N. 43 - Luglio 2011
(LXXIV)
orizzonti di gloria
Memoria della Grande Guerra
di Gianluca Seramondi
La
perturbante
bellezza
di
Paths
of
Glory,
la
sua
capacità
di
incidere
profondamente
nella
mente
dello
spettatore,
non
dipendono
solo
dal
rigore
formale
della
sua
composizione,
dalla
fotografia
espressionista
che
inevitabilmente
muove
i
sentimenti
dello
spettatore,
dal
tutto
tondo
con
cui
sono
dipinti
i
personaggi.
Lo
si
deve
al
fatto
che
Paths
of
Glory
nel
1957
riesce
a
indagare
con
impressionante
precisione
i
motivi
che
fecero
del
Primo
Conflitto
Mondiale
un
evento
centrale
per
la
storia
del
Novecento,
un
avvenimento
che
segnò
una
cesura
nel
continuum
storico,
e
soprattutto
un’esperienza
che
agì
nella
soggettività
del
secolo
scorso
in
maniera
affatto
radicale
e
irreversibile.
Merita
ricordare
che
negli
anni
Cinquanta
la
Prima
Guerra
Mondiale
era
in
parte
avvolta
nell'incomprensione
quanto
alla
sua
reale
portata
non
solo
per
gli
sviluppi
storici
del
Ventesimo
secolo,
ma
per
i
suoi
effetti
sulle
strutture
cognitive
ed
esistenziali
che
si
affacciarono
e si
imposero
nel
Novecento.
La
storiografia
sulla
Grande
Guerra
prese
ad
indagare
con
vigore
i
mutamenti
nella
soggettività
prodotti
da
quel
conflitto
solo
nel
1975
con
il
lavoro
di
Paul
Fusssell,
The
Great
War
and
Modern
Memory,
Oxford,
Oxford
University
Press,
1975
(trad.
it.
di
Giuseppina
Panzieri,
La
Grande
Guerra
e la
memoria
moderna,
Bologna,
Il
Mulino,
2000),
cui
sono
seguiti,
tra
gli
altri,
i
lavori
di
George
Mosse,
Eric
J.
Leed,
Mario
Isnenghi,
Antonio
Gibelli,
Jay
Winter,
Keegan,
Annette
Becker.
Con
le
parole
di
Antonio
Gibelli,
poste
a
introduzione
del
lavoro
di
Fussell,
fino
ad
allora
la
storiografia,
legittimamente,
si
era
attardata
nello
studio
delle
motivazioni,
delle
cause
e
delle
responsabilità
del
conflitto,
ma,
ad
eccezione
di
contributi
isolati,
«...non
c'erano
ancora
importanti
ricerche
sull'esperienza
corporea
e
mentale
dei
combattenti,
né
sulle
eredità
materiali
e
morali
del
trauma
subito
dai
popoli
coinvolti
nella
terribile
prova,
né
ancora
sulle
forme
di
elaborazione
della
memoria
e
del
lutto»
(Paul
Fusssell,
2000,
p.
XI
).
In
una
parola,
non
si
era
ancora
affermato
con
sufficiente
chiarezza,
il
«posto
paradigmatico»
(Ibidem,
p.
XV )
che
la
Grande
Guerra
ha
avuto
nella
storia
del
Ventesimo
secolo.
L'intelligenza
di
Paths
of
Glory
consiste
proprio
nell'aver
compreso
il
carattere
paradigmatico
della
Prima
Guerra
Mondiale,
di
averne
compreso,
in
altre
parole,
la
forza
performante,
l'azione
incisiva
sulle
strutture
della
soggettività
moderna
prima
che
sulle
vicissitudini
del
Novecento.
La
“storia”
della
prima
guerra
mondiale,
l’orizzonte
fattuale
del
film,
allora,
ha
funzionato
in
Paths
of
Glory
come
un
insieme
di
tracce
per
ricostruire
un
orizzonte
più
ampio
e
sicuramente
più
importante:
quello
dell'esperienza
del
primo
conflitto
mondiale
e
del
suo
significato
per
la
soggettività
moderna.
Non
a
caso
è
proprio
in
questo
film
che
Kubrick
elabora
in
una
sistematizzazione
definitiva
il
topos,
per
esempio,
del
labirinto
(o
del
corridoio)
e
scopre,
dopo
l'esperienza
di
The
Killing,
la
predominanza
dello
spazio
nei
confronti
del
tempo,
schiacciato,
come
si
vedrà,
nelle
strettoie
del
presente
infinito
e,
soprattutto,
uniforme.
Il
film
del
regista
statunitense
non
è il
solo
ovviamente
ad
aver
affrontato
la
Grande
Guerra.
Una
preziosa
mappa
dei
film
che
hanno
portato
in
scena
la
Grande
Guerra
è
stata
disegnata
da
Giaime
Alonge
in
Cinema
e
Guerra.
Il
film,
la
Grande
Guerra
e
l'immaginario
bellico
del
Novecento,
Torino,
Utet,
2001.
L'autore
ricostruisce
la
storia
di
questa
specifica
cinematografia
dalla
prospettiva
della
rappresentazione
della
battaglia.
Mostra,
in
particolare,
come
la
consapevolezza
cinematografica
del
nuovo
modo
di
svolgimento
della
battaglia
durante
il
primo
conflitto
mondiale
sia
acquisizione
tardiva,
da
poter
fare
risalire
agli
anni
Trenta
del
Novecento.
Mentre
prima
la
scena
cinematografica
di
una
battaglia
era
costruita
seguendo
la
concezione
ottocentesca
della
guerra,
che
poggiava
sulla
possibilità
da
parte
dei
generali
di
avere
una
visione
totale
dell'aerea
di
scontro
e
delle
forze
in
campo,
negli
anni
Trenta
la
ricostruzione
cinematografica
della
battaglia
tiene
effettivamente
conto
dello
stravolgimento
che
la
nuova
tecnologia
bellica
impiegata
nella
Prima
Guerra
Mondiale
ha
comportato
per
la
tattica
e la
strategia
militari.
Film
come
All
Quiet
on
the
Western
Front
(1930),
di
Lewis
Mileston,
Westfront
1918
(1930)
di
Georg
Wilhelm
Pabst
e
A
Farewel
to
Arms
(1932),
di
Frank
Borzage,
sono
«Il
centro
ideale
di
questo
rivolgimento»
(Giaime
Alonge,
2001,
p.
117).
L'originalità
di
questo
approccio
ha
permesso
ad
Alonge
di
ricostruire
una
seconda
e
più
importante
geografia
delle
tematiche,
delle
questioni,
ma
anche
delle
mitologie
poste
dalla
Grande
Guerra
e
raccolte
dalla
riflessione
cinematografica
e
non.
Problemi
che
aprono
la
Grande
Guerra
sull'orizzonte
più
ampio
della
modernità
e,
quindi,
della
soggettività
moderna.
Si
va,
dunque,
dalla
frammentazione
e «labirintizzazione»
dello
spazio
percettivo
proprio
dell'esperienza
della
trincea
alla
brutalizzazione
della
natura
a
causa
della
cosiddetta
«guerra
dei
materiali»;
dalla
spersonalizzazione
e
massificazione
dei
soldati
alla
nascita
di
un
nuovo
eroe:
l'aviatore;
dalla
frattura
tra
fronte
e
società
civile
alla
sottolineatura
della
dimensione
generazionale
della
Grande
Guerra
e
dalla
comunità
del
fronte,
e
quindi,
della
solidarietà
con
il
fante
nemico.
Se,
come
si è
detto,
il
film
di
Milestone
ha
avuto
piena
consapevolezza
di
questi
temi,
al
punto
da
porsi
come
spartiacque
tra
un
prima
e un
dopo
della
ripresa
cinematografica
della
Grande
Guerra,
Paths
of
Glory
mantiene,
anche
all'interno
di
questa
particolarissima
storia,
una
posizione
di
tutto
rilievo.
Non
a
caso
la
ricerca
di
Alonge
termina
proprio
con
la
discussione
del
film
di
Kubrick.
Innanzitutto,
negli
anni
Cinquanta,
Paths
of
Glory
riapre
il
discorso
sulla
Grande
Guerra,
portandola
ad
«imporsi
come
la
metafora
di
ogni
possibile
guerra»
(Ibidem,
p.
21).
In
secondo
luogo,
nel
film
di
Kubrick
«i
due
grandi
modelli
rappresentativi
della
battaglia
moderna
[…]
si
incontrano,
entrando
inevitabilmente
in
collisione»
(Ibidem,
p.
201).
In
terzo
luogo,
Paths
of
Glory
è un
momento
centrale
della
narrazione
kubrickiana
della
crisi
della
ragione
occidentale
perché
indaga
il
«luogo
storico
della
dissoluzione
della
fiducia
positivistica
nelle
magnifiche
sorti
e
progressiva
della
scienza,
dalla
liberal-democrazia
e
del
socialismo
riformista
della
II
internazionale»
e
«il
punto
di
partenza
imprescindibile
a
monte
dell'ecatombe
nucleare
del
Dottor
Stranamore
e
del
disastro
americano
in
Vietnam
di
Full
Metal
Jacket»
(Ibidem,
p.
207).
All'interno
del
minuzioso
quadro
di
Alonge,
di
cui
condivido
in
particolare
l'assunto
di
fondo
che
vede
nella
Grande
Guerra
un
evento
cruciale
per
la
modernità,
per
cui
la
«…Grande
Guerra
sarà
per
noi
un
«laboratorio
storiografico»,
un
punto
di
osservazione
privilegiato
che
ci
permetterà
di
riflettere
su
una
grande
ampiezza,
quale
il
rapporto
tra
cinema
e
modernità»
(Ibidem,
p.
19),
il
lavoro
che
segue,
allora,
sostiene
due
tesi
tra
loro
complementari
e
connesse:
mostrando
come
Paths
of
Glory
ricostruisca
efficacemente
l'orizzonte
storico
della
Grande
Guerra,
asserirà
innanzitutto
che
il
primo
conflitto
mondiale
è
assolutamente
centrale
per
la
strutturazione
narrativa
e
visiva
del
film.
Evidenzierà,
quindi,
come
il
racconto
colga
con
grande
intensità
il
vissuto,
l'esperienza
e,
quindi,
la
soggettività
che
nella
Grande
Guerra
si è
prodotta.
Ricostruirà
nello
stesso
tempo
le
responsabilità
e i
meccanismi
di
istituzionalizzazione
di
questa
soggettività.
Dimostrerà,
in
altri
termini,
come
il
film
di
Kubrick
indichi
sia
le
nuove
modalità
di
esperire
il
mondo
della
vita
introdotte
da
quell'evento
storico
sia
i
meccanismi
che
le
hanno,
per
così
dire,
istituzionalizzate.
Sosterrò,
a
mo'
di
corollario
di
quanto
precede,
che
il
movimento
proprio
di
Paths
of
glory,
sia
raffigurabile
attraverso
la
spirale.
In
altri
termini,
il
processo
e il
suo
compimento
nell'esecuzione,
hanno
come
obiettivo
quello
di
chiarire
i
meccanismi
attraverso
cui
si è
prodotta
quella
condizione
di
vita
dei
soldati
che,
descritta
nella
prima
parte
del
film,
mette
in
luce
le
strutture
della
soggettività
moderna.