nel
senso
che,
come
controbatte
Arnaud
a
Padre
Duprex,
il
potere
di
Dio
nelle
faccende
terrene
è
assolutamente
risibile.
Come
a
dire
che,
in
risposta
a
una
rinnovata
richiesta
di
teodicea
che
spieghi
l'immane
morte
sui
campi
di
battaglia
durante
la
Grande
Guerra,
si
registra
solo
il
silenzio
di
Dio.
Ferol
non
riceve
risposta
dal
sacerdote,
se
non
un
insoddisfacente
invito
al
coraggio.
Nello
stesso
modo
le
dure
parole
di
Arnaud
e il
suo
tentativo
di
colpire
il
sacerdote
sortiscono
altro
effetto
che
la
reazione
di
Paris
contro
Arnaud
che
cade
e
sviene.
Dall'altro
lato,
questo
spostamento
sul
piano
della
religione
provocato
dalla
comparsa
di
Padre
Duprex,
e
l’accusa
contro
Dio
che
con
il
suo
silenzio
rende
possibile
quanto
sta
accadendo,
si
traduce
nella
autoassoluzione
definitiva
del
potere
militare
da
ogni
eventuale
responsabilità
circa
gli
accadimenti.
Si
potrebbe
quasi
azzardare
un
parallelo
con
il
film
J'accuse
che
Abel
Gance
portò
a
termine
nel
1919,
ma
che
iniziò
nel
1917
con
i
mezzi
finanziari
della
sezione
cinematografica
dell'esercito
francese.
Voluto
dall'esercito
per
incoraggiare
sia
la
popolazione
civile
sia
i
soldati
«…
in
preda
a
scoramento
….
dopo
lunghi,
dolorosi
anni
di
combattimento»
(Jay
Winter,
1998,
p.
187.),
il
film
divenne
nelle
mani
di
Gance
un
atto
di
accusa
esso
stesso
contro
la
Grande
Guerra
e un
tentativo
di
elaborazione
del
lutto
relativo
al
carattere
«…
intollerabile
della
morte
di
massa
che
avvolse
la
società
europea
a
partire
dal
1914»
(Ibidem,
p.
29).
Il
film
di
Gance
narra
la
vicenda
del
brutale
François
Laurin,
di
sua
moglie
Edith,
e
del
poeta
Jean
Diaz,
innamorato
di
Edith.
François
e
Jean
sono
chiamati
alle
armi
e
devono
partire
per
il
fronte.
Il
loro
villaggio
è
occupato
dai
tedeschi
che
violentano
Edith.
Jean,
saputo
della
violenza,
lancia
il
primo
j'accuse
contro
i
tedeschi.
Dopo
la
morte
della
madre,
Jean
scaglia
il
suo
secondo
j'accuse
contro
la
guerra
stessa,
che
non
fa
differenze
tra
vecchi
e
giovani,
tra
ricchi
e
poveri.
Il
tempo
scorre
e
Edith
mette
alla
luce
una
bambina,
Angéle,
figlia
dello
stupro
subito.
Suo
marito
François
rimane
sconvolto
della
notizia:
tenta
di
uccidere
la
bambina,
ma,
infine
decide
di
ritornare
al
fronte.
La
gente
del
villaggio,
conosciuta
la
reale
origine
di
Angéle,
schermisce
la
piccola.
In
particolare,
i
bambini
la
costringono
a
indossare
un
elmetto
tedesco
e a
simulare
l'esecuzione
di
un
bambino
francese.
Questo
episodio
dà
il
pretesto
a
Jean,
che
ha
perduto
la
ragione
in
seguito
a un
bombardamento,
per
lanciare
tramite
un
sogno
il
suo
terzo
j'accuse,
questa
volta
contro
una
popolazione
civile
che
ha
scordato
i
propri
soldati
al
fronte:
« Il
sogno
…
inizia
in
un
cimitero
di
un
campo
di
battaglia
…
Un'enorme
nube
nera
si
leva
da
fondo
e,
magicamente,
figure
spettrali
si
sollevano
dal
terreno
[
portando
con
sé
delle
croci]
abbandonano
il
campo
di
battaglia
e
seguendo
viottoli
di
campagna
si
dirigono
verso
i
propri
villaggi.
Ciò
che
vogliono
è
verificare
se
il
loro
sacrificio
è
stato
vano.
Quello
che
trovano
è la
meschinità
dell'esistenza
borghese,
le
speculazioni
sulla
pelle
dei
soldati,
l'infedeltà
delle
mogli.
La
vista
dei
caduti
è a
tal
punto
terrificante
per
gli
abitanti
dei
villaggi
che
essi
immediatamente
si
ravvedono
e i
morti
fanno
ritorno
alle
proprie
tombe,
a
missione
compiuta»
(Ibidem,
p.
27).
Jean
Diaz,
che
ora
trova
conforto
e
aiuto
proprio
nel
suo
rivale
in
amore
François,
vorrebbe
fare
a
pezzi
il
suo
poema
Les
pacifiques,
in
modo
da
affermare
che
la
guerra
ha
ucciso
anche
il
poeta.
Mentre
sta
per
morire,
lancia
il
suo
ultimo
j'accuse
nei
confronti
del
sole
colpevole
di
essere
insensibile
al
dolore
che
sta
consumando
l’umanità.
Il
film,
infine,
si
chiude
con
l'immagine
di
Cristo
sulla
croce.
È
interessante
notare
la
successione
degli
J'accuse
di
Jean,
che
Jay
Winter
così
sintetizza:
«Dapprima
si
tratta
dei
tedeschi,
poi
della
guerra,
anch'essa
un
crimine
germanico.
Ma
una
volta
che
Gance
sposta
la
scena
nelle
trincee,
cambiano
le
sue
intenzioni
e
così
pure
il
messaggio.
La
terza
volta
in
cui
l'anatema
viene
lanciato
è
contro
gli
abitanti
del
villaggio
che
rubano
e
ingannano
mentre
i
loro
ragazzi
vengono
fatti
a
pezzi.
La
quarta
volta
l'accusa
è
rivolta
contro
la
natura
stessa
per
la
sua
indifferenza
di
fronte
alle
sofferenze
umane»
(Ibidem,
p.
190).
È
ovvio
che
questa
strategia
discorsiva
distrae
l’attenzione
degli
spettatori
dal
piano
delle
responsabilità
storiche.
In
questa
ottica
l’espiazione
delle
colpe,
anche
di
quella
“metafisica”
della
natura,
non
potrà
che
avvenire
sul
piano
della
trascendenza:
solo
accogliendo
fino
in
fondo
il
messaggio
cristiano
ci
potrà
essere
vittoria,
salvezza
e
redenzione
-
come
dichiarano
sia
le
croci
impugnate
dai
soldati
morti
del
sogno
sia
l'immagine
finale
del
Cristo
crocifisso.
Il
film
di
Kubrick
pare
controbattere
puntualmente
a
questo
“paradigma”.
Di
contro
un
Dio
che
solo
può
riportare
l'umanità
e la
natura
nei
binari
della
giustizia
e
della
pace,
Kubrick
oppone
la
sparizione
di
Dio
dall'orizzonte
delle
faccende
umane,
oppure
la
sua
debolezza
o la
sua
impotenza
a
risolvere
il
dramma
umano.
E
facendo
intervenire
il
sacerdote
nel
momento
più
crudele
della
pratica
militare
in
qualità
di
momento
essenziale
della
procedura
dell’esecuzione,
coopta
il
sacerdote
e la
trascendenza
di
cui
è
testimone
nelle
strategie
del
potere
stesso.
La
domanda
di
Ferol
e,
con
essa
quella
di
Cristo
stesso,
sono
di
conseguenza
richiamate
all’interno
della
strategia
discorsiva
del
potere
come
espediente
per
distogliere
da
sé
il
j’accuse
di
chicchessia.
Rispetto
al
film
di
Gance,
di
cui
non
si
devono
dimenticare
le
finalità
propagandistiche,
la
sequenze
di
Paths
of
Glory
in
cui
compare
padre
Duprex
trasforma
la
religione
nel
più
proficuo
nucleo
transideologico
di
cui
il
potere
ideologico
potrebbe
disporre.
L'estraniazione,
il
sentirsi
abbandonato
dal
consorzio
umano,
è
terreno
fertile
su
cui
un
regime
totalitario
può
impiantarsi.
Solo
l'estraniazione
permette
quella
conversione
fanatica
dell'individuo
all'ideologia
del
regime
totalitario,
quella
«fedeltà
totale
che
ne è
la
base
psicologica.
Ci
si
può
aspettare
una
simile
«fedeltà»
solo
da
un
essere
umano
completamente
isolato
che,
senza
alcun
vincolo
sociale
con
i
familiari,
gli
amici,
i
compagni
e i
conoscenti,
senta
di
avere
un
posto
nel
mondo
esclusivamente
mercé
l'appartenenza
al
movimento
al
partito»
(Ibidemi,
p.
448).
Così,
la
preoccupazione
di
Stalin,
opposta
a
quella
di
Lenin,
fu
quella
di
appiattire
ogni
articolazione
e
differenziazione
interna
alla
società
sovietica
proprio
al
fine
di
eliminare
ogni
possibile
ostacolo
all'esercizio
del
suo
potere
(Ibidem,
pp.
443
e
sgg).
Si
torni
al
film
di
Kubrick.
La
sottrazione
di
ogni
validità
al
passato
di
una
persona
e,
quindi,
la
riduzione
della
vita
di
una
persona
ad
una
successione
di
accadimenti
tra
loro
irrelati,
l'isolamento
dei
soldati
attraverso
l'affidamento
della
loro
sorveglianza
a
militari
a
loro
sconosciuti
e
attraverso
la
rescissione
di
vincoli
familiari
diretti,
la
pubblicità
del
processo
e
dell'esecuzione,
e,
infine,
la
diffusione
del
sospetto
che
la
causa
ultima
del
male
sia
da
ricercare
nell'assenza
di
Dio
dalle
faccende
umane,
o,
anche
nella
sua
risibile
e
sedicente
onnipotenza,
sono
passi
di
una
strategia
notevole
i
cui
risultati
sono,
con
le
parole
di
Hannah
Arendt,
l'atomizzazione
e la
massificazione
di
un
gruppo
sociale,
cioè
la
trasformazione
di
un
gruppo
sociale
in
una
massa,
e la
possibilità
della
cancellazione
dei
fatti
e
della
loro
sostituzione
con
una
realtà
costruita
ad
hoc.