N. 47 - Novembre 2011
(LXXVIII)
Orizzonti di gloria
Memoria
della
Grande
Guerra
-
Parte
IV
di
Gianluca
Seramondi
La Storia entra in Paths of Glory fin dal titolo, che si presenta sull'incedere di una Marsigliese «… resa marziale e aggressiva da un rinforzo minacciosamente percussivo» (Sergio Bassetti, p. 58). Il titolo è ironico e tragico.
Tale
senso
lo
aveva
già
nel
romanzo
di
Humphrey
Cobb,
il
quale
aveva
ripreso
il
titolo
"Paths
of
Glory"
da
un
verso
di
Thomas
Gray:
«i
sentieri
della
gloria
non
conducono
che
alla
tomba»
(Citato
in
Marcello
Walter
Bruno,
Stanley
Kubrick,
Roma,
Gremese,
2003,
p.
33),
tratto
dall'Elegy
in a
Country
Churchyard.
In
esso
risuonano
sia
la
vita
in
trincea,
per
l'indubbia
affinità
dei
sentieri
con
i
cunicoli
militari,
sia
l'accostamento
della
gloria
alla
morte
- di
cui
la
condanna
dei
tre
presunti
disertori
è la
testimonianza.
Vi
si
riverberano,
inoltre,
due
rappresentazioni
ben
codificate
che
rimandano,
l'una
al
vissuto
dei
campi
di
battaglia
nell'Ottocento,
l'altra
agli
stessi
war
movie.
Per
quanto
riguarda
la
prima
rappresentazione,
Stephan
Audoin-Rouzeau
e
Annette
Becker
ricordano
che
i
luoghi
del
combattimento,
per
esempio
durante
le
guerre
napoleoniche,
ma
anche
oltre,
erano
vissuti
letteralmente
come
"campi
di
gloria",
in
cui
l'abilità,
le
competenze
e
l'addestramento
militari
avevano
ancora
modo
di
decidere
della
vita
o
della
morte
di
un
soldato.
Ma
«Nell'immenso
cataclisma
dell'inizio
dell'ultimo
secolo
sono
scomparse
sia
l'estetica
sia
l'etica
dell'eroismo,
del
coraggio
e
della
violenza
guerriera»
(Stephan
Audoin-Rouzeau,
Annette
Becker,
,
2002,
p.19).
Nella
Grande
Guerra,
il
campo
di
battaglia
è
diventato
«...il
luogo
di
un
terrore
molto
più
radicale»
(Ivi,
p.
16),
dove
quelle
«...capacità
individuali,
se
non
sono
mai
scomparse...si
sono
certo
ridotte
a
poca
cosa
[in
quanto]
si
rivela
enorme
la
sproporzione
tra
i
mezzi
per
uccidere
e
quelli
per
proteggersi.
Sfuggire
al
fuoco
dell'artiglieria,
diventa
una
semplice
questione
di
fortuna,
tenuto
conto
della
sua
inusitata
intensità
e
dell'estensione
dell'area
martoriata
dalle
pallottole,
dalle
granate,
dai
gas»
(Ivi,
p.
17).
Su
questa
rappresentazione
si
stratifica
anche
quella
generata
dai
film
di
guerra
statunitensi,
in
cui
il
luogo
della
battaglia,
e la
guerra
in
genere,
diventano
«...
una
prova
necessaria,
una
«fucina
in
cui
si
forgia
l'anima
di
un
uomo»...«un
luogo
comune
ideale»
che
riesce
a
rafforzare
i
vincoli
anche
tra
comunità
differenti
di
immigrati
[e
uno]
spazio
in
cui
scompaiono
gli
orgogli
e i
pregiudizi
di
razza
e
classe»
(Gian
Piero
Brunetta,
1999-2000,
p.
273-274).
È
inutile
rilevare
quanto
nel
titolo
giunge
condensato,
si
dipani
infine
nel
film.
Mi
sembra
sufficiente
insistere
che
già
nel
titolo
la
Storia
esca
dal
ruolo
di
ambientazione
del
racconto,
per
ritornarvi
a
pieno
titolo
come
protagonista
decisiva,
attrice,
teatro
che
gestisce,
coordina
e
determina
comportamenti,
sviluppi
narrativi
e
nodi
drammatici.
Il
titolo,
in
conclusione,
rafforza
l'idea
che
la
Storia
è
insieme
teatro
e
regista
dell'azione
degli
uomini.
La
Storia
entra
in
prima
persona
una
seconda
volta
nel
film
attraverso
la
voce
off
delle
primissime
inquadrature.
La
voce
off
parrebbe
offrire
solo
le
coordinate
spaziali
e
temporali
dell'azione
drammatica.
Svolgerebbe,
quindi,
il
ruolo
di
collocare
la
finzione
del
racconto
nella
realtà
della
storia.
In
effetti,
la
voce,
atona
e
sicura,
ricostruisce
la
storia
dei
primi
due
anni
di
combattimenti
sul
fronte
franco-tedesco
e
restituisce
la
situazione
attuale
rispetto
al
racconto.
«Il
3
agosto
1914
segnò
l'inizio
della
guerra
tra
la
Germania
e la
Francia.
Solo
cinque
settimane
più
tardi,
l'armata
tedesca,
con
una
spettacolosa
avanzata,
era
a 30
chilometri
da
Parigi.
Ma i
francesi
riunirono
miracolosamente
le
loro
forze
sulla
Marna
e,
mediante
una
serie
di
inattesi
contrattacchi,
costrinsero
i
tedeschi
a
ritirarsi.
Poi
il
fronte
si
stabilizzò
assumendo
l'aspetto
di
una
linea
ininterrotta
di
trincee
altamente
fortificate
avanzante
a
zig
zag
per
800
km
dal
canale
della
Manica
alla
frontiera
svizzera.
Nel
1916,
dopo
due
anni
spaventosi
di
guerra
in
trincea,
la
configurazione
del
fronte
era
poco
cambiata.
Gli
attacchi
coronati
da
successo
si
misuravano
a
centinaia
di
metri
e si
pagavano
a
migliaia
di
vite
umane»
(Edizione
italiana
del
film).
È
rilevante
notare,
innanzitutto,
la
sostanziale
differenza
che
intercorre
tra
questa
voce
off
e
quella
che
apre
Fear
and
Desire:
« In
questa
foresta
c'è
la
guerra.
Non
una
guerra
già
combattuta,
né
una
guerra
futura,
ma
la
guerra,
e i
nemici
che
si
fronteggiano
qui
non
esistono
finché
non
ne
suscitiamo
l'esistenza.
Perciò
questa
foresta,
e
tutto
quello
che
ora
vi
accade,
è al
di
fuori
della
storia;
solo
le
forme
immutabili
della
paura,
del
dubbio
e
della
morte
provengono
dal
nostro
mondo.
I
soldati
che
vedete
parlano
la
nostra
lingua
e
vivono
il
nostro
tempo,
ma
non
hanno
altra
patria
che
la
mente»
(Citato
in
Paolo
Cherchi
Usai,
1999,
pp.
126-127).
In
Fear
and
Desire,
vi
era
la
dichiarata
volontà
di
astrarre,
in
Paths
of
Glory,
di
contro,
non
vi è
alcuna
dichiarazione
d'intenti,
bensì
la
precisa
resa
di
una
situazione
storica
ben
determinata.
Vi è
da
osservare
poi
la
discordanza
tra
lo
scenario
mostrato
dalle
prime
inquadrature
e le
informazioni
veicolate
dalla
voce
off.
Mentre
questa
ultima
dipinge
un'estensione
della
guerra
che
coinvolge
l'intero
fronte
occidentale,
quelle
presentano
le
ristrettezze
di
un
giardino
ben
curato.
Se
la
voce
parla
di
«trincee
altamente
fortificate»,
lo
sguardo
assiste
alla
gradevolezza
di
uno
spazio
degno
di
un
vaudeville.
E,
infine,
quando
la
parola
registra
i
pochi
attacchi
coronati
da
successo,
l'occhio
segue
un
gruppo
di
soldati
che
ha
tutte
le
sembianze
di
un
picchetto
d'onore.
La
voce,
quindi,
rovescia
quanto
mostrato
dalle
inquadrature.
Sandro
Bernardi
ha
osservato,
a
questo
proposito,
che
nei
film
del
regista
la
voce
«...funzione
come
relais
di
scarto,
per
mettere
in
luce
le
scissioni,
le
contraddizioni,
le
dissociazioni
fra
la
rappresentazioni
e il
rappresentato».
In
tal
modo,
la
voce
off
«...apre
il
varco
infinto
tra
le
parole
e le
cose,
tra
le
immagini
e i
fatti.
Lo
spazio
filosofico
della
riflessione
scettica,
dell'ironia,
del
wit»
(Sandro
Bernardi,
1990,
p.57).
Anche
in
questo
incipit,
la
voce
off
non
agevola
l'ingresso
dello
spettatore
nella
finzione,
come
avviene
nel
cinema
narrativo
classico.
Piuttosto
costruisce
una
distanza
tra
le
proprie
informazioni
e le
immagini
che
vi
scorrono
sotto.
La
distanza
qui
posta
è
senza
dubbio
quella
che
separa
la
prima
linea
del
fronte
dalle
retrovie,
come
il
film
stesso
ribadirà
in
più
occasioni.
Ma
sarebbe
un
errore
ritenere
che
ciò
potesse
significare
l'affermazione
di
una
differenza
tra
una
guerra
reale
-
quella
combattuta
nelle
trincee
- e
una
guerra
progettata,
giocata
tutta
negli
uffici
della
dirigenza
militare
francese.
La
distanza
che
le
primissime
inquadrature
annunciano
non
sarà,
infatti,
il
segno
di
una
opposizione
assoluta,
quanto
il
funzionare
di
una
dialettica
irrisolvibile
tra
i
due
poli,
trincea
e
quartier
generale,
che
contribuisce
ad
intensificare
l'esperienza
vissuta
della
guerra.
Con
una
panoramica
a
360
gradi
sui
primi
due
anni
di
combattimento,
la
voce
off
precisa
lo
sfondo
storico
di
Paths
of
Glory.
La
sintesi
è
efficace,
vivida
e
filologicamente
corretta
dal
punto
di
vista
storico.
Per
descrivere
la
situazione
del
fronte
franco-tedesco
George
Mosse
utilizza
quasi
le
stesse
parole:
«...a
metà
novembre
[
del
1914]
gli
eserciti
erano
ormai
a un
punto
morto,
e il
movimento
si
misurava
in
metri
e
non
in
chilometri,
mentre
ciascuna
parte
si
trincerava
per
mantenere
le
proprie
posizioni.
Fu
ben
presto
creato
un
sistema
di
trincee
lungo
all'incirca
765
chilometri,
che
si
estendeva
dal
Mare
del
Nord
fino
alla
Svizzera
passando
per
il
Belgio,
le
Fiandre
e la
Francia»
(Gerge
Mosse
,
2002,
p.4).
Il
riferimento
alla
battaglia
della
Marna,
avvenuta
tra
il 5
e il
12
settembre
1914,
è
assolutamente
centrale.
Questa
battaglia
vide
l'esercito
francese
uscire
vittorioso
dal
confronto
con
i
tedeschi
dopo
una
serie
di
fallimenti
sulla
Lorena,
nelle
Ardenne
e
nella
Sambre,
a
cui
seguirono
poco
onorevoli
ripiegamenti.
Ma
essa
segnò
anche
un'effettiva
svolta
nella
tattica
militare
tedesca.
Il
14
settembre
1914,
infatti,
«...i
tedeschi
scavano
trincee
lungo
la
linea
che
unisce
l'Oise,
a
monte
dell'Aisne,
a
Verdun
sulla
Mosa.
La
guerra
di
posizione
ha
inizio
in
questo
settore»
(Jean
François
Sirinelli,
Robert
Vandebussche,
Jean
Vavasseur-Desperriers,
2003,
p.17).
È da
ricordare
che,
sebbene
già
nel
1895
si
fosse
previsto
che
nelle
guerre
a
venire
tutti
avrebbero
adottato
con
sistematicità
la
trincea,
«...i
generali
alleati
rimasero
sconcertati
dalla
decisione
dei
tedeschi
di
trincerarsi».
E
nella
misura
in
cui
«...la
stabilizzazione
del
fronte
cominciò
ad
apparire
più
permanente,
le
alte
sfere
ammisero
la
propria
frustrazione.
Sembrava
loro
di
combattere
una
guerra
che
non
era
il
risultato
di
alcun
piano
strategico
o
addirittura
la
vanificazione
di
ogni
concezione
strategica.
Lord
Kitchener
confessava:
«Non
so
più
cosa
fare,
questa
non
è
guerra»»
(Eric
J.
Leed,
1985,
pp.
132-133).
La
guerra
di
trincea,
infatti,
rendeva
inutili
gli
attacchi
diretti,
i
tentativi
di
sfondamento,
vale
a
dire
la
guerra
di
movimento
sostenuta
dai
generali
alleati
e da
Joffre
in
particolare.
Il
problema
era
che
«In
questa
guerra
la
realtà
era
immobilità
imposta
dal
dominio
tecnologico
del
fuoco
difensivo»
(Ivi,
p.137).
Di
fronte
all'impiego
massiccio
dell'artiglieria
pesante
e
della
trincea,
il
fronte
non
poteva
che
immobilizzarsi,
che
costringersi
nelle
posizioni
raggiunte
e
difenderle
strenuamente.
Se,
dunque,
da
un
lato
la
battaglia
della
Marna,
ha
risollevato
non
poco
il
morale
di
una
Nazione
che,
convinta
dai
vertici
militari
della
brevità
della
guerra
e
colpita
nell'animo
da
quegli
insuccessi,
iniziava
a
perdere
fiducia
nella
previsione
di
una
breve
durata
del
conflitto,
dall'altro
essa
avrebbe
rappresentato
un
vero
e
proprio
spartiacque
nella
concezione
del
proseguimento
tattico
del
conflitto.
Nel
1916,
anno
in
cui
ha
luogo
la
vicenda
di
Paths
of
Glory,
la
lunga
e
faticosa
guerra
di
trincea
troverà
la
sua
più
cruda
intensificazione.
Nel
febbraio
di
quell'anno
iniziò
la
battaglia
di
Verdun,
celebrata
ancora
oggi
dai
francesi
nonostante
che
le
ingenti
perdite
tra
le
fila
degli
alleati
sono
state
superiori
a
quelle
di
parte
tedesca
(Jean
François
Sirinelli,
Robert
Vandebussche,
Jean
Vavasseur-Desperriers,
2003,
p.23),
e
nonostante
che
Verdun
non
rappresentasse
una
posizione
strategicamente
rilevante
(Jacques
Méré,
1987,
p.1094).
La
battaglia
di
Verdun,
soprattutto,
è
stata
il
primo
combattimento
condotto
secondo
le
direttive
della
cosiddetta
"guerra
di
logoramento",
una
strategia
militare
voluta
dal
generale
tedesco
von
Falkenhay,
che
vi
accennava
già
nel
dicembre
del
1915.
La
strategia
del
logoramento
prevedeva
di
«...costringere
le
truppe
nemiche
su
un
punto
del
fronte
e
indurle
a
impegnarci
le
loro
riserve
per
dissanguarle»
(Jean
François
Sirinelli,
Robert
Vandebussche,
Jean
Vavasseur-Desperriers,
2003,
p.22).
La
prima
linea,
in
questa
strategia,
non
era
uno
spazio
da
tenere
incondizionatamente,
bensì
un
luogo
in
cui
attrarre
le
forze
avversarie
per
poi
disperderle
e
spazzarle
via.
La
strategia
del
logoramento,
infatti,
prevedeva
un
sistema
difensivo,
chiamato
«difesa
elastica»,
per
il
quale
«La
prima
linea
doveva
essere
tenuta
con
meno
ostinazione,
e
abbandonata
nel
caso
il
nemico
fosse
riuscito
a
raggiungerla;
la
posizione
sarebbe
poi
stata
riconquistata
mediante
contrattacco
di
forze
fresche
dalla
seconda
e
dalla
terza
linea
di
trincee
[Operando
in
tal
modo,
gli
attaccanti
si
trovavano]
esausti
e
impigliati
[tra
le
linee
nemiche,
e]
nella
difficoltà
di
ricevere
rifornimenti
attraverso
il
terreno
sconvolto
dai
loro
stessi
combattimenti»
(Eric
J.
Leed,
1985,
p.138).
Proprio
a
Verdun,
poi,
la
difesa
elastica
si
raffina
nella
cosiddetta
«difesa
in
profondità»
che
«...di
fatto
avrebbe
istituzionalizzato
la
guerra
di
Trincea
[...]
difesa
in
profondità
significava
infatti
la
frammentazione
della
coerenza
di
qualsiasi
struttura
geometrica,
e la
dissoluzione
della
compagnia
in
piccole
squadre
indipendenti
di
difensori.
Data
la
realtà
della
guerra
di
trincea,
la
difesa
poteva
essere
pensata
solo
come
una
rete,
un
labirinto
che
confondesse
e
intrappolasse,
disgregandola,
la
forza
dell'attacco
avversario»
(Ivi,
p.
139).
Paths
of
Glory
si
inserisce
precisamente
in
una
situazione
storico-tattica
compresa,
se
si
tiene
fede
alla
voce
off,
tra
la
battaglia
della
Marna
e
quella
di
Verdun.
Una
situazione
dunque
ben
precisa,
in
cui
si
assiste
all'istituzionalizzazione
di
una
tattica
estremamente
decisiva
per
la
comprensione
dell'esperienza
della
guerra.
È
una
situazione
in
cui
il
logoramento
e la
distruzione
delle
truppe
attaccanti
sono
cercati
e
pianificati
dall'avversario
e in
cui
certamente
la
disponibilità
di
truppe
di
riserva
nonché
di
armamenti
di
artiglieria
pesante
erano
fattori
cruciali,
cui
la
Francia
non
poteva
corrispondere
adeguatamente
stante
la
sua
condizione
demografica
e la
sua
arretratezza
rispetto
all'industria
bellica
tedesca.
Ma
soprattutto
era
un
momento
storico
in
cui
la
strategia
movimentista
di
Joffre
doveva
rovinosamente
cadere
di
fronte
all'immobilità
strutturale
della
guerra
di
trincea.
Voce
off
e
inquadrature
sottostanti
ridanno,
dunque,
le
reali
coordinate
entro
cui
si
dipanerà
la
narrazione
e
preparano
l'ingresso
della
Storia
nel
film
non
già
come
sfondo,
più
o
meno
concordante
con
la
realtà,
ma
come
protagonista
assoluto,
anzi
come
macchina
teatrale
considerata
nella
sua
totale
articolazione
interna.
A
questo
punto,
tuttavia,
non
si
esce
ancora
dalla
messinscena
della
Storia.
Kubrick,
ancora,
non
opera
la
svolta
in
direzione
di
una
più
marcata
accentuazione
della
Storia
come
protagonista.
Questo
passaggio
può
essere
pienamente
compreso
attraverso
la
considerazione
delle
occorrenze
della
morte.
Riferimenti
bibliografici:
Stephan
Audoin-Rouzeau,
Annette
Becker,
14-18,
retrouver
la
Guerre,
trad.
it.
di
Silvio
Vacca,
La
violenza,
la
crociata,
il
lutto.
La
Grande
Guerra
e la
storia
del
Novecento,
Torino,
Einaudi,
2002.
Sergio
Bassetti,
La
musica
secondo
Kubrick,
Torino,
Lindau.
Sandro
Bernardi,
Kubrick
e il
cinema
come
arte
del
visibile,
Parma,
Pratiche,
1990.
Gian
Piero
Brunetta,
Over
there.
La
guerra
lontana,
in
Gian
Piero
Brunetta
(a
cura
di)
Storia
del
cinema
Mondiale,
Vol.
II,
Gli
Stati
Uniti,
Tomo
I,
Torino,
Einaudi,
1999-2000
Marcello
Walter
Bruno,
Stanley
Kubrick,
Roma,
Gremese,
2003.
Paolo
Cherchi
Usai,
Scacco
la
generale:
analisi
di «Fear
and
Desire,
in
Gian
Piero
Brunetta
(a
cura
di
),
Stanley
Kubrick.,
Venezia,
Marsilio,
©1999.
Eric
J.
Leed,
Terra
di
nessuno.
Combat
&
Identity
in
World
War
I,
Cambridge,
Cambridge
University
Press,
1979,
trad.it.
di
Rinaldo
Falconi,
Terra
di
nessuno.
Esperienza
bellica
e
identità
personale
nella
prima
guerra
mondiale,
Bologna,
Il
Mulino,
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