N. 50 - Febbraio 2012
(LXXXI)
orizzonti di gloria
memoria della grande guerra - parte vi
di Gianluca Seramondi
Suscita
quasi
un
sorriso
di
tenerezza
l'espressione
fanciullesca
con
cui
il
compagno
di
Arnaud
indica
quello
che
è
evidentemente
un
proiettile
di
artiglieria
pesante.
“Grossa
bomba”,
dice.
Non
chiama
il
proiettile
con
il
suo
nome,
obice,
né
indica
il
calibro
che
lo
distingue,
né
osa
portare
alla
parola
il
cannone,
o
altro
strumento
bellico
similare,
con
cui
una
“grossa
bomba”
potrebbe
essere
sparata.
Di
tutta
la
tecnologia
spesa
per
la
prima
volta
durante
la
Grande
Guerra,
rimangono
in
Paths
of
Glory
flebili
tracce:
i
resti
fumanti
di
un
aereo
abbattuto
sulla
Terra
di
nessuno,
un'arma,
dunque,
che
ha
perduto
ogni
suo
valore
militare
e
offensivo;
e
un'espressione
infantile,
la
quale,
freudianamente,
condensa
sia
l'unica
possibile
ostensione
di
quella
tecnologia,
sia
gli
effetti
psicologici
prima
che
fisici
che
essa
causa,
sia
l'insufficienza
del
linguaggio
ad
esprimere
l'esperienza
che
i
soldati
al
fronte
fecero
di
essa.
La
bomba
è
grossa
e
dilania
il
corpo,
l'aereo
è
una
rovina
desolata
in
uno
spazio
altrettanto
desolato:
null’altro.
Si
può
affermare
con
ragionevole
fondatezza
che
il
dialogo
precisi
quel
momento
storico
in
cui
la
tecnologia
si
impianta
nella
carne
dell'uomo
senza
poter
essere
elaborata
adeguatamente
e,
dunque,
senza
poter
essere
veduta,
osservata.
Per
i
due
soldati,
l'imponente
apparato
tecnologico
dispiegato
in
quella
guerra
è
ancora
in
quello
stadio
di
trapasso
dall'invisibile,
e
quindi
inintelleggibile,
al
visibile,
e
quindi
intelleggile
-
stante
l'equazione
sedimentata
nella
cultura
occidentale
che
vuole
la
vista
metafora
e
accesso
della
comprensione.
Non
a
caso,
allora,
le
sequenze
dell'attacco
sono
poste
in
quasi
assoluta
contiguità
con
la
sequenza
di
cui
mi
sto
occupando.
Nell'una
la
tecnologia
è
parola
insufficiente
e
affetto
del
corpo,
nell'altra
è
affezione
del
corpo
e
registro
dell'udito.
Mai
il
film
si
permette
di
mostrare
la
tecnologia,
se
non
nel
caso
dell'aereo.
L'aereo
rovinato,
infatti,
più
che
palesare
l'intervento
della
macchina,
esprime
una
sorta
di
altrettanto
rovinoso
scontro
tra
il
mito
dell'aviazione
e la
più
brutale
guerra
di
trincea.
Come
ha
scritto
Leed,
«Gli
aviatori
apparivano
come
antichi
cavalieri
che,
attraverso
il
loro
rapporto
privilegiato
con
le
macchine,
avevano
riguadagnato
l'antico
status
elitario
e la
loro
superiorità
sulla
massa
pidocchiosa
delle
trincee”
(Eric
J.
Leed,
1985,
p.
181).
Agli
occhi
di
quegli
uomini
del
sottosuolo
che
erano
i
fanti
costretti
nelle
trincee,
l'aviatore
era
colui
che
aveva
addomesticato
la
tecnologia,
l'aveva
condotta
nell'ambito
del
visibile,
permettendo
al
combattente
di
recuperare
quei
“...
valori
-
mobilità,
onore,
visibilità
personale
e
capacità
visiva
complessiva
-
che
caratterizzarono
un
tempo
la
cavalleria
corazzata
medievale,
e
che
erano
stati
completamente
smarriti
dalla
fanteria”
(Eric
J.
Leed,
1985,
p.
180).
Se
l'aviazione
era
il
luogo
della
liberazione
e
della
dignità
umana,
l'immagine
dell'aereo
abbattuto
e
spezzato
è il
rovesciamento
del
mito
nel
suo
negativo,
il
suolo
o il
sottosuolo,
da
cui
è
sorto.
Si
deve
osservare
che,
da
questo
punto
di
vista,
Paths
of
glory
si
distingue
nettamente
dai
film,
rappresentando
la
Grande
Guerra,
ne
hanno
riprodotto
il
fattore
più
brutale
e
anche
più
dirompente:
l'imponente
apparato
tecnologico.
Senza
risalire,
per
esempio,
a
Hearts
of
the
World
(1918)
di
David
Wark
Griffith,
nelle
cui
scene
di
battaglia
“…illustra
la
potenza
della
tecnologia
bellica
novecentesca:
vediamo
grandi
obici,
lanciagranate,
bunker,
mitragliatrici.
Anzi,
il
passare
del
tempo
è
scandito
proprio
dalla
modernizzazione
della
guerra”
(Giaime
Alonge,
2001,
p.
66.),
basta
ricordare
The
Big
parade
(1925)
di
King
Vidor,
What
Price
Glory?
(
1926)
di
Raoul
Walsh
e
Wings
(
1927),
di
William
Wellman,
per
trovare
la
modernità
della
guerra.
In
questi
film,
che
rimangono
ancorati
ad
una
iconografia
della
battaglia
di
stampo
ottocentesco,
“…la
Prima
guerra
mondiale
appare
come
un
terribile
scontro
tecnologico,
affollato
di
macchine
-
carrri
armati,
aerei,
cannoni,
mitragliatrici
-
contro
i
quali
il
fante
è
del
tutto
impotente”(Giaime
Alonge,
2001,
p.
109).
Il
film
di
Kubrick,
dunque,
si
dissocia
dalla
produzione
cinematografica
finzionale
degli
anni
Venti,
avvicinandosi,
però,
ai
risultati
raggiunti
dalla
documentaristica.
La
sequenza
della
battaglia
di
Paths
of
Glory,
infatti,
richiama
alla
mente
più
la
visione
delle
battaglie
proprie
di
un
film-documentario
come
The
Battle
of
The
Somme
realizzato
nel
1916
dal
War
Offuce
Cinema
Committtte
britannico.
“The
Battle
of
the
Somme
…ci
dà
una
perfetta
rappresentazione
di
quello
che
Jünger
chiama
il
“vuoto
caotico
del
campo
di
battaglia”
[Infatti]
il
principale
problema
del
combattente
della
Grande
Guerra
consiste
proprio
nel
fatto
che
egli
non
vede
nulla,
o
quasi.
Il
fronte
del
1914-1918
è un
luogo
deserto,
in
cui
i
soldati
sono
nascosti
sottoterra
e i
principali
strumenti
di
morte,
le
artiglierie,
sono
al
di
fuori
del
loro
campo
visivo.
Non
solo
i
fanti
non
riescono
mai
a
vedere
i
cannoni
che
li
bombardano,
ma
anche
quando
si
scontrano
con
altri
fanti
la
visione
diretta
del
nemico
non
è
molto
frequente:
il
sistema
dei
camminamenti
è
così
intricato
che
spesso
ci
si
affronta
lanciandosi
granate
da
una
trincea
all'altra,
senza
vedere
il
bersaglio.
Tutta
la
memorialistica
della
Grande
Guerra
insite
sull'inutilità
della
vista
in
battaglia,
là
dove
il
senso
più
importante
diviene
l'udito:
è
attraverso
l'orecchio
che
il
veterano
riesce
a
distinguere
i
vari
calibri
dei
proiettili
d'artiglieria,
prevedendone
così
la
pericolosità,
mentre
l'occhio
gli
serve
a
poco
nel
panorama
lunare
della
terra
di
nessuno”
(Giaime
Alonge,
2001,
p.
87).
Insomma,
Paths
of
Glory
restituisce
non
solo
la
follia
di
una
strategia
bellica
ancora
movimentista,
ma
anche
l'esperienza
che
si
aveva
della
battaglia,
del
nemico
e
delle
armi
che
ne
decidevano
il
corso.
L'invisibilità
della
tecnologia
va
di
pari
passo
con
l'invisibilità
del
nemico,
a
cui
è
legata
formalmente
dalla
giustapposizione
tra
la
sequenza
in
cui
la
tecnologia
fa
capolino
nel
film
e
l'attacco
al
Formicaio.
Le
letteratura
critica
si è
spesso
interrogata
sulla
questione
dell'invisibilità
del
nemico,
che
è
diventata
un
topos
dei
war
movies
kubrickiani,
comparando
Paths
of
Glory
sia
con
il
precedente
Fear
and
Desire,
in
cui
il
manipolo
di
soldati
protagonista
del
racconto
si
scontrava
in
fin
dei
conti
con
dei
doppi
di
se
stessi,
sia
con
il
successivo
Full
Metal
Jacket,
nel
quale
il
nemico
o è
un'ombra,
come
avviene
durante
l'attacco
vietnamita
al
campo
dei
marines,
o è
una
ragazza-cecchino,
passando
per
il
Doctor
Strangelove...,
film
che,
in
chiave
parodistica,
parrebbe
contrapporre
agli
Stati
Uniti
il
tradizionale
nemico
sovietico.
Tuttavia,
se
si
ponessero
a
confronto
i
quattro
film
prima
citati
sul
terreno
proprio
di
una
fenomenologia
del
conflitto
bellico,
si
potrebbe
osservare
che
la
presunta
invisibilità
del
nemico
è
bensì
una
raffinata
riflessione
sulle
figure
che
il
conflitto
bellico
ha
assunto
nel
Novecento.
Tralasciando,
per
il
momento,
Paths
of
Glory,
la
cui
posizione
sarà
perfettamente
delineata
solo
al
termine
di
questo
excursus
sugli
altri
film,
si
può
sostenere
a
ragion
veduta
che
in
Fear
and
Desire
il
conflitto
è
tra
uomini,
le
cui
differenze
culturali,
sociali
etc.
etc.
sono
annullate
dalla
identica
“
sostanza
umana”.
Nel
Doctor
Strangelove...,
il
conflitto
non
è in
verità
tra
Stati
Uniti
e
Unione
sovietica,
che
nessun
film
sulla
Guerra
Fredda
avrebbe
mai
osato
"affratellare"
come
ha
fatto
Kubrick,
ma è
quello
più
reale
tra
“l'ordigno
fine
del
mondo”
sovietico
e
l'arsenale
nucleare
statunitense.
In
questo
conflitto
l’uomo,
si
potrebbe
dire,
è
cooptato
dalla
tecnologica
dispiegata
come
suo
elemento:
il
pilota
del
bombardiere
americano
che
monta
come
fosse
un
cavallo
l’ordigno
nucleare
che
apre
il
valzer
dei
funghi
atomici.
In
Full
Metal
Jacket,
infine,
la
determinazione
delle
parti
in
conflitto
non
può
che
tener
presente
il
lungo
periodo
di
addestramento
a
Parris
Island.
La
preparazione
dei
marines
ha
come
fine
dichiarato
la
trasformazione
dei
soldati
in
macchine
da
guerra,
per
le
quali
il
fucile
non
è
uno
strumento
o
una
protesi,
ma
la
prima
e
più
ovvia
estensione
offensiva
della
propria
natura.
L'umano
è,
in
questo
film,
l'ultima
frontiera
della
tecnologia,
l'ultimo
suo
territorio
di
conquista.
L'uomo-macchina
di
Full
Metal
Jacket
è
costruito
attraverso
un
profondo
e
instancabile
lavorio
psicologico,
da
un'accurata
e
radicale
programmazione.
Il
soldato
di
Full
Metal
Jacket
ha
tutte
le
sembianze
dell'umano,
comprese
le
sue
debolezze
e le
sue
insufficienze
anche
fisiche,
ma
possiede
nello
stesso
tempo
la
struttura
psicologica
di
un
killer
irremovibile
dai
fini
stabiliti
dal
programmatore.
Di
fronte
all'uomo-macchina,
il
nemico
vietnamita
è
un'ombra
che
alla
fine
si
rivelerà
essere
una
ragazzina
che
implora
la
morte.
Il
reale
conflitto
che
si
combatte
nel
Vietnam,
allora,
non
è
quello
contro
i
viet-cong,
nemmeno
è
quello
tra
i
prodotti
certo
devastanti
della
tecnologia
bellica,
bensì
è
quello
tra
l'uomo-macchina,
tra
la
tecnologia
incarnata
e
fattasi
uomo,
e
l'umano
tout
court.
In
questo
contesto,
il
nemico
non
può
che
essere
o un
ombra
o un
cecchino
che,
di
tutti
i
ruoli
militari
è
quello
che
più
conserva
l'umano
nel
propri
porsi:
il
nascondimento,
la
paura
di
essere
scoperto,
l'imprevedibilità,
la
competenza
tattica,
la
visione
d'insieme
della
situazione
in
cui
opera,
l'abilità,
verrebbe
da
dire,
artigianale
con
cui
si
rapporta
ai
suoi
strumenti,
la
domanda
di
morte
supplicata
insistentemente.
Schematicamente,
allora,
i
conflitti
attraversati
dai
film
qui
richiamati
sono:
uomo
versus
uomo
(
fear
and
destre);
macchina
versus
macchina
(
Dottor
Strangelove…);
uomo
-
macchina
versus
umano
(Full
Metal
Racket).
Come
a
dire,
al
di
sotto
dei
conflitti
ufficiali
avvengono
conflitti
più
nascosti,
eppure
più
performanti.
Nelle
diverse
configurazioni
che
il
conflitto
assume
la
figura
del
nemico
veste
abiti
differenti,
si
incarna
in
differenti
realtà.
Paths
of
glory
si
iscrive
in
maniera
coerente
all'interno
di
questa
fenomenologia
proponendo
come
verità
della
Grande
Guerra
il
conflitto
uomo
versus
macchina.
Il
nemico
contro
cui
combattono
i
soldati
gettati
lungo
il
fronte
occidentale
non
è
solo
l'altro,
il
diverso,
la
nazione
tedesca.
È la
stessa
tecnologia.
È da
questa
che
i
soldati
vorrebbero
sfuggire,
è la
tecnologia
bellica
che
in
primo
luogo
uccide
ed è
la
stessa
tecnologia
che
costringe
i
fanti
nelle
ristrettezze
di
un
suolo
scavato,
butterato,
percorribile
solo
a
carponi
o
abitabile
solo
nell'angustia
di
ridotti
equivalenti
a
tane.
È la
tecnologia
dispiegata
dai
tedeschi
a
formare
il
muro
contro
cui
le
successive
ondate
dei
fanti
francesi
sono
destinate
a
soccombere;
a
produrre
quel
cadavere
che
impedirà
la
fuoriuscita
di
Dax
dalla
trincea.
Si
legga
la
testimonianza
di
Valentine
Fleming,
maggiore
degli
ussari
inglesi:
nelle
trincee
stanno
accucciati
“…uomini
impotenti
di
fronte
all'incessante
pioggia
di
granate
che
li
tempesta
da
5,
6,
7,
10
chilometri
di
distanza
o
anche
più,
uomini
che
salutano
con
vera
gioia
un
attacco
di
fanteria,
chiunque
sia
a
lanciarlo,
perché
significa
potersi
scontrare
e
misurare
con
aggressori
umani
e
non
con
macchine
invisibili,
inesorabili”
(Citato
in
Martin
Gilbert,
2000,
p.
145).
È
efficace,
a
questo
proposito,
che
la
sequenza
dell'attacco
non
mostri
mai
la
tecnologia,
nemmeno
durante
il
dialogo
telefonico
tra
Mireau
e
Rousseau,
responsabile
delle
batterie
francesi.
Se
la
sequenza
dell'attacco,
girata
prevalentemente
da
un
punto
di
vista
schiacciato
al
suolo,
in
modo
da
annullare
sul
nascere
ogni
fuga
dello
sguardo
verso
il
cielo,
mostra
corpi
che
cadono
mutilati
o
uccisi,
corpi
che
corrono
o
giacciono
esangui
a
terra,
la
"colonna
sonora"
non
indugia
affatto
in
musiche,
quali
che
siano,
bensì
si
risolve
interamente
in
esplosioni,
raffiche,
sibili,
rumori
assordanti,
costituisce,
in
altri
termini,
quel
“paesaggio
sonoro”,
come
più
volte
Gibelli
osserva
a
proposito
delle
battaglie
nella
Terra
di
nessuno,
che
da
solo
può
dar
conto
di
un
rapporto
di
forze
tra
uomo
e
macchina
prepotentemente
sproporzionato
a
vantaggio
di
quest'ultima.
Si
intravede
già
qui,
allora,
un
possibile
tassello
del
senso
da
attribuire
alla
sequenza
finale
della
locanda,
in
cui,
come
è
noto,
un
drappello
di
soldati
assiste
commosso
al
canto
forzato
di
una
ragazza
tedesca.
Le
lacrime
che
il
canto
sommesso
della
ragazza
provoca
nei
soldati,
non
sono
l'indice
di
una
ritrovata
umanità.
La
sequenza
della
locanda
non
è il
teatro
dei
sentimenti
(Sandro
Bernardi,
1990,
p.
77).
da
contrapporre
al
teatro
dell'ingiustizia
dei
vertici
militari
francesi.
Le
lacrime
che
accompagnano
il
canto
della
giovane
tedesca,
sono
la
consapevolezza
ormai
acquista
che
il
nemico
reale
non
è
affatto
umano
e
che
dell'umano
si
dovrà
iniziare
a
provare
nostalgia.
Concedere
ai
soldati
ancora
qualche
minuto
prima
di
ritornare
al
fronte,
è
concedere
loro
un
ultimo
saluto
a
"qualcosa"
che
erano
e
non
sono
più.
Nello
stesso
modo,
in
Full
Metal
Jacket
la
sequenza
in
cui
i
marines
uccidono
la
ragazza-cecchino
è
nello
stesso
tempo
la
scoperta
di
quale
fosse
per
loro
il
nemico
reale
e la
consapevolezza
di
aver
ultimato,
compiuto,
il
processo
di
trasformazione
dell'uomo
nella
macchina
iniziato
a
Parris
Island
e,
forse,
già
durante
la
Grande
Guerra.
Da
questo
punto
di
vista,
Paths
of
Glory
rappresenta
una
tappa
importante
sia
all'interno
di
quella
fenomenologia
del
conflitto
sopra
descritta,
sia
nella
riflessione
sul
rapporto
tra
soggetto
e
tecnologia
che
sempre
accompagnerà
Kubrick.
Non
deve
essere
scordato,
tuttavia,
che
il
film
non
mostra
la
tecnologia.
Se
non
è
stato
peregrino
soffermarsi
a
riflettere
su
qualcosa
che
il
film
non
conduce
nel
visibile,
è
altresì
necessario
ricordare
perché
ciò
avviene.
E il
passaggio
dall'ultima
sequenza
aiuta
ad
elaborare
i
motivi
di
questa
scelta.
Nella
Grande
Guerra
di
Paths
of
Glory,
l'interesse
di
Kubrick
è
orientato
anche
a
tracciare
le
coordinate
della
nuova
soggettività
prodotta
da
quell'evento.
Per
questa
ragione
è
così
importante
il
dialogo
tra
Arnaud
e il
suo
compagno
di
ridotto
avvenuto
durante
la
notte
che
precede
l’attacco.
In
esso,
come
dicevo
più
sopra,
si
tratteggia
quel
momento
in
cui
la
nuova
soggettività
è
generata
soprattutto
dall'impatto
della
tecnologia,
ma
non
solo
da
questa.
La
dialettica
tra
visibilità
e
invisibilità
intrecciata
nel
film
non
concerne
solo
la
tecnologia
e il
nemico.
Tocca
altresì
luoghi
di
minore
valenza,
per
così
dire,
metafisica,
ma
altrettanto
determinanti
e
informanti.
Difatti,
il
film
tace
di
molto
altro:
in
primo
luogo
le
motivazioni
che
il
comando
francese
porta
a
sostegno
della
sua
volontà
di
conquistare
il
Formicaio.
Ecco
la
fase
del
dialogo
in
cui
viene
ordinato
l'attacco
al
Formicaio:
“Broulard:
un
gruppo
di
armate
si
raduna
su
questo
fronte
per
un'offensiva.
il
quartier
generale
è
deciso
a
sfondare
Mireau:
[accenna
a un
sorriso]
Broulard:
perché
sorridi?
Mireau:
scusami,
ti
prego...per
un
attimo
ho
creduto
di
sapere
ciò
che
stavi
per
dirmi.
continua.
Broulard:
non
ti
conoscevo
lettore
del
pensiero.
su,
cosa
stavo
per
dire.
Mireau.
qualcosa
sul
formicaio.
Broulard:
[assentendo
col
capo]
mi
leggi
il
pensiero
Mireau:
bé,
è
una
posizione
chiave.
è
nel
mio
settore
e
per
essere
onesti
ne
ho
sentito
parlare.
non
c'é
nulla
di
realmente
segreto
al
quartier
generale.
Broulard:
tu
che
ne
dici?
Mireau:
è la
chiave
della
difesa
tedesca
in
questo
settore.
lo
tengono
saldamente
da
un
anno
e
credo
che
lo
terranno
per
un
altro
anno,
se
vogliono.
Broulard:
ho
ordini
precisi
di
prendere
il
formicaio
non
più
tardi
del
10,
cioè
dopodomani.
Mireau:
[accenna
un
sorriso
quasi
ironico,
poi
si
fa
serio]
in
questi
termini
la
cosa
rasenta
il
ridicolo,
non
credi?”
Tutto
il
racconto
del
film
si
regge
su
di
una
motivazione
che
non
è
mai
espressa
o,
quanto
meno,
è
detta
con
termini
vaghi:
“Un
gruppo
di
armate
si
raduna
su
questo
fronte
per
un'offensiva.
Il
quartier
generale
è
deciso
a
sfondare”.
Il
motore
del
racconto,
in
definitiva,
è
una
pura
e
semplice
imposizione,
della
quale
Mireau,
inizialmente,
può
solo
affermare
che
rasenta
il
ridicolo.
Anche
durante
il
colloquio
tra
Dax
e
Mireau
si
ribadisce
l'impossibilità
di
accedere
alle
reali
motivazioni
dell'attacco.
L'ordine
è sì
criticato
da
Dax,
in
quanto
comporterebbe
delle
perdite
ingenti,
ma
non
è
indagato
nelle
sue
motivazioni.
Anzi,
le
parole
di
Dax
ottengono
l'effetto
di
accentuare
la
forza
dell'imposizione
proprio
attraverso
la
non
chiarificazione
delle
sue
cause.
Un
ordine
non
necessita
di
motivazioni,
giustificazioni
o
prove.
L'ordine
immotivato,
che
è
tutt'altra
cosa
dell'ordine
gratuito,
è
l'azione
precipua
del
potere.
È il
potere
nella
sua
espressione
più
pura.
Non
a
caso,
allora,
insieme
con
le
motivazioni
dell'attacco,
gli
stessi
vertici
militari
rimangono
nell'invisibilità.
Riferimenti
bibliografici:
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Cinema
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la
Grande
Guerra
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trad.
It.
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La
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