.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

contemporanea


N. 52 - Aprile 2012 (LXXXIII)

Orizzonti di gloria
Memoria della Grande Guerra - Parte VIII

di Gianluca Seramondi

 

Ora, si potrebbe leggere il modo in cui Kubrick raffigura i soldati anche alla luce di quanto qui detto a proposito dello spazio. Come ricorda Roberto Campari, il film deve «... presentare tutto e subito il suo personaggio, cioè... dargli una serie di caratteri fondamentali fin dall’inizio [...] che restano come un discorso fatto una volta e soltanto corretto, o precisato, in seguito» (Roberto Campari, 1993, pp. 72-73), di conseguenza, «... assumerà importanza determinante... il momento dell’entrata in scena» (Ibidem, p. 79). Ne consegue ovviamente che lo spazio avrà un valore determinante nella prima presentazione di uno o più personaggi. Non solo e non tanto l’ambiente: il suo arredamento, il suo decoro; quanto la spazializzazione del personaggio, il modo in cui il regista inserisce il personaggio nello spazio.

 

In questa prospettiva, non può sfuggire come i soldati siano perlopiù ripresi con primi o primissimi piani, fin dalla loro prima comparsa come personaggi, precisamente durante la sequenza dell’ispezione. L’angustia degli spazi nelle trincee può benissimo giustificare una scelta stilistica così importante. Ad una più attenta analisi, tuttavia, questa scelta è motivata da un’intenzione differente.

 

Se, generalmente, il primo e il primissimo piano del volto favoriscono una più intensa identificazione del personaggio a livello affettivo, psicologico ed esistenziale, giacché la raffigurazione ravvicinata del volto lo ritaglia dal tessuto delle relazioni che lo legano con l’ambiente circostante, trasformando il volto stesso in un paesaggio, un territorio tra le cui trame fa capolino un mondo interiore vasto e non completamente addomesticato - si pensi, per fare esempi noti, ai primi piani di Michelangelo Antonioni, oppure alla successione dei primi piani che costituiscono La passion de Jeanne d’Arc (1928) di Carl Theodor Dreyer -, in Kubrick l’uso dei primi piani del volto dei soldati ha un diverso valore, di appiattimento e “stereopatizzazione”.

 

È esemplare, a questo riguardo, il volto del soldato colpito da shock da bomba. In quel volto la ricchezza discorsiva della follia, e dell’esperienza bellica che ne è stata la condizione, si irretisce nella ripetizione inesausta di una disperazione bloccata.

 

I primi piani dei soldati non sono paesaggi da penetrare, percorrere, interrogare. Sono piuttosto cartografie, appaiabili alla mappa del Formicaio appesa ad una parete del ridotto di Dax. Sono, dunque, ricostruzioni, astrazioni, che dissolvono le differenze tra i volti nell’identità della loro rappresentazione.

 

La successione dei volti di Ferol, Arnaud e Paris durante il processo è a questo proposito emblematica. Appaiandosi con la successione dei loro stessi volti durante la visita di Mireau alle trincee, e con quella dei volti dei soldati nella locanda, quella successione rimanda ad un’iconografia del diseredato stabilita con grazia insuperata nei dipinti di Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto. Come i volti e le figure dei pitocchi di Ceruti, anche i volti dei tre imputati di Kubrick sono quasi sospesi su di uno sfondo che, proprio perché ingigantito e allontanato dall’uso del grandangolare, non intrattiene con essi alcuna relazione. Tra i volti e lo sfondo non vi è alcuna dialettica. I volti e, con essi, i soldati sono appiccicati su quello sfondo come ritagli di un collage sgraziato e ingenuo.

 

Il ricorso ai campi lunghi e lunghissimi con cui Kubrick riprende i soldati in alternativa al primo piano, avvalora, e non smentisce, questa impostazione, quasi in una dimostrazione per negazione. In Paths of Glory, infatti, i soldati sono ripresi in figura intera in quei luoghi in cui la loro identificazione è fattore secondario, e prevale di contro uno schiacciamento della figura sullo spazio, una sua indifferenziazione da questo. Si pensi alle figure dei soldati nelle trincee. Solitamente sono aggrappati alle pareti della trincea, fino al punto di confondersi con esse durante la sequenza del passaggio di Dax nei momenti che precedono l’attacco.

 

Si pensi, ancora, al campo lungo a plongé che inquadra l’ingresso dei tre soldati nell’aula del processo. Il tratto che unisce le raffigurazioni in figura intera dei soldati è la loro indifferenziazione dallo spazio, una modalità di relazionarsi con lo spazio che annulla ogni ipotesi di usabilità dello stesso da parte dei soldati.

 

In altri termini, i soldati sono confusi nello spazio che attraversano. Non lo abitano. Si aggrappano ai suoi limiti. Si potrebbe dire che essi contribuiscono a creare il moderno spazio labirintico, il suo effetto spaesante, proprio con l’atto di aggrapparsi alle pareti delle trincee, fino a confondersi con esse al fine di sfuggire alla devastante potenza dell’artiglieria nemica.

 

La sequenza che precede l’attacco, quando Dax percorre le trincee, è a tal proposito significativa: i soldati sembrano emergere dalle pareti della trincea come le figure emergono dai bassorilievi funebri medievali. Nei confronti dello spazio, i soldati si rapportano dunque o secondo l’indifferenza confusiva oppure secondo l’apposizione forzata.

 

Ecco, allora, la necessità delle riprese ravvicinate dei volti: il primo piano è necessario per sollevare il soldato da uno spazio che lo inghiotte, lo assorbe. Questo sollevamento, tuttavia, non permette affatto una individualizzazione del personaggio, bensì un più schiacciante dominio della gerarchia militare sui destini individuali.

 

Si noti, infatti, che il ricorso ai primi piani si ha in via primaria quando i soldati sono o in un contatto diretto con la gerarchia militare: durante l’ispezione di Mireau, durante il processo; o in una distanza dalla gerarchia che ne afferma una volta di più l’efficacia: il dialogo furtivo tra Paris e Lejeune fuori del ridotto di Roget, la sequenza del carcere, i volti della locanda. Come l’ispezione di Mireau esemplifica in maniera mirabile, la gerarchia militare si rivolge ai sottoposti con una stessa e identica formula, con una domanda che non conduce ad una alterità fino ad allora sconosciuta, ma che nega forzatamente l’alterità stessa. Come se la gerarchia militare traducesse sul piano dei rapporti individuali una verità storica della guerra mondiale, la quale, «… non risponde ad un principio di individuazione, produce un’oscura frattura epocale, né ha per protagonisti individui ma enormi masse di uomini anonimi (namenlos)» (Barnaba Maj, 2003, 114).

 

Urge a questo punto affrontare la questione del mostro da cui la figura del labirinto è indissociabile. Come ricorda Pierre Giuliani, «Non c’è labirinto senza abitante mostruoso […] Minotauro, quindi, dal momento che c’è labirinto. La presenza del Minotauro rende autentica la natura labirintica dei «luoghi» nella stessa misura in cui questi ultimi assegnano a chi li frequenta alcuni attributi della mostruosità ibrida» (Pierre Giuliani, © 1996, p. 46).

 

Gli ufficiali dello stato maggiore francese sono personificazioni/variazioni del Minotauro perché sono portatori di una «violenza estrema» propria della mostruosità ibrida (Ibidem, p. 48-49); perché, si “cibano” si carne umana proprio come il Minotauro: la loro sopravvivenza è dunque legata al sacrificio di vittime umane; perché partecipano alla costruzione dello spazio/labirinto insieme alla tecnologia bellica; perché, infine, si muovono nello spazio del labirinto con una familiarità inconsueta.

 

Si torni alle sequenze che aprono il film. Prima ancora del dialogo tra Mireau e Broulard, le cui battute iniziali invitano a soffermarsi sul salone-ufficio, è proprio il salone stesso a parlare dei due generali, a rivelarne la condizione sociale, l’aderenza al bon ton, l’osservanza di quelle regole che, sotto il nome di “etichetta”, concretano uno spazio sociale condiviso. Il salone, improntato ad una ricercatezza erudita, raffinata e ben attenta al gioco dei pieni e dei vuoti, dell’illuminazione, dei decori e dei dipinti fra loro e con l’ambiente che li ospita, sottolinea la familiarità che i due generali mostrano nei confronti di questi locali, e che non deriva certo dalla loro posizione di militari occupanti. Come ricorda Paolo Cherchi Usai, in architettura «La decorazione valorizza, con il materiale, il lavoro dell’uomo e lo rende padrone dello spazio, consentendogli non solo di vivere nell’edificio, ma di conoscerne l’articolazione mediante punti di riferimento visivi [...] L’assenza di decorazione acquista, da parte sua, rilievo nelle forme legate a esigenze primarie di sopravvivenza [Non a caso] L’architettura militare è il simbolo dello spazio concepito come «vuoto» contenitore di azione [...] negli edifici espressamente progettati per la guerra «convenzionale»... la linea retta domina sulla curva, la forma si identifica con la funzione, e si imprime nella mentalità degli ingegneri al punto da condizionare, per più di un millennio, l’assetto in battaglia» (Paolo Cherchi Usai, 1999 p. 270). Si pensi a Parris Island di Full Metal Jacket.

 

Sotto questo profilo, il salone-ufficio di Mireau non è affatto uno spazio militare, ma è, a tutti gli effetti, uno spazio abitato, uno spazio, in altri termini, che i due generali già da prima - già da sempre, verrebbe da dire, - percorrono confidenzialmente. Si segua il movimento di Mireau e Broulard durante tutto il dialogo. Ad un primo tempo in cui i due generali sono seduti l’uno di fronte all’altro, segue un secondo tempo in movimento, durante il quale i generali, e in particolare Mireau, “illustrano” il salone, quasi danzando attorno ai suoi arredi.

 

La disinvoltura dei loro gesti e dei loro passi testimonia una consumata familiarità con lo spazio rococò del salone, una competenza spaziale che permette a Kubrick di ritrarli spesso e volentieri in figura intera. In questo caso, la distanza della macchina da presa dal suo soggetto non ne preclude la piena identificazione: Kubrick, infatti, non utilizza campi lunghi o lunghissimi. L’inserimento dei due generali nell’ambiente non ne offende la distinzione.

 

Semmai è vero il contrario. È proprio il tessuto spaziale, il quale, in queste modalità di ripresa, parrebbe assorbire il personaggio fino ad annullarlo nella propria trama, a conferirgli quello spessore e quella piena, corporea e densa individuazione.

 

Grazie a questa determinazione spaziale, Mireau e Broulard si presentano come due gentlemen, che possono discutere alla pari (ci si ricordi, en passant, che il Minotauro è figlio regale, di Pasifae moglie di Minosse e il prefisso Minos significa infatti re). Il proseguimento del colloquio correggerà, senza annullarlo, questo «format» iniziale, perché mostrerà quali siano i reali rapporti tra i due generali all’interno della struttura verticistica dell’esercito. Broulard si rivelerà in una posizione decisionale sicuramente più rilevante di quella di Mireau. Il colloquio, inoltre, paleserà la diversa caratura intellettuale e psicologica dei due generali. Mireau non tralascia di esprimersi con facile paternalismo nei confronti delle sue truppe, e concederà, subito dopo, la loro immolazione per il raggiungimento dei propri ambiziosi obiettivi di carriera.

 

Una ambizione, del resto, affatto motivata e sostenuta da una passione per il «lavoro sul campo», di cui la cicatrice che lo segna nel volto è segno più che eloquente (L’attore che interpreta Mireau, cioè George MacReady (1899-1973), riportò la cicatrice in seguito ad un incidente d’auto. Kubrick volle che il trucco la sottolineasse ancor più marcatamente. in Gene D. Phillips - Rodney Hill, The Encyclopedia of Stanley Kubrick, New York, Facts on File, ©2002, pp.227-230).

 

La cicatrice, però, consegna il generale alla tradizione cinematografica del noir e, in particolare, del ganster movie. Per quello sfregio, su Mireau si addensano le caratteristiche proprie degli antieroi del ganster movie. Penso, in particolare, a Scarface, Shame of a Nation (1932) di Howard Hawks, ma, soprattutto, a Little Caesar (1930) di Mervin LeRoy, con il cui protagonista, Cesare Rico Bandello, Mireau condivide una cieca e irrefrenabile ambizione, un egocentrismo sfrenato, il desiderio di accedere nella cerchia più elevata del potere, l’indifferenza dei mezzi attraverso cui realizzare i suoi obiettivi, il disprezzo per la dignità umana, la violenza, che in Mireau è innanzitutto verbale, e, infine, una miserrima e ignobile fine.

 

Ma a differenza del «piccolo Cesare», Mireau non presenta tracce di quella crudeltà che affascina propria degli antieroi del ganster movie. La sua malvagità non è mai veramente radicale. È meschina, pusillanime e, soprattutto incapace di servirsi con efficacia dei mezzi che il suo ruolo gli offre. Si pensi alla vigliacca vergogna che lo coglie quando Rousseau, colpevole di non aver sparato sulle proprie truppe in mancanza di un ordine scritto, si presenta a rapporto da Mireau mentre questi si sta avviando, dopo aver deciso l’uccisione di tre soldati, a un delizioso pranzo in compagnia di Broulard.

 

En passant, si potrebbe scorgere qui quel lavorio che Kubrick esercita sui generi cinematografici che frequenta. Se, come è stato rilevato da Michael Ciment, «... Kubrick sa rivelare in ogni individuo una maschera interiore che finisce per emergere, una maschera che organizza i tratti del volto dandogli una espressione unica» (Michael Ciment, 1999 p. 84), ecco che i suoi personaggi sono «maschere» in quanto attivano la tradizione cinematografica che le ha imposte ma che Kubrick scardina dall’interno. Difatti, la malvagità di Mireau e il suo desiderio di potere non riescono a vincere un amore per la vita militare e per i valori che la sorreggono. Anzi meglio, quel desiderio di potere fa tutt’uno con i valori militari, è giustificato proprio perché si alimenta di quei valori.

 

È questo coinvolgimento esistenziale per la vita militare che condurrà Mireau a quella fine ignominiosa, peggiore anche di quella di Cesare Rico Bondello, poiché non termina con una morte, ultimo lasciapassare per la tragicità, ma con il suo allontanamento indecoroso dalla vita militare.

 

Di tutta altra fattura è il personaggio di Broulard, del quale, giustamente, Gene D. Phillps ebbe a dire che «... is one of the most subtle portraits of evil in all of cinema» (Gene D. Phillips, 1977, p. 74). Un’altra «maschera», dunque, una figura classica di «intrigante», secondo Barnaba Maj (Barnaba Maj, 2003, p. 111), costruita su di una tradizione più che lusinghiera, della quale Yago è indubbiamente il rappresentante più noto.

 

Broulard sa imporre a Mireau l’attacco al Formicaio non tanto facendo leva sulla propria posizione militare, quanto su di un attento discernimento dei moventi psicologici più profondi di Mireau. Broulard possiede competenze di indagine psicologica e di sottile persuasione che gli permettono di apprezzare la pungente e sagace intelligenza di Dax a dispetto della arrogante irruenza di Mireau. Broulard si muove tra gli imprevisti che occorrono al suo mandato - il fallimento dell’attacco, la richiesta di punizione nei confronti delle truppe, la rivelazione del comportamento di Mireau durante l’attacco - con rara abilità diplomatica. Conosce i limiti che deve imporre al suo raggio d’azione per impedirsi un coinvolgimento che potrebbe, alla fine, rivelarsi colposo, se non doloso. In tal senso è maestro nell’arte del colpo al cerchio e alla botte.

 

Così, se da un lato non può che accondiscendere alle esagitate richieste punitive di Mireau, pur imponendone una riduzione, dall’altro può concedere, con ammirata benevolenza, la difesa dei tre imputati a Dax. In seguito alle rivelazioni di Dax circa il comportamento di Mireau durante l’attacco, Broulard riuscirà sia a non retrocedere dalla decisione di condannare a morte i tre soldati, sia a non permettere a Mireau di rimanere ad occupare la sua posizione di generale.

 

È interessante notare come Broulard dia il benservito a Mireau: né con una comunicazione formale, né con una plateale entrata in scena di soldati per arrestarlo, né con uno scontro frontale tanto appassionato quanto retorico a difesa dei valori fondanti l’esercito. Broulard preferisce liquidare Mireau durante una preziosa colazione, in cui si può amabilmente parlare di «estetica della morte», e alla quale convocare Dax per il confronto finale con Mireau.

 

In questa sequenza, Broulard mostra tutta la sua abilità di intrigante nei confronti dei suoi sottoposti e si manifesta appieno non solo in quanto accorto manager di una unità produttiva ma soprattutto come il potere stesso nel suo puro, cristallino funzionamento. Difatti, Broulard non si lascia invischiare nelle pastoie dell’ambizione di Mireau rivestita da patriottico paternalismo e nemmeno aderisce all’accorato appello alla Giustizia che muove il colonnello Dax.

 

Broulard è il potere stesso, l’unica sua preoccupazione è la scorrevolezza del proprio esercizio, la fluidità del proprio operato. Da buon manager le motivazioni che agitano gli animi dei suo sottoposti sono valutate solo in relazione all’azione del dominio. Non è un caso se la stima nutrita nei confronti di Dax crollerà nel momento in cui il colonnello dichiarerà di non essere interessato a ottenere il ruolo di Mireau.

 

È per questo ragione che tra Broulard e Mireau si apre una distanza fondamentale e incommensurabile. A differenza di quello di Broulard, il comportamento di Mireau è alimentato dai valori (il patriottismo, il coraggio e così via) di cui si nutre l’ideologia militare. Con Slavoj Žižek infatti bisogna ricordare che «... un edificio ideologico può essere minato da un’identificazione troppo letterale [con esso], poiché il suo buon funzionamento richiede un minimo di distanza dalle sue regole esplicite» (Slavoj Žižek, 2001, p. 72).

 

La «… identificazione ideologica esercita su di noi una reale presa proprio se manteniamo la consapevolezza che non siamo completamente identici ad essa, che al di sotto si nasconde un’autentica persona umana: “non tutto è ideologia, sotto la maschera ideologica sono anche una persona umana” è la vera forma dell’ideologia, della sua “efficacia pratica” [...] in ogni edificio ideologico c’è una sorta di nocciolo “transideologico”, dal momento che, se un’ideologia deve diventare operativa e “impadronirsi” efficacemente degli individui, deve parassitare e manipolare una qualche visione “transideologica”, che non si può ridurre a puro strumento di legittimazione delle pretese di potere. [corsivo mio] [È] solo il riferimento a tale nocciolo transideologico a rendere un’ideologia “funzionante”».

 

Durante il primo colloquio con Dax Mireau si produrrà in una accorata, e per nulla insincera difesa del patriottismo. Il sentimento del generale è realmente turbato dall’ironia del colonnello. La sua reazione è veramente la reazione di uomo toccato nel vivo della sua anima. Di conseguenza, la condizione di possibilità del funzionamento di una struttura ideologica come quella militare è la distanza dall’ideologia, anzi «...proprio questa distanza è ideologia».

 

Si pensi a Palla di Lardo di Full Metal Jacket: proprio la sua totale e incondizionata adesione ai dettami del sergente Hartmann lo porterà all’omicidio/suicidio che chiude la prima parte di film e che sancisce il fallimento dell’operazione di educazione/formazione/creazione dell’uomo-macchina.

 

Il comportamento di Mireau contravviene alla legge di funzionamento dell’ideologia, poiché fin dalle prime battute Mireau non nasconde affatto che il nocciolo transideologico che lo anima rischia di ridursi a puro strumento di legittimazione delle pretese di potere. E il potere non può tollerare che questa contravvenzione conduca infine ad una messa in questione del potere stesso, perché significherebbe il suo smasceramento. Per questa fondamentale ragione Mireau deve essere punito e allontanato dal comando. In questa prospettiva va letta infine la simpatia e la stima che Broulard ripone in Dax.

 

Nel colonnello non vi è dubbio che agisca quella distanza che secondo Žižek è l’ideologia nella sua logica interiore. Poco importa, poi, se il nocciolo transideologico cui aderisce il colonnello è antitetico a quello cui si attiene Mireau. Poco importa se i valori di giustizia e umanità cui si richiama Dax, e che, a suo dire, reggono la nazione Francia, non sono certo il patriottismo infine ipocrita di Mireau.

 

Dal punto di vista dell’esercito (dal punto di vista del potere sornione di Broulard) sono entrambe convinzioni transideologiche e personali che possono benissimo sorreggere e muovere la propria anima. A questo livello di analisi, dal punto di vista dell’esercito Dax e Mireau sono posizioni intercambiabili. Ma ciò che in Dax sortisce la captatio benevolentiae di Broulard è il fatto che i valori cui si appella mai sono richiamati per agganciare il potere. È chiaro ora che agli occhi del potere militare Dax funziona meglio di Mireau. Soprattutto è più funzionale di Mireau ai fini della presa che l’esercito deve necessariamente avere nei confronti dei soldati.

 

L’ascendente che Dax mostra nei confronti dei suoi sottoposti e la fiducia che questi gli manifestano, sono una cattura psicologica di estrema importanza funzionale per il buon funzionamento della macchina militare. Broulard si avvede di tutto questo e, nella consapevolezza che un simile trait d’union tra la dirigenza militare e la truppa tornerebbe tutta a vantaggio dell’esercito stesso, non può che proporre a Dax il posto che fu di Mireau.

 

A conferma dialettica di ciò, si badi che il rifiuto di Dax non sembra incrinare l’ideologia militare - arrabbiatura di Broulard a parte, deluso di aver investito così tanto su Dax.

 

L’umano colonnello, infatti, tornerà a dirigere le truppe al fronte. Tornerà, in altri termini, a funzionare da legame tra dirigenza e truppe nel campo ristretto di un battaglione e non già in quello più esteso di un reggimento.

 

Nonostante che la figura di Dax susciti la simpatia dello spettatore, e nonostante che risvegli, negandone tuttavia validità, tutte le figure di eroi di cui i film di guerra sono prodighi, il colonnello non riesce a sfuggire al proprio destino di motore esso stesso della macchina militare. Potrebbe porsi, anzi, a paradigma di tutti i fallimentari «eroi» kubrickiani: il fallimento è determinato dal fatto che la loro rivolta non nega bensì conferma e rafforza le strutture sovraindividuali che vorrebbero contrastare.

 

Come mostra energicamente Arancia meccanica, l’ultraviolenza di Alex è perfettamente funzionale ai fini di un controllo repressivo esercitato dalla polizia di stato. Nello stesso modo Dax fallisce perché mai riesce a uscire veramente dalla ideologia che muove la macchina militare.

 

È, quindi, necessario abbandonare la psicologia dei personaggi al fine di comprendere quali leggi, secondo Kubrick, regolano il funzionamento dell’esercito e, con esso, le stesse psicologie dei personaggi.

 

Luogo chiave è, naturalmente, il processo, di cui già ho avuto modo di far notare il preambolo della corte e di cui, ora, sarà opportuno analizzare anche il la conduzione degli interrogatori da parte dell’accusa.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Roberto Campari, Il racconto del film: generi, personaggi, immagini, Roma-Bari, Laterza, 1993.

Paolo Cherchi Usai, Kubrick architetto, Gian Piero Brunetta (a cura di), Stanley Kubrick., Venezia, Marsilio, 1999.

Michael Ciment, Kubrick, Pais, Calman Lény, 1980, tra. it. di Lorenzo Codelli, Kubrick, Milano, Rizzoli, 1999

Pierre Giuliani, Stanley Kubrick, Paris, Èditions Rivages, 1990, trad. it. di Carlo Alberto Bonadies, Stanley Kubrick, Recco-Genova, Le Mani, 1996.

Barnaba Maj, Idea del tragico e coscienza storica nelle “fratture” del Moderno, Macerata, Quodlibet, 2003.

Gene D. Phillips, Stanely Kubrick. A Film Odissey, New York, Popular Library Edition, 1977.

Slavoj Žižek, Enjoyment as a Political Factor, 2000, trad. it. di Damiano Cantone e René Scheu, Il godimento come fattore politico, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.