Preparazione dell'attacco
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uccisione di Lejeune da parte di Roget
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Svolgimento
e fallimento
dell'attacco
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Mireau ordina
di sparare sulle proprie truppe
e Rousseau si rifiuta
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Dopo l'attacco: |
preparazione
del processo |
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il capitano Rousseau si presenta
a rapporto da Mireau che non accenna all'ordine dato
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Dax apprende
da Paris l'atto
di vigliaccheria
di Roget
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svolgimento del processo
dopo il processo: |
preparazione dell'esecuzione |
Dax affida a Roget
l comando
del plotone
di esecuzione.
Rousseau informa Dax dell'ordine
non firmato
di Mireau
Dax informa Broulard del comportamento di Mireau, presentandogli
a sostegno
dichiarazioni scritte
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esecuzione |
Roget comanda l'esecuzione
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dopo l'esecuzione |
in presenza di Dax, Broulard annuncia
a Mireau che dovrà subire un’indagine per le accuse mossegli da Dax
Broulard
si congratula con Dax per come avrebbe preparato la propria promozione scalzando Mireau; Dax reagisce
con violenza |
Gli episodi innestati corrono paralleli alla narrazione principale. Nella seconda parte si presentano quasi con timidezza, senza lasciar presagire la carica narrativa e significativa che portano in seno. Rousseau si presenta a rapporto da Mireau. Questi, che è in compagnia di Broulard, non accenna al reale motivo della convocazione e afferma con vaghezza che avrebbe voluto chiarire la questione di certe «cariche a salve».
Per quanto riguarda l'episodio che oppone Paris a Roget, Dax lo liquida recisamente affermando che non sortirebbe alcun effetto ai fini processuali, poiché non supportato da alcuna testimonianza. In tal modo, lo sviluppo di questi due nuclei narrativi secondari è svilito e pare essere definitivamente accantonato. Essi ritorneranno con prepotenza solo nella terza parte e incideranno direttamente sullo sviluppo successivo della narrazione. Roget, infatti, si troverà, suo malgrado, a compiere di nuovo e, soprattutto, allo scoperto l'atto di uccidere un suo sottoposto. Mireau, dal canto suo, sarà informato che vi sarà un'indagine sul suo comportamento durante l'attacco ed è allontanato dal comando.
Si badi bene, però, che le due storie parallele non mutano affatto la direzione principale del racconto, il quale, tenuto conto della rigorosa struttura che lo regge, procede inesorabile verso una conclusione già nota. La messa in stato di accusa di Mireau, infatti, non introduce un senso di giustizia, bensì un'ulteriore amarezza, considerato che Broulard fraintende le motivazioni della denuncia di Dax.
Nemmeno, quelle storie, rappresentano un di più di sapere per lo spettatore. Non gli offrono ulteriori informazioni. Presentano, tuttavia, una affinità costruttiva che non può essere sottovalutata. Difatti, in entrambi i casi si tratta di una triangolazione tra personaggi: Roget - Paris - Dax, nella prima, e Mireau - Rousseau - Dax, nella seconda. In entrambi i casi, poi, i personaggi che intervengono svolgono gli stessi atti, dal punto di vista narrativo: Mireau e Roget uccidono o vorrebbero uccidere i propri soldati e vorrebbero tenere nascosta questa loro volontà; Paris e Rousseau comunicano a Dax quanto è avvenuto, portano a Dax un di più di sapere; Dax, infine, svela in entrambi i casi quanto avrebbe dovuto rimanere nascosto, e costringe ora Roget ora Mireau a guardare in faccia quanto hanno commesso e ad assumersi le rispettive responsabilità.
Dal punto di vista di costruzione narrativa, i due episodi sono a tutti gli effetti un esempio di quel principio generatore tipicamente kubrickiano che Antonio Costa ha definito «geminazione».
La geminazione è «... in fonetica, il prolungamento rappresentato convenzionalmente con un raddoppiamento consonantico; in botanica, la replica di elementi identici e contigui (foglie o fiori); infine, in mineralogia, il concrescimento di due cristalli della stessa specie che risultano contigui e compenetrati, identici nella struttura e tuttavia «dislocati».
Il dualismo come principio generatore di simmetrie imperfette, di repliche differenti, domina il cinema di Kubrick [Nei suoi film] La geminazione [ è] «prolungamento» e «complicazione» dell'intreccio attraverso il gioco dei raddoppiamenti, «ripetizione» e «accrescimento» di elementi narrativi simmetrici» (Antonio Costa, pp. 141-142).
Considerate la specularità e la simmetria che le informano, entrambe le storie, allora, possiedono senz'altro una funzione conoscitiva, ma non rivolta allo spettatore bensì ai protagonisti dei due sottoplot. In altri termini, dicono in faccia a Roget e Mireau ciò che essi veramente sono. I due innesti narrativi non sarebbero, quindi, un arricchimento espressivo del racconto, bensì degli accessi alle logiche che sottendono lo svolgersi dei fatti. Da questo punto di vista, essi svolgono la stessa funzione logica del processo, dell'esecuzione e della locanda. Sarà mia premura mettere alla prova questa affermazione che, al momento, non può che rimanere allo stato di ipotesi.
In questa sede, invece, è più opportuno proseguire nella discussione della articolazione del film, giacché Kubrick, lungi dall'aver costruito un racconto piano e lineare, non manca di complicare ulteriormente il racconto stesso, affidandosi oltre che ad innesti narrativi, a scansioni formali, segni di punteggiatura filmica affatto sorprendenti. Come stato rilevato da più parti, i nessi formali cui Kubrick ricorre principalmente sono per lo più stacchi secchi (Enrico Ghezzi, 1977, p. 52) tra le inquadrature, tagli netti nel montaggio. Il cineasta ricorre a punteggiature più marcate solo in pochi casi. Utilizza la dissolvenza incrociata solamente durante la sequenza della ricognizione, senza peraltro negarle il valore di ellissi temporale che le è proprio. Maggiore significato, invece, ha il ruolo delle dissolvenze al nero, segno di punteggiatura filmica che, come ricorda Metz, può essere paragonato agli spazi bianchi che separano tra loro i capitoli di un libro (Christian Metz, 1975, p. 245).
A tutta prima, ci si attenderebbe una occorrenza delle dissolvenze al nero che rispettasse le giunture del racconto. Kubrick, di contro, le utilizza in maniera affatto particolare: queste oltre che introdurre una partizione del racconto in quattro macrosegmenti, sono sfasate rispetto agli snodi logici individuati più sopra. Lo scarto indurrebbe a ritenerle, con Ghezzi, « ... usate come espediente teatrale, da sipario di fine atto, non in direzione lirico-temporale» (Enrico Ghezzi, 1977, p. 52). Sarebbero, quindi, delle semplici pause, per permettere una momentanea sospensione della lettura, un riposo dell'occhio. A una più attenta considerazione, tuttavia, le dissolvenze al nero sono introdotte in momenti ben precisi. In particolare, la seconda e la terza sospendono la narrazione nei suoi punti di maggiore tensione: la fine del processo dopo la requisitoria finale di Dax e la fine dell'incontro tra Dax e Broulard durante il ricevimento.
In questi luoghi terminali, il racconto pare aprirsi ad una serie di direzioni possibili, di mondi possibili (gianluca gibilaro, op. cit.) in un caso, tra l'assoluzione piena degli imputati e la loro condanna a morte, nell'altro caso, tra la sospensione della pena, in seguito alle rivelazioni di Dax, e l'esecuzione dei tre imputati in ogni caso. Il loro valore è marcatamente lirico-espressivo, tanto più che le sequenze ad esse immediatamente successive deludono recisamente la prospettiva di uno sviluppo diverso da quello previsto. La sequenza che segue la seconda dissolvenza, infatti, mostra il caporale che illustra a un gruppo di soldati le norme per la custodia dei prigionieri, fugando ogni dubbio sul reale destino dei tre fanti.
La sequenza che si apre dopo la terza dissolvenza, mostra, dal canto suo, il plotone di esecuzione che preleva i prigionieri per condurli nel luogo prefissato per l'esecuzione.
Rispetto a queste, la prima dissolvenza ha un valore affatto diverso. Non solo non rispetta la logica della narrazione, e questo di per sé non costituirebbe problema, ma, soprattutto, si trova in una posizione del racconto che né prelude mondi possibile, né, di conseguenza, suscita l'attesa di direzioni narrative differenti, né, infine, interrompe il racconto in un punto critico, di tensione o narrativa o emotiva.
La sua occorrenza qui sembra avere il valore di mera scansione ritmica del racconto, e questa sarebbe l'unica caratteristica che la accomunerebbe con le altre due dissolvenze, perché, con esse, contribuirebbe a ripartire il racconto in parti descrittive e in parti narrative. In particolare, la prima e la terza parte avrebbero una funzione prevalentemente descrittiva, la seconda e la quarta paleserebbero di contro una vocazione prevalentemente narrativa.
Un alternarsi così regolare di momenti statici a momenti dinamici, di là della diversa densità di ciascuna parte, stabilisce innanzitutto l'identità logica svolta dalla prima e dalla terza parte: entrambe hanno, dal punto di vista narrativo, la funzione che, all'inizio di questo capitolo, ho indicato come "preparazione": preparazione dell'attacco e preparazione dell'esecuzione. In questi due macrosegmenti narrativi il film, piuttosto che favorire l'azione, preferisce dedicarsi alla "psicologia" dei personaggi e al loro relazionarsi.
Tuttavia, l'identità logico-funzionale tra prima e terza parte, non è completa e, di conseguenza, non riesce a dar conto di una differenza semantica molto forte tra la prima e la terza dissolvenza, una differenza dovuta soprattutto alle sequenze che chiudono le due parti: l'ultima sequenza della prima parte, i due soldati che discutono sui modi di morire, è puramente e fortemente descrittiva; mentre la sequenza che chiude la terza parte, il colloquio tra Dax e Broulard circa il comportamento di Mireau, è fortemente e decisamente narrativa. È naturale, allora chiedersi quale sia il reale valore della prima dissolvenza al nero. E, di conseguenza, quale sia la reale portata della prima parte del racconto.
Entrando nel dettaglio, la prima parte del film contiene come uniche azioni drammatiche l'ordine di attaccare il Formicaio, il trasferimento di questo stesso ordine lungo la gerarchia militare, con i suoi corollari quali la ricognizione e la pianificazione, e l'episodio dell'uccisione di Lejeune durante la perlustrazione.
Rispetto a questi nuclei narrativi "deboli" - al di là dell'ordine di attaccare il Formicaio, gli altri episodi, compresa l'uccisione di Lejeune non paiono, per il momento, preludere sviluppi cogenti -, acquistano invece una centralità quasi esclusiva:
1: la presentazione del periodo temporale e del luogo geografico in cui si situa l'azione drammatica;
2: a presentazione dei personaggi: i diversi protagonisti del film sono mostrati tutti, senza eccezione, in questa prima parte;
3: la presentazione dei rapporti, sia personali sia "professionali", tra i diversi personaggi;
4: la presentazione del rapporto che i diversi personaggi stabiliscono con la guerra;
5: la presentazione dei luoghi attraversati dal film, ad eccezione del carcere.
In questa prima parte, di conseguenza, assumono un ruolo pressoché dominante le sequenze la cui finalità principale è descrittiva, e, inoltre, di mostrazione delle routines di vita. Si pensi alla spiegazione degli obiettivi della ricognizione. Roget presenta i compiti della perlustrazione nei termini di una normale e consueta attività, sia a livello di tono: non si avverte l'eco dell'imminente battaglia; sia a livello di elencazione dei compiti: « Questa è una pattuglia di ricognizione.: ...reticolati tedeschi, postazioni di mitragliatrici, identificazione di cadaveri...Saremo soltanto in tre e dovremo evitare di impegnarci ...». Il colloquio tra Mireau e Dax sulle prospettive dell'attacco, non si discosta da quella che è una normale pianificazione di un bilancio, e serve più ad illustrare le posizioni, anche di coinvolgimento emotivo, del colonnello e del generale.
Scelte simili non sono affatto estranee alla poetica di Kubrick e si ritrovano in Barry Lyndon, durante il quale la funzione descrittiva acquista il suo punto di maggiore estensione. In questo film, infatti, la narrazione della vita di Barry dopo il suo ingresso nell'aristocrazia è composta da scene che «...non sono connesse da una consecutività - consequenzialità narrativa, ma scandiscono un ritmo descrittivo, consuetudinario, alla «frontiera del racconto»»( Sandro Bernardi, 1990, p. 121). Di conseguenza « Le immagini non raccontano quasi più niente, solo descrivono i tempi di una vita senza eventi» (Sandro Bernardi, 1990, p. 121). La narrazione asseconda un tempo frequentativo, di cui il tempo imperfetto utilizzato nella letteratura è l'esempio più lampante.
Conviene ricordare che il tempo frequentativo «...serve a distinguere fatti secondari da quelli principali, che si coniugano al tempo passato, o presente storico. L'imperfetto corrisponde a quegli eventi che non costituiscono il motivo centrale della narrazione ma piuttosto il suo decor, il contorno indispensabile ma non dominante» (Sandro Bernardi, 1990, p. 120).
Così, il racconto della vita di Barry una volta entrato nel mondo dell'aristocrazia, è, in ultima analisi, «...una progressiva trasformazione in senso frequentativo della storia raccontata» (Sandro Bernardi, 1990, p. 120), che porta lo sfondo, il contesto, il decor ad acquisire una predominanza sul racconto.
Come accadrà in Barry Lyndon, anche nella prima sezione di Paths of Glory le scene sembrano giustapporsi quasi senza rispettare alcuna forma di consequenzialità. Se si mantiene il parallelo con l'uso dei tempi in letteratura e con quanto accade in Barry Lyndon, bisogna concludere che anche in questa sezione di Paths of Glory, il racconto, generato dall'ordine di attaccare il Formicaio, subisce una torsione che porta in primo piano quanto dovrebbe rimanere sullo sfondo: non solo i fatti che compongono l'evento Prima Guerra Mondiale, ma anche l'esperienza che in essa si è generata e consolidata.
Formulo l’ipotesi che la funzione descrittiva così centrale assunta dalla prima parte ha come obiettivo quello di mostrare la torsione del rapporto tra sfondo e azione, e, quindi, di costruire il passaggio dalla messa in scena della Storia alla Storia come messa in scena, come regista primo dell'azione che si svolge sullo schermo. Da questo punto di vista, le altre tre parti acquisiranno il compito di penetrare le logiche che sottendono e sorreggono la situazione descritta nella prima parte. In particolare, la costruzione del film, nelle sue scansioni sia logiche che formali, in questa ipotesi, sarebbe la traduzione sul piano lineare di un movimento propriamente a spirale, di approfondimento successivo della situazione iniziale.
In questa prospettiva, come si vedrà, la sequenza che chiude la prima parte del film, quella in cui i due soldati discutono della morte, descrive, rispetto alla linea di significazione della morte, la consapevole risultanza finale delle tracce di quella morte violenta, anonima e indifferente che ha segnato l'esperienza di milioni di uomini durante la prima guerra mondiale, e che il film ha sapientemente distillato in tutte le sequenze della sua prima parte, ad eccezione di quella relativa alla disposizione strategica dell'attacco. L'ultima sequenza, in altri termini, porta a compimento quel passaggio in cui la Storia, da fondo di una narrazione, diventa la messinscena che decide degli spazi, dei movimenti, delle luci e anche dei luoghi mentali rispetto a cui la psicologia individuale deve adattarsi.
La Storia di Paths of Glory, in definitiva, è la regia della storia narrata, nello stesso modo in cui l'Overlook Hotel è il protagonista assoluto di Shining. I prossimi capitoli, in conclusione, avranno come scopo quello di dimostrare quanto qui è emerso alla luce di una prima discussione sulla struttura del film.
Riferimenti bibliografici:
Sandro Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Parma, Pratiche, 1990
Antonio Costa, Kubrick o della geminazione, in Gian Piero Brunetta (a cura di), Stanley Kubrick, Venezia, Marsilio, 1999.
Enrico Ghezzi, Stanley Kubrick, Firenze, La nuova Italia, collana "Il castoro cinema", n° 38, 1977
Gianluca Gibilaro, Orizzonti di gloria Seminario 2000: analisi del film "Orizzonti di gloria", in www.cinemavvenire.it (http://www.cinemavvenire.it/seminari/seminario-2000-analisi-del-film-orizzonti-di-gloria/orizzonti-di-gloria), Domenica 20 Agosto 2000 13:00.
Christian Metz, Essais sur la signification au ciméma, II, Paris, Klinksiek, 1972, trad. it., La significazione nel cinema, Milano, Bompiani, 1975
Thomas Allen Nelson, Kubirck: inside a Film Artist's Maze, Bloomington, Indiana University Press, 1982