N. 56 - Agosto 2012
(LXXXVII)
Orizzonti di gloria
Memoria della Grande Guerra - Parte Ix
di Gianluca Seramondi
Siamo
giunti
alla
fine
di
questo
percorso
nella
fitta
trama
di
Paths
of
Glory.
Rimane
da
analizzare
la
sequenza
finale
che,
come
è
noto,
è
ambientata
in
una
locanda
in
cui
i
soldati
si
distraggono
dagli
orrori
della
guerra.
Non
mi
dispiacerebbe
intitolare
questa
analisi:
La
locanda
o
dell’addio
all’umano,
giacché
qui
si
consuma
un
passaggio
antropologico
centrale
per
la
comprensione
della
modernità/contemporaneità.
Discutendo
della
fenomenologia
del
nemico
proposta
nei
film
di
Kubrick,
si è
detto
che
in
Paths
of
Glory
si
realizza,
sotto
i
conflitti
politici,
un
conflitto
che
vede
contrapposti
l’uomo
da
una
parte
e la
tecnologia
bellica
dall’altra.
In
questa
prospettiva,
la
sequenza
della
locanda
era
letta
come
il
momento
in
cui
i
soldati,
presa
coscienza
della
loro
distanza
dalla
persona
esibita
sull’improvvisato
palco,
si
avviavano
verso
quella
mutazione
che,
in
Full
Metal
Jacket,
li
avrebbe
visti
divenire
uomini-macchina
a
tutti
gli
effetti.
In
un
altro
luogo
di
questo
saggio,
e
precisamente
durante
l’analisi
del
testo
Paths
of
Glory,
si
disse
anche
che
la
sequenza
della
locanda
funzionava
nei
confronti
del
narrato
nello
stesso
modo
in
cui
funziona
Dax
nelle
triangolazioni
con
Rousseau
e
Mireau,
da
un
lato
e
con
Paris
e
Roget
dall’altro.
Come
Dax
diviene
il
luogo
della
verità
di
Paris
e
Mireau,
così
la
locanda,
si
diceva,
diviene
il
luogo
della
verità
del
narrato
stesso.
La
sequenza
della
locanda
è il
punto
terminale
del
film.
Come
tale
essa
si
presenta
in
una
asimmetria
decisiva
rispetto
al
giardino
antistante
il
castello
che
apre
il
film
stesso.
Una
asimmetria,
tuttavia,
che
non
nasconde
una
certa
e
altrettanto
decisiva
specularità:
come
il
castello
è
(anche)
il
luogo
del
riposo
dei
generali,
così
la
locanda
è il
luogo
del
riposo
dei
fanti.
Ed
essendo
tale,
non
può
che
presentare
una
spazialità,
una
illuminazione
e
una
raffigurazione
dei
soldati
identiche
a
quelle
proprie
della
trincea.
Vi
sono
però
delle
differenze
essenziali
con
il
sistema
trincea.
Innanzitutto,
mentre
il
nemico,
nel
senso
comune
del
termine,
è
invisibile
dalle
trincee
francesi,
qui,
invece,
esso
è
ben
visibile:
è
una
ragazza,
una
civile,
ripresa
in
figura
intera,
ben
illuminata,
che
dichiara
tremante
la
sua
nazionalità
eseguendo
la
canzone
popolare
Die
True
Husser
(Sergio
Bassetti,
p.
59).
Il
nemico
che
finalmente
appare
è
umano,
ricorda
i
soldati
di
Fear
and
Desire.
Non
è
affatto
il
potente
avversario
che
ha
decimato
i
battaglioni
francesi
durante
l’attacco
al
Formicaio.
La
locanda
ribadisce
che
il
nemico
principale
contro
cui
si è
combattuto
durante
la
Grande
Guerra
non
ha
fattezze
umane,
è
sproporzionato
rispetto
alla
capacità
dei
sensi
umani,
è
«titanico»,
come
avrebbe
detto
Ernst
Jünger.
Qui
interviene
la
seconda
differenza
con
le
trincee:
la
sequenza
della
locanda
giunge
alla
fine
del
processo
e
dell’esecuzione
dei
tre
presunti
codardi.
Con
il
processo,
il
potere
riusciva
ad
assottigliare
a
tal
punto
una
persona
da
renderla
alla
fine
anonima,
estraniata,
atomizzata.
Con
l’esecuzione,
il
potere,
agendo
come
si è
visto,
riusciva
alla
fine
ad
autoassolversi
da
ogni
responsabilità
e a
installare
nel
reale
la
giustezza
dalla
propria
azione
e la
validità
della
propria
realtà.
I
soldati
della
locanda
sono
il
risultato
di
questo
procedimento.
La
stessa
musica
sorregge
questa
interpretazione.
Sergio
Bassetti,
infatti,
nota
che
il
brano
cantato
dalla
giovane
tedesca
è
«…infine
fagocitato
bruscamente
dall’orchestra
che
[alla
melodia
della
canzone]
trasmette
accentazioni
marziali
e
colori
corruschi
che
non
le
appartengono
e la
rendono
irriconoscibile».
Secondo
Bassetti,
questa
fagocitazione,
traduce
«…
in
folgorante
metafora
musicale
il
rimodellamento
che
la
guerra
e i
suoi
signori
praticano
su
emozioni
e
passioni
umane,
scientificamente
e
cinicamente
cambiate
di
segno
e
convertite
in
combattività
e
ferocia».
In
altri
termini,
la
musica
parla
della
trasformazione
dei
fanti
in
«…
automi
agiti
da
volontà
e
valori
che
non
li
rappresentano»
(Sergio
Bassetti,
p.
59).
Ecco,
allora,
la
verità
che
la
sequenza
della
locanda
grida
al
narrato.
Non
si
tratta
solo
di
un
addio
all’umano
in
vista
dell’uomo-macchina
di
Full
Metal
Jacket.
Si
tratta
di
un
addio
all’umano
proprio
delle
situazioni
di
totale
sradicamento
da
ogni
relazione
sociale
estranea
ed
esterna
a
quella
proposta/imposta
da
un’ideologia
a
tutti
gli
effetti
totalitaria.
Ed
ecco,
ancora,
la
verità
di
Dax,
la
cui
solidarietà
con
la
truppa,
espressa
dal
concedere
un
ritardo
al
rientro
in
trincea,
ha
il
valore
di
lasciare,
per
così
dire,
decantare
i
soldati
in
questo
luogo
liminare
tra
l’umano
e il
nuovo
umano.
Come
tale,
l’umanissimo
colonnello
si
trova
involontariamente
ad
assecondare
l’ideologia
stessa
in
ciò
che
ha
di
meno
eclatante
ma
anche
più
insidioso
e
incisivo:
la
formazione
di
un
uomo
nuovo.
Da
questo
punto
di
vista,
la
locanda
è
essa
stessa
luogo
del
potere
-
del
suo
riposo
e
del
suo
divertimento
-
come
lo è
il
castello
e il
giardino
che
lo
corona.
La
locanda,
quindi,
è il
ritorno
del
film
non
tanto
sui
luoghi
iniziali,
quanto
sul
loro
rovescio
nascosto,
sul
sottosuolo
dei
luoghi
del
potere
che
è
anche
il
luogo
della
loro
verità.
Si
comprende,
ora,
il
movimento
a
spirale
di
Paths
of
Glory.
L’avvio
del
film
è
indubbiamente
narrativo,
ma
presto
evolve
in
una
descrizione
in
cui
predominano
le
condizioni
di
vita
dei
soldati
nelle
trincee.
L’incontro
di
Mireau
con
i
tre
soldati,
che
saranno
poi
anche
gli
imputati
del
processo-farsa,
e
con
il
soldato
colpito
da
shock
da
bombardamento,
rappresenta
un
momento
topico
di
questa
fase,
giacché
delinea
quella
raffigurazione
dei
soldati
da
cui
Kubrick
non
si
allontanerà
per
tutto
il
corso
del
film
e
che,
come
ho
tratteggiato
nel
capitolo
«Soldati»,
paga
un
debito
non
indifferente
a
quella
esperienza
dello
spazio
che
la
figura
del
labirinto
ben
esprime.
Ma
questo
significa,
ancora,
che
la
condizione
di
vita
descritta
è la
faccia
di
un
sommovimento
che
riguarda
le
strutture
stesse
della
soggettività
moderna.
La
causa
prima
di
questo
mutamento
è
indubbiamente
la
tecnologia.
Nella
prima
guerra
mondiale,
la
tecnologia
ha
ottenuto
una
radicale
e
definitiva
installazione
nella
vita,
quotidiana,
di
persone
fino
a
poco
prima
ignoranti
della
sua
esistenza
e
potenza,
da
renderla
un
qualcosa
di
ben
più
effettuale
di
quanto
non
potessero
essere,
per
esempio,
il
Titanic,
il
suo
affondamento
e le
comunicazioni
radio
che
in
tempo
pressoché
reale
diffusero
la
notizia
dell’incidente
navale.
La
tecnologia
militare
nel
suo
confronto/scontro
con
la
modalità
rappresentativa
propria
della
cartografia
ha
istituito
lo
spazio,
chiuso,
immobile
e
disorientante,
della
trincea
e
l’esperienza
labirintica
che
ne è
sorta,
così
efficacemente
descritta
da
Kubrick.
Sottolineare
il
peso
della
tecnologia
militare,
tuttavia,
non
impedisce
di
cercare
cause
altrettanto
determinanti,
e
meno
suscettibili
di
una
deriva
metafisica,
per
la
costruzione
di
una
soggettività.
Qui
si
innesta
il
discorso
kubrickiano
sul
potere
e
sui
suoi
meccanismi
di
soggiogamento
delle
individualità.
La
sequenza
del
processo
e
quella
ad
essa
conseguente
dell’esecuzione
ben
si
prestano
a
rappresentare
il
funzionamento
del
potere,
non
tanto
in
generale,
quanto
nella
sua
presa
totalizzante,
e
forse
totalitaria,
sulle
persone.
La
sequenza
della
locanda
è un
addio
all’umanità
della
guerra,
all’essere
uomini
dei
soldati,
per
delle
macchine-soldati.
È
quindi
un
commiato
dai
luoghi
dell’umanità
- la
locanda
-
per
quegli
spazi
- le
trincee
-
dove
la
tecnologia
e il
potere
militari
hanno
trasformato
persone
in
sembianti
permanentemente
aggrappati
alle
pareti
di
uno
spazio
inabitabile,
in
cui
le
marche
della
propria
identità,
il
nome,
innanzitutto,
e lo
stato
civile,
sono
secondari
e
puramente
formali
rispetto
all’«essere
pronti
ad
uccidere
altri
tedeschi»,
formula
con
cui
Mireau
interpella
e
identifica
i
soldati
che
incontra
durante
la
sua
visita
alle
trincee.
La
figura
della
spirale
indica
per
l’appunto
il
movimento
attraverso
cui
il
film
torna
ogni
volta
sotto
quanto
è
stato
descritto
nella
sua
prima
parte,
per
illuminarne
i
meccanismi
che
lo
sorreggono.
La
battaglia
è la
sua
prima
spira:
il
luogo
del
distendersi
della
tecnologia
bellica
in
tutta
la
sua
potenza.
Il
processo
è il
secondo
cerchio:
il
luogo
del
mostrarsi
delle
logiche
di
estraniazione
che
il
potere
attiva
sulle
persone.
L’esecuzione
è la
terza
spira:
il
luogo
dell’assoluzione
del
potere
da
ogni
responsabilità
terrena
a
causa
di
un
cedimento
nella
trascendenza.
Riferimenti bibliografici:
Sergio
Bassetti,
La
musica
secondo
Kubrick,
Torino,
Lindau
Barnaba
Maj,
Idea
del
tragico
e
coscienza
storica
nelle
“fratture”
del
Moderno,
Quodlibet,
Macerata
2003.